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prof. ssa Paola Avallone - Insegnamento di“Letteratura Italiana” Con gli Occhi dei Poeti percorsi

prof. ssa Paola Avallone - Insegnamento di“Letteratura Italiana” Con gli Occhi dei Poeti percorsi tematici: Il Mare Unitre Napoli -Vomero anno accademico 2016/2017

Giacomo Leopardi (1798 -1837) Storia del genere umano, 19 gennaio-7 febbraio 1824 - Le

Giacomo Leopardi (1798 -1837) Storia del genere umano, 19 gennaio-7 febbraio 1824 - Le Operette Morali … Ben gli parve ( a Giove) conveniente di propagare i termini del creato, e di maggiormente adornarlo e distinguerlo: e preso questo consiglio, ringrandì la terra d'ogn'intorno, e v'infuse il mare, acciocché, interponendosi ai luoghi abitati, diversificasse la sembianza delle cose, e impedisse che i confini loro non potessero facilmente essere conosciuti dagli uomini, interrompendo i cammini, ed anche rappresentando agli occhi una viva similitudine dell'immensità. …

Le ricordanze, 1829 A Silvia, 1828 … Io gli studi leggiadri talor lasciando e

Le ricordanze, 1829 A Silvia, 1828 … Io gli studi leggiadri talor lasciando e le sudate carte, ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte, d’in su i veroni del paterno ostello porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti, e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno. … Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea Tornare ancor per uso a contemplarvi Sul paterno giardino scintillanti, E ragionar con voi dalle finestre Di questo albergo ove abitai fanciullo, E delle gioie mie vidi la fine. … E che pensieri immensi, Che dolci sogni mi spirò la vista Di quel lontano mar, quei monti azzurri, Che di qua scopro, e che varcare un giorno Io mi pensava, arcani mondi, arcana Felicità fingendo al viver mio! …

L‘infinito, 1819 Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta

L‘infinito, 1819 Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare.

Charles Baudelaire (1821 -1867) L'uomo e il mare Les Fleurs du mal, 1857 Uomo

Charles Baudelaire (1821 -1867) L'uomo e il mare Les Fleurs du mal, 1857 Uomo libero, sempre amerai il mare! Il mare è il tuo specchio; tu contempli la tua anima nell'infinito svolgersi dell'onda, e il tuo spirito non è un abisso meno amaro. Tu godi nel tuffarti in seno alla tua immagine; l'abbracci con gli occhi e con le braccia, e il cuore si distrae talvolta dal proprio palpitare al suon di questo pianto indomabile e selvaggio. Siete entrambi tenebrosi e discreti: uomo, nessuno ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi; nessuno, o mare, ha conosciuto le tue intime ricchezze, tanto gelosi siete d'ogni vostro segreto. Eppure ecco da secoli innumerevoli vi combattete senza pietà senza rimorso, talmente amate la strage e la morte, o lottatori eterni, o implacabili fratelli!

Gabriele D‘Annunzio (18631938) Nella cala tranquilla scintilla, intesto di scaglia come l'antica lorica del

Gabriele D‘Annunzio (18631938) Nella cala tranquilla scintilla, intesto di scaglia come l'antica lorica del catafratto, il Mare. Sembra trascolorare. S'argenta? s'oscura? A un tratto come colpo dismaglia l'arme, la forza del vento l'intacca. Non dura. Nasce l'onda fiacca, súbito s'ammorza. Il vento rinforza. Altra onda nasce, si perde, come agnello che pasce pel verde: un fiocco di spuma che balza! Ma il vento riviene, rincalza, ridonda. Altra onda s'alza, nel suo nascimento più lene che ventre virginale! Palpita, sale, si gonfia, s'incurva, s'alluma, propende. Il dorso ampio splende come cristallo; la cima leggiera s'aruffa come criniera nivea di cavallo. Il vento la scavezza. L'onda si spezza, precipita nel cavo del solco sonora; spumeggia, biancheggia, s'infiora, odora, travolge la cuora, trae l'alga e l'ulva; s'allunga, rotola, galoppa; intoppa in altra cui 'l vento diè tempra diversa; l'avversa, l'assalta, la sormonta, vi si mesce, s'accresce. Di spruzzi, di sprazzi, di fiocchi, d'iridi ferve nella risacca; par che di crisopazzi scintilli e di berilli viridi a sacca. O sua favella! Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta, accorda, discorda, tutte accoglie e fonde le dissonanze acute nelle sue volute profonde, L’onda, 1902 libera e bella, numerosa e folle, possente e molle, creatura viva che gode del suo mistero fugace. E per la riva l'ode la sua sorella scalza dal passo leggero e dalle gambe lisce, Aretusa rapace che rapisce le frutta ond'ha colmo suo grembo. Súbito le balza il cor, le raggia il viso d'oro. Lascia ella il lembo, s'inclina al richiamo canoro; e la selvaggia rapina, l'acerbo suo tesoro oblía nella melode. E anch'ella si gode come l'onda, l'asciutta fura, quasi che tutta la freschezza marina a nembo entro le giunga! Musa, cantai la lode della mia Strofe Lunga.

Dante Inferno, canto XXVI – vv. 85 -142 Lo maggior corno de la fiamma

Dante Inferno, canto XXVI – vv. 85 -142 Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica; né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta, indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse: "Quando vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore; mi diparti’ da Circe, che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enëa la nomasse, ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna. "O frati, " dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia Io e’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi d’i nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. acciò che l’uom più oltre non si metta; da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".

Li miei compagni fec’io sì aguti, Cinque volte racceso e tante casso con questa

Li miei compagni fec’io sì aguti, Cinque volte racceso e tante casso con questa orazion picciola, al cammino, lo lume era di sotto da la luna, che a pena poscia li avrei ritenuti; poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo, e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avëa alcuna. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, che non surgëa fuor del marin suolo. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa

Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".

Umberto Saba (1883 -1957) Ulisse Mediterranee, 1946 Nella mia giovinezza ho navigato lungo le

Umberto Saba (1883 -1957) Ulisse Mediterranee, 1946 Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti a fior d'onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d'alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi. Quando l'alta marea e la notte li annullava, vele sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore.

Lucrezio, I metà del I sec. a. C. : De rerum natura , II

Lucrezio, I metà del I sec. a. C. : De rerum natura , II 1 -19 È dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al gran travaglio altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché è dolce vedere di quali mali tu stesso sia privo. È dolce anche vedere i grandi scontri di guerra schierati nella pianura senza che tu prenda parte al pericolo; ma nulla è più dolce che tenere saldamente gli alti spazi sereni, fortificati dalla dottrina dei sapienti, da dove tu possa guardare dall'alto gli altri, e osservarli errare qua e là e cercare smarriti la via della vita, gareggiare in ingegno, contendere in nobiltà di sangue, sforzandosi notte e giorno, con instancabile attività, per arrivare a grandi ricchezze e impadronirsi del potere. O misere menti degli uomini, o ciechi animi! In quali tenebre di vita e in quanti pericoli si trascorre questo poco di vita, qualunque essa sia! E come non vedere che la natura null'altro pretende per sé, se non che il dolore sia lontano, separato dal corpo, e nell’anima goda di piacevoli sensazioni, priva di affanni e di timori? Suave, mari magno turbantibus aequora ventis e terra magnum alterius spectare laborem; non quia vexari quemquamst iucunda voluptas, sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest. Suave etiam belli certamina magna tueri per campos instructa tua sine parte pericli; sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapientum templa serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantis quaerere vitae, certare ingenio, contendere nobilitate, noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes rerumque potiri. O miseras hominum mentes, o pectora caeca! Qualibus in tenebris vitae quantisque periclis degitur hoc aevi quodcumquest! nonne videre nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque?

Alceo VII-VI sec. a. C. ἀσυννέτημμι τὼν ἀνέμων στάσιν, τὸ μὲν γὰρ ἔνθεν κῦμα

Alceo VII-VI sec. a. C. ἀσυννέτημμι τὼν ἀνέμων στάσιν, τὸ μὲν γὰρ ἔνθεν κῦμα κυλίνδεται, τὸ δ’ ἔνθεν, ἄμμες δ’ ὂν τὸ μέσσον ………νᾶϊ φορήμμεθα σὺν μελαίναι Non riesco a capire la rissa dei venti, un’onda si gonfia di qui, l’altra di là, noi nel mezzo Ahi serva Italia, di dolore siamo trasportati con la nera nave ostello, molto percossi dalla grande tempesta. nave sanza nocchiere in gran l’acqua della sentina è alla base dell’albero, tempesta, la vela è tutta fradicia, non donna di provincie, ma pende giù in grandi brandelli, bordello! i nodi si allentano, il timone… restino saldi i due piedi nelle scotte; Dante questo soltanto potrebbe salvarmi… Purgatorio, VI 76 -78 Il carico è perduto …

Giuseppe Ungaretti (1888 -1970) ALLEGRIA DI NAUFRAGI Versa il 14 febbraio 1917 E subito

Giuseppe Ungaretti (1888 -1970) ALLEGRIA DI NAUFRAGI Versa il 14 febbraio 1917 E subito riprende Il viaggio Come Dopo il naufragio Un superstite Lupo di mare.

Giuseppe Ungaretti (1888 -1970) Finale La Terra Promessa, 1950 Più non muggisce, non sussurra

Giuseppe Ungaretti (1888 -1970) Finale La Terra Promessa, 1950 Più non muggisce, non sussurra il mare, Il mare Senza i sogni, incolore campo è il mare, Il mare Fa pietà anche il mare, Il mare Muovono nuvole riflesse il mare, Il mare A fumi tristi cedé il letto il mare, Il mare Morto è anche lui, vedi, il mare, Il mare.

Giovanni Pascoli (1855 -1912) Mare, 1891 - Myricae M’affaccio alla finestra, e vedo il

Giovanni Pascoli (1855 -1912) Mare, 1891 - Myricae M’affaccio alla finestra, e vedo il mare: vanno le stelle, tremolano l’onde. Vedo stelle passare, onde passare; un guizzo chiama, un palpito risponde. Ecco, sospira l’acqua, alita il vento: sul mare è apparso un bel ponte d’argento. Ponte gettato sui laghi sereni, per chi dunque sei fatto e dove meni?

Eugenio Montale (1896 -1981) Mediterraneo Ossi di Seppia, 1925 II. Antico (mare), sono ubriacato

Eugenio Montale (1896 -1981) Mediterraneo Ossi di Seppia, 1925 II. Antico (mare), sono ubriacato dalla voce ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono come verdi campane e si ributtano indietro e si disciolgono. La casa delle mie estati lontane, t'era accanto, lo sai, là nel paese dove il sole cuoce e annuvolano l'aria le zanzare. Come allora oggi in tua presenza impietro, mare, ma non piú degno mi credo del solenne ammonimento del tuo respiro. Tu m'hai detto primo che il piccino fermento del mio cuore non era che un momento del tuo; che mi era in fondo la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e insieme fisso: e svuotarmi cosí d'ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde tra sugheri alghe asterie le inutili macerie del tuo abisso.