I colori nella storia dellUomo la preistoria gli

  • Slides: 45
Download presentation
I colori nella storia dell’Uomo • la preistoria • gli Egizi • il mondo

I colori nella storia dell’Uomo • la preistoria • gli Egizi • il mondo greco-romano • l’Oriente • il Sudamerica • il Medioevo • il Rinascimento • l’era moderna • l’era contemporanea

Arte preistorica L’arte preistorica è diffusa in tutte le parti del mondo e sotto

Arte preistorica L’arte preistorica è diffusa in tutte le parti del mondo e sotto varie forme, dalle statuette alle pitture rupestri ai monumenti megalitici. Il termine preistorico indica che la cultura che ha prodotto l’opera d’arte è priva di linguaggio scritto Nonostante questo, le testimonianze che ci sono giunte dalla preistoria sono spesso sorprendenti da molti punti di vista, non ultimo quello tecnologico. Esempi notevoli sono i monumenti megalitici di Stonehenge, le linee di Nazca in Perù e le pitture rupestri di Lascaux, in Francia Il periodo di riferimento è suddiviso come segue: • Paleolitico medio e inferiore: 750. 000 -40. 000 BP • Paleolitico superiore: 40. 000 -10. 000 BP • Mesolitico: 8. 000 -6. 000 BP • Neolitico: 6. 500 -1. 500 BP

L’inizio dell’uso del colore Per individuare l’inizio della storia del colore dobbiamo presumibilmente fare

L’inizio dell’uso del colore Per individuare l’inizio della storia del colore dobbiamo presumibilmente fare un salto indietro di almeno 400. 000 anni. A tanto potrebbe infatti risalire il primo uso culturale del colore: la decorazione del corpo. I popoli di Neanderthal e di Cro-Magnon usarono l’ocra rossa per riti funebri o di fertilità. Probabilmente questa sostanza rappresentava il sangue e quindi l’inizio e la fine della vita. Il componente base dell’ocra rossa, l’ematite (Fe 2 O 3), deve il suo nome alla parola greca hema che significa appunto sangue Per sottolineare l’importanza di questa sostanza nelle culture paleolitiche, basta considerare il fatto che in ogni località in cui furono scoperti siti preistorici, è possibile tracciare rotte commerciali verso depositi di ematite L’uso dei pigmenti per la decorazione del corpo è ancora vivo al giorno d’oggi, per esempio presso gli Aborigeni, uno dei popoli più antichi della terra

400. 000 anni fa… È chiaro che per fissare una data di inizio ci

400. 000 anni fa… È chiaro che per fissare una data di inizio ci si può basare soltanto sulle evidenze archeologiche, sfruttando i sistemi di datazione disponibili. Non possono esistere sorgenti di informazione scritta, a differenza di quanto avviene per gli studi sull’epoca Romana o medievale. I più recenti studi archeologici suggeriscono che esseri umani appartenenti all’Età della Pietra media abbiano impiegato pigmenti a scopo rituale almeno 400. 000 anni fa: è quanto risulta dagli scavi del Prof. L. Barham dell’Università di Liverpool, che nel corso di campagne effettuate alla fine degli anni ’ 90 presso le caverne di Twin Rivers, nello Zambia (Africa centrale), ha rinvenuto centinaia di frammenti di pigmenti dai vari colori, con evidenze di raccolta sistematica e lavorazione del materiale roccioso Le fasi mineralogiche identificate sono state principalmente ossidi e idrossidi di ferro (ematite, specularite - sx - limonite, arenaria ferruginosa) e diossido di manganese

Il primo pigmento: ocra rossa Se i ritrovamenti di Twin Rivers sono forse i

Il primo pigmento: ocra rossa Se i ritrovamenti di Twin Rivers sono forse i più antichi, nel seguito dell’Età della Pietra sono numerosissime le evidenze dell’uso del colore da parte degli uomini preistorici; emerge però tra tutti l’impiego dell’ocra rossa. Esempi di ritrovamenti di ocra rossa si hanno in siti paleolitici di tutti i continenti, a dimostrazione che il suo impiego per rituali funebri era diffuso in tutto il mondo. Il motivo è probabilmente legato alla grande disponibilità e stabilità del composto Sito Data Pigmenti Terra Amata, Francia 300. 000 75 frammenti di ematite Maastricht-Belvedere, Olanda 285. 000 macchie rosse nel terreno Achenheim, Francia 250. 000 1 frammento di ematite levigato Becov, Repubblica Ceca 220. 000? 1 frammento di ematite striata, polvere d'ocra Hungsi, India 300. 000? ciottoli di ematite, 1 striato Nooitgedacht, Sudafrica > 200. 000 1 frammento di ematite macinato Kabwe (Broken Hill), Zambia 300. 000? 1 frammento di ematite Kalambo Falls, Zambia 200. 000? pigmenti non specificato Twin Rivers, Zambia 400. 000 302 frammenti di vari colori > 285. 000 75 frammenti di ocra rossa Kapthurin Formation, Kenya

I pigmenti a base di ossidi di ferro L’ocra rossa appartiene ad un gruppo

I pigmenti a base di ossidi di ferro L’ocra rossa appartiene ad un gruppo di pigmenti di grandissima importanza nel corso della storia dell’arte. Il termine corretto per definire questo gruppo è pigmenti a base di ossidi di ferro, (in inglese iron oxide pigments) comprendendo in ciò materiali naturali e sintetici che possono contenere miscele di ossidi e idrossidi di ferro Si tratta di pigmenti aventi caratteristiche notevoli dal punto di vista tecnico: eccellenti sono il potere coprente, l’intensità di colore e la permanenza per valutare la quale basta considerare quanto siano rimasti brillanti i colori delle pitture rupestri risalenti a migliaia di anni fa Per quanto riguarda l’applicabilità, risultano compatibili a tutti i mezzi leganti e quindi impiegabili in tutte le tecniche pittoriche. Sono specialmente adatti alla tecnica dell’affresco

I pigmenti a base di ossidi di ferro hanno diffusione amplissima e si trovano

I pigmenti a base di ossidi di ferro hanno diffusione amplissima e si trovano in molte tonalità, dal giallo al marrone scuro passando per il rosso e il porpora

All’interno di questo gruppo le varianti sono molteplici e la terminologia con cui esse

All’interno di questo gruppo le varianti sono molteplici e la terminologia con cui esse sono note è estremamente variegata, fin da epoche remote. Sicuramente sono tra i primi pigmenti citati su fonti scritte: ci sono termini che si riferiscono a terre rosse e gialle nelle tavolette cuneiformi Assire, nei geroglifici Egizi e in testi antichi dell’India, della Cina e del Giappone Al di là delle numerose sostanze che possono essere presenti (argilla, ossidi di manganese, ecc. ), in tutti questi pigmenti il colore è determinato per lo più dai composti di ferro e in particolare dal suo stato di ossidazione. I composti possono essere ossidi, con stechiometria Fem. On, oppure idrossidi, con stechiometria Fe. O∙OH. Il ferro può essere presente come Fe 2+ (ossido ferroso), Fe 3+ (ossido ferrico) o entrambi (es. nella magnetite, Fe. O∙Fe 2 O 3). I principali composti sono i seguenti: • l’ematite, -Fe 2 O 3, che impartisce colore rosso • la magnetite, Fe. O∙Fe 2 O 3, ossido misto di colore nero • la maghemite, g-Fe 2 O 3, occasionalmente presente nelle ocre rosse • la goethite, -Fe. O∙OH, che impartisce il colore giallo alle ocre • la lepidocrocite, g-Fe. O∙OH, di colore più tendente al marrone

Il contenuto di ossidi e idrossidi di ferro è variabile dal 20 al 99%.

Il contenuto di ossidi e idrossidi di ferro è variabile dal 20 al 99%. Tra le varie opzioni, le più importanti e citate nel corso della storia dell’arte sono: • le ocre, miscele naturali di ossidi o idrossidi, minerali argillosi e quarzo; • le terre, termine più generico che sottintende una provenienza comunque naturale • le terre d’ombra, caratterizzate da un contenuto discreto di ossido di manganese (Mn. O 2), con colore tendente al marrone, più scuro nella varietà bruciata ottenuta dalla naturale per arrostimento; il termine risale al XVI secolo, ma l’uso è probabilmente precedente • le terre di Siena, ricavate dalle colline intorno a Siena, sono più ricche in ossidi di ferro rispetto alle altre terre; la varietà chiamata naturale contiene ossidi e idrossidi gialli di ferro, mentre la bruciata, ottenuta dalla prima per arrostimento, contiene ossidi rossi, quindi composti anidri. Il colore varia tra l’arancio e il marrone; il termine risale al XVIII secolo • la terra verde, una miscela di silicoalluminati di ferro, magnesio e potassio di colore, appunto, verde • l’ematite, minerale molto diffuso composto da Fe 2 O 3 • il caput mortuum, chiamato anche rosso Indiano, sostanzialmente un ossido di ferro abbastanza puro con tracce di silice e allumina. Il suo colore varia dal rosso chiaro al porpora fino al violetto • i cosiddetti colori di Marte, ossidi e idrossidi sintetici creati dal XIX secolo

Esempi di composizione delle varianti (dati espressi in ossidi). Si noti che le percentuali

Esempi di composizione delle varianti (dati espressi in ossidi). Si noti che le percentuali possono essere alquanto variabili Elemento Fe Al Si Ca Mn caput mortuum 91. 9 0. 4 3. 0 0. 2 0. 02 ematite 92. 3 0. 2 0. 8 0. 3 0. 5 ocra rossa 24. 9 16. 7 54. 9 1. 0 0 limonite 90. 5 0. 02 6. 9 0. 2 0. 01 ocra gialla 32. 7 29. 0 32. 5 0. 4 0 terra di Siena naturale 65. 9 2. 7 25. 9 0. 2 terra di Siena bruciata 89. 6 0. 06 3. 9 0. 07 0. 2 terra d’ombra naturale 51. 4 6. 1 22. 9 3. 9 7. 7 terra d’ombra bruciata 36. 4 4. 7 15. 7 11. 2 6. 9

Nonostante le differenze di colore dei vari pigmenti citati, che possono andare dal giallo

Nonostante le differenze di colore dei vari pigmenti citati, che possono andare dal giallo al marrone scuro fin quasi al nero, è importante sottolineare che il meccanismo di formazione del colore è il medesimo in tutti: si tratta del trasferimento di carica dai leganti O 2 - o OH- allo ione Fe 3+. Per questo motivo gli spettri di riflettanza dei vari pigmenti sono simili, caratterizzati da un punto di flesso che varia a seconda della tinta e da un tailing positivo nella regione del rosso Oltre al meccanismo descritto, il colore di questi pigmenti può essere influenzato dalla dimensione delle particelle e dalla presenza di fasi minerali accessorie o di impurezze metalliche (manganese e cromo)

Oltre alla classificazione tecnica descritta in precedenza, esistono numerosissime varianti con cui questi pigmenti

Oltre alla classificazione tecnica descritta in precedenza, esistono numerosissime varianti con cui questi pigmenti sono stati chiamati nel corso della storia dell’arte, soprattutto in base all’origine geografica della materia prima o del sito di lavorazione. Perciò altri nomi possono essere sinopia, rubrica (nomi di epoca Romana), rosso Inglese, rosso Indiano, marrone di Spagna, rosso Veneziano (nomi del ‘ 700 o ‘ 800), terra di Pozzuoli, rosso di Pompei (terre di origine vulcanica) e innumerevoli altre A seconda dell’origine geografica della materia prima, del processo di raffinazione e produzione, sono possibili, a parità di tipologia, differenze anche notevoli nella concentrazione di ferro e quindi nel tono

Va sottolineato che alcuni di questi composti sono ottenibili sia per via naturale sia

Va sottolineato che alcuni di questi composti sono ottenibili sia per via naturale sia per via sintetica, riscaldando opportunamente altre sostanze e ottenendo generalmente un viraggio di colore L’ematite si può ricavare dall’arrostimento della goethite tra 140 e 500°C, processo che causa la perdita d’acqua: 2 -Fe. O∙OH -Fe 2 O 3 + H 2 O giallo rosso Il corrispondente passaggio da lepidocrocite a maghemite è: 2 g-Fe. OOH g-Fe 2 O 3 + H 2 O Questi processi erano probabilmente già noti agli uomini del Paleolitico, che riscaldando ocra gialla ricavavano ocra rossa

Oltre all’arrostimento degli ossidi idrati, un altro materiale di partenza per avere l’ematite è

Oltre all’arrostimento degli ossidi idrati, un altro materiale di partenza per avere l’ematite è il solfato ferroso o vetriolo. Riscaldando tra 500 e 750°C il vetriolo si ottiene la seguente reazione: 2 Fe. SO 4 + ½O 2 -Fe 2 O 3 + 2 SO 3 celeste rosso Il prodotto così ottenuto era chiamato colcothar, un nome di origine araba così come, come ogni probabilità, è araba la tecnologia. La produzione di colcothar è nota almeno dal XVI secolo d. C.

Le ocre Tra i pigmenti a base di ossidi di ferro, i più diffusi

Le ocre Tra i pigmenti a base di ossidi di ferro, i più diffusi sono senza dubbio le ocre. Si tratta di miscele di silice, argilla e ossidi e/o idrossidi di ferro Dal punto di vista geologico le ocre sono depositi secondari formatisi per erosione da rocce di vario tipo, che si sono arricchiti di particelle a base ferrosa. Queste impartiscono un colore intenso e permanente, in virtù delle loro dimensioni ridotte

L’ocra è gialla quando l’ossido di ferro è idrato, cioè contiene molecole di acqua

L’ocra è gialla quando l’ossido di ferro è idrato, cioè contiene molecole di acqua come nella goethite (sotto) oppure rossa quando l’ossido è anidro come nell'ematite (sopra) Il contenuto di ossido di ferro (II o III) può variare dal 20 al 70% Composto Concentrazione Si. O 2 12 % Al 2 O 3 35 % Fe 2 O 3 40 % Ca. O 0. 5 % Mg. O tracce Ti. O 2 tracce LOI* 12 % * loss on ignition, ciò che resta dopo riscaldamento a 550 °C (per lo più sostanze organiche)

Nella foto a sx pani di ocra rossa messi a seccare dopo lavaggio per

Nella foto a sx pani di ocra rossa messi a seccare dopo lavaggio per rimuovere le impurezze Una coloratissima cava di ocra gialla a Gargas, nei pressi di Avignone

L’inizio dell’arte Mentre il semplice impiego del colore è databile ad almeno 400. 000

L’inizio dell’arte Mentre il semplice impiego del colore è databile ad almeno 400. 000 anni fa, l’uso del colore in senso artistico è curiosamente molto posteriore. Gli archeologi associano il cosiddetto comportamento moderno allo sviluppo del linguaggio e dell’arte: la creazione di espressioni artistiche è considerata indicare un avanzamento nello sviluppo culturale di una popolazione Le conoscenze sull’arte paleolitica erano state rivoluzionate negli anni ’ 40 con la scoperta delle pitture rupestri nelle grotte di Lascaux (Francia meridionale) Le pitture, risalenti ad almeno 30. 000 anni fa, segnavano l’inizio di forme evolute di espressione simbolica: l’arte

Il primo disegno Secondo recenti scoperte, l’inizio dell’uso del colore a scopo artistico sarebbe

Il primo disegno Secondo recenti scoperte, l’inizio dell’uso del colore a scopo artistico sarebbe però ancora più antico e risalirebbe a circa 80. 000 anni fa. Durante una campagna di scavo presso la caverna di Blombos (Sudafrica) un equipé di paleontologi ha rinvenuto due pezzi di ocra rossa apparentemente decorati con motivi geometrici La datazione delle rocce le farebbe risalire ad almeno 77. 000 anni fa, cioè 35. 000 anni prima di qualunque altra testimonianza artistica finora rinvenuta. Le rocce appaiono lisciate in modo da presentare una superficie piana, che l’artista paleolitico ha decorato con un complesso insieme geometrico di linee incise L’ocra sarebbe stata prelevata a circa 30 km di distanza

Le pitture rupestri Al di là dei graffiti di Blombos, le prime e più

Le pitture rupestri Al di là dei graffiti di Blombos, le prime e più importanti espressioni artistiche sono senza dubbio da considerare le pitture rupestri, create nelle stesse grotte che, con ogni probabilità, costituivano il rifugio degli autori. Esse appartengono ad un insieme temporale che si estende da 30. 000 a 10. 000 anni fa Di esse esistono molte testimonianze in Europa e in particolare nelle regioni attorno al Golfo di Biscaglia, relativamente alle quali l’abate e paletnologo francese Breuil aveva creato all’inizio del ‘ 900 la classificazione in ciclo aurignazianoperigordiano (di cui l’esempio più importante è Lascaux) e ciclo solutreanomagdaleniano (Altamira), valida più dal punto di vista stilistico che temporale

Tipi di immagini Un approccio stilistico alla classificazione delle immagini è stato utilizzato dall’archeologo

Tipi di immagini Un approccio stilistico alla classificazione delle immagini è stato utilizzato dall’archeologo francese Leroi -Gourhan che stabilì codici grafici per le figure, suddividendole in rappresentazioni animali, segni e rappresentazioni antropomorfi

Stencil ante litteram Tra le più antiche immagini identificabili nelle pitture rupestri ci sono

Stencil ante litteram Tra le più antiche immagini identificabili nelle pitture rupestri ci sono le impronte di mani, molto numerose a Gargas (Haut-Pyrenees, Francia) ma anche a Peche-Merle, a Font-de-Gaume (Perigord) oltre che in Argentina nella Cuevas de las Manos Le impronte risultano effettuate con due tecniche diverse, producendo immagini positive o negative. Le positive (sotto - Gargas) sono ottenute premendo il palmo della mano imbrattato di ocra, le negative (sopra - Chauvet) invece si ottengono usando il palmo come uno stencil, cioè appoggiandolo alla parete e spargendo attorno il pigmento, forse mediante cannule ossee o vegetali

Monocromie, bicromie e policromie Le pitture rupestri più antiche sono in monocromia (rosso o

Monocromie, bicromie e policromie Le pitture rupestri più antiche sono in monocromia (rosso o nero) o in bicromia, mentre le pitture più evolute (Altamira) sono in quadricromia o, più correttamente, in policromia, in quanto le tonalità ottenibili dalle ocre variano in relazione alla percentuale di ferro e all'associazione di altre fasi mineralogiche. Si possono quindi rinvenire tinte variabili dal rosso al giallo passando per l'arancio e il marrone, in cui il pigmento è sempre un ossido di ferro, a volte in miscela con ossido di manganese (Mn. O 2) che impartisce colorazione scura

Varianti di ossidi Pur essendo limitato il numero di colori espressi, è invece notevole

Varianti di ossidi Pur essendo limitato il numero di colori espressi, è invece notevole il numero di composti utilizzati per esprimere questi colori. Evidentemente ciò riflette la varietà mineralogica dei territori circostanti. Alcuni studiosi francesi, analizzando i dipinti rupestri della sola regione francese, hanno identificato sulle superfici non meno di quindici tipi di pigmenti, tra i quali numerose varianti di ocre. Queste ultime sono composte prevalentemente di ossidi di ferro anidri o idrati (idrossidi e ossiidrossidi aventi formula generica Fen. Om. Hm); tra questi composti si possono citare l’ematite (Fe 2 O 3) e la magnetite (Fe 3 O 4) tra gli ossidi anidri e la goethite (Fe. O∙OH) e la limonite (idem + acqua assorbita) tra gli ossidi idrati Numerosi varianti si hanno tra gli ossidi di manganese, impiegati come pigmenti neri: sono stati identificati ossidi semplici, come la manganite (Mn. OOH), la pirolusite (Mn. O 2), la bixbite (Mn 2 O 3) e la hausmannite (Mn 3 O 4) oppure ossidi con il bario e altri cationi, a stechiometria più complessa: Ba. Mn 9 O 16(OH)4 (romanechite), Bax. Mn 2 O 10∙ 2 H 2 O, Ba. Mn 8 O 16, (un composto noto come hollandite), Ba. Fe. Mn 7 O 16 (hollandite ferrica), Ba. K 2 Mn 8 O 16∙n. H 2 O (hollandite potassica), Al 5 Mn 13 O 28∙ 8 H 2 O

La tavolozza dell’Homo Sapiens Da quanto si è detto finora risulta evidente che l’inizio

La tavolozza dell’Homo Sapiens Da quanto si è detto finora risulta evidente che l’inizio dell’uso del colore è basato sui quattro colori primitivi: • il rosso, ottenuto dalle ocre • il nero, ottenuto da minerali trovati nelle grotte come ossido di manganese (Mn. O 2), dalla fuliggine o da legna combusta • il giallo, ottenuto anche esso da ocre • il bianco, ottenuto dal gesso, dalle crete e dalle argille Miscelando l’ocra rossa e un nero si otteneva anche il marrone Questa sequenza identifica anche una probabile cronologia cromatica, con il rosso in posizione più remota e il bianco in quella più recente. Solo successivamente sono stati introdotti i verdi, i blu, i porpora. Occasionalmente sono state notate tinte rosso-violetto e malva, ma potrebbero trattarsi più probabilmente di prodotti di degradazione

I neri di carbone I pigmenti a base di carbone formano un gruppo di

I neri di carbone I pigmenti a base di carbone formano un gruppo di materiali pittorici tra i più usati nel corso della storia dell’arte. Il colore di questi pigmenti varia tra il nero e il marrone scuro, passando per il grigio Il termine neri di carbone in realtà costituisce un cappello sotto il quale sono presenti numerose forme accomunate dalla prevalente natura carboniosa. Le principali sono le seguenti: • nero di vite e altri neri vegetali: probabilmente i primi ad essere impiegati dall’uomo, provengono dall’arrostimento di materiali vegetali, come tralci di vite o legno di altra origine • grafite, noto anche come nero piombo: è un materiale cristallino con struttura planare, ottenuto dal minerale omonimo o per via sintetica riscaldando carbone amorfo a 3000°C; si impiega come pigmento ceramico almeno dal V millennio a. C. • nerofumo o fuliggine: si tratta del materiale carbonioso volatile che si deposita su una superficie fredda in seguito ad arrostimento su fiamma di sostanze organiche; usato almeno dal III millennio a. C. Il bistro è una versione ricca di sostanze bituminose, in seguito ad arrostimento incompleto • nero d’ossa e nero d’avorio: sono di origine animale, caratterizzati dalla presenza di fosfati essendo il materiale di partenza un’apatite, Ca 5(PO 4)3(OH, F) si ottengono anche essi per arrostimento. L’uso potrebbe risalire al III o II millennio a. C.

L’arrostimento del materiale vegetale o animale causa in entrambi i casi la degradazione di

L’arrostimento del materiale vegetale o animale causa in entrambi i casi la degradazione di macromolecole organiche a carbone secondo la reazione seguente: D Cx. Hy. Oz C + n. H 2 O Il prodotto finale ha quindi un colore dominato dalla nuova fase carboniosa, anche se il materiale di partenza è pigmentato o bianco, come nel nero d’ossa

Per quanto riguarda la composizione di questi pigmenti, si possono individuare tre classi di

Per quanto riguarda la composizione di questi pigmenti, si possono individuare tre classi di sostanze presenti: • carbonio elementare in varie forme: la composizione dei neri di carbone è dominata dal carbonio elementare, presente in forma cristallina come grafite (dx) o in varie forme non cristalline, in realtà non totalmente prive di un ordine strutturale ma difficili da rappresentare • composti organici: sono presenti sostanze bituminose formatesi per incompleta carbonizzazione. Tra esse si possono citare gli idrocarburi policiclici aromatici (fenantrene, antracene, ecc. ), fenoli, eterocomposti di ossigeno, zolfo e azoto. Alcuni pigmenti sono preparati in modo da sfavorire la presenza di queste sostanze, es. l’inchiostro Cinese, a base di fuliggine raccolta lontano dal punto di arrostimento; altri, es. il bistro, contengono invece un’alta percentuale di sostanze bituminose • composti inorganici: i costituenti di natura inorganica sono differenti a seconda dell’origine del pigmento. Nei neri animali c’è abbondanza di idrossiapatite e solfato di calcio, residui incombusti del materiale di partenza. Nei neri vegetali sono presenti carbonati di metalli alcalini o alcalino-terrosi (le ceneri della carbonizzazione), ma la loro presenza nel pigmento è indesiderata e solitamente sono rimossi per dilavamento

Le caratteristiche tecniche di questi pigmenti sono ottime: si tratta di materiali ad alta

Le caratteristiche tecniche di questi pigmenti sono ottime: si tratta di materiali ad alta stabilità chimica, permanenza, potere coprente e intensità di colore. In quanto tali, sono impiegabili in tutte le tecniche pittoriche, per esempio nel carboncino (dx, Leonardo da Vinci, Vergine con bambino, Sant'Anna e San Giovanni Battista) I neri animali e il nero di vite sono sconsigliati nella pittura a fresco, a meno che non siano purificati, in quanto le eventuali impurezze possono formare efflorescenze in ambiente alcalino

I bianchi Per ricavare pigmenti bianchi gli uomini preistorici avevano diverse possibilità. Molte sostanze

I bianchi Per ricavare pigmenti bianchi gli uomini preistorici avevano diverse possibilità. Molte sostanze inorganiche non contengano ioni metallici di transizione sono infatti bianchi Nelle pitture rupestri il colore bianco è meno comune rispetto rosso e al nero. Nei pochi casi analizzati è stata evidenziata presenza dei seguenti pigmenti: • calcite, Ca. CO 3, e rocce calcaree al la • talco, Mg 3(Si 4 O 10) ∙ (OH)2 In alcuni casi sono stati identificati composti di colore bianco la cui presenza non è intenzionale: si tratta di prodotti del metabolismo di alcuni licheni, che vivono sulla superficie delle pitture rupestri. Tra essi: • rutilo e anatasio, Ti. O 2 • whewellite, Ca. C 2 O 4 ∙ H 2 O • caolinite e rocce silicee • gesso, Ca. SO 4 ∙ 2 H 2 O • anidrite, Ca. SO 4 • weddellite, Ca. C 2 O 4 ∙ 2 H 2 O

Tra i pigmenti bianchi il gruppo dei materiali calcarei è quello più importante. Le

Tra i pigmenti bianchi il gruppo dei materiali calcarei è quello più importante. Le rocce calcaree sono state ampiamente impiegate fino dal Paleolitico, in virtù della grande diffusione sul territorio La fase minerale principale in queste rocce è il carbonato di calcio, Ca. CO 3, nelle forme calcite e aragonite. Sono poi presenti varianti come la magnesite, Mg. CO 3, la dolomite, (Ca, Mg)(CO 3)2, e la huntite, Mg 3 Ca(CO 3)4. In generale si tratta di pigmenti con scarso potere coprente, perciò erano usati sia puri, sia soprattutto addizionati ad altri pigmenti oppure come imprimitura. Dal punto di vista chimico sono sensibili agli acidi ma stabilissimi in ambiente alcalino Tra le varie versioni, una delle più note è il bianco di Sangiovanni, ricavato dalla calce per macerazione in acqua in modo da allontanare il più possibile l’idrossido di calcio. Si tratta di un pigmento molto adatto alla tecnica dell’affresco

Altro gruppo importante di pigmenti bianchi è quello dei solfati di calcio, tra cui

Altro gruppo importante di pigmenti bianchi è quello dei solfati di calcio, tra cui il gesso, Ca. SO 4∙ 2 H 2 O, il più noto, e l’anidrite, Ca. SO 4. Come le rocce calcaree, si tratta di sostanze di ampia disponibilità. Chimicamente sono più stabili, es. in ambiente acido. Il gesso ha indice di rifrazione piuttosto basso, da cui deriva un potere coprente scarso, tale da limitare l’uso come eccipiente. Più che come pigmento puro, infatti, il gesso era usato per la preparazione delle superfici pittoriche, soprattutto su tavola. Un tipo di preparazione molto diffuso era la trasformazione in gesso di Parigi per calcinazione a 150 -200°C D Ca. SO 4∙ 2 H 2 O Ca. SO 4∙½H 2 O + 3/2 H 2 O Il gesso di Parigi è un composto denso e plastico, facilmente spalmabile, che in seguito a reidratazione generava la fase iniziale diidrata

Evidenze di lavorazione Se è vero che la maggior parte dei pigmenti utilizzati nel

Evidenze di lavorazione Se è vero che la maggior parte dei pigmenti utilizzati nel Paleolitico erano materiali di origine minerale o vegetale che venivano trasformati meccanicamente, in alcuni casi ci sono evidenze di processi di trasformazione più sofisticati, che testimoniano una conoscenza tecnologica insospettata. Un caso interessante è quello dell’ematite ( -Fe 2 O 3). Questa sostanza può essere ottenuta dal minerale presente in natura oppure per riscaldamento a 250°C della goethite ( -Fe. OOH), minerale giallo che sottoposto a riscaldamento tende a deidratarsi e a trasformarsi nell'ematite secondo la reazione D 2 -Fe. OOH -Fe 2 O 3 + H 2 O

Questa reazione era nota ai Romani, descritta in una ricetta per preparare un pigmento

Questa reazione era nota ai Romani, descritta in una ricetta per preparare un pigmento rosso. Tuttavia, evidenze archeologiche in alcuni siti, come l’associazione tra ossidi di ferro e tracce di combustione, suggeriscono che questo cambiamento di colore (giallo rosso) fosse conosciuto già nel Paleolitico, il che farebbe presumere una certa abilità dei nostri antenati preistorici nel reperire risorse naturali, selezionando quelle più opportune allo scopo, e nel trattarle fisicamente

Le evidenze archeologiche sono state supportate da analisi effettuate con le tecniche XRD, SEM

Le evidenze archeologiche sono state supportate da analisi effettuate con le tecniche XRD, SEM e TEM, mediante le quali si è verificato sperimentalmente che pigmenti rossi rinvenuti nelle grotte di Troubat (Francia sudoccidentale), risalenti ad 8. 000 -10. 000 anni fa, potevano derivare sia da ematite naturale, sia da ematite ottenuta per riscaldamento di goethite. Una questione di difficile risoluzione è se il riscaldamento sia stato intenzionale oppure no: nel sito paleolitico di Troubat, sono stati individuati strati di ematite corrispondenti ad entrambe le tipologie descritte. Un'ipotesi plausibile è che l'ematite ottenuta per riscaldamento avesse impieghi particolari, per esempio rituali o magici Peraltro la conversione potrebbe avvenire anche senza combustione in condizioni climatiche estreme, come si ipotizza sia avvenuto su certe pitture rupestri australiane esposte a clima caldo e secco Ci sono evidenze analitiche di trattamenti simili anche su ossidi di manganese neri: si può supporre che l’arrostimento facilitasse la macinazione del minerale, analogamente alla selce, permettendo di ottenere una polvere più semplice da usare. Non bisogna poi sottovalutare l’aspetto rituale e simbolico del fuoco

Applicazione dei pigmenti Le analisi effettuate sui pigmenti mostrano che questi potevano essere miscelati

Applicazione dei pigmenti Le analisi effettuate sui pigmenti mostrano che questi potevano essere miscelati a sostanze varie, come argilla, calcite, quarzo, resti di ossa, talco, feldspato potassico, che avevano lo scopo di migliorare la stesura del pigmento. Come si è detto in precedenza, è inoltre ipotizzabile che alcuni pigmenti fossero soggetti a trattamenti preliminari per migliorarne la lavorabilità e l’adesione alle superfici Analogamente alle tecniche pittoriche posteriori, i pigmenti dovevano essere dispersi in un opportuno mezzo legante. Il legante più semplice e comune era probabilmente l’acqua, ma ci sono evidenze dell’uso di oli o succhi vegetali, saliva, urina, grassi animali, midollo osseo, sangue e albume. I pigmenti aderivano alla parete in parte rimanendo intrappolati alle porosità della superficie, in parte perchè il legante, seccando, ne permetteva l’adesione

Pennelli paleolitici Gli storici ipotizzano che i pigmenti fossero applicati in vari modi: spennellando,

Pennelli paleolitici Gli storici ipotizzano che i pigmenti fossero applicati in vari modi: spennellando, spalmando, tamponando o spruzzando. Il metodo più semplice prevede l’uso delle dita o del palmo della mano, e ci sono numerosissime evidenze di ciò. Pennelli preistorici potevano essere ottenuti da crini di cavallo. Cuscinetti di licheni o muschi potevano essere adatti a spargere pigmento su zone ampie. L’applicazione a spruzzo è ipotizzabile con ossa cave o tubicini vegetali, oppure sputando direttamente dalla bocca come fanno tutt’oggi gli Aborigeni australiani

Alcuni esempi di pitture È sorprendente il fatto che sia i colori citati (rosso,

Alcuni esempi di pitture È sorprendente il fatto che sia i colori citati (rosso, nero, giallo in primis), sia i pigmenti impiegati per ottenere questi colori, siano comuni a tutte le civiltà paleolitiche: si può dire che i pigmenti a base di ossidi di ferro e manganese e di carbone costituissero la tavolozza-base degli artigiani preistorici, in Europa come nelle altre civiltà, dall’Egitto all’India alla Cina Le espressioni artistiche più elevate nella Preistoria sono collocabili presso le grotte di Lascaux (Francia) e Altamira (Spagna), mentre le più antiche sono probabilmente a Chauvet (Francia)

Le più antiche: Chauvet Le pitture scoperte nel 1994 nelle grotte di Chauvet (valle

Le più antiche: Chauvet Le pitture scoperte nel 1994 nelle grotte di Chauvet (valle dell’Ardeche, Francia del Sud) sono probabilmente le più antiche al mondo. La datazione, effettuata con la tecnica del 14 C su tracce carboniose, attribuisce alle pitture un’età di circa 31. 000 anni BP Le pitture di Chauvet sono sorprendenti per molti motivi: in primo luogo per la natura e la varietà del bestiario rappresentato: ci sono 14 specie animali diverse, tra cui rinoceronti, leoni e orsi, anzichè soltanto animali da preda come si era soliti vedere più comunemente; in secondo luogo per l’uso della prospettiva e dell’ombreggiatura che contrasta con l’età remota delle pitture, almeno fino a quanto era a noi noto prima di questa scoperta

Pigmenti a Chauvet Le pitture di Chauvet non presentano la varietà policromatica di Lascaux:

Pigmenti a Chauvet Le pitture di Chauvet non presentano la varietà policromatica di Lascaux: in esse si individuano il rosso, a base di ocra rossa, il nero a base carboniosa (fuliggine o nerofumo) e, soltanto in due casi, il giallo, ancora a base di ocra Ci sono dei particolari tecnici notevoli: nella figura a destra è mostrata quella che sembra la sagoma di un bisonte o un rinoceronte, impressa con una tecnica simile al puntilismo di Seurat (fine ‘ 800), ovvero apponendo numerosi punti ravvicinati di colore. Secondo una ricostruzione al computer, l’immagine sarebbe stata eseguita dall’artista paleolitico con la solo mano destra Questa tecnica è individuabile anche in alcune pitture di Peche-Merle (Lot)

Lascaux Situate nelle regione della Dordogna (Francia sudoccidentale), le grotte di Lascaux sono probabilmente

Lascaux Situate nelle regione della Dordogna (Francia sudoccidentale), le grotte di Lascaux sono probabilmente le più importanti al mondo insieme a quelle di Altamira in Spagna per quanto riguarda le pitture murali. Le pitture risalgono ad un periodo compreso tra 30. 000 e 10. 000 anni fa. Per il valore artistico e simbolico delle opere rinvenute all’interno, queste grotte sono state definite la Cappella Sistina della Preistoria Le grotte sono state scoperte negli anni ’ 40. Negli anni ‘ 60, per preservare l’enorme valore delle pitture, l’accesso dei turisti alle grotte fu vietato e fu creata una copia esatta in un sito vicino chiamato Lascaux II, riproducendo alla perfezione le opere murali

Per quanto riguarda i leganti utilizzati, è stato dimostrato che l’acqua delle caverne, ricca

Per quanto riguarda i leganti utilizzati, è stato dimostrato che l’acqua delle caverne, ricca di calcare, agiva da legante precipitando calcite sulle pareti; i cristalli di questo minerale imprigionavano gli ossidi di ferro e manganese (colori rossi e neri) garantendone una buona conservazione nel corso dei millenni

Altamira Il titolo di Cappella Sistina della Preistoria è rivendicato anche dalle grotte di

Altamira Il titolo di Cappella Sistina della Preistoria è rivendicato anche dalle grotte di Altamira, site nella regione Cantabrica (Spagna del Nord). I dipinti che si trovano nelle varie sale sono espressione di un’arte molto raffinata. Si pensa che i pigmenti siano stati apposti con una cannuccia cava, il primo pennello della storia dell’arte

Analisi di pigmenti preistorici Il valore inestimabile delle pitture rupestri e la loro grande

Analisi di pigmenti preistorici Il valore inestimabile delle pitture rupestri e la loro grande fragilità sfavoriscono la possibilità di prelevare campioni per effettuare analisi. Quindi, nonostante la difficoltà di portare strumenti nelle grotte per eseguire analisi in situ, questa è spesso l’unica possibilità concessa per avere informazioni. Negli ultimi anni, analisi effettuate con tecniche portatili hanno fornito buoni risultati nell’identificazione dei pigmenti impiegati nelle pitture rupestri. Le tecniche impiegate sono state la spettrometria Raman (sopra) e la spettrometria XRF (sx)

Esempi di analisi Disegno riproducente le pitture del pannello noto come Black Frieze, nella

Esempi di analisi Disegno riproducente le pitture del pannello noto come Black Frieze, nella grotta di Peche-Merle (Lot, Francia sudoccidentale) nelle pitture rupestri. Le analisi Raman e XRD, eseguita su campioni prelevati nei punti indicati, forniscono l’identificazione sia di ossidi di manganese (hollandite e romanechite) che di nerofumo nei tratti pigmentati in nero