Comunit per minori 1 Introduzione Tipologie di strutture

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Comunità per minori 1

Comunità per minori 1

 • Introduzione – Tipologie di strutture – Requisiti per le comunità – Nuove

• Introduzione – Tipologie di strutture – Requisiti per le comunità – Nuove emergenze per le comunità • Organizzazione delle comunità – – – – • • • Comunità di pratica Preoccupazioni Fragilità La leaderschip Il volontario e/o il nuovo educatore Documenti Gli spazi Comunità come Ambiente Terapeutico Globale Approccio sistemico-relazionale Comunità e famiglia (modello coevolutivo, modello sostitutivo) Interazioni nelle comunità (modello aperto, modello direttivo) Comportamentismo, Cognitivismo Approccio cognitivo-comportamentale 2

introduzione Tipologie di strutture • In base alla normativa attuale si distinguono le seguenti

introduzione Tipologie di strutture • In base alla normativa attuale si distinguono le seguenti strutture: a. comunità educativa b. comunità di pronta accoglienza c. comunità familiare d. comunità alloggio 3

introduzione Tipologie di strutture • Comunità educative – L’azione educativa è svolta da un

introduzione Tipologie di strutture • Comunità educative – L’azione educativa è svolta da un gruppo di operatori professionali (sono dei lavoratori); accetta, mediamente sul territorio nazionale, intorno a 10 ospiti. • Comunità di pronta accoglienza – Accolgono minori in situazioni di emergenza, senza un piano preventivo di accoglienza; permanenza breve (30/40 giorni) per il tempo necessario a trovare una sistemazione più idonea; accolgono in genere i MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati): minorenne non di cittadinanza italiana, che si trova sul territorio italiano e che non ha presentato domanda di cittadinanza, senza un adulto che lo assisti o lo rappresenti (genitori o altri) e che siano legalmente responsabili in base alle leggi italiane. 4

introduzione Tipologie di strutture • Comunità di tipo familiare (o case famiglia) – Strutture

introduzione Tipologie di strutture • Comunità di tipo familiare (o case famiglia) – Strutture nelle quali l’attività educativa è svolta da due o più adulti che vivono con i minori presenti, eventualmente insieme ai propri figli, e che ne assumono la funzione genitoriale; gli adulti sono, in genere, un uomo ed una donna; possono essere aiutati, internamente alla struttura, da professionisti retribuiti. • Comunità alloggio – Strutture che accolgono piccoli gruppi di neomaggiorenni, che sono sostenuti verso un itinerario di autonomia attraverso azioni educative che non hanno statutariamente un carattere di continuità. 5

introduzione Requisiti per le comunità • A volte si stabiliscono dei criteri però poi

introduzione Requisiti per le comunità • A volte si stabiliscono dei criteri però poi non ci sono strumenti per valutarli; ad esempio spesso si ritiene indice essenziale una adeguata formazione degli operatori, però rimane aperto il problema di riuscire a valutarla. • Ci sono comunque dei requisiti minimi, a livello nazionale, che le comunità debbono rispettare (D. M: 21/05/2001, n. 308): 6

introduzione Requisiti per le comunità • Ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili con l’uso

introduzione Requisiti per le comunità • Ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili con l’uso di mezzi pubblici, comunque tale da permettere la partecipazione degli utenti alla vita sociale del territorio e facilitare le visite agli ospiti delle strutture; • dotazione di spazi destinati ad attività collettive e di socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da letto, organizzati in modo da garantire l’autonomia individuale, la fruibilità e la privacy; • presenza di figure professionali sociali e sanitarie qualificate, in relazione alle caratteristiche e ai bisogni dell’utenza ospitata; • presenza di un coordinatore responsabile della struttura; 7

introduzione Requisiti per le comunità • adozione di un registro degli ospiti; • predisposizione

introduzione Requisiti per le comunità • adozione di un registro degli ospiti; • predisposizione per gli stessi di un progetto educativo individuale; il progetto deve indicare: gli obiettivi da raggiungere, i contenuti e le modalità dell’intervento, il piano delle verifiche; • organizzazione delle attività nel rispetto dei normali ritmi di vita degli ospiti (una comunità non è una istituzione totale); • adozione, da parte del soggetto gestore, di una Carta dei servizi sociali (progetto educativo generale), per indicare alla collettività il servizio che offre. 8

introduzione Nuove emergenze per le comunità • Ritorno in comunità di soggetti provenienti da

introduzione Nuove emergenze per le comunità • Ritorno in comunità di soggetti provenienti da adozioni o affidi falliti (stimato intorno al 30% dei soggetti attualmente in comunità); diventano soggetti rifiutati due volte: dalla famiglia di origine e da quella affidataria/adottiva; per loro lavoro educativo particolarmente impegnativo; • presenza di minori stranieri che ha spinto gli educatori a riformularsi sugli aspetti educativi e anche su quelli di accettazione interculturale; • crescente numero di neomaggiorenni fuori famiglia e questo fa interrogare sull’opportunità di esaurire gli interventi con il raggiungimento della maggiore età; • il tasso crescente di accoglienze madre-bambino richiede nuove competenze educative (ad es. la maternità). 9

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [1] • le comunità per minorenni sono sistemi

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [1] • le comunità per minorenni sono sistemi sociali organizzati dove le conoscenze, le competenze e le pratiche, distribuite fra le persone, tendono al reinserimento del minore “socialmente svantaggiato”. • possono essere assimilabili alle comunità di pratica* che sono caratterizzate da: – un’impresa comune: situazione lavorativa, tema, obiettivo, …, che accomuna i membri che partecipano; – un impegno comune: che stimola alla condivisione di idee ed alle interazioni; – un repertorio condiviso di azioni, linguaggi, strumenti (ideali e materiali). 10 Comunità di pratica: Wenger E. (1998), Communities of practice. Learning, Meaning and Identity, Cambridge University Press, Cambridge)

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [2] • Il fine della comunità è il

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [2] • Il fine della comunità è il miglioramento collettivo. […]. Chi ha conoscenza e la tiene per sé è come se non l'avesse. I partecipanti a comunità di pratica tendono […] a scambiarsi reciprocamente ciò che di meglio producono. Questo metodo […] punta a costruire una conoscenza collettiva condivisa, un modo di vivere, lavorare e studiare, una concezione che si differenzia notevolmente dalle società di tipo individualistico, dove prevale la competizione. Le Comunità di Pratica sono "luoghi" in cui si sviluppa apprendimento […]. 11 https: //it. wikipedia. org/wiki/Comunit%C 3%A 0_di_pratica

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [3] • le comunità di pratica si formano,

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [3] • le comunità di pratica si formano, evolvono, muoiono e, per essere tali e non semplicemente dei ‘gruppi’, si organizzano intorno ad un obiettivo comune (impresa comune); si cementano attraverso continue negoziazioni, realizzate dagli stessi membri e facilitate dalla comune volontà di stare insieme, di conoscersi e di vivere l’esperienza in modo significativo (impegno comune); • sono gruppi sociali che mirano alla collaborazione e alla condivisione attraverso repertorio condiviso di azioni, linguaggi, strumenti; 12

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [ ] • Una comunità per minori ha

organizzazione delle comunità Comunità di pratica [ ] • Una comunità per minori ha un obiettivo comune, l’educabilità dei minori, che realizza attraverso un impegno comune degli operatori, utilizzando degli “attrezzi” condivisi (idealità educative, strategie educative, strumenti, …). 13

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [1] • la figura del

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [1] • la figura del nuovo educatore da inserire nella comunità offre spunti di riflessione con l’aiuto di riferimenti alle comunità di pratica e, in particolare, alla partecipazione periferica legittimata (Wenger). Questa analisi può essere riferita anche alla figura di un volontario che, inesperto, entra nella comunità. 14 legittimata: riconosciuta dalla comunità

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [2] • “la partecipazione periferica

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [2] • “la partecipazione periferica legittimata postula che un novizio, ovvero un volontario o un nuovo educatore, occupi inizialmente una posizione periferica rispetto alle attività della comunità […] perché immerso in un processo di apprendimento i cui esiti non possono dirsi certamente scontati” (Saglietti M. , Organizzare le case famiglia, Carocci, 2012, pag. 60) 15

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [3] • ovvio che occorre

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [3] • ovvio che occorre prestare la massima attenzione all’inserimento di nuove persone nella vita sociale e lavorativa della comunità e per un buono sviluppo competenziale del nuovo ma, e soprattutto, per l’equilibrio dell’intera comunità; • occorre, quindi, individuare quali possano essere i luoghi da frequentare inizialmente, le attività da svolgere e può essere utile o necessario prevedere degli opportuni passi formativi iniziali. 16

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [ ] • al nuovo

organizzazione delle comunità Il nuovo educatore e/o il volontario [ ] • al nuovo vanno garantiti tempi per capire l’orizzonte educativo, il linguaggio, le pratiche, le modalità di interazione, il modo di interpretare il mondo interno; in definitiva deve poter capire quale sia lo stile dello “stare dentro” quella comunità. • “Al [nuovo educatore] o volontario, vanno concessi […] spazi pensati che possano tollerare il suo graduale [inserimento], fatto di prove, errori, ripartenze, piccole conquiste, acquisizioni, innovazioni”. (Saglietti M. , Organizzare le case famiglia, Carocci, 2012, pag. 65) 17

organizzazione delle comunità Preoccupazioni [1] • Le comunità per minori sono dei sistemi sociali

organizzazione delle comunità Preoccupazioni [1] • Le comunità per minori sono dei sistemi sociali organizzati e non sono istituzioni totali che, ricordiamo, Goffman caratterizza nel seguente modo: – “Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono sotto lo stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità. Secondo, ogni fase delle attività giornaliere si svolge a stretto contatto con un enorme gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito, […] appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione” (Gofmann E. , 1961, Asylums, . …. . , Doubleday, New York, pag. 35 -36, citato in Saglietti M. , 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, pag. 49) 18

organizzazione delle comunità Preoccupazioni [ ] • Non si parla nemmeno di aziende orientate

organizzazione delle comunità Preoccupazioni [ ] • Non si parla nemmeno di aziende orientate ad attività economiche dedite agli affari; questo tentativo spesso sottende la volontà di delegittimare l’azione educativa messa in atto dalle comunità. 19

organizzazione delle comunità Fragilità [1] Le comunità, comunque, rischiano delle fragilità: • Se non

organizzazione delle comunità Fragilità [1] Le comunità, comunque, rischiano delle fragilità: • Se non bene organizzata, la distribuzione del lavoro, può divenire inadeguata: alti carichi di lavoro, tempi di lavoro e di vita a volte inconciliabili, orari lunghi, scarsa mobilità. • Alto tasso di turn over degli operatori: costo per la comunità (nuova formazione, perdita di competenze, frantumazione del gruppo di lavoro), si genera anche una ricaduta non positiva sulla riuscita dell’intervento educativo. 20

organizzazione delle comunità Fragilità [2] • Rischio di sviluppare la sindrome del burn out:

organizzazione delle comunità Fragilità [2] • Rischio di sviluppare la sindrome del burn out: “Il burn out […] è un processo stressogeno, spesso legato alle persone che si occupano di aiutare il prossimo nella sfera sociale, psicologica, etc. Questi sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro personale e quello della persona aiutata. Se non opportunamente trattate, queste persone cominciano a sviluppare un lento processo di ‘logoramento’ o ‘decadenza’ psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato. Letteralmente burn out significa proprio ‘bruciare fuori’. Dunque è qualcosa d’interiore che esplode all’esterno e si manifesta. Il burn out è spesso legato alle difficoltà di realizzare una comunità di pratica in quanto non è ben chiaro quale sia l’impresa comune e quale l’impegno comune” 21 http: //www. ipasvi. laspezia. net/pubblicazioni/newsletter/burnout. pdf

organizzazione delle comunità Fragilità [ ] • Scarsità di documentazione organizzativa prodotta: non si

organizzazione delle comunità Fragilità [ ] • Scarsità di documentazione organizzativa prodotta: non si rende visibile e accessibile il proprio lavoro, così ne risente l’inserimento dei nuovi. Un nuovo che si avvia ad imparare un mestiere, una professione, una pratica è in una posizione di partecipazione periferica, ma la sua posizione diviene sempre più centrale quanto più l'esperienza e la partecipazione gli consentono di sviluppare abilità e conoscenze, cioè competenza. 22 partecipazione periferica legittimata (Wenger),

organizzazione delle comunità La leadership [1] • Spesso si rimuove la presa di coscienza

organizzazione delle comunità La leadership [1] • Spesso si rimuove la presa di coscienza dell’importanza di una leadership; spesso si pensa che la leadership possa essere ricondotta ad una operazione che tacitamente sceglie il leader secondo carisma o fascinazione e tenendo conto di appartenenza ad identiche fedi ideali; • altre volte, si ricorre ad una esagerazione della prevalenza di coordinamento sociale, esageratamente basato su rapporti amicali e di sostegno reciproco, sul collante di una identica fede ideale che è espressa dal leader; • Invece …. . 23

organizzazione delle comunità La leadership [2] • esercitare la funzione di coordinamento significa tenere

organizzazione delle comunità La leadership [2] • esercitare la funzione di coordinamento significa tenere le redini di ciò che succede all’interno e avviare, coltivare rapporti con il mondo esterno (sociale, politico, economico); • occorrono flessibilità, saper creare un gruppo affiatato, alimentare l’affiatamento, saper vivere nel tessuto sociale a contatto con le rete che può garantire la sopravvivenza, saper operare sul piano educativo per comprendere le esigenze dei minori. 24

organizzazione delle comunità La leadership [3] Il coordinamento impone: • la gestione delle risorse

organizzazione delle comunità La leadership [3] Il coordinamento impone: • la gestione delle risorse umane (assunzioni, ferie, turnazione, dimissioni del personale, chi fa cosa, i sistemi di avanzamento della carriera e di premio, …) • il sostenere l’organizzazione a livello sociopolitico-economico; • la gestione della cura e dell’azione educativa. 25

organizzazione delle comunità La leadership [] • Il coordinamento è tutt’altro che un agire

organizzazione delle comunità La leadership [] • Il coordinamento è tutt’altro che un agire basato sullo spontaneismo e non può essere delegato ad assemblee familistiche, ma deve essere un’azione che racchiude in sé consapevolezza, sicurezza, capacità manageriali e conoscenza dei processi educativi*; il tutto con flessibilità cognitiva ed operativa che permetta di gestire i complessi sistemi di interazione interna ed esterna. 26 * in collaborazione con specifiche figure

organizzazione delle comunità Documenti • Strumenti, previsti dalla normativa, nella comunità sono: – il

organizzazione delle comunità Documenti • Strumenti, previsti dalla normativa, nella comunità sono: – il progetto educativo generale delle comunità; – il progetto educativo personalizzato; – il diario di bordo. 27

organizzazione delle comunità Progetto educativo generale [1] Nel progetto educativo generale vengono generalmente esplicitate

organizzazione delle comunità Progetto educativo generale [1] Nel progetto educativo generale vengono generalmente esplicitate le modalità, riferite a tutta la comunità: • di sostegno psicologico, sociale, educativo dei minori in collaborazione con la rete dei servizi territoriali per minori, finalizzato all’inserimento scolastico, sociale e lavorativo; • di cura della salute dei minori (prevenzione, visite periodiche presso il medico curante); • di gestione di particolari momenti di crisi dei minori derivati da difficoltà di adattamento o da situazioni pregresse e/o contingenti; • di predisposizione della scheda di ingresso dei minori; • di predisposizione della cartella dei minori, contenente tutta la documentazione psicosocio-educativa, giudiziaria e sanitaria del minore; 28

organizzazione delle comunità Progetto educativo generale [2] • di predisposizione del progetto educativo personalizzato

organizzazione delle comunità Progetto educativo generale [2] • di predisposizione del progetto educativo personalizzato dei minori; • di strutturazione e compilazione del diario di bordo dove si registrerà giornalmente l’attività svolta dai minori ed in particolare ogni evento significativo ai singoli percorsi di sostegno e recupero; • organizzative e realizzative di attività formative: sportive, ricreative, artistiche e scolastiche, e di incentivazione della partecipazione dei minori a queste; • di partecipazione a progetti e laboratori, sul territorio, di orientamento verso l’acquisizione di competenze professionali per un eventuale avviamento al lavoro; • di sostegno alla genitorialità, rivolto alle famiglie dei minori ospitati; 29

organizzazione delle comunità Progetto educativo generale [ ] • di sostegno educativo finalizzato a

organizzazione delle comunità Progetto educativo generale [ ] • di sostegno educativo finalizzato a guidare l’eventuale rientro dei minori in famiglia e nei propri contesto di appartenenza nell’imminenza delle dimissioni; • di sostegno ai minori dimessi, attraverso un servizio di interventi domiciliari; • di predisposizione di quant'altro occorra per assicurare il regolare funzionamento della struttura e per le necessità degli utenti; vengono anche presentati: – lo sviluppo della giornata tipo nella comunità e – la struttura della comunità un esempio (è possibile rintracciare altri progetti educativi in rete). 30

organizzazione delle comunità Progetto educativo personalizzato [1] • Per ogni accoglienza va creato, aggiornato

organizzazione delle comunità Progetto educativo personalizzato [1] • Per ogni accoglienza va creato, aggiornato e condiviso un PEP contenente obiettivi, modalità di intervento educativo e anche metodi di verifica (legge 149/2001, D. M. 308/2001, art. 5). • Informazioni contenute in un PEP: 1. dati anagrafici, 2. data e motivazione dell’inserimento nella struttura; 3. composizione familiare; 4. situazione sanitaria; 5. situazione scolastica/lavorativa; 6. obiettivi del progetto, motivazioni dell’intervento, durata; 7. modalità di attuazione; 31

organizzazione delle comunità Progetto educativo personalizzato [ ] • Viene compilato dopo un periodo

organizzazione delle comunità Progetto educativo personalizzato [ ] • Viene compilato dopo un periodo di osservazione; • ha una struttura dinamica; può essere modificato nel tempo in base all’evoluzione del minore, ma anche in base a revisioni/sistemazioni teoriche degli operatori; ciò che si scrive nel PEP è strettamente connesso con la visione professionale degli operatori; in genere si scrive a più mani (anche quando viene scritto da un solo operatore, riflette necessariamente la storia di percorsi sociali che si è tradotta in teorie); inoltre diventa uno strumento per il gruppo; • è un atto professionale che si realizza nella relazione fra educatori e minore; • un PEP diventa uno strumento indispensabile per ciascun nuovo operatore: attraverso esso entra in contatto con la comunità, con i suoi trascorsi di teorie e repertori educativi, con le pratiche professionali degli altri educatori; nel suo percorso dalla periferia verso il centro il nuovo potrà significativamente giovarsi del PEP. 32

organizzazione delle comunità Domande da porsi 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

organizzazione delle comunità Domande da porsi 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Quali contenuti sono rilevanti per il PEP? Che finalità ha all’interno delle mie pratiche quotidiane? Quali obiettivi? Chi lo scrive? Attraverso quali fasi? Con quali tempi? Dopo quanto tempo dall’inserimento del minore? Quali destinatari? È possibile un coinvolgimento del minore e della sua famiglia? Il PEP rappresenta un documento di sola interazione interna o una risorsa per la rete (scuola, assistenti sociali, . . )? Quali e quanti aggiornamenti? Ogni quanto tempo? Per quali ragioni? Come e in quale misura condivido il PEP con i miei colleghi? In quali occasioni/momenti dedicati? Come lo aggiorniamo insieme? (Saglietti M. , Organizzare le case famiglia, Carocci, 2012, pag. 70 -71) 33

organizzazione delle comunità Diario di bordo • Diario dove si registrerà giornalmente l’attività svolta

organizzazione delle comunità Diario di bordo • Diario dove si registrerà giornalmente l’attività svolta dai minori ed in particolare ogni evento significativo ai singoli percorsi di sostegno e recupero; • gli operatori vi verbalizzano quotidianamente i fatti accaduti nell’arco della giornata, significativi rispetto al percorso del minore; • possiamo definirlo come il passaggio di consegne (in riferimento ai minori) tra i membri dell’equipe. 34

organizzazione delle comunità Agenda degli educatori • Esiste, in genere, nelle comunità ed •

organizzazione delle comunità Agenda degli educatori • Esiste, in genere, nelle comunità ed • è uno strumento organizzativo; in esso vengono annotati gli impegni e le comunicazioni fra i soggetti della comunità; • contiene, in genere, messaggi: – rivolti ad altri educatori; – rivolti al generico lettore dell’agenda. 35

organizzazione delle comunità Gli spazi [1] • Le norme nazionali stabiliscono, in riferimento alla

organizzazione delle comunità Gli spazi [1] • Le norme nazionali stabiliscono, in riferimento alla strutturazione degli spazi, solamente che le strutture debbono essere facilmente raggiungibili e debbono prevedere spazi di socializzazione distinti dalle camere; • comunque le diverse associazioni di comunità hanno stabilito una serie di norme così riassumibili: – spazi distinti per équipe educativa, comunità e ragazzi; – locale adeguato come cucina; – limite massimo di posti letto per stanza; – un locale comune accessibile a tutti; – disponibilità di bagni accessibili ai disabili, – attrezzature accessibili ai disabili. 36

organizzazione delle comunità Gli spazi [2] • In definitiva, si possono distinguere spazi: –

organizzazione delle comunità Gli spazi [2] • In definitiva, si possono distinguere spazi: – privati per i minori, – comuni, accessibili sia singolarmente che in gruppo, – per educatori (sia privati che di lavoro). • se non esiste uno spazio per le riunioni degli educatori, queste dove si tengono? Nella cucina o nella stanza da letto dell’educatore/trice? • Se l’educatore deve rispondere ad una telefonata su un minore, dove si rifugia in bagno o nella stanza di una collega (se ad esempio l’educatore non ‘risiede’ nella comunità)? 37

organizzazione delle comunità Gli spazi [ ] • La mancanza di un luogo privato

organizzazione delle comunità Gli spazi [ ] • La mancanza di un luogo privato riservato al gruppo di lavoro, rivela una mancanza di senso della natura organizzativa della comunità. Sembrerebbe che tutto debba essere ricondotto ad azioni singole, isolate, a responsabilità educativa personale. 38

organizzazione delle comunità Domande da porsi • Nella struttura dove lavoro, gli spazi sono

organizzazione delle comunità Domande da porsi • Nella struttura dove lavoro, gli spazi sono pensati e organizzati adeguatamente? • Quali sono e come sono strutturati gli spazi privati per gli educatori? • Quali sono e come sono strutturati gli spazi privati dei ragazzi? • Come sono strutturati gli spazi comuni e quali attività sono sviluppabili (giochi, cene con ospiti, compiti insieme, …)? • Quali opzioni per migliorarli nel loro utilizzo pratico? • Quali innovazioni si possono apportare (nella strumentazione, nelle decorazioni, nelle proposte di nuove attività) si possono apportare? 39

Un modello di intervento: La comunità come Ambiente Terapeutico Globale 40

Un modello di intervento: La comunità come Ambiente Terapeutico Globale 40

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [1] “l’intervento di comunità residenziale richiede riparazione del passato

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [1] “l’intervento di comunità residenziale richiede riparazione del passato e promozione del futuro” 41 Bastianoni P. , Taurino A. , Introduzione, pagg. 35, 36 in Bastianoni P. , Taurino A. (a cura), 2009, Le comunità per minori, Carocci Faber, Roma

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [2] • • La comunità si può configurare come

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [2] • • La comunità si può configurare come Ambiente Terapeutico Globale (ATG): “l’idea di Ambiente Terapeutico Globale […] chiarisce che in una comunità per minori ciò che svolge funzione terapeutica è la vita quotidiana da intendersi come luogo ‘pensato’ nella sua globalità per realizzare l’intervento riparativo e terapeutico stesso. In questo senso, ciò che appare come particolarmente interessante e incisivo, soprattutto in relazione alla tipologia dei problemi presentati dai bambini e dagli adolescenti deprivati e maltrattati, è il rifiuto della separazione fra un ‘setting’ a parte deputato all’intervento psicoterapeutico (ad es. , l’ora settimanale nello studio dello psicoterapeuta) e la vita di ogni giorno all’interno della struttura residenziale. Il modello proposto […], infatti, tende a realizzare una forte compenetrazione fra l’interpretazione teorica del disturbo manifesto e la costruzione della quotidianità, enfatizzando come tutta l’organizzazione del quotidiano nella struttura residenziale deve essere considerata come parte integrante dell’intervento riabilitativo e terapeutico” 42 Bastianoni P. , Taurino A. , Introduzione, pagg. 56 in Bastianoni P. , Taurino A. (a cura), 2009, Le comunità per minori, Carocci Faber, Roma

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [3] • Una cornice interpretativa teorica del modello ATG

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [3] • Una cornice interpretativa teorica del modello ATG può essere considerata la teoria socio-costruttivista che predica che ciascuno costruisce la propria conoscenza e lo fa attraverso la negoziazione con gli altri; • altri che possono essere adulti che mettono in atto azioni di supporto (scaffolding) per aiutare coloro (studenti, minori) che non sarebbero in grado, da soli, di svolgere compiti, superare difficoltà e acquisire conoscenze e competenze. • Inizialmente la funzione di scaffolding è delegata agli adulti, successivamente diventa metodo permanente di interazione quotidiana con gli altri, nei contesti familiari, nella scuola, nei gruppi di pari. Lev Semënovič Vygotskij; (Orša, 5 novembre 1896 – Mosca, 11 giugno 1934) ; psicologo sovietico Bastianoni P. , Taurino A. , Introduzione, pagg. 57 in Bastianoni P. , Taurino A. (a cura), 2009, Le comunità per minori, Carocci Faber, Roma 43

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [4] • Attraverso questo processo l’individuo acquisisce un insieme

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [4] • Attraverso questo processo l’individuo acquisisce un insieme di significati della realtà che lo circonda, che gli forniscono identità e stabilità. In un minore deprivato e maltrattato queste acquisizioni non sono avvenute o non sono avvenute completamente e/o non sono avvenute liberamente e attraverso negoziazione costruttiva, ma per costrizione e sottomissione. • Occorre allora recuperarle, riorganizzarle, per ritrovare fiducia in se stessi, spontaneità, capacità di interagire, in definitiva occorre recuperare la propria identità. • Esiste la speranza “dell’individuo che certi aspetti dell’ambiente che in origine fallirono possano essere rivissuti e che questa volta l’ambiente riesca, invece di fallire, nella sua funzione di favorire la tendenza naturale dell’individuo a svilupparsi e a maturare” (Winnicott , 1965) 44 Bastianoni P. , Taurino A. , Introduzione, pagg. 59 in Bastianoni P. , Taurino A. (a cura), 2009, Le comunità per minori, Carocci Faber, Roma

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [5] • “proprio su questi presupposti si fonda pertanto

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [5] • “proprio su questi presupposti si fonda pertanto l’organizzazione delle comunità residenziali per minori, ossia impostare la struttura (dagli spazi fisici fino alle attività quotidiane) come parte integrante dell’intervento terapeutico, con l’obiettivo specifico di riparare i precoci fallimenti ambientali. Attraverso il concetto di ambiente terapeutico si focalizza l’attenzione […] sulla regolamentazione della vita quotidiana […]. • Nell’ambiente terapeutico tutti i momenti della giornata hanno rilevanza terapeutica, laddove siano presenti situazioni interattive e relazionali gestite da adulti, che devono accedere, con il loro stesso operato quotidiano, alla dimensione della significatività per il minore in comunità. ” 45 Bastianoni P. , Taurino A. , Introduzione, pagg. 59 in Bastianoni P. , Taurino A. (a cura), 2009, Le comunità per minori, Carocci Faber, Roma

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [ ] • In questa complessa operazione di ricostruzione

Comunità come Ambiente Terapeutico Globale [ ] • In questa complessa operazione di ricostruzione il minore ha necessità di imbattersi in contesti stabili che presentano regolarità e protezione (le routine) e di essere accompagnato da partner con i quali intessere relazioni che facciano capire i sentimenti e i comportamenti degli altri e il funzionamento delle regole sociali e che lo aiutino ad acquisire competenze in questi ambiti; queste conquiste possano dare soddisfazione nell’averle acquisite. 46 Bastianoni P. , Taurino A. , Introduzione, pagg. 58 in Bastianoni P. , Taurino A. (a cura), 2009, Le comunità per minori, Carocci Faber, Roma

approccio sistemico-relazionale [1] • Fà da sfondo alla Comunità coma Ambiente Terapeutico Globale, il

approccio sistemico-relazionale [1] • Fà da sfondo alla Comunità coma Ambiente Terapeutico Globale, il modello sistemicorelazionale 47

approccio sistemico-relazionale [2] perché sistemico? * • la persona non è vista come entità

approccio sistemico-relazionale [2] perché sistemico? * • la persona non è vista come entità individuale, ma come espressione del sistema di appartenenza, in genere (ma non solo e non sempre) la famiglia; (il malessere viene letto non tanto come problema dell’individuo, ma come espressione di disagio di uno dei sistemi di appartenenza; viene solitamente privilegiata la famiglia, ma le dinamiche disfunzionali possono collocarsi anche nel gruppo amicale, etc …); perché relazionale? • in un sistema esistono relazioni e l’identità individuale è figlia di quelle che la persona ha intrattenuto e intrattiene; quindi, un eventuale malessere anche se vive in un individuo non viene letto e trattato come caratteristica radicata nell’individuo, ma come esito di esperienze relazionali; 48 *sistemi: vedere lucidi “Situazioni didattiche e complessità”

approccio sistemico-relazionale [3] • l’identità è un fenomeno relazionale; si origina, si sviluppa e

approccio sistemico-relazionale [3] • l’identità è un fenomeno relazionale; si origina, si sviluppa e si mantiene nell’interazione sociale; • l’individuo è comprensibile solo alla luce del sistema relazionale di cui è parte, in primis la famiglia; • quindi un problema non è nella persona ma tra le persone; 49

approccio sistemico-relazionale [4] quindi l'approccio sistemico-relazionale considera • la realtà complessa delle relazioni umane

approccio sistemico-relazionale [4] quindi l'approccio sistemico-relazionale considera • la realtà complessa delle relazioni umane e • ne studia l'influenza sull’individuo, sulla sua visione del mondo e sui suoi comportamenti; • perciò l'attenzione alla soggettività, all'unicità del singolo comporta l'attenzione alla sua rete di relazioni; • il cambiamento non è visto unicamente come un fattore soggettivo, de-connesso dalla rete di relazioni in cui la persona è inserita, ma qualcosa di dipendente da una molteplicità di fattori interattivi; 50

approccio sistemico-relazionale [5] • in comunità, il minore “ricostruisce la propria vita” e verifica

approccio sistemico-relazionale [5] • in comunità, il minore “ricostruisce la propria vita” e verifica costantemente attraverso le esperienze la sua nuova visione della realtà che sta costruendo con gli altri (il terapeuta, la famiglia, coloro che vivono nella comunità); 51

approccio sistemico-relazionale [6] • attraverso la metafora del viaggio, partendo dal presupposto per cui

approccio sistemico-relazionale [6] • attraverso la metafora del viaggio, partendo dal presupposto per cui “La mappa non è il territorio”* (Bateson G. , Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 2008), si descrive l’approccio sistemicorelazionale; • esso si sviluppa lungo un percorso che ha inizio come anticipazione ideale, da parte dell’educatore, per poi declinarsi nell’esperienza diretta con l’altro, su un piano di condivisione e scambio e inserito nell’insieme delle sue relazioni, e con il confronto ed il sostegno del lavoro di equipe; • tale itinerario coinvolge inevitabilmente tutti gli attori aumentando le opportunità di cambiamento e crescita di ciascuno; *Scrive Bateson: ” Rifacciamoci alla proposizione originale per la quale Korzybski va più famoso, la proposizione cioè che la mappa non è il territorio”. Alfred Korzybski, ingegnere, filosofo e matematico polacco; 3 luglio 1879, Varsavia, Polonia; 1 marzo 1950, Lakeville, Salisbury, Connecticut, Stati Uniti 52

la mappa metafora • quando si decide di partire per un viaggio, si pianifica

la mappa metafora • quando si decide di partire per un viaggio, si pianifica in base a quello che si conosce e a quello che si vuole conoscere; • si studia, ci si informa e si stabiliscono i punti principali degli spostamenti; si costruisce una mappa del viaggio; realtà • nel momento che si ha notizia di un nuovo arrivo si raccolgono e si studiano le informazioni, si mettono in relazione fra loro anche in base alle conoscenze professionali; si inizia a costruire una mappa, a volte si costruiscono più mappe (più ipotesi), con la consapevolezza che la mappa non esprime la vera situazione; quello che si sta raccogliendo e ipotizzando, anche se supportato da conoscenze e competenze, è comunque frutto di soggettività 53

aggiornamento metafora • quando si arriva sul posto, seguendo la propria mappa, probabilmente si

aggiornamento metafora • quando si arriva sul posto, seguendo la propria mappa, probabilmente si è colpiti da qualcosa che si pone in linea di somiglianza o di differenza fra l’idea che era stata costruita di quel posto e quello che si incontra; si è, comunque, pronti a cambiare idee e anche programmi; realtà • quando si incontra il minore, si entra nel suo territorio e si è colpiti dalle differenze ma anche dalle somiglianze rispetto alle idee costruite a priori e si aggiorna la mappa; si noti che somiglianze e differenze sono, comunque, relative alle idee già costruite; 54

esplorazione e aggiornamento metafora • tutto ciò che si sta visitando deriva dalla mappa

esplorazione e aggiornamento metafora • tutto ciò che si sta visitando deriva dalla mappa costruita ma, probabilmente, non è tutto quello che c’è da vedere; quindi una volta visitati tutti i luoghi programmati ci si concede la libertà di esplorare; si lascia la mappa e ci si addentra “liberamente” nel territorio (consapevoli che si potranno incontrare scorci non previsti e/o che alcuni posti non si riuscirà a scovarli) realtà • negli incontri, non solo quelli “terapeutici”, se previsti, ma anche nella vita quotidiana, con il minore ci si concede la libertà/il dovere di esplorare i suoi atteggiamenti con gli altri, le modalità di gestione delle sue relazioni 55

esplorazione e aggiornamento metafora • nel territorio, è inevitabile e importante entrare in relazione

esplorazione e aggiornamento metafora • nel territorio, è inevitabile e importante entrare in relazione anche con i suoi abitanti; solamente loro possono aiutare a rintracciare le bellezze nascoste del posto, risorse e anfratti che la mappa costruita, ma anche quelle ufficiali a volte, non riportano • ciascuno fornisce il proprio punto di vista, aggiunge visuali, può dare suggerimenti sul come è meglio muoversi; così si aggiorna nuovamente la mappa scegliendo i suggerimenti più convincenti; parallelamente, più si entra in confidenza e si dà credibilità più gli abitanti renderanno visibili gli angoli più nascosti. realtà • si interagisce con gli abitanti del sistema del minore (in genere la famiglia) 56

equipe metafora • in viaggio, in genere, si va in compagnia; questa è simile

equipe metafora • in viaggio, in genere, si va in compagnia; questa è simile a noi, ma non perfettamente uguale; in tale situazione lo sviluppo del viaggio è più articolato, più ricco: ciascuno sa delle cose che gli altri possono non sapere; la mappa si arricchisce; realtà • è possibile dimenticare alcune considerazioni, alcune situazioni non sono conosciute o non si riesce a evidenziarle, ma altri membri dell’equipe potrebbero averne coscienza e le fanno emergere; 57

la fine • alla fine del viaggio tutti (equipe e minore) hanno aggiunto dei

la fine • alla fine del viaggio tutti (equipe e minore) hanno aggiunto dei “pezzi” al proprio profilo; tutti hanno imparato cose nuove che hanno contribuito a inspessire la propria personalità, a sanare se occorreva sanare; • tuttavia possono ancora rimanere dei segmenti di mappa ancora inesplorati, non si riesce sempre a esplorare tutto il territorio; 58

comunità e famiglia Comunità e famiglia • Esistono, agli estremi, due modalità che esplicitano

comunità e famiglia Comunità e famiglia • Esistono, agli estremi, due modalità che esplicitano il rapporto con la famiglia: quello coevolutivo e quello sostitutivo 59

comunità e famiglia Comunità e famiglia modello coevolutivo [1] • in questo modello l’azione

comunità e famiglia Comunità e famiglia modello coevolutivo [1] • in questo modello l’azione educativa ha una dimensione maggiormente sistemica in quanto include anche il contesto familiare; questo viene coinvolto fin dall’inizio e i contatti proseguono durante l’intervento, producono riprogettazioni in itinere; • l’operatore è consapevole che qualunque suo intervento è familiare, a partire da tutte le attività dentro alla comunità, per proseguire e concludersi con gli interventi che tendono a far riacquistare ai genitori la loro funzione di genitorialità che hanno come fine il ritorno del minore nella famiglia di origine, ora ‘rivista’ e ‘aggiornata’; 60

comunità e famiglia Comunità e famiglia modello coevolutivo [2] • in questa prospettiva si

comunità e famiglia Comunità e famiglia modello coevolutivo [2] • in questa prospettiva si sostiene che “qualunque intervento attuato da un servizio, anche se a favore di una singola persona, oltre a produrre effetti su di essa avrà implicazioni suoi legami significativi, assumendo così il significato di evento in grado di influenzare inevitabilmente il nucleo familiare nel suo complesso; • per evitare che la propria azione risulti inefficace, se non addirittura dannosa […] l’operatore deve essere consapevole che non è nella relazione diadica con l’utente, bensì all’interno di un più ampio sistema di relazioni, di cui egli è parte costitutiva, che si costruisce il significato dell’intervento” (Fruggeri l. , 1997, famiglie. dinamiche interpersonali e processi psico-sociali, Carocci, Roma, citato in Saglietti m. , 2012, organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag 130); 61

Comunità e famiglia modello coevolutivo [ ] • operando in questo modo la famiglia

Comunità e famiglia modello coevolutivo [ ] • operando in questo modo la famiglia diviene la protagonista del processo di intervento sul minore; ciò comporta che anche essa diventi soggetto da rieducare. 62

comunità e famiglia Comunità e famiglia modello sostitutivo [1] • In questo caso la

comunità e famiglia Comunità e famiglia modello sostitutivo [1] • In questo caso la famiglia è considerata inadeguata e dannosa; l’educatore “riconosce la significatività delle relazioni familiari per l’utente e l’influenza che esse esercitano su di lui, ma non considera la famiglia una risorsa per potenziare gli interventi promossi dagli operatori. Nel modello della sostituzione, la famiglia diventa infatti un soggetto da contrastare: l’operatore concepisce infatti il proprio intervento come alternativo o correttivo rispetto a ogni possibile influenza esercitata dalla famiglia dell’utente. […] [Solo l’ambiente dell’operatore è ritenuto] adeguato a fornirgli le risorse di cui abbisogna; la richiesta più o meno esplicita che viene fatta alla famiglia è quella di astenersi dal prendere iniziative, permettendo così all’operatore di condurre in porto l’intervento progettato. […] Nel modello della sostituzione, la valutazione di inadeguatezza della famiglia costituisce una sanzione senza possibilità di appello” (Fruggeri L. , 1997, Famiglie. Dinamiche interpersonali e processi psio-sociali, Carocci, Roma, citato in Saglietti M. , 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag. 128) 63

Comunità e famiglia modello sostitutivo [ ] • a volte, è inevitabile che sia

Comunità e famiglia modello sostitutivo [ ] • a volte, è inevitabile che sia così; ad esempio nel caso di violenze continuative, abusi sessuali e, in questo caso, si impostano azioni educative che non prevedono il rientro del minore in famiglia; • altre volte sono le convinzioni dell’equipe che spingono in questo senso; • il modello coevolutivo più si avvicina all’approccio sistemico-relazionale 64

interazioni in comunità Interazioni in comunità • Secondo la normativa italiana una comunità per

interazioni in comunità Interazioni in comunità • Secondo la normativa italiana una comunità per minori deve mettere in campo “organizzazioni e rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia” (L. 149/2001, art. 2); • è facilmente intuibile che si mettono in campo diverse modalità con le quali impostare questi rapporti. 65

interazioni in comunità Interazioni in comunità • Agli estremi, è possibile individuare due modalità:

interazioni in comunità Interazioni in comunità • Agli estremi, è possibile individuare due modalità: – modello aperto; – modello direttivo • Nel primo caso si fa riferimento ad un sistema non rigido nel quale vige una modalità di interazione alla pari, maggiormente discorsiva, che riconosce i diversi ruoli presenti nel sistema, che riconosce ruoli di supporto educativo fra pari (minori); nel secondo caso si fa riferimento ad un sistema rigido nel quale le interazioni e le azioni educative sono guidate da un adulto. 66

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello aperto [1] • nella quotidianità, l’educatore non

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello aperto [1] • nella quotidianità, l’educatore non fornisce soluzioni, ma aiuta a trovarle; • il nascere di un problema, rappresenta l’occasione per discuterne: non occorre dare risposte che risolvano e che veicolano la regola sottesa e la impongono; occorre argomentare fino a giungere a quella regola, però attraverso una sua costruzione; • una trasgressione, va discussa, analizzata alla luce delle conseguenze per far acquisire ai minori strumenti di autonomia rispetto a situazioni analoghe. 67

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello aperto [2] • un minore in una

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello aperto [2] • un minore in una comunità è spesso un individuo che non è riuscito a costruire strumenti di regolazione nella sua vita quotidiana, allora occorre ricostruirli; il modello aperto predica uno sviluppo del minore basato sull’esplorazione, sulla responsabilizzazione, sul rinforzo continuo di sé; probabilmente tutto ciò non è stato realizzato nella sua vita precedente, allora occorre prevedere possibilità di ri-esplorazione, di riresponsabilizzazione, di ri-rinforzo nel periodo di vita nella comunità; 68

interazioni in comunità Interazioni in comunità Modello aperto [ ] • Esiste una logica

interazioni in comunità Interazioni in comunità Modello aperto [ ] • Esiste una logica non rigida di gestire i rapporti, che predilige aperte interazioni del gruppo di adulti e ragazzi; in riferimento ad interazioni discorsive si possono individuare le seguenti caratteristiche: – il parlato è socievole (amichevole) e socializzante; – l’adulto non dirige sempre la conversazione e la sua posizione non è sempre al centro, ma anche periferica; quando è al centro è solo per coordinare; – la discussione avviene in modo flessibile: da uno a molti, da molti, da uno, …, in base alle esigenze che emergono; – le discussioni possono avvenire in contemporanea, in modo integrato o sviluppate in completa indipendenza. 69 Saglietti M. , 2012, Organizzare le case famiglia, Carocci, Roma, pag. 163

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello direttivo [1] • sono sistemi che ricordano,

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello direttivo [1] • sono sistemi che ricordano, pur se in maniera mitigata, le istituzioni totali: le regole sembrano essere presenti in tutti i contesti; anche gli atti linguistici tendono a enunciare regole (“no, non si fa”, “fai questo”, …. ); • tutto sembra teso ad una logica di controllo; • le regole tendono a proteggere il minore, ma anche l’adulto (di fronte a possibili azioni dei minori che possano far preoccupare o che possano generare inconvenienti); tendono a evitare qualcosa ma non a rendere il minore consapevolmente capace di evitare nuovamente lo stesso pericolo. 70

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello direttivo [2] • sembra che il mandato

interazioni in comunità Interazioni in comunità modello direttivo [2] • sembra che il mandato sia quello di confezionare un prodotto pronto per l’uso (forzando l’analisi: forse si prediligono forme future di affido o di adozione? ); di “creare” un individuo rispettoso, non problematico, che “senta” l’autorità, che sappia inserirsi in situazioni che, si crede, richiedano bambini educati, rispettosi, ubbidienti • si lavora per nuove appartenenze, non per ricongiungimenti? • il modello formativo di riferimento è la trasmissione di informazioni, dall’adulto esperto al minore; • sembra che si modelli il minore affinché sia in grado di entrare in nuovi incastri; non si tende a ‘formare’ un individuo capace di gestire se stesso. 71

interazioni in comunità Interazioni in comunità Modello direttivo [ ] • Facendo riferimento alle

interazioni in comunità Interazioni in comunità Modello direttivo [ ] • Facendo riferimento alle interazioni discorsive, il modello ha le seguenti caratteristiche: – la modalità degli interventi è da uno a molti; – l’adulto è al centro dell’interazione, la gestisce, è lui che comunica ed è a lui che preferibilmente vengono inviati i messaggi; – il linguaggio utilizzato non è libero, è fortemente orientato ad essere interpretato dai membri della comunità ed ha finalità chiarificatrici (unilaterali); l’adulto usa un linguaggio per “bambini”; – le regole di comunicazione sono rigide e imposte: non ci si sovrappone, è l’educatore che dà la parola; sono poco accettate e sostenute le conversazioni fra pari (vengono fatte cadere). 72

Attenzione • quelli presentati sono modelli che rappresentano i due estremi e servono per

Attenzione • quelli presentati sono modelli che rappresentano i due estremi e servono per indicare entro quali poli si possono sviluppare gli interventi; hanno un valore didattico; • nella realtà ci sono momenti nei quali prevale l’uno ed altri nei quali emerge l’altro ed esistono momenti che sono sintesi dei due poli; • comunque il modello aperto meglio si confà all’approccio sistemico-relazionale. 73

 • Approccio cognitivo-comportamentale 74

• Approccio cognitivo-comportamentale 74

comportamentismo [1] • Watson: “non usare mai termini quali: coscienza, mente, stati mentali, immagini,

comportamentismo [1] • Watson: “non usare mai termini quali: coscienza, mente, stati mentali, immagini, introspettivamente e simili […]. Si può dire tutto in termini di comportamenti, formazione delle abitudini, integrazione delle abitudini e simili” 75 John Broadus Watson (Greenville, 9 gennaio 1878 – New York, 25 settembre 1958) ; psicologo statunitense,

comportamentismo [2] • tutta l’esperienza umana può essere descritta come comportamento • i comportamenti:

comportamentismo [2] • tutta l’esperienza umana può essere descritta come comportamento • i comportamenti: – possono essere studiati e misurati; – possono cambiare nel tempo; – possono essere formati o educati con opportune psicotecniche 76

comportamentismo [3] • il comportamento si genera in maniera inconscia, cioè indipendentemente dalla consapevolezza

comportamentismo [3] • il comportamento si genera in maniera inconscia, cioè indipendentemente dalla consapevolezza dell’individuo; • l’introspezione non ha alcun carattere scientifico; • la condotta esteriore è la sola che può essere osservata a differenza di quella interiore (che non viene presa in considerazione); 77

comportamentismo [4] • concetti chiave del comportamentismo: – condizionamento classico: un cane saliva sentendo

comportamentismo [4] • concetti chiave del comportamentismo: – condizionamento classico: un cane saliva sentendo uno scampanellio se, in precedenza, a quello scampanellio è seguito il cibo (Pavlov) – la legge dell’effetto: l’azione che è seguita da effetti positivi viene ripetuta, quella che è seguita da effetti negativi viene abbandonata (Thorndike) – condizionamento operante: il ratto impara a tirare una leva se ne ricava qualcosa da mangiare (Skinner) Edward Lee Thorndike (Williamsburg, 31 agosto 1874 – Montrose, 9 agosto 1949); psicologo statunitense. Ivan Petrovič Pavlov (14 settembre 1849 – Leningrado, 27 febbraio 1936); fisiologo, medico ed etologo russo 78

Cognitivismo (nasce anni 60 -70) [1] • il comportamentismo rifiutava di studiare tutto ciò

Cognitivismo (nasce anni 60 -70) [1] • il comportamentismo rifiutava di studiare tutto ciò che è coscienza, interiorità, stati mentali, introspezione, mentre il cognitivismo riabilita lo studio di tutto ciò; • il comportamentismo studia gli stimoli e le risposte (S -R; al cane si dà il cibo (S) e si studia come esso reagisce (R)); non è interessante studiare ciò che è in mezzo; è una scatola nera; • il cognitivismo apre la scatola nera e vuole studiare i processi mentali (la mediazione cognitiva) che elaborano lo stimolo per generare la relativa risposta; -79

cognitivismo [2] • il cognitivismo è un movimento che interessa diverse discipline: psicologia, computer

cognitivismo [2] • il cognitivismo è un movimento che interessa diverse discipline: psicologia, computer science, antropologia, filosofia, linguistica, biologia, neurofisiologia, . . • i cognitivisti sostengono che i meccanismi dei comportamentisti “non fossero in grado di dare conto della complessità dei processi cognitivi, che sembravano piuttosto dipendere da un’attività sistematica di elaborazione a opera della mente umana” (Marzi V. , in Didattica e conoscenza, Carocci, pag. 111) 80

cognitivismo [3] • il computer come la mente umana ha la “capacità di manipolare

cognitivismo [3] • il computer come la mente umana ha la “capacità di manipolare simboli e di svolgere processi complessi che includono la possibilità di prendere decisioni sulla base dell’informazione immagazzinata. A differenza della mente umana, i meccanismi del computer sono completamente aperti all’indagine e allo studio, e noi possiamo sperimentare costruendo programmi […]” (ivi) 81

cognitivismo [4] • per i cognitivisti il funzionamento della mente era assimilato (metaforicamente) a

cognitivismo [4] • per i cognitivisti il funzionamento della mente era assimilato (metaforicamente) a quello di un software che elabora informazioni provenienti dall'esterno (input), restituendo a sua volta informazioni (output) – cervello hardware – mente software 82

cognitivismo [ ] • Il nostro pensiero può essere trascritto sotto forma di script

cognitivismo [ ] • Il nostro pensiero può essere trascritto sotto forma di script di elaborazione (sequenza di istruzioni); eventualmente anche per essere riprogrammato (in chiave terapeutica) ad una modalità di elaborazione del reale che sia più efficace 83 Felice Perussia, unito, https: //www. youtube. com/watch? v=a. JA 0 ngvov. Sk

cognitivo-comportamentale [1] • La terapia cognitivo-comportamentale si propone di diagnosticare le idee distorte, le

cognitivo-comportamentale [1] • La terapia cognitivo-comportamentale si propone di diagnosticare le idee distorte, le emozioni disfunzionali, i comportamenti disadattivi, per poi applicare loro una tecnica che permetta di riportare in equilibrio un pensiero che si era male elaborato. Felice Perussia, unito, https: //www. youtube. com/watch? v=a. JA 0 ngvov. Sk Autori spesso citati: Albert Ellis: 1913 -2007; Aaron Beck: 1921 -; Josep Wolpe: 1915 -1997 (comportamentista) 84

cognitivo-comportamentale [2] • in questo contesto il cognitivismo recupera il comportamentismo ma lo sottopone

cognitivo-comportamentale [2] • in questo contesto il cognitivismo recupera il comportamentismo ma lo sottopone al paradigma dell’elaborazione mentale. Le strategie comportamentali hanno valore come esposizione a nuove esperienze dalle quali imparare e sulle quali riflettere e non come tentativi di instaurare nuovi riflessi comportamentali 85

cognitivo-comportmentale [3] • il modello è finalizzato ad una regolazione dei comportamenti per evitare

cognitivo-comportmentale [3] • il modello è finalizzato ad una regolazione dei comportamenti per evitare che ostacolino l’adattività; il percorso di cura è individualizzato, flessibile e a termine; si sviluppa in fasi progressive e prevede la misurazione degli esiti; • e prevede che il “paziente” raggiunga gli obiettivi comportamentali desiderati e concordati nel piano di trattamento mediante l’incremento delle abilità e delle competenze personali finalizzate a quegli obiettivi. 86

cognitivo-comportamentale [4] • il paziente e il terapeuta operano insieme nell’identificazione dei pattern di

cognitivo-comportamentale [4] • il paziente e il terapeuta operano insieme nell’identificazione dei pattern di comportamento che necessitano di essere modificati; • il terapeuta insegnerà al paziente le strategie cognitivo -comportamentali che possono aiutarlo. Il terapeuta potrà anche aiutare il paziente ad essere costante nell’applicazione delle tecniche 87

cognitivo-comportamentale [ ] • Naturalmente non basta eseguire gli esercizi comportamentali con costanza e

cognitivo-comportamentale [ ] • Naturalmente non basta eseguire gli esercizi comportamentali con costanza e impegno. Ciò che è veramente importante è che in seduta essi siano sottoposti alla elaborazione cognitiva. L’obiettivo è che il paziente apprenda nuove informazioni durante l’esercizio, informazioni che facilitano l’intervento di superamento delle disfunzioni. 88

considerazioni • nell’universo delle comunità, in base alle esigenze e alle scelte teoriche di

considerazioni • nell’universo delle comunità, in base alle esigenze e alle scelte teoriche di riferimento, si sviluppano strategie ora maggiormente orientate verso il polo comportamentista, ora verso il polo cognitivo -comportamentale; • sono approcci che si differenziano da quello sistemico-relazionale, in quanto prediligono l’analisi del problema e il suo recupero in modo individualizzato e a prescindere dal sistema di riferimento e dal complesso di relazioni che in esso esistono e da quelle che possono giovare alla terapia e che, comunque, esistono nell’ambiente che il minore frequenta, ad esempio quello della comunità; • in riferimento ai modelli di interazione che si sviluppano in una comunità, quello direttivo meglio si confà ad un approccio cognitivo -comportamentale 89

Deprivare • Treccani: il fatto di privare o più propriam. d’essere privato di qualche

Deprivare • Treccani: il fatto di privare o più propriam. d’essere privato di qualche cosa, e spec. di cosa necessaria o a cui si avrebbe diritto: la d. della soddisfazione dei bisogni essenziali. In partic. , in psicologia, la carenza di condizioni oggettive e soggettive favorevoli allo sviluppo psichico del bambino, e il complesso degli effetti che ne derivano. 90