e poveri e ricchi nella letteratura greca da
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πλοῦτος e πενία: poveri e ricchi nella letteratura greca da Omero ai Cristiani Storia della Lingua Greca Laurea Magistrale in Filologia, Letteratura e Tradizione Classica a. a. 2014/2015 – C. Neri camillo. neri@unibo. it
πλοῦτον δὲ καὶ πενίαν μή μοι δῷς, σύνταξον δέ μοι τὰ δέοντα καὶ τὰ αὐτάρκη (Pr (LXX) 30, 8) Credite mihi: assem habeas, assem valeas; habes, habeberis. “Date retta a me: hai un quattrino, vali un quattrino; hai un bel conto, sarai tenuto in conto”. (Petron. 77) prologo
• povertà e ricchezza: una questione di referenti (poveri e ricchi di che cosa? ) • poveri e ricchi • un dato naturale? • un portato culturale? • identità personale e rapporti sociali • Dio e Mammona (Mt 6, 24 = Lc 16, 13) una polarità del singolo e della società?
un incontro di persone e obiettivi presentazioni reciproche: attese e obiettivi presentazione del corso: • gli obiettivi • i modi • programma e calendario • le verifiche • il materiale
gli obiettivi • approfondire una lingua nei suoi contesti • comunicare, insegnare, autovalutarsi • fare ricerca: metodi e strumenti
i modi • lezioni introduttive e finestre di approfondimento • lezioni-Referate • esercizi personali
programma e calendario • il programma e la tabella delle lezioni • Storia della lingua: Grammatica: • i libri in programma • date degli appelli 1. 10 -5. 11 10. 11 -17. 12
le verifiche • autovalutazione: le schede di verifica • Referate • esame finale: la tematica e il saggio
il materiale http: //www 2. classics. unibo. it/Didattica /Programs/20142015/Neri/
povertà, ricchezza e definizioni • LSJ 9 288, 942 s. , 1213, 1423, 1550, 1757, 1860, 2004 s. • Chantraine, DELG 146, 519, 791, 881 s. , 918, 948 s. , 1093, 1275 • Beekes, EDG 177, 678, 1067, 1172, 1211 s. , 1248 s. , 1450
ricchi e poveri • problematici doni degli dèi • la polinomia della ricchezza e le connotazioni (e le cause) delle povertà • ricchezza come obiettivo, mendicità come mestiere • la povertà come umiliazione e caduta • il guadagno come vantaggio • la ‘cecità’ di ricchezza e povertà • la reificazione dell’uomo nel denaro
ODISSEA
Odisseo e Iro: veri e finti poveri • nessuno è ciò che sembra • violenza desiderata e violenza nascosta • dalle parole ai fatti: il disvelamento dell’ἀλαζών • divertimenti miserabili: i proci e la ‘pornografia’ • il terrore della debolezza e la cautela della forza • l’intronizzazione dell’ἀλαζών smascherato • la prova come ristabilimento dei ruoli
Lingue letterarie e lingue parlate Il greco (tranne, parzialmente, glosse e iscrizioni, che peraltro sono ‘formalizzate’) è per noi una lingua letteraria (ma ciò, come sempre avviene per le lingue antiche, è dovuto anche al processo della tradizione). Il complesso dei linguisti e il sospetto verso le lingue letterarie: l’esempio del latino da Augusto al Rinascimento (o al Concilio Vaticano II) e del sanscrito, il divaricarsi dei piani. Le lingue letterarie come forme ‘normalizzate’ del parlato e come insiemi compatti di regole fissate e codificate, e le lingue parlate come incerti oggetti di ricerca (quale lingua parlata? quali atlanti linguistici? ). L’importanza, anche modellizzante, delle lingue letterarie (es. il gotico di Ulfila, lo slavone di Salonicco di Cirillo e Metodio, l’armeno dei primi traduttori biblici, l’arabo del Corano) e le lingue comuni in nuce (es. di Dante, Petrarca e Boccaccio). Νon di rado una lingua letteraria diventa lingua comune.
Dal parlato alla ‘letteratura’ Le lingue letterarie, come anche le lingue religiose, sono un tipo particolare di lingue ‘speciali’ o ‘tecniche’. Parlate locali (ogni gruppo locale ha la sua) e parlate speciali (gruppi professionali, esercito, sport). Il carattere esoterico e ‘segreto’ delle lingue speciali, che le rende così difficili da studiare. I caratteri delle lingue speciali: il mantenimento della fonetica e del sistema grammaticale, e la differenziazione lessicale (il lessico ha una certa autonomia ed è più facilmente modificabile: per es. la lingua dei ragazzi); forestierismi, neologismi, slittamenti semantici.
Lingue letterarie religiose e profane Le lingue religiose: il passaggio dall’umano al divino e l’esigenza di discontinuità e di oscurità (terminologica e sintattica: l’es. di Ahura Mazdah); le Gatha, gli inni vedici, il Carmen fratrum Arvalium, l’Inno a Zeus dell’Agamennone di Eschilo. Il processo di laicizzazione delle lingue religiose: l’intervento di elementi esterni (i re stranieri in India) e il proselitismo (l’alfabeto gotico, slavo, armeno). Il processo di cristallizzazione e di irrigidimento indotto dalle lingue religiose divenute letterarie: la chiave di interpretazione della realtà e la meccanizzazione del pensiero. L’internazionalismo delle lingue letterarie. Le lingue letterarie di origine profana: thul islandesi, filé irlandesi, scop anglosassoni, chansons de gestes francesi.
Il greco come lingua profana Il diletto delle aristocrazie, le feste pubbliche, i ritrovi dei gruppi; la scarsa incidenza dell’elemento religioso sulla lingua e sulla letteratura elleniche. I caratteri delle lingue letterarie: arcaismo e dialettalismo (il dialetto diverso da quello su cui riposa la lingua corrente); differenze grammaticali (il passato remoto, il congiuntivo, …), fonetiche (gorod e grad in russo), lessicali (corsiero, affinché, concerne, sono a dirle, èspleta; l’esempio dei Cechi e dei Francesi: ordinateur e computer), di ordo verborum (le esigenze di autonomia e completezza delle frasi letterarie). Parlato (varietas e irregolarità grammaticale, monotonia nei tipi di frase e nel lessico) versus letterario (regolarità [monotonia] grammaticale, varietà nei tipi di frase e nel lessico).
ESIODO
ricchezza, rapina, povertà • la legge del più forte e l’ingiustizia contro il povero • ricchezza-dono e ricchezza-conquista • le mani e la lingua • travasi terminologici • l’accecamento della ricchezza e il senso del pudore • l’etica del lavoro • ritratto del povero
La lingua di Omero? Il fantasma del testo di Omero: prima e dopo Alessandria. L’età prealessandrina: il sostrato acheo (arcadico-cipriota); il sostrato eolico (ma tessalico più che lesbico) e le differenti spiegazioni degli eolismi omerici; la fase ionica; l’edizione pisistratidea e l’atticizzazione (? ); il μεταχαρακτηρισμός ionico del 403 (l’esempio di ΕΟΣ); edizioni κατ’ ἄνδρα e κατὰ πόλιν. L’età alessandrina e postalessandrina: il lavoro degli Alessandrini (Zenodoto, Aristofane di Bisanzio) e le edizioni ‘selvagge’ dei papiri; Aristarco e la sua scuola; l’erudizione ellenistica (Aristonico e Didimo, Erodiano e Nicanore: il commento dei quattro); il Venetus A e la tradizione medioevale. Il problema degli arcaismi: il testo come risultato di un continuo compromesso tra le esigenze della tradizione e della metrica da un lato e della modernizzazione e dell’uditorio dall’altro. La fissazione del testo omerico risale a un’epoca in cui la pronuncia si era già differenziata rispetto a quella degli antichi aedi. Le differenze/oscillazioni (dovute al destinatario: Ioni, Eoli, ecc. ) già nel testo antico.
Incoerenze omeriche L’azione del digamma (ϝ) ‘scoperto’ da Richard Bentley: a) i 350 casi in cui ϝ fa posizione nei tempi forti dell’esametro (ma non nei deboli). b) i migliaia (oltre 2000) di casi in cui ϝ evita lo iato. c) la consonante che si sta indebolendo (il passaggio da Omero a Esiodo). Il dativo plurale delle declinazioni tematiche: le forme antiche ‑οισι e ‑ῃσι (circa 3000) e le forme recenti ‑οις e ‑ῃς/‑αις (circa 100). Forme non contratte e forme contratte: a) il genitivo singolare: ‑οιο, ‑οο e ‑ου/‑ω. b) le contrazioni indebite (δείδοα ed ἠόα). c) il caso εἵως, ἕως, ἧος, εἷος, ἇ(ϝ)ος.
La παλαιὰ Ἰάς: diacronia e sincronia Le forme eoliche nelle iscrizioniche di Chio, e le forme eoliche metricamente ‘protette’ (o metricamente ‘necessarie’). Il metro ionico. Il passaggio di ᾱ a η. I duali in ‑ᾱ , i gen. in ‑αο e in ‑άων, λαός / νηός. I nomi di Posidone e degli Ioni (pers. Yauna). Dativi plurali in ‑εσσι (ποσ(σί), Τρώεσσι) e aoristi in ‑σσ‑. Le forme dell’articolo plurale. Forme con nasali geminate e pronomi (e aggettivi) personali. Esiti di labiovelari (πίσυρες, πέλωρ, πέλομαι, βέρεθρον). Desinenze di infiniti (atem. -μεν, -μεναι, -ναι, tem. -εν, -μεν). I participi perfetti in ‑ντ‑ (κεκλήγοντες). Le varie forme delle preposizioni (πρός, ποτί, προτί). Le particelle modali: (οὐ) κεν e (οὐκ) ἄν. I nomina agentis: ‑τωρ/‑τηρ per i nomi semplici e ‑τᾱς/‑της per i composti (come in eolico). Il destinatario ionico e il sostrato eolico (l’Asia Minore ionicizzata).
Il carattere arcaico della lingua epica La presenza intermittente dell’aumento, non rintracciabile in alcun testo di prosa. L’autonomia degli avverbi, non ancora preposizioni o preverbi. L’alternanza di ‑σσ‑ con ‑σ‑: τόσσος e τόσος, μέσσος e μέσος, (ἐ)κάλεσσα ed (ἐ)κάλεσα. La progressiva scomparsa (non rivoluzionante) di alcune libertà e di alcune oscillazioni: la regolarizzazione linguistica del greco postepico.
Una lingua letteraria e internazionale L’uso incoerente e ‘versificatorio’ del duale (ὄσσε, ὀφθαλμός). Il pubblico aristocratico e la corporazione internazionale degli aedi. I composti ‘letterarizzanti’ e termini peregrini (γλῶτται). Opera ‘aperta’, formularità, pensiero individuale e libero dei personaggi.
ARCHILOCO
scelte di povertà • il modello di Gige • ricchi di antica data e di recente acquisizione • la ricchezza e le opere degli dèi • la ricchezza e il potere • la misura dello sguardo • sophrosyne o accidia culturale? • ricchezza e povertà da simposio
TEOGNIDE
la povertà dei giusti • l’olbos dei mascalzoni • la povertà dei giusti • le cause della delinquenza • sociologia della miseria • bisogno, disperazione, errore, necessità • il corpo e la mente • rovesciamento dei valori e perdita della memoria
IPPONATTE
il poeta ‘pitocco’ • giambo, parodia e maschere • quadri di povertà • povertà e freddo (cf. Esiodo) • la cecità di Pluto • l’incidenza sociale del denaro • povertà e fame • la paratragedia prima della tragedia
L’invenzione dell’articolo La formazione (autoctona soltanto in Grecia) dei concetti scientifici e la lingua come mezzo di conoscenza: le premesse linguistiche della scienza e la selezione degli elementi linguistici necessari all’elaborazione teorica. La fissazione dell’universale in forma determinata e il processo di astrazione (nomi propri [l’individuale], nomi comuni [il generale: classificazione, generalizzazione e prima conoscenza], astratti [mere astrazioni senza plurale; ‘nomi mitici’-personificazioni e metafore: antropomorfizzare l’incorporeo]): l’invenzione dell’articolo e la sostantivazione dell’aggettivo e delle forme verbali. Funzioni dell’articolo: determinare l’immateriale, porlo come universale, determinare singolarmente l’universale (farne cioè un nome astratto, comune e proprio a un tempo). L’uso particolare, determinato (“questo qui”), dell’articolo omerico (ed esiodico): il valore dimostrativo e l’assenza degli articoli veri e propri; il valore oppositivo (“questi … quelli”); il valore anaforico (“Odisseo … lui”); il valore ‘connettivo-relativo’ (“e quelle …”); il valore prolettico (“questo: . . . ”); il valore dimostrativo-apposizionale (“quella, l’isola”); il valore individualizzante (“tutte quelle altre volte”); il valore enfatico (“questo tuo dono”). La prima comparsa della prosa e la presenza dell’articolo (a eccezione delle iscrizioni cipriote e di quelle panfilie, che lo presentano assai di rado): il valore determinativo; il valore di rinvio e riferimento; il valore di opposizione; l’interposizione e la creazione del gruppo del sostantivo; la sostantivazione di qualsiasi elemento della frase e l’algebra linguistica; «un processo privo di ogni valore affettivo ma comodo per l’esposizione delle idee, e di un’agilità e varietà che non hanno riscontro nella prosa di nessun’altra lingua indoeuropea» (A. Meillet).
ALCEO
la povertà dell’esilio • gli esili di Alceo • la vita selvatica vs la piazza e il consiglio • la vita del lupo o del codardo? • la stasis come fucina di povertà (cf. Pindaro) • il ruolo degli dèi • le donne, la bellezza, la nostalgia • la poesia che consola
SAFFO
la povertà dell’esilio • l’esilio di Saffo • un discorso sulla moda? • Lesbo e la ricchezza di Sardi • l’impossibilità di procurarsi una mitra • l’esilio dei Cleanattidi • Pittaco e le leggi suntuarie • un carme celebrativo ‘fuori-sede’?
ANACREONTE
ironia e autoironia • Artemone prima e dopo • la vita ‘fasulla’ e la vita ‘rifatta’ • sofferenza e lusso come estremi ridicoli • l’abbigliamento come biglietto da visita • frequentazioni e àmbiti sociali • ironia che scarnifica o ironia benevola? • l’autoironia di gruppo e le parole proibite
BACCHILIDE
splendore e morte • lo splendore del malato Ierone • ricchezza, ospitalità, mecenatismo • olbos e eusebeia di Creso • la charis degli dèi • l’iperborea immortalità di Creso, la gloria di Admeto e le speranze di Ierone malato • la poetica, graziosa, amichevole ricompensa della poesia, e l’eternità oltre l’olbos
Le lingue dei lirici I dativi plurali in ‑οις, ‑αις (strum. ai. ‑aih , ir. ‑a iš. lit. ‑ais) e in ‑οισι, ‑αισι/‑ῃσι (loc. ‑su in indoiranico e baltosla-vo): ‑οισι in ionico, ‑οις nei dialetti doricooccidentali (eccezioni in argivo, corinzio, laconico), ‑οισι (agg. e sost. ) e ‑οις (dim. ) nel lesbico, le oscillazioni dell’attico e delle lingue letterarie (la tragedia, la commedia di Epicarmo, i poeti lirici). L’uso intermittente, arcaico (ábharat e bhárat) e omerico, dell’aumento: libero nella lirica corale e in quella eolica, costante (tranne omeriche eccezioni) in quella ionica. L’uso intermittente, ‘poetico’, dell’articolo (raro negli elegiaci, nella lirica monodica e corale, più frequente nel giambo e nella commedia, oltre che nella prosa). L’iperbato e l’ordo verborum artificiale.
I generi della lirica Il fondo ionico (κότ’, κως, etc. ) e gli epicismi dell’elegia: ionicismi (o atticismi: δορί? ) non epici (la progressiva riduzione) ed epicismi non ionici (il progressivo incremento). L’epigramma dalla dialettizzazione alla maggiore letterarietà (fine IV sec. ). Il verso popolare (con paralleli nel vedico) e lo ionico corrente (cólto, non parlato: la lingua delle iscrizioni) del giambo (forme contratte, crasi, declinazione ‘attica’, termini volgari, la riduzione degli epicismi non ionici). L’incomparabile lirica eolica (in mancanza di una prosa eolica e di una lirica corale epicorica; il limitato apporto delle iscrizioni: fonetica e morfologia, non lessico) e beotica (Corinna), i metri ‘innodici’ indoeuropei, il lessico e lo stile semplici; la lingua delle persone cólte contemporanee (tranne la rarità dell’articolo e delle forme contratte): eolico nei lesbici, ionico in Anacreonte, beotico in Corinna. La lirica corale: il ‘dorico’ di poeti non dorici; composizioni corali per feste religiose pubbliche e successiva laicizzazione; l’ᾱ, gli infiniti in ‑μεν, gen. in ‑ᾶν e dat. in ‑εσσι, la mancanza di aoristi in ‑ξα e di ‘futuri dorici’, la rarità di ϝ (tranne che in Alcmane e in Pindaro: la confusione ϝ/γ nei codici), l’alternanza σύ/τύ, la presenza di ἄν e κε(ν), Μῶσα e Μοῖσα, i gen. in ‑οιο, κῆρ > κέαρ, i composti e la lingua solenne.
ESCHILO
una ricchezza in bilico • la divina ricchezza di Dario • i pensieri di Atossa • Ploutos vs olbos? • la via di mezzo tra i chremata e l’indigenza • ricchezze e persone • la ricchezza ‘irreprensibile’ • la presenza del padrone come occhio della casa
SOFOCLE
miseria e malattia • un cinico, un giovane puro, un malato • inutilità e dannosità sociale del malato • Lemno come antimondo deserto e selvaggio • la malattia che emargina e consuma • l’utopia rovesciata, il non-luogo in cui naufraga ogni idea di socialità • l’arma povera di ogni autentico riscatto, che striscia e si nasconde
EURIPIDE
miseria e nobiltà • la casa del contadino e la gnome-captatio • ricchezza e nobiltà (di cuore) • gli scherzi della natura • apparenze e pregiudizi • l’assenza di parametri: il trionfo del caso • il congedo della mantica • verso la poesia degli affetti familiari
Il teatro: festa religiosa e laica Le maschere da armamentario cultuale a istituto letterario e mezzo di rappresentazione. Lo scenario (il teatro di Dioniso), il pubblico (l’intera polis) e la formalizzazione. La commistione di generi poetici non attici: il genere lirico religioso dorico e quello lirico narrativo ionico. Dalla lirica corale alla tragedia: il coro, il canto ‘a solo’, il parlato-recitato (l’attività di Arione di Metimna a Corinto e l’origine doricocorinzia? ).
Commistione linguistica nella tragedia I cori: i metri e la lingua lirici, l’ᾱ , le ultime tracce del ‘sacro’ (le oscillazioni testuali e il problema della tradizione linguistica dei testi scenici). Il parlato giambo-trocaico, la lingua di Atene e gli ionismi letterarizzanti: la grammatica attica; α ed η attici; la sporadicità del duale; σσ (non ττ) e ρσ (non ρρ) e gli iperionismi (πυρσός); forme ioniche letterarie (ὄπωπα per ἐόρακα, δούρατος e δορός per δόρατος, γῆθεν). La volontà di distaccarsi dall’attico quotidiano e di ‘alzare il tono’: gli omerismi (forme non contratte, lunghe ει e ου per ε e ο, des. in ‑οιο ed ‑εσσι, forme pronominali e articolo-relativo, diverse forme verbali, comp. ἀρείων e βέλτερος, preposizioni, congiunzioni e particelle) e il gioco dei verbi composti (e dei preverbi ‘esaustivi’); la glossa in luogo del nome comune; occidentalismi (nel coro e nel dialogo: dal coro al dialogo o da Corinto ad Atene? Metricismi, poetismi, tecnicismi, ᾱ originari); ionismi non omerici (e. g. κεῖνος, ἱστορέω, φερνή, ἀγρεύω, Θρῇξ, πρευμενής).
La cultura ‘di tipo ateniese’ La commistione stilizzata di tutte le espressioni letterarie precedenti. La lirica discorsiva e narrativa ionica e la lirica religiosa dorica. Il carattere interdialettale e tendenzialmente ‘imperialista’ della letteratura ateniese. La preparazione di una nuova lingua comune (che però sarà creata dalla filosofia, dalla scienza e dalla storiografia più che dalla poesia).
ARISTOFANE
il dio della ricchezza • il sogno (o l’incubo) di una Ricchezza con dieci decimi • ricchezza, onestà, giustizia: la favola comica. • Cremilo, Trimalcione, la faccia di chi guarda i soldi • Pluto: un vecchio malridotto • l’onnipotenza cieca di Pluto • la saggezza inascoltabile di Penia • lo stimolo di ogni virtù, motore di vita e progresso sociale • il valore strumentale • l’utopia del benessere di tutti • la prigione della ricchezza
Il ‘dramma’ siciliano e la commedia La misteriosa (l’assenza di opere intere fino a Teocrito e ad Archimede) ma influente (l’esempio delle monete del VI sec. a. C. ) cultura siciliana e le origini doriche del dramma (δρᾶμα) La koine occidentale di tipo dorico: Epicarmo (il nome di un genere? ) e Sofrone (la fortuna). I genitivi ἐμέος e τέος, ϝίσαμι (< ϝίσαντι), δεικνύειν (< δεικνύοντι), πεφύκειν, πέποσχα, il dat. pl. in ‑εσσι, κάρρων (per κρείσσων), ψιν, ψε (per σφιν, σφε) Le differenze dall’attico, la lingua naturale e ‘parlata’, i composti parodici, l’influsso della tragedia.
La commedia attica L’ateniese parlato e le differenze tra Aristofane e Menandro: i volgarismi. La grammatica attica (imperativi in ‑ο e in ‑σο, ἔδοσαν ed ἔδωκαν, futuri dorici e non, ἔμελλον ed ἤμελλον, comparativi in ‑ω e in ‑ονα, πλέον / πλεῖον ἢ …), i cori e i composti paratragici (e paraepici e paralirici), gli ‘stranieri’ parlanti nei dialetti locali (le lingue diverse ma comunicanti), i metricismi (-οιατο, -μεσθα, etc. ), Erfindungen comiche. La letteratura ateniese e panellenica.
ERODOTO
la ricchezza di Creso • Tello ateniese, Cleobi e Bitone • Creso, i sovrani e i commoners • il tempo e l’imprevedibilità • il disvelamento della fine • ricchezza e infelicità • benessere, fortuna e felicità • la dinamica del desiderio e la sanzione della fine
TUCIDIDE
gli Iloti a Itome • guerra, ricchezza e povertà • i Tasii e la lega delio-attica • Iloti e perieci • la lentezza degli Spartani • la legge del più forte • la resa del povero al ricco
Un’invenzione ionica: la prosa La poesia degli Eoli e la prosa degli Ioni: l’affrancamento dalla tradizione e dal sentimento e la riproduzione intellettuale e discorsiva di una realtà positiva. Gli Ioni alla guida culturale e spirituale della Grecia dall’età arcaica all’inizio di quella classica: i Greci yauna, l’influsso sull’architettura, sulle arti e sulla scienza orientale (persiana in primis). La koiné ionica e l’influenza dell’alfabeto ionico (l’es. di χ), poi generalizzato (Atene 403, Beozia 370, ecc. ), e della terminologia ionica. L’estrazione e la lingua ionica dei primi prosatori (Talete, Anassimandro, Anassimene; Eraclito; Ecateo), e quindi del genere in quanto tale (Erodoto e Tucidide; Ippocrate di Coo; Antioco di Siracusa, Ellanico di Lesbo); le poche tracce di una prosa dorica (dalle Dialexeis ad Archimede); le differenze stilistiche (maggiore o minore letterarietà), non linguistiche tra i γένη della prosa; poetismi e/o arcaismi.
La prosa ‘paraletteraria’: αἶνοι, λόγοι, μῦθοι, leggi ed elenchi L’Αἴσωπος λογοποιός e i riflessi poetici da Archiloco a Platone (Phaed. 60 c, 61 b). Genealogie, elenchi di vincitori (ad Olimpia dal 776 a. C. ), liste di sacerdoti o governanti (gli efori a Sparta dal 757 a. C. , gli arconti ad Atene dal 683 a. C. ), leggi.
La prosa didascalica e narrativa: logografia, storiografia, scienza, filosofia La lingua dei primi logografi tra pretese poetiche e koiné d’uso microasiatica. Epicismi, forme non contratte, ionismi arcaici, l’‘ingenuità’ e il gusto narrativo (l’esempio degli Iamata di Epidauro).
Erodoto, la filosofia, la medicina La lingua semplice (scevra di γλῶσσαι), varia e ‘internazionale’ del viaggiatore di Alicarnasso. Arcaismi, forme non contratte, epicismi e atticismi, periodi più articolati: la tradizione manoscritta e la stilizzazione letteraria. Le γνῶμαι filosofiche tra retorica e poesia: Eraclito e Democrito. Ippocrate ἄκρατος: concisione e chiarezza.
La lingua ufficiale della dodecapoli e della giambografia: la prosa ‘orale’ Il carattere autoctono della prosa ionica e il rifiuto dei concetti tradizionali di origine orientale (ma si veda Eraclito): i fatti e la ragione. Gli scritti per la lettura (cf. Plat. Parm. 127 c) e il carattere orale delle frasi (le ripetizioni, le pospositive, i parallelismi e la sottolineatura continua della struttura della frase). Dalle parole-forza alle parole-segno (es. di ὕπνος, φύσις, ἀνάγκη). Il pensiero discorsivo e razionale: l’isolamento e l’espressione distinta di ogni nozione (l’opposizione dei termini, l’articolo e l’aggettivo neutro, le formanti nominali ‑της, ‑σις e ‑μα e la razionalizzazione del linguaggio), agilità e precisione.
Atene e la retorica La sopravvivenza della lingua di cultura ionica. La prosa fatta per l’azione: l’attico dall’arcaismo (il duale, i verbi atematici, λαμβάνω/λήψομαι, πόλις, ‑ττ‑ e ‑ρρ‑) alla Kunstprosa. La retorica di importazione (Siracusa? ): Gorgia di Leontini (le figure retoriche), Trasimaco di Calcedonia (il ritmo prosastico e i cola). Politologia e storiografia: la Costituzione degli Ateniesi e Tucidide (ἐς, αἰεί, ἵνα, ὡς, ἤν, δορί, οὐ σμικρός, μὴ θέλω). Lisia figlio di Cefalo (l’atticismo giudiziario); Antifonte e la differenza tra Tetralogie e discorsi giudiziari; Iperide e l’anticipo della koiné; Demostene e la prosa di tutta la Grecia.
PLATONE
Eros e Penia • un banchetto per Afrodite • l’ubriachezza di Poros e il coraggio di Penia • la povertà di Eros: un tipico ‘barbone’ • il povero che non molla • povertà e risorse • la filosofia come tensione • l’amore come ricerca di ciò che non si è e non si ha
elogio dell’avidità • un inno (ironico? ) al mercatismo selvaggio • il guadagno, la vergogna, il bene • guadagno e danno • la definizione di ciò che è bene • utile e giovevole • un’argomentazione sofistica • una costrizione che non persuade
Filosofia e retorica: Isocrate e Platone La conversazione cólta di Platone: i poetismi, le etimologie popolari (vd. Cratilo), l’attico puro (il duale), parole usuali in significato generale (i neutri e l’articolo), l’algebra linguistica. La storia girovaga di Senofonte: l’attico impuro e l’annuncio della koiné (la rarità del duale, dorismi e ionismi, poetismi, coinismi). La lingua aulica e la grammatica attica di Isocrate. La koiné in Aristotele: l’attico che diventa greco comune e prosa del pensiero razionale (l’ordo verborum, le pospositive, gli elementi verbali e nominal-verbali, l’articolo dimostrativo, varietas e unità). La lingua dei vasai e delle tabellae defixionis: l’attico che non rimane. Il problema della tradizione manoscritta e l’emendazione (già antica) delle anomalie.
ARISTOTELE
la politica dei poveri e dei ricchi • forme di governo e degenerazioni • l’utile di parte e il bene comune • l’oligarchia come governo dei ricchi • la democrazia come governo dei poveri • i signori della città • la libertà (anche come fattore di definizioni confuse) • la forza e il valore
L’unità di tre nozioni La lingua letteraria da Aristotele all’età moderna: la lingua di Polibio, di Strabone, di Plutarco; la lingua avversata dagli atticisti. La lingua parlata, d’uso, dell’età di Alessandro Magno e dei secoli successivi: la testimonianza dei papiri documentari e di opere a finalità non principalmente letteraria come il Nuovo Testamento; l’evoluzione della lingua in rapporto ad Aufstieg und Niedergang dell’impero culturale greco; l’inevitabile varietas di ogni lingua parlata. La lingua ‘madre’ del greco medioevale e moderno, con la sua nuova differenziazione in parlate non corrispondenti in nulla agli antichi dialetti, e caratterizzate da una sostanziale unità di fondo. La codificazione ortografico-grammaticale e l’insegnamento scolastico da un lato, le varietà e ‘irregolarità’ fonetiche e di pronuncia dall’altro: la koiné come fluttuante insieme di tendenze (la progressiva e inarrestabile scomparsa del perfetto, dell’ottativo, del futuro, dell’infinito, la semplificazione del sistema dei casi). La norma ideale e le tendenze naturali, la tradizione e l’evoluzione, la fissità e il cambiamento.
TEOFRASTO
l’avaro • guadagno e guadagno turpe • il fare le parti • il risparmio fine a se stesso • la mercificazione di ogni attività • la mercificazione di ogni rapporto • la parsimonia malata • cattive abitudini e stare in società • tra la commedia nuova e l’etica aristotelica
Il quadro storico Commercianti, soldati, intellettuali dalle πόλεις-stato alla cittadinanza ‘allentata’ dell’età ellenistica: la lingua locale dalla funzione politica di lingua della comunità a vernacolo per esteriori rivendicazioni di indipendenza. Le tappe di un’evoluzione storico-linguistica: le invasioni persiane, l’egemonia ateniese, l’egemonia macedone e l’impero di Alessandro Magno, l’impero romano. La minaccia persiana: dalla koiné ionica del VI sec. a. C. alla koiné ionico-attica (475431 a. C. ); la resistenza contro i Persiani e l’egemonia di Atene e di Sparta. L’impero culturale di Atene: il sistema giudiziario (dal 446 a. C. ), le cleruchie, le arti e l’aristocrazia dello spirito (l’ininfluenza linguistica delle egemonie di Sparta e di Tebe). I Macedoni da Alessandro I (490 -454) ad Archelao (413 -400) e da Filippo ad Alessandro Magno, e la consacrazione dell’attico sotto l’impero macedone: il nuovo periodo di espansione (a differenza del V secolo) e l’affermarsi della cultura ellenistica (Alessandria, Pergamo, Antiochia). La soppressione delle peculiarità attiche e il formarsi di una lingua comune dalla Sicilia all’India, dall’Egitto al Mar Nero: la lingua urbana e ufficiale delle classi dirigenti e i patois locali (il declino delle koinai occidentali). Il carattere ‘impoetico’ della koiné, lingua della scienza e della filosofia: il lessico intellettuale dell’Occidente (precisione e sfumature). I confini del greco: latino, aramaico, partico, arabo, armeno, slavo; influenze, prestiti, calchi.
Le fonti della koiné I testi documentari (lettere, conti, ecc. ) e gli errori (ει/ι, la pronuncia delle occlusive, α/ε, gli errori dei forestieri). Papiri (Egitto ed Ercolano ante 79 d. C. ) e iscrizioni: le differenti tipologie di errore (fonetica [per es. ει/ι] e morfologia [per es. εἶδα]) I testi letterari e gli inconvenienti della ‘tradizione’ (quella ‘a monte’: letterarizzante; quella ‘a valle’: analogista e/o innovatrice); i testi documentari come indicatori della lingua d’uso nelle opere letterarie. I testi ‘paraletterari’: i Settanta e il Nuovo Testamento; il valore documentario dei testi biblici per lo studio della koiné e l’antichità della loro tradizione (il Vaticano e il Sinaitico del IV sec. , l’Alessandrino del V sec. ); il problema della paternità delle particolarità (gli autori o i copisti? ). L’influenza del parlato sulla lingua ufficiale: l’esempio di οὐδείς/οὐθείς e dei gruppi ‑ττ‑/‑σσ‑ tra parlato e letteratura (atticizzante). I testi letterari non arcaizzanti (Aristotele, Menandro, Polibio) e il greco moderno: l’evoluzione della lingua.
MENANDRO
mai insultare un povero! • la fortuna e i cambiamenti • benessere e giustizia • l’illecebra della ricchezza e il cambiamento in peggio • non confidare nella ricchezza • povertà e dignità • mai insultare un povero! • ricchezza e ‘libertà’ • amore e status sociale: la gratuità dell’amore vero
LEONIDA
la povera filatrice • il lavoro indefesso e la lotta contro il sonno • la conocchia e il fuso • il canto durante il lavoro • la vecchiezza operosa • Atene e le Grazie • la bellezza delle grinze • epigramma e vita quotidiana • la poesia degli umili e delle piccole cose
I caratteri della koiné Da un ritmo quantitativo a un ritmo accentuativo (fenomeno indoeuropeo, cui si oppone in parte solo il lituano): l’ingresso dell’accento nella ritmica e l’affievolirsi delle distinzioni quantitative all’interno dello stesso timbro. La scomparsa generalizzata di ϝ, y, s‑ (gli ipercorrettismi ἐφέτος e μεθαύριον). La scomparsa del duale (Ar. : 37 x δύο: 10 x + δραχμάς, 27 x + duale; Men. : δύο + pl. ) e la rianimazione fittizia degli atticisti. La scomparsa dell’ottativo, doppione del congiuntivo (vd. sanscrito, persiano, latino, ecc. ): il mantenimento del valore desiderativo, il progressivo arretramento di quello potenziale (la concorrenza del futuro: qualcuno potrebbe fare / farà forse), di quello irreale (la concorrenza del passato: facciamo come se tu fossi / che eri), di quello dipendente dai tempi storici (‘congiuntivo del passato’: la concorrenza del congiuntivo); «la perdita di un’eleganza da aristocratici» (Meillet). Il verbo dalla complicazione indoeuropea (le ‘anomalie’) all’uniformazione paradigmatica: i verbi atematici e le forme ‘irregolari’ ricondotti a una coniugazione ‘normale’; la debole e ambigua des. 3 pers. pl. ‑ντ e il prevalere di ‑σαν. La riduzione delle forme nominali anomale, la riduzione dei comparativi, la progressiva scomparsa del medio, la rapida scomparsa del perfetto (la concorrenza dell’aoristo, nello sbiadirsi dei valori aspettuali), la scomparsa della flessione consonantica, lo sviluppo delle preposizioni (specie nei Settanta: es. πέποιθα ἐπί).
LUCIANO
la misantropia tra povertà e ricchezza • la stabilità del carattere • ricchezza/corruzione, povertà/stimolo alla virtù • la ricchezza come premio • la giusta ‘via di mezzo’ • i soldi come le donne • la corruzione sta nei rapporti umani • la coerenza del misantropo • la letteratura come satira e come critica sociale
GIOVANNI CRISOSTOMO
i Cristiani e la ricchezza • la radice della ricchezza • ricchezza giusta e ingiusta • la ricchezza come rapina • economia degli uomini e economia di Dio • il “far parte ai bisognosi” • il “mio”, il “tuo” • il significato della parola “nostro” • la povertà evangelica
I LXX: 1 RE
Elia a Sarepta • carestia e povertà: la ricchezza dell’acqua • il torrente e i corvi • l’attesa della morte • solidarietà tra poveri • il poco che non finisce e il messaggio anti-accumulo • i figli come ricchezza • dalla morte alla vita
IL NUOVO TESTAMENTO: MATTEO
Beati i poveri • una carta di identità • la regalità della povertà • molti tipi di povertà • la beatitudine come promessa • essere nel mondo senza essere del mondo • la gioia inattaccabile • la piena libertà
Conducevamo la notte al pascolo come se fosse stata un gregge di fanciulle, e la scortavamo fino ai porti dell’aurora con i nostri bordoni di aguardiente, i nostri rozzi bastoni fatti di risate. E non fossimo stati noi, puntuali nel crepuscolo, lenti camminatori dei prati della luna, come avrebbe potuto la notte - con le sue stelle accese, le sue nubi sfrangiate, il suo manto di tenebre - come avrebbe essa potuto, sperduta e solitaria, ritrovarsi per i tortuosi sentieri di questa città di vicoli e d’erte? Su per ogni erta un incantesimo, ad ogni angolo un mistero, in ogni cuore notturno un grido di supplica, una pena d’amore; sapore di fame sulle bocche silenziose ed Exu, libero nell’ora dei crocicchi gravida di pericoli. In quel nostro pascolare senza limiti, raccoglievamo al passaggio la sete e la fame, le suppliche e i singhiozzi, i sedimenti del dolore e i germogli della speranza, i sospiri d’amore e le folli parole dolenti, e componevamo un serto color del sangue per adornare il manto della notte. Valicavamo sentieri distanti, i più stretti e tentatori, arrivavamo alle ultime frontiere dell’umana resistenza, al fondo del segreto dell’uomo, illuminandolo con le tenebre della notte; discernevamo il suo terreno e le sue radici. Il manto della notte ricopriva tutta la miseria e tutta la grandezza e le confondeva in una sola umanità, in un’unica speranza. (Jorge Amado, I guardiani della notte) la povertà al pascolo
• povertà e ricchezza, carità e giustizia • i confini dell’umano (alti e bassi) • la disciplina del desiderio • modelli di società e identità individuale la povertà come solipsismo o come tensione, la ricchezza come rapina o come dono alla fine di una carrellata. . .
È morto l’altr’anno. Pace all'anima sua. Ma ogni volta che nella recita del breviario mi imbatto in quel versetto del salmo 8 che dice “L'hai fatto poco meno degli angeli”, non posso fare a meno di ricordarmi di lui. Povero Giuseppe! Viveva allo sbando, come un cane randagio. Aveva trentasei anni, e metà dell'esistenza l'aveva consumata nel carcere. La mala sorte un po' se l'era voluta da solo, per quella dissennata anarchia che gli covava nell'anima e lo rendeva irriducibile ai nostri canoni di persone perbene. Ma una buona porzione di sventura gliela procuravamo a rate tutti quanti. A partire da me che, avendolo accolto in casa, gli facevo pagare l'ospitalità con le mie prediche. . . per finire ai giovanotti dei bar vicino alla stazione, che gli pagavano la bottiglia di whisky per godersi lo spettacolo di vederlo ubriaco. La sera, quando tornava in episcopio più tardi del solito e non gli andava di cenare, mi guardava con le pupille stralunate che si ritiravano all'insù lasciando vedere tutto il bianco degli occhi, e biascicava parole senza costrutto dalle quali, però, mi sembrava di capire: “Lo so, sono un verme, cacciami via, se vuoi: me lo merito”. Quell’anno, alla fine di aprile, il santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei martiri, con speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di basilica minore. La città era in festa, e per il singolare avvenimento giunse da Roma un cardinale il quale, nella notte precedente la proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che si tenne nel santuario. Parlò con trasporto di Maria suscitando un vivo entusiasmo. Poi, prima di mandare tutti a dormire, diede la parola a chi avesse voluto chiedere qualcosa. Fu allora che si alzò un giovane e, rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di basilica minore. Gli risposi dicendo che «basilíca» è una parola che deriva dal greco e significa «casa del re» , e
conclusi con enfasi che il nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale tra l'altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente: “Lo so che cosa vuol dire basilica. Ma perché basilica minore? ”. Dovetti mostrare nel volto un certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto chiare in proposito. Solo più tardi mi sarei fatto una cultura e avrei capito che basiliche maggiori sono quelle di Roma, e basiliche minori sono tutte le altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava pur darla, e io non ero tanto umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un'assemblea che mi interpellava, e davanti al cardinale che si era accorto del mio disagio, la mia scandalosa ignoranza sull'argomento. Mi venne, però, un lampo improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, dissi: “Vedi, basilica minore è quella fatta di pietre, basilica maggiore è quella fatta di carne. L'uomo, insomma. Basilica maggiore sono io, sei tu! Basilica maggiore è questo bambino, è quella vecchietta, è il signor cardinale. Casa del re!”. Il cardinale annuiva benevolmente col capo. Forse mi assolveva per quel guizzo di genio. La veglia finì che era passata la mezzanotte. Fui l'ultimo a lasciare il santuario. Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada, ricommentammo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i nostri discorsi. Ma ecco che, giunti davanti al portone dell'episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c'era lui: Giuseppe. Sotto
gli abbaglianti della macchina, aveva un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si erano rapprese nel bianco degli occhi. Ci fermammo muti a contemplare con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me mormorò, quasi sottovoce: “Vescovo, basilica maggiore o basilica minore? » . «Basilica maggiore”, risposi. E lo portammo di peso a dormire. All'alba, volli andare a vedere se si fosse svegliato. Avevo intenzione di cantargliene quattro. Giuseppe riposava, sereno. Un respiro placido gli sollevava il petto nudo. Sotto le palpebre socchiuse luccicavano due pupille nerissime, e la barba dava al suo volto un tocco di eleganza. Forse stava sognando. Mi venne spontaneo rivolgermi al Signore a ripetere col salmo: “Lo hai fatto poco meno degli angeli”. Mi attardai per vedere se avesse le ali. Forse le aveva nascoste sotto il guanciale. (Don Tonino Bello) la ricchezza dell’umano
“Vorrei ringraziare i miei genitori a Vergaio, un piccolo paese in Italia, grazie mamma e babbo. Loro mi hanno dato il regalo più grande: la povertà; e li voglio ringraziare per il resto della mia vita” (R. Benigni, discorso alla cerimonia degli Oscar, 21 marzo 1999) epilogo
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