FilosofiaconScienza Docente Giovanni Battista Rimentano Una domanda provocatoria
Filosofia-con-Scienza Docente: Giovanni Battista Rimentano
Una domanda provocatoria iniziale L’inizio della scienza moderna segna la fine della filosofia?
La filosofia è morta, non ci resta che la fisica «Come possiamo comprendere il mondo in cui ci troviamo? Come si comporta l'universo? Qual è la natura della realtà? Che origine ha tutto ciò? L'universo ha avuto bisogno di un creatore? La maggior parte di non dedica troppo tempo a preoccuparsi di simili questioni, ma quasi tutti di tanto in tanto ci pensiamo. Per secoli questi interrogativi sono stati di pertinenza della filosofia, ma la filosofia è morta, non avendo tenuto il passo degli sviluppi più recenti della scienza, e in particolare della fisica. Così sono stati gli scienziati a raccogliere la fiaccola nella nostra ricerca della conoscenza» (S. Hawking, L. Mlodinov, Il grande disegno, Prefazione, 2010) http: //ricerca. repubblica. it/repubblica/archivio/repubblica/2011/04/06/la-filosofia-morta-non-ci-resta-che. html
Chi critica la filosofia fa filosofia «Ebbene, le risposte fondamentali che questo libro [Hawking, Mlodinov, Il grande disegno] propone sono squisitamente filosofiche e se non ci fossero queste risposte filosofiche neppure il fisico potrebbe dire perché conosce e che cosa conosce. […] Come si vede non si tratta di scoperte fisiche bensì di assunzioni filosofiche, che stanno a sostenere e a legittimare la ricerca del fisico - il quale, quando è un bravo fisico, non può che porsi il problema dei fondamenti filosofici dei propri metodi» (U. Eco, «La filosofia non è Star Trek» in L’Espresso, 15 aprile 2011) https: //blog. uaar. it/2011/04/18/filosofia-morta-eco-replica-hawking/ Vedi anche http: //espresso. repubblica. it/opinioni/la-bustina-di-minerva/2011/04/15/news/la-filosofia-non-e-star-trek-1. 30484
Scienza e filosofia sono utili l’una all’altra «Coloro che criticano l’utilità della filosofia per le scienze — nota Aristotele — non stanno facendo scienza: stanno facendo filosofia. Quando Hawking e Weinberg scrivono che la filosofia è inutile alla scienza, non stanno risolvendo un problema di fisica: stanno riflettendo su cosa sia utile, quale metodologia e struttura concettuale siano opportune, per fare scienza. Riflettere su questo è ciò che fa la filosofia. Lo stesso atteggiamento spavaldamente pragmatico e «antifilosofico» di Hawking e Weinberg ha origine proprio nella filosofia. […] No, la filosofia non è inutile per la scienza. Ne è fonte vivissima di ispirazione, critica e idee […]. Una scienza che chiude le orecchie alla filosofia appassisce per superficialità; una filosofia che non presta attenzione al sapere scientifico del suo tempo è ottusa e sterile. Tradisce la sua stessa radice profonda, quella della sua etimologia: l’amore per il sapere» (C. Rovelli, «Aristotele contro Hawking» in Il Corriere, 30 agosto 2016) http: //www. corriere. it/la-lettura/orizzonti/16_agosto_30/carlo-rovelli-aristotele-contro-hawking-weinberg-2697750 e-6 e 9 f-11 e 6 -adac-6265 fc 60 f 93 f. shtml Vedi anche http: //www. lescienze. it/news/2015/05/16/news/discussione_fisici_filosofia_morta_viva-2611425/
Per criticare la scienza bisogna conoscere la scienza «[…] per parafrasare Kant, «senza la filosofia la scienza è cieca» . […] «senza la scienza la filosofia è vuota» . […] una filosofia che pretenda di «chiarire il senso» di cose dette in una lingua che neppure capisce, rischia di cessare di essere, un «amore per il sapere» , per diventare invece un «sapere amatoriale» . Non era così, naturalmente, per i filosofi del passato […] Cartesio era un fior di matematico, Kant ha tratto le sue categorie dalla meccanica newtoniana, e persino Nietzsche ha studiato la teoria ergodica per diversi anni, per poter elaborare una dimostrazione fisico-matematica (perfettamente corretta, sotto le sue ipotesi) della teoria dell'Eterno Ritorno. E non è così neppure per molti filosofi del presente, da Saul Kripke a Hilary Putnam, che hanno dato profondi contributi alla logica matematica, oltre che alla filosofia. […] Gli scienziati non sono certo contrari alla filosofia, ma sono contrari a certa filosofia: quella che non conosce che se stessa» (P. Odifreddi, «Una replica a E. Severino» in Repubblica, 23 aprile 2005) http: //www. fisicamente. net/SCI_FIL/index-719. htm Vedi anche I fondamenti del metodo scientifico (Severino) http: //www. corriere. it/cultura/16_marzo_04/emanuele-severino-contraddirsi-meglio-di-no-715 d 60 f 0 -e 225 -11 e 5 -b 31 b-034 bb 632 a 08 d. shtml Carlo Rovelli e Severino http: //filosofia. uniurb. it/carlo-rovelli-ed-emanuele-severino/
La provocazione della nostra domanda iniziale si potrebbe riformulare dunque così: Quale filosofia è possibile nell’era della tecnica e della scienza moderna?
Già Kant si era reso conto della crisi della filosofia metafisica «[…] la ragione procede sempre più in alto, verso condizioni sempre più remote. Ma quando si accorge che per questa via il suo procedere è costretto a restar sempre incompiuto, perché i problemi non cessano di risorgere, si vede costretta a far ricorso a princìpi che oltrepassano ogni possibile uso d’esperienza […], perché i princìpi di cui si serve, ponendosi al di là di ogni esperienza, negano all’esperienza ogni possibilità di valere come pietra di paragone. Orbene, il campo su cui si combattono queste lotte senza conclusione si chiama metafisica. Vi fu un tempo in cui essa era considerata la regina di tutte le scienze e, se si prepongono le intenzioni ai fatti, meritava senza dubbio questo nome onorifico per l’importanza preminente del suo oggetto. Ora la moda del tempo è incline a disprezzarla» (E. Kant, Critica della ragion pura, Prefazione 1781)
Rapporto tra filosofia e scienza. Quello che cercheremo di mostrare è che La scienza oggi apre prospettive inedite alla filosofia… …ma, nel corso della storia, anche la filosofia spesso ha anticipato e aperto nuove prospettive alla ricerca scientifica
La filosofia, fisica e matematica sono strettamente congiunte tra loro alle origini del pensiero occidentale • Il senso greco della «physis» attraversa tutta la filosofia presocratica. Tutta una serie di racconti cosmogonici narrano e provano a spiegare l’origine dell’universo e il posto che all’interno di esso occupa l’uomo • Il senso della totalità dell’Essere (Vedi, per es. , la TOE di S. Hawking), l’esperienza dell’indivisibilità e dell’interconnessione di tutte le cose, l’energia (il fuoco) che anima e vibra in tutte le cose (il divenire) sono al centro della ricerca dell’arché • La ricerca dei fondamentali elementi costitutivi di tutte le cose rinvia ad esperienze archetipe, che coinvolgono insieme sia la psiche il cosmo • La matematica del pitagorismo è scienza sia dell’anima che del numero
Il proemio della favola sull’origine del cosmo nel Timeo di Platone «[…] è assolutamente necessario che questo cosmo sia immagine di qualche cosa» (Platone, Timeo, 29 b). «Dunque, o Socrate, se dopo molte cose dette da molti intorno agli dèi e all’origine dell’universo, non riusciamo a presentare dei ragionamenti in tutto e per tutto concordi con se medesimi e precisi, non ti meravigliare. Ma se presenteremo racconti verosimili non meno di alcun altro, allora dobbiamo accontentarci, ricordandoci che io che parlo e voi che giudicate abbiamo una natura umana: cosicché, accettando intorno a queste cose la narrazione probabile, conviene che non cerchiamo più in là» (Platone, Timeo, 29 c-d)
La teoria dell’universo olografico • L'universo è un'ologramma e il cervello (mente) dell'uomo funge da lettore. • Che l'universo sia un ologramma significa che esso è un insieme di informazioni inscritte su una superficie bidimensionale che si proietta generando un effetto tridimensionale. • Alla base dell'immagine-ologramma vi è la proprietà per la quale ogni frammento dell'immagine contiene scritte in sé (gramma) tutte (o quasi) le informazioni dell'intero (olo-) cui appartiene. • Nella formulazione del fisico D. Bohm e del neuroscienziato K. Pribram l'universo tridimensionale è l'esplicazione di un ordine implicito (Bohm) la cui cifra segreta si annoda e trova il suo punto di conversione nel cervello umano (Pribram) Sitografia sull’universo olografico «L’informazione in un universo olografico» in Le scienze, 2003 (http: //www. lescienze. it/news/2003/09/01/news/l_informazione_in_un_universo_olografico-587691/ ) http: //www. repubblica. it/scienze/2017/01/30/news/_l_universo_e_un_gigantesco_ologramma_-157210350/#gallery-slider=157215163 http: //www. xmx. it/universoillusione. htm Video: • https: //www. youtube. com/watch? v=w. BUh. LSMOfj. M (4 minuti) • https: //www. youtube. com/watch? v=0 Ot. Ac 58 Wfdw(10 min) • https: //www. youtube. com/watch? v=au 66 u. F_JPMo • https: //www. youtube. com/watch? v=Er. JFZx. Aaw. PQ (30 min)
Indagine e forme del discorso scientifico in Aristotele Nella tradizione filosofica dall’antichità fino all’avvento del metodo sperimentale galilieano, il termine “scienza” viene inteso nel senso generale di “conoscenza autentica”, senza distinguere in modo netto tra ciò che oggi intendiamo con “scienza” e ciò che oggi intendiamo con “filosofia” La metafisica è la regina delle scienze, perché nel contesto plurale di diverse ricerche razionali sulla natura (perlopiù condotte mediante procedimenti induttivi, che cercano di giungere a principi generali partendo dall’osservazione di numerosi casi particolari), la metafisica si pone come sguardo sintetico per cercare di abbracciarle e dominarle tutte nel quadro più generale di strutture necessarie e universali dell’Essere in quanto essere e delle cause e principi primi
Aristotele e la scienza «D’altra parte, ciò che dipende dal caso non è oggetto di scienza dimostrativa, in realtà, ciò che dipende dal caso non si presenta né come qualcosa di necessario, né come qualcosa che accade per lo più, ma è piuttosto ciò che si verifica a prescindere da questi due aspetti. La dimostrazione si rivolge tuttavia all’uno o all’altro di questi due. In effetti, ogni sillogismo si sviluppa o attraverso premesse necessarie, o attraverso premesse esprimenti qualcosa che avviene per lo più. Inoltre, se le premesse sono necessarie, anche la conclusione risulta necessaria; se, invece, le premesse esprimono ciò che avviene per lo più, anche la conclusione esprimerà qualcosa di simile. Di conseguenza, se ciò che dipende dal caso, non si presenta né come qualcosa che avviene per lo più, né come qualcosa di necessario, senza dubbio esso non sarà oggetto di dimostrazione» Aristotele, Secondi Analitici, I, cap. 30, 87 a 18 -27 • La scienza non riguarda il campo del contingente, ma il dominio del necessario e dell’universale (immutabilità dell’oggetto di scienza) • Gli oggetti della scienza sono entità meta-sensibili che presentano il carattere della stabilità (eternità dell’oggetto di scienza) • Aristotele ammette il carattere ipotetico delle premesse di una spiegazione scientifica prima che si possa risalire ai principi, ai fondamenti primi (causa prima) • Aristotele ammette sia il procedimento di indagine per induzione (dal particolare all’universale) che quello per deduzione (dall’universale al particolare) • Tuttavia Aristotele riconosce uno spazio limitato alle procedure empiriche induttive (è quanto gli verrà contestato dai critici moderni come per es. Bacone) • Aristotele codifica le forme del discorso scientifico. Esso è un’esposizione ragionata deduttiva basata sul sillogismo. Vi ne sono di due tipi: sillogismo scientifico (a partire da premesse assolutamente vere)/sillogismo dialettico (a partire da premesse ipotetiche) • Vi sono dei principi dai quali il sillogismo procede, ma che non possono essere provati col sillogismo; tali principi sono l’oggetto della scienza per eccellenza o filosofia prima (quella che nei secoli prenderà il nome di metafisica)
La scienza moderna di Galilei nasce dalla rottura di alcuni assunti della fisica aristotelica • Dal geocentrismo all’eliocentrismo • Approccio alla questione (dal «perché» al «come» descritto mediante modelli matematici e osservato attraverso strumenti di misura) • Relatività della questione: moto/quiete (critica della teoria del moto, critica della teoria dell’impetus) • Fine dei luoghi naturali, del finalismo e dell’antropocentrismo • Unificazione della fisica celeste/terrestre (per ciò che concerne il movimento dei corpi) • Il metodo. “Sensate esperienze” e “necessarie dimostrazioni”. Quale rapporto tra le due? • Non l’esperienza, ma l’esperimento (la misurazione e il ricorso a modelli matematici e strumenti). • Esperimenti mentali. L’esperienza non è qualcosa di già dato (l’osservazione potrebbe essere scorretta: pensa alla caduta dei gravi). L’esperienza si costruisce, va fatta, per cui si tratta di un’esperienza che non è priva di una teoria, che la orienta anche se in maniera ipotetica (non è la nuda e passiva osservazione). • Qualità primarie/secondarie (la tradizione dell’atomismo filosofico)
Cartesio. La distinzione-separazione di mente e cosmo nella scienza moderna • Res cogitans/res extensa. Conseguenze epistemologiche. • Psiche e cosmo separati e distinti tra loro. Distinzione netta tra osservatore e la realtà osservata (canone dell’obiettività scientifica) • Conciliabilità tra scienza e religione nei loro domini separabili • Perché la realtà fisica risponde ai modelli matematici? La matematizzazione della materia come ipotizzato da Galilei diventa ideologica a partire da Cartesio
La scienza moderna e la visione meccanicistica dell’universo «Un’intelligenza che, a un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di più, fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e dell’atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi» (P. S. Laplace) Tutto ciò che esiste è riconducibile a corpi in movimento (riduzione della materia a quantità misurabili, descrivibili matematicamente) Nella concezione meccanicistica della natura il cosmo è visto come una macchina completamente causale e determinata (l’universo orologio e Dio architetto). Stando a questo determinismo rigoroso tutto ciò che accade ha una causa definita e un effetto determinato.
La filosofia moderna e la scienza esatta in età moderna • La conoscenza per eccellenza è quella del metodo sperimentale della nuova scienza. • Scienza (esatta): sapere necessario (validità in ogni tempo e luogo), universale (valido per tutti gli uomini), cumulabile (progresso scientifico) • Compito della filosofia è giustificare i fondamenti del metodi e delle procedure conoscitive della scienza moderna • Una filosofia al passo con i tempi deve tener conto della descrizione meccanicistica della scienza moderna (tra coloro che fanno eccezione, Leibniz, fisico matematico e filosofo che contesta la visione meccanicistica)
Bacone, la critica al procedimento induttivo di Aristotele e il Novum Organum Nel Novum Organum (1620), Bacone costruisce il primo trattato di logica induttiva dove vengono esaminati i metodi da utilizzare nelle induzioni teoriche. Critica l’induttivismo aristotelico, che, partendo da pochi dati, pretende di arrivare a conclusioni universali. Piuttosto occorre una raccolta dei dati più serrata e sistematica, che mediante la catalogazione, l’interpretazione e l’analisi procede infine ai controlli utili a verificare la correttezza delle previsioni. Conoscere è prevedere e costruire, «sapere è potere» (nesso tra scienza e tecnologia)
Hume e la critica al concetto di causalità. L’induttivismo del metodo scientifico è infondato Hume mette in dubbio lo stesso processo d’induzione (vi è dunque l’idea implicita della scienza basata su procedimenti induttivi): non è possibile trovare alcuna connessione necessaria tra causa ed effetto, ed il loro legame non è razionale, ma puramente psicologico. La supposizione che si basa sull’assunto “necessariamente il futuro deriva dal passato”, non ha alcuna argomentazione dimostrativa, ma deriva solo dall’abitudine
Kant e la costruzione sintetica a priori dell’immagine del mondo dell’esperienza La conoscenza scientifica si basa su giudizi sintetici a priori. Detto altrimenti, i nostri modelli mentali orientano sin dall’inizio la nostra esperienza sensibile (secondo K. , tali modelli sono eterni e universali, e corrispondono a capacità operative mentali innate nelle menti di tutti gli individui) • Critica del realismo ingenuo (carattere fenomenico dell’esperienza sensibile). I dati dell’esperienza sensibile ci appaiono in un certo modo perché sono le strutture mentali a priori della mente umana ad organizzarli così • Il modello di scienza di Kant è quello della scienza esatta Kant critica la metafisica come forma di conoscenza, ma rivaluta la sua funzione come sprone per la conoscenza umana ( «uso regolativo delle Idee di ragione» )
Il positivismo ottocentesco • Il positivismo ottocentesco stabilisce uno stretto rapporto tra scienza e filosofia. • La filosofia (positivista) svolge la funzione di commento, di narrazione storica dello sviluppo delle scienze o di grande racconto capace di inserire la vicenda umana nel contesto più generale del cosmo, alla ricerca dell’unità del sapere in chiave umanistico-scientifica (vi è un tentativo di andare oltre la dicotomia res cogitans/res extensa, anche se spesso si tende a ridurre la prima alla seconda) • La filosofia positivista elabora concetti trasversali e generali alla ricerca di punti di intersezione interdisciplinari tra tutte le scienze e persino tra diversi saperi (per es. il concetto di «evoluzione» in Spencer, o di «statica/dinamica» nella sociologia di Comte). • Uno dei compiti del positivismo, specialmente quello di A. Comte, consisterà nella compilazione di un sapere scientifico enciclopedico unificato al di là delle specializzazioni, cercando di trasporre i metodi di approccio scientifico a campi del sapere un tempo ritenuti di esclusiva competenza della cultura umanistica (nascita della scienze umane: la psicologia, la sociologia)
La critica di A. Comte alla metafisica come atteggiamento psicologico Enunciando la legge dei tre stadi come legge di sviluppo della storia (stadio teologico. metafisico, positivo), il filosofo positivista A. Comte considera la metafisica come un vero e proprio atteggiamento psicologico dell’individuo e dell’umanità più in generale, che riguarda il modo di relazionarsi e conoscere il mondo giungendo ad elaborare una certa nozione di «realtà» . L’atteggiamento metafisico corrisponde alla psicologia dell’adolescenziale (e alla fase storica delle rivoluzioni). La razionalità metafisica abbandona l’infantile mentalità immaginifico-animistico-antropomorfica, che spiega e descrive la realtà ricorrendo a presenze e forze soprannaturali, ricorrendo a concetti razionali (cause, fini, essenze, principi). Le spiegazioni metafisiche, per quanto razionali, risultano tuttavia astratte in quanto non sempre verificate e circoscritte nell’ambito dell’esperienza. La razionalità metafisica aspira a volere conoscere tutto e subito (come gli adolescenti e la mentalità rivoluzionaria che cercano di rifare il mondo da capo ad immagine e somiglianza di modelli ideali)
La spiegazione funzionale della scienza «[. . . ] Così, per citare l’esempio più ammirevole, noi diciamo che i fenomeni generali dell’universo sono spiegati, per quanto è possibile, dalla legge newtoniana della gravitazione, perché, da un lato, questa bella teoria ci mostra tutta l’immensa varietà dei fatti astronomici come fossero un solo e medesimo fatto, considerato sotto diversi punti di vista, ci mostra la tendenza costante di tutte le molecole, le une verso le altre, in ragione diretta delle loro masse ed in ragione inversa dei quadrati delle loro distanze; mentre, d’altra parte, questo fatto generale è presentato come la semplice estensione di un fenomeno che ci è estremamente familiare e che, per ciò soltanto, noi consideriamo perfettamente conosciuto: la pesantezza dei corpi e la superficie della terra. Il determinare che cosa siano in se stesse attrazione e pesantezza, quali ne siano le cause, sono questi i problemi, a cui guardiamo come insolubili, che non appartengono al dominio della filosofia positiva e che noi abbandoniamo con ragione all’immaginazione dei teologi o alle sottigliezze dei metafisici. La prova manifesta della impossibilità di raggiungere soluzioni di questo genere è che tutte le volte che si è cercato di dire a questo riguardo qualcosa di veramente razionale i maggiori spiriti non hanno potuto far altro che definire questi due principi l’uno per mezzo dell’altro dicendo, per quanto riguarda l’attrazione, che essa altro non è che un peso universale e poi, per il peso, che esso consiste semplicemente nell’attrazione terrestre. Spiegazioni di questo genere, che fanno sorridere quando si pretende di conoscere la natura intima delle cose ed il modo in cui vengono generati i fenomeni, sono tuttavia tutto ciò che noi possiamo ottenere di più soddisfacente, in quanto ci mostrano come identici due ordini di fenomeni che sono stati così a lungo considerati come non aventi alcun rapporto tra loro. Nessuno spirito sano cerca oggi di andare più a fondo» . (A. Comte, Corso di filosofia positiva)
Filosofia e scienza nel XX secolo
Crisi del meccanicismo e della fisica classica Tra la fine dell’ 800 e i primi del ‘ 900, entrano in crisi alcuni concetti basilari della fisica classica e del modello meccanicistica. Meccanica quantistica e teoria della relatività mettono in crisi la visione meccanicistica che per due secoli circa aveva orientato in diversi ambiti i modelli di spiegazione della ricerca scientifica.
La fisica classica La nuova fisica La materia è costituita da particelle elementari solide, permanenti, tridimensionali, di cui è possibile individuare ad ogni istante posizione e velocità I costituenti ultimi della materia non solo localizzabili in maniera puntiforme nello spazio. Più che essere, le cose «tendono ad esistere» e sono impermanenti. Non è possibile individuare con precisione traiettorie, né definire nel contempo posizione e velocità (principio di indeterminazione di Heisenberg) (vedi link) Spazio e tempo sono lo scenario inerte, assoluto e immutabile in cui avvengono tutti i fenomeni osservabili in natura. In quanto tali, spazio e tempo risultano essere parametri indipendenti dall’osservatore Esiste un’unica tessitura spaziotemporale che si modifica in funzione della massa-energia (teoria geometrica del campo gravitazionale di Einstein). Due fenomeni simultanei per un osservatore possono non esserlo per un altro (le misurazioni di spazio e tempo dipendono dall’osservatore) Materia ed energia sono ben distinte tra loro Equivalenza tra materia e energia (E = mc 2) Le interazioni fisiche hanno un carattere esclusivamente locale Nella meccanica quantistica vi sono interazioni a distanza che mostrano l’universo come un tutto interconnesso (fenomeni di entanglement) Le relazioni causali tra i fenomeni naturali sono deterministiche Le leggi fisiche presentano un carattere probabilistico (principio di indeterminazione) La scienza rende possibile una descrizione oggettiva della natura, in cui la realtà è indipendente dal soggetto che la osserva e descrive L’osservatore rientra nella descrizione fisica, anche quella rigorosamente scientifica. Quanto osserviamo in natura è sempre la coppia osservatore-osservato (principio di indeterminazione): «Dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura stessa, ma la natura esposta al nostro metodo di indagine» (W. Heisenberg )
Con la crisi della visione meccanicistica la realtà fisica pare aver perso la sua solidità Alla luce delle scoperte della meccanica quantistica, il modello meccanicista che riconduceva tutto all’immagine della particella solida in movimento non vale più a livello subatomico. Il movimento inteso come traccia puntuale lasciata da un corpo (grande o piccolo) in uno spazio vuoto non funziona più. «[…] la concezione meccanicistica dell’universo proposta dalla fisica newtoniana si fonda sull’idea che la realtà comporta due cose fondamentali: degli oggetti solidi e uno spazio vuoto. Nella vita quotidiana questa concezione sembra funzioni ancora. [. . . ] Tutto cambia, però, se abbandoniamo l’universo della nostra esperienza per tuffarci nell’infinitamente piccolo, alla ricerca dei nostri costituenti ultimi. Soltanto in questo secolo si sarebbe capita la vera natura degli atomi: non sono piccole sfere di materia [. . . ] Le ricerche dei fisici hanno dimostrato che gli elementi costitutivi degli atomi non rivelano nessuna delle proprietà associate ad oggetti fisici. Le nostre particelle elementari non si comportano assolutamente come particelle “solide”, ma piuttosto come entità astratte» (J. Guitton, Dio e la scienza)
La filosofia della scienza come filosofia del linguaggio
Linguaggio e realtà • Nella fisica del XX secolo, sempre più spesso si tende a partire da una serie di assunti teorici per poi dedurre la previsione di fatti sperimentali probatori (deduttivismo), anziché partire dai dati sperimentali per derivare da essi i principi teorici (induzione). • Il primato del momento teorico mostra il livello di astrazione raggiunto dal linguaggio scientifico nel XX secolo, ponendo quindi la questione del rapporto tra linguaggio e realtà. • Da qui, una serie di domande. • In che modo e in che senso, i concetti astratti e le complesse formulazioni matematiche della fisica descrivono la realtà? • Quale differenza esiste tra il linguaggio teorico della fisica e le linguaggio metafisico della filosofia? • Esiste ancora una definizione univoca di scienza e di metodo scientifico, alla luce delle rivoluzioni scientifiche del XX secolo, che hanno rotto con gli schemi concettuali della fisica classica?
Due libri influenti nell’analisi logica del linguaggio scientifico dei neopositivisti (Prefazione al Tractatus di L. Wittegenstein) La matematica è una disciplina che, anche a partire dall'aspetto più semplice, può essere sviluppata in due direzioni opposte. La direzione più familiare è quella costruttiva che si sviluppa con una complessità gradualmente crescente; dai numeri interi alle frazioni, ai numeri reali, ai numeri complessi; dall'addizione e dalla moltiplicazione alla differenziazione ed alla integrazione, fino alla matematica superiore. L'altra direzione, che è meno comune, procede, per analisi, ad una nascente astrazione e semplicità logica; invece di ricercare quel che può essere definito e dedotto dalle asserzioni iniziali, cerca i concetti ed i princìpi più generali, nei cui termini quello che era il punto di partenza può essere definito o dedotto. È proprio il fatto di percorrere questa opposta direzione che distingue la filosofia matematica dalla matematica ordinaria.
La critica neopositivista della metafisica I neopositivisti ritengono che i problemi sollevati dalla metafisica non siano veri problemi, ma non-sensi linguistici, che nascono in quanto il linguaggio nel quale vengono formulati non esprime alcun contenuto empirico. Secondo i neopositivisti, un problema ben posto consiste in una domanda che ammette una risposta. I problemi classici delle filosofie metafisiche non hanno soluzione, perché il linguaggio in cui vengono formulati esprimono concetti che hanno perso ogni aggancio con la realtà. • I problemi metafisici pongono delle questioni, in cui non disponiamo in alcun modo della possibilità di valutare la correttezza e la verificabilità delle nostre affermazioni attraverso l’esperienza empirica, confrontando linguaggio e realtà. «Il Metodo corretto della filosofia sarebbe questo: • nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque proposizioni della scienza naturale; dunque qualcosa che nulla ha a che fare con la filosofia, e poi, ogni volta che altri voglia dire qualcosa di metafisico, • mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno. […]. » • (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 6. 53) «[…] i metafisici non sono che dei musicisti senza capacità musicale» (R. Carnap, Il superamento della metafisica)
Principio di verificazione di M. Schlick Dottrina centrale del neopositivismo è la teoria verificazionista del significato. La questione che si pone è quella dell’ancoraggio del linguaggio alla realtà «Stabilire il significato di un enunciato equivale a stabilire le regole secondo cui l’enunciato va usato, e questo, a sua volta, è lo stesso che stabilire la maniera in cui esso può essere verificato (o falsificato). Il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica» (M. Schlick, Significato e verificazione)
Linguaggio e realtà Tuttavia, si osservi come a differenza dell’empirismo (XVI-XVII) o del positivismo (XIX) classico, il neoempirismo logico del XX secolo ritiene, che, nella pratica scientifica, sia ingenuo parlare di un confronto diretto tra pensiero e realtà esterna o tra teoria e dati sensibili, in quanto: 1) il dato percettivo è problematico, poiché la sua formazione è più complessa di quel che appare al pensiero ingenuo; 2) ogni contenuto di esperienza è sempre già strutturato logicamente e linguisticamente; per cui: 3) i procedimenti di controllo e di verifica fattuale non consistono in un confronto diretto con i dati sensibili, ma in un confronto tra linguaggio teorico e linguaggio osservativo di cui ci serviamo per descrivere la realtà fisica e sul quale vige un vasto accordo intersoggettivo
Intervista sul neopositivismo (Hempel) 6 minuti http: //www. filosofia. rai. it/articoli/il-circolo-di-vienna-superamento-della-metafisica-ed-empirismologico/4305/default. aspx Nel filmato, tratto dall’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, l`epistemologo Carl Gustav Hempel, professore emerito di filosofia presso l`Università di Princeton, in un’intervista del 1989, illustra la nascita dell`empirismo logico. Ne descrive le radici storiche e teoriche, all’interno del Circolo di Vienna che raccoglieva persone, non originariamente studiose di filosofia, e il cui organizzatore, il filosofo Moritz Schlick, era anch’egli di formazione scientifica. Partendo da una comune insoddisfazione nei confronti della filosofia, che non era riuscita a compiere progressi nella soluzione dei problemi metafisici, si fa un confronto col lavoro scientifico, in cui il progresso è visibile con tutta evidenza. Il problema fondamentale della filosofia sta nel modo in cui vengono formulate le domande. Le dottrine metafisiche sono prive di contenuto empirico e quindi considerate come dei “non sensi letterari”, oppure espresse con un uso non descrittivo del linguaggio. I problemi metafisici, quindi, non essendo scientifici, non possono essere risolti, caso mai disciolti attraverso quello che, Rudolf Carnap chiama il superamento della metafisica attraverso l’analisi logica del linguaggio.
Fase di transizione: dalla verificazione alla confermabilità (Carnap) • Critica al principio di verificazione. Come verificarlo empiricamente? • Se il principio di verificazione fosse il criterio per distinguere le proposizioni di carattere scientifico da quelle che non lo sono, allora nessuna proposizione universale della scienza avrebbe significato, implicando un infinità di casi da verificare. • Tuttavia deducendo casi particolari e aumentando i casi positivi di conferma, aumenta anche la nostra fiducia nella legge. • Anziché di verificazione bisogna parlare di conferme gradualmente crescenti di una legge scientifica. • R. Carnap sostituirà al criterio di verificabilità assoluta quale criterio di significanza delle proposizioni di contenuto empirico, i criteri più deboli di controllabilità e confermabilità (cfr. Meaning and Testability, 1936).
K. Popper e il falsificazionismo (demarcazione e ruolo della metafisica nel contesto della scoperta di una teoria scientifica) Un punto di partenza breve anche per Popper e il falsificazionismo https: //www. youtube. com/watch? v=Ey. Nc 2 gh 47 g 4 Giorello spiega la teoria della conoscenza di Popper e le sue implicazioni etico-politiche (1 h circa; estrapolare la teoria della falsificabilità delle teorie scientifiche) http: //www. filosofia. rai. it/articoli-programma/zettel-presenta-giulio-giorello-popper-e-la-filosofia-dellascienza/32082/default. aspx Karl Raimund Popper nasce a Vienna nel 1902. Laureatosi in Filosofia nel 1928, entra in contatto con alcuni esponenti del “Circolo di Vienna”, importante gruppo di filosofi che influì fortemente sulla nascita e lo sviluppo del neopositivismo. Pur non trovandosi d’accordo con l’impostazione filosofica del Circolo, Popper ne condivide l’intento volto alla costruzione di una concezione scientifica del mondo. La riflessione di Popper rientra infatti nella filosofia della scienza, ambito che nella prima metà del Novecento vive una stagione particolarmente prolifica. Si sviluppano infatti una serie di indagini che mirano a stabilire le possibilità più proprie della scienza, a individuare il metodo che essa deve perseguire e a definire un criterio per differenziare la vera scienza da ciò che non può aspirare a tale titolo. In questa cornice, prende corpo la filosofia di Karl Popper, che nel 1934 pubblica la Logica della scoperta scientifica. Il testo segna profondamente le ricerche dell’epoca e si contrappone in maniera netta allo schieramento neopositivista. Fondate sull’originale concetto di “falsificabilità”, le analisi di Popper sviluppano una teoria della prova e dell’errore, che riconosce la dimensione condivisa, corale e dialogica della ricerca scientifica. Gli stessi principi condurranno Popper ad assumere una posizione più netta sul piano etico-politico. Esito di questo interesse è il testo del 1945, La società aperta e i suoi nemici, in cui Popper colloca più specificamente il ruolo della scienza in relazione alla società; affronta temi tradizionali della filosofia e si interroga sugli esiti filosofico-politici del marxismo.
Fisica e metafisica secondo Popper • La teoria falsificazionista offre altresì un criterio di demarcazione tra scienza e metafisica. Se la falsificabilità esprime il contenuto empirico-conoscitivo di una teoria scientifica, la metafisica non è scienza, in quanto le sue proposizioni non sono falsificabili in linea di principio. • La metafisica va comunque rivalutata, in quanto le sue concezioni possono ispirare teorie scientifiche. • Viene criticata l’immagine induttivista del metodo scientifico, tipica dell’Empirismo logico classico. • La scienza procede per congetture e confutazioni, risolvendo problemi mediante l’invenzione di ipotesi. Ciò significa sostenere il carattere ipotetico-deduttivo del metodo scientifico e il primato della teoria come guida all’esperienza • Il compito di una filosofia della scienza analizzare la logica della scoperta scientifica, distinguendo tra il contesto della scoperta (fattori culturali, psicologici ecc. , che possono influire nella formulazione di una teoria) e il contesto della giustificazione (analisi logica di una teoria compiutamente formulata)
Osserva: neopositivismo (principio di verificazione) e Popper (principio di falsificazione) ripropongono il dilemma se il metodo scientifico sia di tipo induttivo-sperimentale (Hume) o di tipo ipotetico-deduttivo-sperimentale (Kant)
T. Kuhn e i paradigmi della ricerca scientifica (sociologia e storia della scienza entrano nelle considerazioni di cosa concretamente debba considerarsi “scienza”. I conflitti tra teoria e osservazione) La ricerca scientifica si orienta all’interno del contesto storicosociale-culturale, un vasto quadro di riferimento teorico che Kuhn chiama “paradigma”. Il paradigma decide dei metodi ritenuti lecitamente “scientifici” e di quelli dichiarati pseudoscientifici. Il paradigma gode dell’approvazione della comunità scientifica. Quindi la “verità” della scienza si fonda sul consenso sociale, soprattutto sul ruolo che la società attribuisce ad un gruppo di “esperti” (gli scienziati). Con Kuhn considerazioni sociologiche entrano a far parte della storia della scienza. Persino le procedure scientifiche, il successo delle sue spiegazioni, il grado di fiducia attribuito alla scienza è un fenomeno sociologico, fondato sul consenso sociale stabilito dalla comunità scientifica, il cui potere, all’interno delle società moderne, viene da tutti riconosciuto. La struttura delle rivoluzioni scientifiche secondo T. Kuhn https: //www. youtube. com/watch? v=Dyw. Z 9 kugmco
Scienza normale e rotture epistemologiche Nella storia della scienza si alternano periodi in cui un certo paradigma di ricerca risulta stabilmente condiviso (periodi di scienza normale) e periodi in cui lo stesso entra in crisi (rottura epistemologica, rivoluzione scientifica) La storia della scienza non è processo lineare di progressi che accrescono sempre più la conoscenza, ma è segnata da rotture paradigmatiche (concezione strutturalista) Cosa succede se cambia il paradigma scientifico di riferimento e tentiamo di confrontare tra loro due teorie scientifiche, che appartengono a paradigmi diversi? (per es. cosa succede se confrontiamo tra loro la fisica classica di Galilei-Newton e la fisica contemporanea di Einstein-Planck? ) Le due teorie risulteranno diverse a tal punto da essere inconfrontabili (incommensurabilità di due teorie appartenenti a paradigmi diversi). Infatti, per Kuhn, anche lo stesso termine scientifico (per es. il concetto fisico di “massa”) assume significati diversi in contesti paradigmatici differenti (slittamento semantico).
L’anarchismo metodologico di Feyerabend (esiste un metodo scientifico? ) P. K. Feyerabend (1924 -1994). Scienziato e filosofo americano di origine austriaca. Feyerabend contro l’univocità del metodo scientifico (anarchismo metodologico) https: //www. youtube. com/watch? v=Qqlbmfv. S 4 o. U&t=364 s (45 minuti) http: //www. filosofia. rai. it/articoli/feyerabend-il-metodo-scientifico-univoco/5035/default. aspx (5 minuti) L’unità propone un’intervista a Paul Feyerabend (Vienna, 1924 – Ginevra, 1994), l’epistemologo noto per la sua critica radicale ai fondamenti della moderna scienza occidentale, alla sua pretesa di disporre di un metodo unico e di incarnare un modello superiore di razionalità. Nell’intervista, lo studioso austriaco ribadisce alcuni dei tratti salienti del suo “anarchismo epistemologico”: una quantità di variabili spurie (psicologiche, culturali, ideologiche, ecc. ) compromette l’esistenza di un’aprioristica logica della ricerca scientifica, nel cui ambito non ha senso parlare di verità. La verità in campo scientifico non ha un valore intrinseco ma meramente pratico, perché indica il luogo in cui devono affluire i finanziamenti e concentrarsi gli sforzi dei ricercatori, le cui finalità concrete rispondono a precisi bisogni sociali come l’emergenza ecologica. In realtà, a partire dal celeberrimo saggio Contro il metodo (1975), il bersaglio polemico di Feyerabend è soprattutto la filosofia della scienza, che “pretende di rendere semplice quanto di complesso affermano gli scienziati”. Alla visione monolitica che la tradizione filosofica tende a offrire della scienza egli contrappone una concezione pluralistica che riconosce l’esistenza di una miriade eterogenea di discipline scientifiche e, al contempo, svuota di senso il supposto antagonismo tra episteme e mito. A molte scienze – conclude l’epistemologo – “non farebbe male un pizzico di poesia” Allievo dissidente di Popper, aperto al confronto con Làkatos e Kuhn, sostiene una sorta di anarchismo metodologico. Nell’opera: Contro il metodo (1975), Feyerabend prende le distanze da tutta la filosofia della scienza degli inizi del Novecento, sostenendo che non esiste un modello “unico” di scienza e di metodologia di ricerca scientifica.
Scienza è libertà. Non esiste un metodo unico Esistono molteplici regole-standard, all’interno di una storia caotica, inventiva, fatta di errori e persino di vicende anomale e divertenti, che fanno della storia della scienza un’avventura del pensiero. Le regole di un metodo, di qualsivoglia metodo, dinanzi al momento inventivo della scienza, devono talvolta essere abbandonate e violate. Il progresso stesso nella storia della scienza, spesso avviene grazie alla rottura delle regole e senza un ordine razionale precostituito. Una teoria può essere solo più efficace, non più vera delle altre. Per il progresso della conoscenza qualsiasi cosa possa “funzionare”, anche con gli esiti più imprevedibili, “va bene” (anything goes). Famoso è lo slogan: «Tutto fa brodo» con cui Feyerabend intende riconoscere una conoscenza che attinge alle infinite possibilità e modalità plurime del conoscere stesso: «“Tutto fa brodo” vuol dire solo “non ponete limiti alla vostra immaginazione” perché un’idea molto balzana può portare a un risultato sorprendente» .
Dissolvimento della filosofia della scienza dal neopositivismo a Popper • Perché la scienza sia possibile bisogna quindi lasciarla assolutamente libera di essere ciò che di volta in volta vuole essere. • La libertà non va teorizzata, quanto piuttosto vanno effettuate azioni, che determinino condizioni reali di libertà (pratica di libertà). • Emerge una radicale critica agli atteggiamenti scientisti di quella filosofia della scienza che segue un solo metodo e propone una concezione della realtà unica e valida in quanto “oggettiva”. • Non esiste una scienza con la “S” maiuscola e di conseguenza neanche una filosofia della scienza unica o una verità definitiva. • Il sapere scientifico non è privilegiato, né separato dalle altre forme di sapere, con le quali è interrelato.
Feyerabend e Kuhn Il principio della tenacia — di cui parlano Kuhn e Làkatos — viene sostenuto anche da Feyerabend, a scapito del falsificazionismo di Popper: nessuna teoria scientifica è in grado di spiegare tutti i fatti che si propone di spiegare e non viene abbandonata alla prima difficoltà. L’anarchismo metodologico implica l’incommensurabilità delle teorie tra loro (cfr. Kuhn), la varianza continua del significato dei concetti scientifici (per es. , il concetto di “massa” assume significati differenti a seconda si parli della teoria newtoniana o di quella einsteiniana), la libera proliferazione di teorie alternative, dove l’unico criterio di scelta è di tipo pragmatico.
Caratteri generali dell’epistemologia post-neopositivistica Tra i fautori: Kuhn, Làkatos, Feyerabend ecc. Posizioni critiche nei cfr. del neopositivismo logico e talvolta anche nei cfr. di Popper (si parla anche di epistemologia post-popperiana), riassumibili per punti come segue: • Esperienza e teoria sono inestricabilmente intrecciati tra loro, poiché i “fatti” sono dati solo entro una cornice di riferimento teorico (anti-fattualismo o anti-empirismo). Non solo si abbandonano le teorie, ma talvolta vengono abbandonate anche le osservazioni, quando non trovano spazio entro un quadro concettuale o teorico di riferimento. Il vero confronto non è tra teorie e osservazioni, ma tra teorie in competizione che cercano di descrivere la realtà (Lakatos). • Nella comprensione in concreto della scienza, maggior importanza viene data alla conoscenza del suo sviluppo storico. Viene criticato l’approccio puramente formale volto a scoprire una presunta “logica della scienza” (Lakatos: «la filosofia della scienza senza la storia della scienza è vuota» ). • In particolare, nella storia della scienza, andranno sottolineati i momenti di rottura epistemologica, ossia l’alternanza tra momenti di “scienza normale” e crisi, rivoluzioni, in cui si assiste a veri e propri cambiamenti di “paradigma” (Kuhn). • La considerazione che la storia della scienza non è un percorso lineare e continuo, ma procede anche per rotture e salti bruschi, porta dall’idea di progresso scientifico (inteso come un incremento continuo delle conoscenze) a quella dell’incommensurabilità delle teorie (Kuhn, Feyerabend). • Occorre considerare non solo la “storia interna” della scienza, ma anche il condizionamento dei fattori extrascientifici (sociali, pratici, metafisici, culturali ecc. ) sull’attività scientifica.
• Si tende sempre più a valutare la scienza non tanto per la sua “verità”, ma per la sua “efficacia” (relativismo-pragmatico). Ciò comporta anche l’idea della pluralità dei saperi e delle scienze. Tramonta la pretesa del riduzionismo (vedi il fisicalismo di Neurath), che pensava di ridurre la pluralità dei linguaggi delle scienze al linguaggio unico della fisica. • Tramonta il mito della Ragione e del primato della scienza come forma privilegiata di conoscenza. • Si assiste al dissolvimento delle domande dell’epistemologia classica (cos’è la scienza? cos’è il metodo? esistono criteri per valutarne il progresso? ecc. ) con la conseguente crisi di un concetto univoco di scienza e di metodo. Contro questi esiti relativistici, insorge il realismo popperiano, che ritiene che la scienza progredisca se non altro per il fatto di produrre descrizioni sempre più verosimili, ossia vicine alla verità, intesa come ideale di conoscenza esaustiva. • Si attenua la polemica antimetafisica del neopositivismo logico. Viene riconosciuta la funzione positiva delle metafisiche nella scienza (ideali regolativi della ragione scientifica per Popper). In ogni paradigma scientifico vi sono elementi metafisici o quasi metafisici (Kuhn). Lo sfondo metafisico influenza la scienza di un’epoca (Koyré), offrendo alla ricerca scientifica «modelli di attesa fondamentali» (Toulmin). • Occorre considerare anche il ruolo dell’immaginazione nel contesto della scoperta scientifica (Bachelard).
Ancora sulla questione del realismo nella conoscenza scientifica
Il rapporto tra fatti e teorie emersi nell’epistemologia postpositivista Il primato della teoria sulle osservazioni, mostra come i “fatti” con cui la scienza si confronta siano intrisi di teoria più di quanto non si voglia ammettere (i fatti si direbbero quasi prodotti dalla teoria). Per cui, la conoscenza scientifica è “condizionata”, è tutt’altro che “invariante” e “oggettiva” rispetto all’intero contesto extrascientifico su cui insiste. L’idea ha implicazioni anche nella vita civile, in quanto la scienza è una forma di sapere calata nella realtà sociale. Il suo contributo alla ricerca di una pretesa verità “oggettiva” va valutato nei termini del contributo che tale ricerca può dare allo sviluppo etico e sociale dell’umanità.
Il realismo interno di H. Putnam (1) A partire dalla metà degli anni Settanta – in particolare dall’ultima parte di Meaning and the Moral Sciences (1978), e ancor più da Models and Reality (1977) e Reason, Truth and History (1981) – Putnam gradualmente abbandona il realismo scientifico (si veda Alai 1989 a, cap. I), che, come dicevamo, ora chiama “metafisico”, e abbraccia una posizione più pragmatica che lui stesso definisce realismo interno (successivamente chiamato anche realismo pragmatico, o dal volto umano)
Il realismo interno di H. Putnam (2) • Il mondo, la sua descrizione, non esiste più indipendentemente dalla mente, ma “esiste” solo attraverso gli strumenti che usiamo per conoscerlo, quindi il punto di vista non è più “esterno”, ma è “interno” alle nostre teorie. • Ogni domanda sul mondo (quale, ad esempio: “Di quali oggetti esso consiste? ”), ha senso all’interno e dal punto di vista di un certo apparato concettuale teorico. L’ontologia, l’insieme degli oggetti che noi riconosciamo come esistenti, viene ad essere determinata in base a una teoria che noi assumiamo sulla costituzione del mondo (per es. , l’elettrone non esiste più necessariamente “in sé” ma in quanto è contemplato da una teoria fisica che ci permette anche solo di parlarne). • L’idea di un mondo “in sé” composto da determinati oggetti viene meno poiché siamo noi uomini a dividerlo in oggetti, relazioni, proprietà, ecc. , in base ai nostri scopi e valori. Il mondo, anche se può essere causalmente indipendente dalla mente umana, non lo è ontologicamente, in quanto la sua struttura (la sua divisione in generi, individui, categorie) viene a essere funzione degli schemi concettuali umani. È un po’ l’idea kantiana della dipendenza della conoscenza del mondo dalle nostre categorie del pensiero. • Tale realismo rinuncia a qualsiasi impegno nei confronti di oggetti indipendenti dalla mente e “relativizza l’ontologia a schemi concettuali”, quindi concetti quali verità, riferimento, sono interni al quadro teorico (cioè alla “versione” che assumiamo del mondo, come Putnam la chiama in The Many Faces of Realism) che noi di volta in volta usiamo per servire le nostre finalità contingenti. Non vi è più, quindi, una verità che, come nel realismo metafisico, è indipendente dalle facoltà conoscitive umane.
Esistono sempre diverse descrizioni della stessa realtà Di una medesima stanza, un fisico e un arredatore daranno descrizioni differenti ma entrambe saranno descrizioni di come essa è realmente, sebbene viste da prospettive differenti e dettate da interessi e pratiche differenti. Per esempio, possiamo dire che è costituito da mattoni e cemento, oppure da campi e particelle, ma tali descrizioni non sono riducibili l’una all’altra, e nessuna di esse, anche se appartenesse alla teoria scientifica più avanzata, è la descrizione del mondo. Piuttosto, entrambe le descrizioni parlano delle stesse cose. Da ciò ne consegue un realismo è indebolito, ma un importante elemento di oggettività rimane, ossia dove si postula che le nostre interpretazioni poggiano su un sostrato di fatti indipendenti: «Noi possiamo e dobbiamo insistere nel dire che ci sono alcuni fatti, non costituiti da noi, da scoprire” (H. Putnam, Mente, linguaggio e realtà, 1987). Quindi non basta la coerenza interna alle nostre teorie: esse devono anche “rispondere” all’esperienza. Nel contempo, però, si devono anche ammettere più descrizioni vere del mondo, nel senso che non solo tali descrizioni sono formulazioni linguistiche differenti, ma anche nel senso che gli oggetti che esse descrivono sono diversi poiché sono proprio tali formulazioni a specificare i “fatti” di cui si sta parlando. Insomma, possiamo dire che ci sono fatti da scoprire «solo dopo aver adottato un modo di parlare, un linguaggio, uno ‘schema concettuale’. Parlare di ‘fatti’ senza aver specificato in quale linguaggio stiamo parlando è parlare di nulla» (ibid. ).
Realismo interno non significa relativismo irresponsabile • Il risvolto fondamentale del realismo interno è il relativismo concettuale, il che vuol dire che c’è sì un mondo là fuori (e quindi c’è compatibilità col realismo), ma tale mondo non è “bell’e pronto”: è invece un mondo dell’uomo, il cui accostamento al concetto di verità non è appunto più metafisico (non c’è più la ricerca di una “teoria vera”), ma gnoseologico, senza comunque cadere nell’empirismo. C’è il mondo, ma è solo l’uomo che può rappresentarlo. • Ma anche se nessuna delle nostre descrizioni può essere scientificamente dimostrata come l’unica e vera descrizione del mondo, questo non fa sfociare in un radicale “relativismo irresponsabile”, in quanto non tutte le descrizioni sono corrette, e quelle corrette non sono determinate soggettivamente: “Ciò che diciamo del mondo riflette le nostre scelte concettuali e i nostri interessi, ma la sua verità o falsità non è determinata semplicemente dalle nostre scelte concettuali e dai nostri interessi” (Putnam Il pragmatismo: una questione aperta, 1992) (vedi appendice) Relativismo concettuale sostenuto da Putnam Relativismo irresponsabile
Che senso ha la conoscenza scientifica?
Husserl e la crisi (di senso) delle scienze contemporanee Nella Crisi delle scienze europee (1936), E. Husserl sostiene che la crisi e la perdita di senso dell’intera civiltà occidentale inizia nel momento in cui essa perde di vista il «mondo della vita» (Lebenswelt), sostituendone il senso e la sostanza con i vuoti formalismi delle astrazioni matematiche e le oggettivanti descrizioni della realtà attraverso le procedure e gli schemi concettuali del metodo scientifico ( «sostruzione» ). All'origine di tutto ciò vi sarebbe la matematizzazione della natura operata da Galileo, ossia l'utilizzo, l'applicazione delle matematiche allo studio della natura: «dalla celebre dottrina galileiana della mera soggettività delle qualità specificatamente sensibili» deriva «la dottrina della soggettività di tutti i fenomeni concreti della natura» . La natura viene analizzata solo sotto il profilo matematico - e quindi solo come realtà quantitativa, mentre le qualità sensibili tendono sempre più a perdere di valore. Ciò condanna alla dimenticanza i problemi del senso o del non senso dell'esistenza umana nel suo complesso, da sempre affrontati nella metafisica, e il mondo si spacca in due: natura e mondo psichico, ove però, quest'ultimo, finisce per dipendere dal primo. Anceh Cartesio prese le mosse da qui con la sua celebre distinzione res cogitans/res extensa.
Wittgenstein. Il problem solving della scienza non risponde a tutte le domande dell’esistenza La crisi delle scienze occidentali non indica una perdita della loro efficacia; anzi il potere predittivo e manipolatorio della tecnoscienza aumenta sempre più. Si tratta piuttosto di crisi di senso. In altre parole, la scienza non risponde ai problemi di senso dell’esistenza umana. «Noi sentiamo che anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta» (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus 6. 52)
La conoscenza della conoscenza. Considerazioni filosofiche sulla scienza e sulla conoscenza più in generale • Cosa gli scienziati pensano della scienza (e della filosofia della scienza). Einstein filosofo e scienziato • E. Morin e il paradigma della complessità • G. Bachelard (oltre la «filosofia dei filosofi» ) • M. Serres (pensare è inventare)
Einstein e i limiti della filosofia della scienza «Non appena l’epistemologo, nella sua ricerca di un sistema chiaro, riesce ad aprirsi la via verso di esso, è portato a interpretare il contenuto di pensiero della scienza secondo il suo sistema, e a rifiutare tutto ciò che al suo sistema non si adatta. Lo scienziato, però, non può spingere fino a questo punto la sua esigenza di una sistematica epistemologica; ma le condizioni esterne, che per lui sono date dai fatti dell’esperienza, non gli permettono di accettare condizioni troppo restrittive, nella costruzione del suo mondo concettuale, in base all’autorità di un sistema epistemologico. È inevitabile, quindi, che appaia all’epistemologo sistematico come una specie di opportunista senza scrupoli: che egli appaia come realista, poiché cerca di descrivere il mondo indipendentemente dagli atti della percezione; come un idealista, poiché considera i concetti e le teorie come libere invenzioni dello spirito umano (non deducibili logicamente dal dato empirico); come un positivista, poiché ritiene che i suoi concetti e le sue teorie siano giustificati soltanto nella misura in cui forniscono una rappresentazione logica delle relazioni tra esperienze sensoriali. Può addirittura sembrargli un platonico o un pitagorico, in quanto considera il criterio di semplicità logica come strumento indispensabile ed efficace della sua ricerca» (A. Einstein, “Replica alle osservazioni di vari autori”, in P. A. Schlipp (ed. ), Albert Einstein scienziato-filosofo (1949), Bollati Boringhieri, Torino 1958, pp. 609 -35, p. 630.
Einstein e Hadamard. Il processo creativo nella scoperta scientifica A. Einstein J. S. Hadamard «Sarebbe utile per la ricerca psicologica sapere di quali immagini interne o mentali, di quale genere di parole interne, facciano uso i matematici e se queste siano motorie, auditive, visive, miste, a seconda dell’argomento studiato» «Non mi sembra che le parole o il linguaggio, scritto o parlato, abbiano alcun ruolo nel meccanismo del mio pensiero. Le entità psichiche sembrano servire da elementi del pensiero sono piuttosto alcuni segni e immagini più o meno chiare che possono essere riprodotti e combinati “volontariamente”. Ovviamente, sussiste una relazione di un qualche tipo tra questi elementi e i concetti logici pertinenti. È anche chiaro come alla base del gioco piuttosto vago di tali elementi si trovi il desiderio di arrivare infine a concetti logicamente connessi tra di loro. Ma da un punto di vista psicologico, questo gioco combinatorio sembra essere il tratto caratteristico del pensiero produttivo — prima che ci sia alcuna connessione con la costruzione logica in parole o in altri segni che si possano comunicare ad altri. Gli elementi sopra menzionati sono, nel mio caso, di tipo visivo, e a volte muscolare. Bisogna cercare laboriosamente le parole convenzionali e gli altri segni solo in uno stadio secondario, dopo che il già citato gioco di associazioni si sia stabilizzato a sufficienza e possa essere riprodotto a volontà. In accordo con quanto detto, il gioco con questi elementi è indirizzato al fine di essere analogo a certe connessioni logiche si stanno ricercando. […]. Nello stadio in cui intervengono le parole esse sono, nel mio caso, puramente auditive, ma interferiscono solo in uno stadio secondario, come già detto»
Conoscere la conoscenza. Il paradigma della complessità del reale Piuttosto che dare una definizione di complessità del reale, E. Morin (1990) preferisce indicare una serie di percorsi che conducono ad essa come nuovo paradigma per conoscere la conoscenza: -irriducibilità del caso o del disordine -inclusione di singolarità, località e temporalità -relazioni di interdipendenza tra parti del sistema -complementarità tra ordine, disordine e organizzazione -inclusione dell’osservatore nell’osservazione. Morin mette in evidenza una serie di principi, indicati come strumenti per un approccio epistemologico adeguato, una volta che si sia riconosciuta la complessità del reale. I tre principi sono: il principio dialogico, il principio ricorsivo e il principio ologrammatico.
Principio dialogico, ricorsivo e ologrammatico Il principio dialogico è in qualche misura affine a quello che viene comunemente inteso come dialettico, in quanto momento di sintesi tra opposti. Il principio ricorsivo è quello che troviamo operante nei sistemi che con circolarità causale determinano i processi della propria stessa produzione. Il principio ologrammatico è quello che troviamo laddove l’insieme è composto di parti le quali a loro volta contengono informazione relativa all’insieme nella sua interezza. Propriamente, un ologramma è la registrazione di un’immagine tridimensionale basata sulla luce laser; la caratteristica che conduce Morin ad utilizzarlo in chiave analogica è quella per la quale l’informazione relativa all’immagine è diffusa su tutta la lastra olografica, facendo sì che anche partendo da un pezzo della lastra stessa sia possibile ottenere (con perdita di risoluzione) l’immagine di partenza.
Ogni teoria della complessità deve includere il teorizzatore nella teoria stessa «[…] qualunque sia la teoria, e di qualunque cosa tratti, essa deve rendere conto di ciò che rende possibile la produzione della teoria stessa. Se in ogni modo non è in grado di rendere conto di ciò, deve pur sapere che il problema rimane posto» (E. Morin, Le vie della complessità) Anche in cosmologia assistiamo al «principio antropico» per il quale la teoria della formazione dell’universo deve render conto della coscienza umana e dell’emergere della vita stessa. È chiaro che le indicazioni epistemologiche di Morin vanno intese come guida alla costruzione di un punto di vista adeguato alla complessità del reale, un punto di vista che superi il tradizionale riduzionismo e la linearità dei rapporti causa-effetto, in favore di una visione olistica di tipo circolare.
G. Bachelard. L’ostacolo epistemologico: la filosofia e la scienza «Quando si ricercano le condizioni psicologiche del progresso scientifico, si giunge ben presto alla convinzione che dobbiamo porre il problema della conoscenza scientifica in termini di ostacoli. […] E’ qui che mostreremo cause di stagnazione e persino di regressione della scienza, è qui che scopriremo quelle cause d’inerzia che chiameremo ostacoli epistemologici. La conoscenza del reale è una luce che proietta sempre da qualche parte delle ombre. Essa non è mai immediata e piena. Le rivelazioni del reale sono sempre ricorrenti. Il reale non è mai “ciò che si potrebbe credere” ma è ciò che si sarebbe dovuto pensare. […] Di fronte al reale, ciò che si crede di sapere chiaramente offusca ciò che si dovrebbe sapere. Quando si presenta alla cultura scientifica, lo spirito non è mai giovane. E’ anzi molto vecchio, perché ha l’età dei suoi pregiudizi. Accedere alla scienza vuol dire, spiritualmente, ringiovanire, vuol dire accettare una brusca mutazione che deve contraddire il passato. […] Un ostacolo epistemologico s’incrosta sulla conoscenza non problematizzata. Abitudini intellettuali che furono utili e sane possono, alla lunga, ostacolare la ricerca. […] Un epistemologo irriverente diceva [. . . ] che i grandi uomini sono utili alla scienza nella prima metà della loro vita, nocivi nella seconda metà. [. . . ] Viene un momento in cui lo spirito ama più ciò che conferma il proprio sapere a ciò che lo contraddice, più le risposte che le domande. Allora l’istinto conservativo domina e la crescita spirituale si ferma» (G. Bachelard, La formation de l’esprit scientifique, 1938)
«La scienza non ha la filosofia che si merita» (G. Bachelard) • Contro la filosofia dei filosofi e per un nuovo dialogo tra filosofia e scienza • La filosofia del non • L’ostacolo epistemologico e le rotture epistemologiche • Il nuovo spirito scientifico e il ruolo dell’immaginazione
M. Serres. Pensare è inventare. La filosofia apre con il suo domandare eccedente lo spazio della scienza e di ogni pratica conoscitiva «La filosofia è un’anticipazione dei pensieri e delle pratiche future. Altrimenti, si riduce al commento, cioè ad una sottosezione della storia, e neanche della migliore. Oppure ad una sotto-sezione della linguistica e della logica, e neanche delle migliori. Non solamente essa deve inventare, ma inventa il suolo comune alle invenzioni future. Ha la funzione d’inventare le condizioni dell’invenzione» (M. Serres) Michel Serres: "Cari filosofi, fermate i danni dell'ipertrofia tecnologica" http: //www. repubblica. it/cultura/2015/04/18/news/michel_serres_car i_filosofi_fermate_i_danni_dell_ipertrofia_tecnologica_-112269911/ Pensare è anticipare! La filosofia di Michel Serres (Alfabeta 2) https: //www. alfabeta 2. it/2017/10/07/speciale-pensareanticipare-la-filosofia-michel-serres/ Doppio zero. Sei domande a Michel Serres http: //www. doppiozero. com/materiali/sei-domandemichel-serres «È vicino all’acqua che ho meglio compreso che il fantasticare è un universo in espansione, un soffio di odori che fuoriesce dalle cose per mezzo di una persona che sogna» (G. Bachelard)
Sitografia consigliata (excursus generali di filosofia della scienza) Breve introduzione alla filosofia della scienza (R. Festa) https: //www. dropbox. com/s/40 aq 5 ajmx 467673/Festa%20 -%20 Breve%20 intro%20 alla%20 Fd. S%202016 -17. pdf? dl=0 Corso di filosofia della scienza (M. Pelillo) http: //www. dsi. unive. it/~pelillo/Didattica/Storia%20 e%20 filosofia%20 della%20 scienza/Slide/10%20%20 La%20 filosofia%20 della%20 scienza%20 nel%20 XX%20 secolo. pdf Altri ppt di filosofia della scienza disponibili su Slideshare http: //slideplayer. it/slide/8639570/ http: //slideplayer. it/slide/977387/
Appendice Pagine scelte Heisenberg e Putnam sul problema del realismo e del rapporto tra teorie e fatti E. Severino, Dalla Filosofia antica alla scienza moderna. La volontà di dominio M. Heidegger, La questione della tecnica
Evoluzione delle idee filosofiche dopo Descartes in riferimento alla nuova situazione determinatasi in seguito alla teoria dei quanta di W. Heisenberg (tratto da Filosofia e scienza, 1958)
Sulla teoria della verità come corrispondenza di H. Putnam (tratto da Ragione, verità e storia, 1981
E. Severino, Dalla filosofia antica alla scienza moderna. La volontà di dominio Emanuele Severino mette in evidenza che la scienza moderna nasce dalla volontà di dominio sulla natura, accompagnata a proponimenti di tipo morale o religio. «La scienza moderna è una critica radicale della filosofia tradizionale, soprattutto di quella aristotelica. Ma non nel senso che la scienza moderna rifiuta in blocco l'esperienza filosofica del passato, bensí nel senso che opera una critica radicale della fisica del passato, e soprattutto di quella aristotelica, che all'inizio dell'età moderna si presenta come il culmine della filosofia della natura. È la critica perentoria rivolta dalla nuova scienza alla fisica aristotelica - ritenuta un cardine fondamentale dell'intero edificio filosofico - a ingenerare la convinzione che tale edificio sia pericolante e vada pertanto costruito da capo. Bacone chiama appunto instauratio magna (“grande rinnovamento”) questa ricostruzione [. . . ]. E Galileo vuole solo “accordare qualche canna di questo grande organo discordato” che è la filosofia, vuole cioè accordare la canna della filosofia della natura, lasciando ad altri il compito di accordare l'intero organo. E in contrapposizione al vecchio Organon aristotelico (il termine greco órganon significa innanzitutto “strumento”, e órganon venne chiamata la logica aristotelica: strumento che aiuta a conoscere la verità). Bacone scrive appunto il Novum Organum, di cui però anch'egli tenta di accordare solo qualche canna, anche se la sua critica al passato ha dimensioni molto piú ampie di quella galileiana e piú dettagliata è la sua ispezione del vecchio, pericolante edificio della conoscenza. Bacone afferma che la scienza è potenza, capacità di dominio sulla natura. Il valore della scienza è la capacità di instaurare il regnum hominis nel mondo. La Terra, afferma Galilei, “noi cerchiamo di nobilitarla e perfezionarla”: anche per lui la scienza non è semplice contemplazione, ma dominio, potenza. (Che poi la scienza “nobiliti” e “perfezioni” la terra è un proponimento e un giudizio morale o religioso, non è un giudizio scientifico). L'esperimento, riproducendo realmente le condizioni di isolamento di un certo fenomeno, è già una forma di dominio della natura e, scoprendo la legge secondo cui il fenomeno si realizza (la legge che lo unisce a un altro fenomeno), mette l'uomo in grado di dominare metodicamente la natura. Ma la scienza, proponendosi il dominio metodico della realtà naturale, continua a intendere in modo realistico il rapporto fra tale realtà e la conoscenza scientifica: la realtà vera e propria esiste indipendentemente dalla conoscenza umana, è esterna alla mente dell'uomo ed è per altro conoscibile dall'uomo - anche se, per Galilei e per poi tutta la scienza moderna, è solo la conoscenza matematica in grado di cogliere quella struttura quantitativa che costituisce la realtà vera e propria» . (E. Severino, La filosofia moderna, Rizzoli, Milano, 1984, pagg. 31 -33) Vedi anche I fondamenti del sapere scientifico e le sue contraddizioni http: //www. corriere. it/cultura/16_marzo_04/emanuele-severino-contraddirsimeglio-di-no-715 d 60 f 0 -e 225 -11 e 5 -b 31 b-034 bb 632 a 08 d. shtml Dialogo intorno alle scienze del XXI secolo (Severino, Rovelli, Salvati, Provasi) Video Durata 2, 30 h https: //www. youtube. com/watch? v=-D 2 f 3 KXa. Ti. Q
M. Heidegger, La questione della tecnica (1953) Sitografia consigliata http: //www. culturedigitali. org/heidegger-gestell-questione-tecnica/ https: //www. ariannaeditrice. it/articolo. php? id_articolo=1268 https: //costruttiva-mente. blogspot. it/2015/01/sulla-questione-della-tecnica-in-m. html http: //www. discorsivo. it/magazine/2012/09/17/heidegger-e-la-tecnica-come-svelamento/ http: //digilander. libero. it/moses/heidegger 11. html https: //www. nuovadidattica. net/archivio/attivita/creazioni/lorienteoccidente/capitolo 2/heidegger%20 -%20 parziale 1. htm
«Tutti conoscono le due risposte che si danno alla nostra domanda. La prima dice: la tecnica è un mezzo in vista dei fini. L'altra dice: la tecnica è un'attività dell'uomo. Queste due definizioni della tecnica sono connesse. Proporsi degli scopi e apprestare e usare i mezzi in vista di essi, infatti, è un'attività dell'uomo. All'essenza della tecnica appartiene l'apprestare e usare mezzi, apparecchi e macchine, e vi appartengono anche questi apparati e strumenti stessi, come pure i bisogni e i fini a cui essi servono. La totalità di questi dispositivi è la tecnica. Essa stessa è un dispositivo, o in latino, un instrumentum. La rappresentazione comune della tecnica, per cui essa è un mezzo e un'attività dell'uomo, può perciò denominarsi la definizione strumentale e antropologica della tecnica. Chi vorrà negare che sia esatta? Essa si conforma chiaramente a ciò che si ha davanti gli occhi quando si parla di tecnica. La definizione strumentale di tecnica è così straordinariamente esatta che vale anche per la tecnica moderna, la quale peraltro viene generalmente considerata, e con una certa ragione, qualcosa di completamente diverso dalla tecnica artigianale del passato. Anche una centrale elettrica, con le sue turbine ed i suoi generatori, è un mezzo apprestato dall'uomo per uno scopo posto dall'uomo. […] Ma nell'ipotesi che la tecnica non sia un puro mezzo che ne sarà della volontà di dominarla? […] Fino a che non ci dedicheremo a questi problemi, la causalità, e con essa la strumentalità, e insieme con questa la definizione corrente della tecnica, resteranno qualcosa di oscuro e non-fondato. [Le cause. ] L'argento è ciò di cui il calice è fatto. In quanto materia di esso, è corresponsabile del calice. Questo deve all'argento ciò in cui consiste. Ma l'oggetto sacrificale non rimane debitore solo dell'argento. In quanto calice, ciò che è debitore dell'argento appare nell'aspetto di calice e non di fibbia o di anello. L'oggetto sacrificale è quindi anche debitore dell'aspetto di calice. L'argento, in cui l'aspetto di calice è fatto entrare, e l'aspetto in cui l'argento appare, sono entrambi corresponsabili dell'oggetto sacrificale. Responsabile di esso rimane però, anzitutto un terzo. Questo è ciò che preliminarmente racchiude il calice nel dominio della consacrazione dell'offerta. Da questo esso è circoscritto come oggetto sacrificale. Ciò che circoscrive de-finisce la cosa. Ma con tale fine la cosa non cessa, anzi a partire da essa comincia ad essere ciò che sarà dopo la produzione. Ciò che de-finisce e compie, in questo senso, si chiama in greco telos, termine che troppo spesso si traduce con "fine" o "scopo" travisandone il senso. Il telos risponde di ciò che, come materia e come aspetto, è corresponsabile dell'oggetto sacrificale. C'è infine un quarto corresponsabile della presenza e dell'esser disponibile dell'oggetto sacrificale compiuto: è l'orafo, ma non in quanto egli operando, causi il calice compiuto come effetto di un fare, cioè non in quanto causa efficiens. La dottrina di Aristotele non conosce né la causa che si indica con un tal nome, né usa un termine greco corrispondente. L'orafo considera e raccoglie i tre modi menzionati dell'esser-responsabile. Riflettere, considerare, in greco si dice legein, lògos. Questo si fonda sull'hypokeìmenon, il far apparire. L'orafo è corresponsabile come ciò da cui la produzione e il sussistere del calice sacrificale ricevono la loro prima emergenza e la conservano. I tre modi dell'esser-responsabile menzionati prima devono alla considerazione dell'orafo il fatto ed il modo del loro apparire ed entrare in gioco nella produzione del calice sacrificale. Nell'oggetto sacrificale presente e disponibile si dispiegano quindi quattro modi dell'esser responsabile. Sono distinti fra loro e tuttavia connessi. Che cos'è che li tiene preliminarmente uniti? A che livello si costituisce la connessione dei quattro modi dell'essere responsabile? Donde proviene l'unità delle quattro cause? Che cosa significa, insomma, pensato in modo greco, questo esser responsabile? Noi moderni siamo troppo facilmente inclini a intendere l'esser responsabile in senso morale, come una mancanza, oppure a interpretarlo come un operare. In entrambi i casi ci precludiamo la via a capire il senso originario di ciò che più tardi è stato chiamato causalità. Finché questa via non è aperta, neppure potremo scorgere che cosa sia propriamente la strumentalità che si fonda sulla causalità.
Per difenderci da tali fraintendimenti dell'esser-responsabile, cerchiamo di chiarire i suoi quattro modi a partire da ciò di cui essi rispondono. Nel nostro esempio, essi rispondono dell'esser dinanzi a noi e disponibile del calice d'argento come oggetto sacrificale. L'esser dinnanzi a noi e l'esser disponibile caratterizzano la presenza di una cosa-presente. I quattro modi dell'esser-responsabile portano qualcosa all'apparire. Fanno sì che questo qualcosa si avanzi nella presenza. Essi lo liberano per questo suo avanzare, cioè per il suo compiuto avvento. L'esser responsabile ha il carattere fondamentale di questo lasciar-avanzare nell'avvento. Nel senso di questo lasciar avanzare l'esser-responsabile è il far avvenire. Sulla base del senso che i greci annettevano all'esser-responsabile, alla aitia, noi diamo ora all'espressione far-avvenire un significato più ampio, in modo che esso indichi l'essenza della causalità nel senso greco. Il significato comune e ristretto del termine "cagionare" esprime invece solo qualcosa come una spinta od un impulso iniziale, e indica una specie secondaria di causa nell'insieme di causalità. In che ambito si dispiega la connessione dei quattro modi del far-avvenire? Essi fanno avvenire nella presenza ciò che non è ancora presente. Essi sono dunque tutti egualmente dominati da un portare, quello che porta ciò che è presente all'apparire. Che cosa sia questo portare, ce lo dice Platone in un passo del Simposio: "Ogni far-avvenire di ciò che - qualunque cosa sia - dalla non presenza passa e si avanza nella presenza è pro-duzione. [Disvelatezza. ] Pro-duzione si da solo in quanto un nascosto viene nella disvelatezza […] Ma dove siamo andati a perderci? Il nostro problema è quello della tecnica, e ora siamo arrivati all' aletheia, al disvelamento. Che ha da fare l'essenza della tecnica con il disvelamento? Rispondiamo: tutto […] Se poniamo con ordine il problema di che cosa sia veramente la tecnica concepita come mezzo, arriviamo passo al disvelamento. In esso si fonda la possibilità di ogni azione producente. La tecnica, dunque, non è semplicemente un mezzo. La tecnica è un modo del disvelamento Se facciamo attenzione a questo fatto, ci si apre davanti un ambito completamente diverso per l’essenza della tecnica. E’ l’ambito del disvelamento, cioè la verità. […] Che cos'è la tecnica moderna? Anch'essa è disvelamento. Solo quando fermiamo il nostro sguardo su questo tratto fondamentale ci si manifesta quel che vi è di nuovo nella tecnica moderna. Il disvelamento che governa la tecnica moderna, tuttavia, non si dispiega in un pro-durre nel senso della poiesis. Il disvelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione la quale pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta e accumulata. Ma questo non vale anche per l’antico mulino a vento? No. Le sue ali girano sì spinte dal vento, e rimangono dipendenti da suo soffio. Ma il mulino a vento non ci mette a disposizione le energie delle sue correnti aree perché le accumuliamo. […] All’opposto, una determinata regione viene pro-vocata a fornire all’attività estrattiva carbone e minerali. La terra si disvela ora come bacino carbonifero, il suolo come riserva di minerali. In modo diverso appare il terreno che un contadino coltivava, quando coltivare voleva ancora dire accudire e curare. […] L’agricoltura è diventata industria meccanizzata dell’alimentazione. La centrale idroelettrica non è costruita nel Reno come l’antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all’altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella costruzione della centrale. Esso è ciò che ora, come fiume, è, cioè produttore di forza idrica, in base all’essere della centrale. […] Il disvelamento che governa la tecnica moderna ha il carattere dello Stellen, del ‘richiedere’ nel senso della pro-vocazione. […La provocazione è un ] promuove in quanto apre e mette fuori. Questo promuovere, tuttavia, rimane fin da principio orientato a promuovere, cioè a spingere avanti, qualcosa d'altro verso la massima utilizzazione ed il minimo costo. Il carbone estratto nel bacino carbonifero non è richiesto solo affinché sia in generale e da qualche parte disponibile. Esso è immagazzinato, cioè "messo a posto" in vista dell'impiego del calore solare in esso accumulato. Quest'ultimo viene provocato a riscaldare, e il riscaldamento prodotto è impiegato per fornire vapore la cui pressione muove il meccanismo mediante il quale una fabbrica resta in attività. [Il fondo. ] La parola "fondo" prende qui il significato di un termine-chiave. Esso caratterizza nientemeno che il modo in cui è presente tutto ciò che ha rapporto al disvelamento provocante. Ciò che sta nel senso del "fondo", non ci sta più di fronte come oggetto. […]
Eppure un aereo da trasporto che sta sulla sua pista di decollo è ben un oggetto. Sicuro. Possiamo rappresentarci la macchina in questi termini. Ma in tal caso essa si nasconde nel che cosa e nel come del suo essere. Si disvela, sulla sua pista, solo in quanto "fondo", nella misura in cui è impiegata per assicurare la possibilità del trasporto. In vista di ciò bisogna che essa, in tutta la sua struttura, in ognuna delle sue parti costitutive, sia pronta all'impiego, cioè pronta a partire. (Qui sarebbe il luogo di discutere la definizione hegeliana della macchina come strumento indipendente. ) Confrontata con lo strumento del lavoro artigianale, questa caratterizzazione è giusta. Solo che, appunto, la macchina viene in tal modo pensata in base all'essenza della tecnica, alla quale invece appartiene. Vista dal punto di vista del "fondo", la macchina è il puro e semplice contrario dell'indipendenza; essa ha infatti la sua posizione solo in base all'impiego dell'impiegabile. Il fatto che, in questo nostro sforzo di mostrare la tecnica moderna come disvelamento pro-vocante, si facciano avanti termini come "richiedere", "impiegare", "fondo", e si accumulino in un modo scarno, uniforme e perciò anche noioso - tutto questo ha la sua ragion d'essere in ciò che qui viene in questione. Chi compie il richiedere provocante mediante il quale ciò che si chiama il reale viene disvelato come "fondo"? Evidentemente l'uomo. In che misura egli è capace di un tale disvelamento? L'uomo può bensì rappresentarsi questa o quella cosa in un modo o in un altro, e così pure in vari modi foggiarla e operare con essa. Ma nella disvelatezza entro la quale di volta in volta il reale si mostra o si sottrae, l'uomo non ha alcun potere. Il fatto che a partire da Platone il reale si mostri alla luce di idee non è qualcosa che sia stato prodotto da Platone. Il pensatore ha solo risposto a ciò che gli ha parlato. Solo nella misura in cui l'uomo è già, da parte sua, pro-vocato a mettere allo scoperto le energie della natura, questo disvelamento impiegante può verificarsi. Se però l'uomo è in tal modo pro-vocato e impiegato, non farà parte anche lui, in modo ancora più originario che la natura, del "fondo"? Il parlare comune di "materiale umano", di "contingente di malati" di una clinica, lo fa pensare. La guardia forestale che nel bosco misura il legname degli alberi abbattuti e che apparentemente segue nello stesso modo di suo nonno gli stessi sentieri è oggi impiegata dall'industria del legname, che lo sappia o no. […] [L’uomo] non diventa mai puro ‘fondo. ’ […] Nell'imposizione accade la disvelatezza conformemente alla quale il lavoro della tecnica moderna disvela il reale come "fondo". Essa non è dunque soltanto un'attività dell'uomo, né un puro e semplice mezzo all'interno di tale attività. La concezione puramente strumentale, puramente antropologica, della tecnica, diventa caduca nel suo principio; né si può completarla mediante la semplice aggiunta di una spiegazione religiosa o metafisica. Resta vero, comunque che l'uomo dell'età della tecnica è pro-vocato al disvelamento in un modo particolarmente rilevante. Tale disvelamento concerne anzitutto la natura come principale deposito di riserve di energia. […] Il destino del disvelamento è in sé stesso non un pericolo qualunque, ma il pericolo. […] L'uomo cammina sull’orlo estremo del precipizio, cioè là dove egli stesso può essere preso solo più come un 'fondo'. E tuttavia proprio quando è sotto questa minaccia l'uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l'apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell'uomo. Questa apparenza fa maturare un'ultima ingannevole illusione. E' l'illusione per la quale sembra che l'uomo, dovunque, non incontri più altri che sé stesso. […] Ma dove c’è il pericolo, cresce Anche ciò che salva (Hölderlin) […] Così - contrariamente a ogni nostra aspettativa - ciò che costituisce l'essere della tecnica alberga in sé il possibile sorgere di ciò che salva. Per questo, ciò che importa è che noi meditiamo su questo sorgere e lo custodiamo rimemorandolo. In che modo? Anzitutto, bisogna che cogliamo nella tecnica ciò che ne costituisce l'essere, invece di restare affascinati semplicemente dalle cose tecniche. Fino a che pensiamo la tecnica come strumento, restiamo anche legati alla volontà di dominarla. E in tal caso, passiamo semplicemente accanto all'essenza della tecnica. Se però ci domandiamo come ciò che è strumentale dispiega il suo essere in quanto specie particolare della causalità, allora potremo cogliere questo essere come il destino di un disvelamento. Se infine consideriamo che ciò che costituisce l'essere dell'essenza accade in ciò che concede, il quale adopera e salvaguarda l'uomo per farlo partecipare al disvelamento, vediamo che:
L'essenza della tecnica è in alto grado ambigua. Tale ambiguità richiama all'arcano di ogni disvelamento, cioè della verità. Da un lato, l'imposizione pro-voca a impegnarsi nel furioso movimento dell'impiegare, che impedisce ogni visione dell'evento del disvelare e in tal modo minaccia nel suo fondamento stesso il rapporto con l'essenza della verità. D'altro lato, l'im-posizione accade da parte sua in quel concedere il quale fa sì che l'uomo - finora senza rendersene conto, ma forse in modo più consapevole in futuro - duri nel suo essere l'adoperato-salvaguardato per la custodia dell'essenza della verità. Così appare l'aurora di ciò che salva. […] [L’arte. ] Poiché l'essenza della tecnica non è nulla di tecnico, bisogna che la meditazione essenziale sulla tecnica e il confronto decisivo con essa avvenga in un ambito che da un lato è affine all'essenza della tecnica e, dall'altro, né è tuttavia fondamentalmente distinto. Tale ambito è l'arte. S'intende solo quando la meditazione dell'artista, dal canto suo, non si chiude davanti alla costellazione della verità riguardo alla quale noi poniamo la nostra domanda» . M. Heidegger - La questione della tecnica in Saggi e discorsi - Mursia
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