prof ssa Paola Avallone Insegnamento diCultura classica ENEA

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prof. ssa Paola Avallone - Insegnamento di“Cultura classica” ENEA e DIDONE Unitre Napoli -Vomero

prof. ssa Paola Avallone - Insegnamento di“Cultura classica” ENEA e DIDONE Unitre Napoli -Vomero anno accademico 2018/2019

Virgilio racconta la storia di Enea e Didone nei libri I, IV e VI

Virgilio racconta la storia di Enea e Didone nei libri I, IV e VI dell’Eneide La traduzione poetica è di Adriano Bacchielli Virgilio tra Clio e Melpomene, mosaico pavimentale del III secolo d. C. proveniente da Hadrumetum (oggi Sousse) Tunisi, Museo del Bardo

Enea, «fato profugus» Virgilio, Eneide I, 1 - 7 Arma virumque cano, Troiae qui

Enea, «fato profugus» Virgilio, Eneide I, 1 - 7 Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris Italiam fato profugus Laviniaque venit litora, multum ille et terris iactatus et alto vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram, multa quoque et bello passus, dum conderet urbem inferretque deos Latio; genus unde Latinum Albanique patres atque altae moenia Romae. Livio, Ab urbe condita, I, 1 Enea esule dalla patria (domo profugum) a seguito della distruzione di Troia, ma destinato per volontà del fato a dare il via a eventi di ben altra portata, arrivò in un primo tempo in Macedonia, quindi fu spinto verso la Sicilia sempre alla ricerca di una sede definitiva e dalla Sicilia approdò con la flotta nel territorio di Laurento.

Didone, suicida per amore Dante, Inferno V 28 -33 Io venni in loco d’ogne

Didone, suicida per amore Dante, Inferno V 28 -33 Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. Dante, Inferno V 61 -62 e 82 -87 L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo … Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere, dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettüoso grido.

Tantaene animis caelestibus irae? Eneide I 8 -11 Ora le cause tu, Musa, ricordami:

Tantaene animis caelestibus irae? Eneide I 8 -11 Ora le cause tu, Musa, ricordami: Per quale offesa al nume, o di quale colpa Dolente la regina degli Dei Sospinse un uomo di pietà sì grande Ad affrontar vicende, affanni e pene? Anche nel ciel tanto può dunque l’ira? Perché Giunone è nemica dei Troiani e perseguita Enea, insignem pietate virum? v. Perché offesa dal troiano Paride che aveva giudicato Venere la più bella delle dee (a danno della stessa Giunone e di Minerva) v. Perché Ganimede, principe troiano, era stato per volontà di Giove, assunto nell’Olimpo come coppiere al posto di Ebe, sua figlia v. Perché consapevole che, per volontà del Fato, da Enea sarebbe derivata la stirpe romana che avrebbe distrutto Cartagine

Urbs antiqua fuit (Tyrii tenuere coloni) Karthago Eneide I 12 -16 Città vetusta fu,

Urbs antiqua fuit (Tyrii tenuere coloni) Karthago Eneide I 12 -16 Città vetusta fu, ricca e potente, Che i coloni abitavano di Tiro, Cartagine fenicia, posta contro La foce tiberina e contro i lidi Lontani dell’Italia. Grande e forte E all’aspre prove della guerra avvezza, Era da Giuno più d’ogni altra terra E più di Samo amata e prediletta.

Tantae molis erat Romanam condere gentem! Eneide I 29 -33 Da tali sdegni accesa

Tantae molis erat Romanam condere gentem! Eneide I 29 -33 Da tali sdegni accesa ovunque e sempre Perseguitava i Teucri, ultimi resti Dei Greci e del Pelide; e lungi ancora Dal Lazio li teneva e dall’Italia; Che per molt’ anni già, dal Fato oppressi, Erravano pel mare ovunque spinti. Di sì lungo soffrir Roma nasceva!

La tempesta «ponto nox incubat atra» Eneide I 81 -91 (Eolo) con lo scettro

La tempesta «ponto nox incubat atra» Eneide I 81 -91 (Eolo) con lo scettro colpì del cavo monte l’alpestre fianco, onde furiosi i venti come in serrata schiera si precipitano dove il varco è concesso, e d’un sol turbine sconvolgono le terre; indi sul mare s’avventarono insieme ed Euro e Noto ed Africo coperto di procelle dal fondo sconvolgendolo coi vortici e spingendo sul lido gli alti flutti. Sorge clamor di voci e delle funi l’aspro stridor; le nubi all’improvviso e luce e cielo tolgono alla vista dei miseri Troiani: al mar sovrasta nera la notte. E intanto il ciel rintrona, e squarcia l’aria il fulmine incessante, e tutto ai marinai morte minaccia.

La tempesta Eneide I 101 -123 «apparent rari nantes in gurgite vasto, arma virum

La tempesta Eneide I 101 -123 «apparent rari nantes in gurgite vasto, arma virum tabulaeque et Troia gaza per undas» … una stridente raffica d’Aquilon coglie d’un tratto/ la vela in mezzo e, alzando i flutti al cielo, / schianta di colpo i remi, volge il legno/ offrendo il fianco ai flutti, e tosto un monte/ d’acqua sovrasta, immenso smisurato. / Sulla cresta dell’onde questi pendono; / a quelli, spalancandosi fra i flutti, / l’onda discopre il fondo ove l’arena/ al vortice mulina. Ed ecco Noto/ tre navi in sua balìa avventa contro/ occulti scogli … ed Euro tre/ dall’alto ne sospinge in secche e in sirti; / e ( quale ahimè n’era la vista) ai banchi/ le incaglia e le rinserra fra la sabbia. / Una che i Lici aveva e il fido Oronte/ proprio davanti a lui un’onda immensa/ dall’alto ricevé, sopra la poppa, / precipite il nocchiero in mar scalzando; / e lì tre volte intorno a sé la gira/ rapido il flutto, e il vortice l’inghiotte. / Sparsi nell’ampio mare intanto i naufraghi/ appaiono fra l’armi dei guerrieri, / le frigie vesti e le divelte travi. / Già vince il flutto la robusta nave/ di Ilioneo, ed or quella d’Acate; / poi la nave d’Abante e quella ancor/ del vecchio Alete: tutte, ai fianchi smosse, / l’onda nemica bevono sfasciate.

Nettuno placa i flutti e disperde le nubi I Troiani sfiniti sbarcano in Libia

Nettuno placa i flutti e disperde le nubi I Troiani sfiniti sbarcano in Libia Enea li conforta Eneide I 198 -207 «O socii (neque enim ignari sumus ante malorum), o passi graviora, dabit deus his quoque finem. vos et Scyllaeam rabiem penitusque sonantis accestis scopulos, vos et Cyclopia saxa experti: revocate animos maestumque timorem mittite; forsan et haec olim meminisse iuvabit. per varios casus, per tot discrimina rerum tendimus in Latium, sedes ubi fata quietas ostendunt; illic fas regna resurgere Troiae. durate, et vosmet rebus servate secundis. » Compagni, che con me nuovi al dolore/ già da tempo non siete, e ancor più gravi/ mali soffriste, anche a questi un Dio/ una fine porrà!/ …il vostro ardire / or ritrovate, amici, e dal cuor vostro/ il triste scoramento alfin bandite!/ Anche di queste pene, un giorno, forse, / grato verrà nell’animo il ricordo!/…resistete alla prova, e vi serbate/ a più benigni giorni!

Punica regna vides, Tyrios et Agenoris urbem; sed fines Libyci, genus intractabile bello. imperium

Punica regna vides, Tyrios et Agenoris urbem; sed fines Libyci, genus intractabile bello. imperium Dido Tyria regit urbe profecta, germanum fugiens. . . Così Venere, mostrandosi come una cacciatrice, dice ad Enea Punica regna vides Eneide I 338 -341 Questo che tu vedi è regno punico, e gente tiria, e la città di Agenore; ma libica è la terra, e la sua gente in guerra invitta. Regge qui l’impero quella Didone profuga da Tiro che dal fratello in fuga esule venne…

Nel tempio di Giunone Eneide I 459 -464 Constitit et lacrimans «quis iam locus,

Nel tempio di Giunone Eneide I 459 -464 Constitit et lacrimans «quis iam locus, » inquit, «Achate, quae regio in terris nostri non plena laboris? En Priamus. Sunt hic etiam sua praemia laudi, sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt. Solve metus; feret haec aliquam tibi fama salutem. » Si fermò e, piangendo: «Oh, - disse – Acate! Quale regione ormai sopra la terra, qual luogo non è pieno delle nostre pene infinite? Guarda! Vedi Priamo: qui pure ancor si pregia la virtù, e c’è pietà per le sventure, e ancora toccano il cuore le sciagure umane! Or ti conforta alfine: tanta fama qualche salvezza forse ci darà!»

E mentre queste cose meravigliose paiono alla vista del teucro Enea e mentre egli

E mentre queste cose meravigliose paiono alla vista del teucro Enea e mentre egli stupisce e solo a quelle gli occhi attento volge, nel tempio la bellissima Didone entra attorniata da seguace schiera di giovani fenici. Qual è Diana, allorché dell’Eurota sulle rive e pei gioghi del Cinto guida i cori … tal era Dido, e tale in mezzo ai suoi lieta avanzava vigilando l’opra del suo nascente regno. L’arrivo di Didone Eneide I 494 -504

Quod genus hoc hominum? Quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? Hospitio prohibemur harenae;

Quod genus hoc hominum? Quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? Hospitio prohibemur harenae; bella cient, primaque vetant consistere terra. Si genus humanum et mortalia temnitis arma at sperate deos memores fandi atque nefandi. Ilioneo parla a Didone Ma qual genere mai di gente è questa? Qual patria mai sì barbara permette tali costumi? L’ospitale sosta sulla deserta spiaggia hanno negato, e muovon guerra, e vietano di porre sul lembo estremo della terra il piede! Se a spregio avete gli uomini e lor armi, gli Dei del bene immemori e del male non isperate! Eneide I 539 -543

Enea appare a Didone Abbandonate, o Teucri, ogni timore, lasciate ogni sospetto! A questi

Enea appare a Didone Abbandonate, o Teucri, ogni timore, lasciate ogni sospetto! A questi modi la novità del regno ci costringe, sì che stranieri ancora in questa terra tutti con l’armi custodiamo i luoghi. I 562 -564 Ecco, quel che cercate, il teucro Enea dal libio mar scampato, eccovi innanzi!. . . Fin quando al mare correranno i fiumi e i monti copriran d’ombra le valli, finchè nel ciel splenderan le stelle, sempre in me resteranno il nome tuo e i tuoi meriti e i pregi in ogni terra ove ancor mi vorrà esule il Fato! Eneide I 595 -610

Non ignara mali miseris succurrere disco Stupì dapprima la sidonia Dido alla sua vista,

Non ignara mali miseris succurrere disco Stupì dapprima la sidonia Dido alla sua vista, e quindi al caso e al nome del grande eroe; e a lui voltasi disse: «Qual destino, o figlio della dea, per tante sorti avverse ti perseguita? E quale caso ti ha sospinto in queste prode inclementi? Sei tu dunque Enea, che presso il frigio Simoenta diede al prode Anchise Venere divina? … udii le vicende di Troia e il nome tuo e quello dei greci. … … Ed or, animo, o prodi! Nella mia casa entrate, ché me pure volle fortuna in simili sventure a lungo risospinta, e in queste terre alfin mi pose; sì che già per prova il dolore conosco e la pietà!» Eneide I 613 -630

L’astuto inganno di Venere I Tiri e i Troiani si avviano verso la reggia

L’astuto inganno di Venere I Tiri e i Troiani si avviano verso la reggia Venere è preoccupata per la sorte del figlio in terra straniera Per garantirgli un soggiorno tranquillo, farà sì che Didone si innamori di lui Cupido prenderà le sembianze di Ascanio affinché, quando Didone lo terrà in grembo, possa più facilmente colpirla col suo insidioso dardo

Il banchetto Eneide I 695 -700 E già Cupido, docile al comando, lieto correva

Il banchetto Eneide I 695 -700 E già Cupido, docile al comando, lieto correva con i doni in mano seguendo Acate. E quando là pervenne, sull’aurea sponda del superbo soglio già la regina postasi, nel mezzo del convito adagiavasi, ed Enea coi giovani Troiani la seguiva adagiandosi ognuno in aurei drappi.

praecipue infelix, pesti devota futurae, expleri mentem nequit ardescitque tuendo Phoenissa, et pariter puero

praecipue infelix, pesti devota futurae, expleri mentem nequit ardescitque tuendo Phoenissa, et pariter puero donisque movetur Eneide I 712 -719 Ma più degli altri l’infelice Dido, del vicino furor vittima inconscia, non sa saziarsi l’animo, e frattanto cresce l’ardore in cuore alla fenissa dai doni presa insieme e dal fanciullo. Ed egli allor, come sospeso al collo saziò del falso padre il vero amore, si volse alla regina che, con gli occhi tutta rapita in lui, felice, in grembo ognor lo tiene, ismemorata e ignara qual dio possente insidi la sua vita.

Il brindisi di Didone Eneide I 728 -737 Allora Dido chiese quella coppa, d’oro

Il brindisi di Didone Eneide I 728 -737 Allora Dido chiese quella coppa, d’oro e di gemma fulgida, che Belo coi discesi da lui soleva usare, e la colmò di vino. Allora intorno sorse silenzio nella vasta reggia: «O Giove, che degli ospiti le leggi poni e sancisci con ultrice fiamma, nel tuo volere sia che questo giorno ai profughi di Troia e a noi di Tiro lieto si svolga, e i nostri figli sempre ne serbino il ricordo! Sia con noi dator di gioia Bacco e Giuno amica; e voi per primi, o Tiri, secondate questo convito!»

Il canto di Jopa Eneide I 743 -746 hic canit errantem lunam solisque labores,

Il canto di Jopa Eneide I 743 -746 hic canit errantem lunam solisque labores, unde hominum genus et pecudes, unde imber et ignes, Arcturum pluviasque Hyadas geminosque Triones, quid tantum Oceano properent se tingere soles hiberni, vel quae tardis mora noctibus obstet… Il convito è allietato dal citaredo Jopa che canta le fasi della luna, il faticoso corso del sole, l’origine degli uomini e degli animali, la causa dei fenomeni atmosferici l’influenza delle costellazioni sul clima, la causa della minor durata del giorno e della maggiore lunghezza della notte durante l’inverno

infelix Dido longumque bibebat amorem Eneide I 748 -756 E Dido intanto, in vario

infelix Dido longumque bibebat amorem Eneide I 748 -756 E Dido intanto, in vario dir, la notte infelice protrae, e a lunghi sorsi beve l’amore. E ancor d’Ettore chiede e di Troia e del re; ancor domanda dell’armi con che il figlio dell’Aurora era venuto, e quali Diomede cavalli avesse, e quale fosse Achille. «Orsù, - poi disse- ospite: le insidie dall’origine prima tutte narra dei Greci infidi e le sciagure vostre, e il tuo lungo esilio; ché per fato già la settima estate ormai ti porta per terre e mari profugo vagante!»

Tutti tacquero allora, attenti e fissi, muto tenendo nell’attesa il labbro. Indi così, dall’alto

Tutti tacquero allora, attenti e fissi, muto tenendo nell’attesa il labbro. Indi così, dall’alto seggio, Enea a dire incominciò: -Tu vuoi, regina, che un dolore indicibile rinnovi in questa notte placida narrando come il troiano sventurato regno, e d’Ilio il fiore, i Greci abbian distrutto; e quelle infelicissime vicende ch’io stesso vidi, e di che fui gran parte. Chi, questo raccontando, sia soldato del duro Ulisse, o Dòlopo o Mirmidone s’asterrebbe dal pianto? E già dal cielo scende l’umida notte e, declinando, al dolce sonno invitano le stelle. Me se tanta, o regina, è in te brama d’udir le nostre pene, e quella ancora che fu di Troia l’ultima sciagura, benché l’animo ancora a tal ricordo inorridisca, ed al pensier rifugga di tanto lutto, io pur dirò. Conticuere omnes, intentique ora tenebant Eneide II 1 -13 Conticuere omnes intentique ora tenebant; inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto: Infandum, regina, iubes renovare dolorem, Troianas ut opes et lamentabile regnum eruerint Danai, quaeque ipse miserrima vidi et quorum pars magna fui. Quis talia fando Myrmidonum Dolopumve aut duri miles Ulixi temperet a lacrimis? et iam nox umida caelo praecipitat suadentque cadentia sidera somnos. sed si tantus amor casus cognoscere nostros et breviter Troiae supremum audire laborem, quam animus meminisse horret luctuque refugit, incipiam.

Iamque iugis summae surgebat Lucifer Idae… nec spes opis ulla dabatur… sublato montis genitore

Iamque iugis summae surgebat Lucifer Idae… nec spes opis ulla dabatur… sublato montis genitore petivi Eneide II 801 - 804

Libro III: il viaggio da Troia a Cartagine v. ANTANDRO: costruisce la flotta composta

Libro III: il viaggio da Troia a Cartagine v. ANTANDRO: costruisce la flotta composta di venti navi v. TRACIA: fonda la nuova città di Eneade, ma deve ripartire a causa dell’orribile prodigio di Polidoro v. DELO: l'oracolo di Apollo gli dice di cercare «l'antica madre» v. CRETA: fonda la città di Pergamo. Una pestilenza miete molte vittime. I Penati gli dicono essere l'Italia «l'antica madre» donde era giunto Dardano v. STROFADI: incontra le arpie v. AZIO: si ferma per una breve sosta dopo una tempesta. v. BUTROTO: in Epiro incontra Andromaca e il marito Eleno che hanno costruito una nuova Troia v. SCILLA e CARIDDI v. TERRA dei CICLOPI: accoglie Achemenide, compagno di Ulisse v. DREPANO: muore il padre Anchise.

Didone innamorata Eneide IV 1 -5 At regina gravi iamdudum saucia cura vulnus alit

Didone innamorata Eneide IV 1 -5 At regina gravi iamdudum saucia cura vulnus alit venis et caeco carpitur igni. Multa viri virtus animo multusque recursat gentis honos; haerent infixi pectore vultus verbaque nec placidam membris dat cura quietem. Ma vinta già dall’amoroso affanno da tempo ormai nelle sue vene Dido nutre la piaga, e da nascosto fuoco tutta rapir si sente. Al suo pensiero tornano ancora le parole e il volto del grande eroe, e il vanto della stirpe; Né concede alle membra pace alcuna la sua passione.

Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent! «Anna, sorella, quali affanni mi turbano nel

Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent! «Anna, sorella, quali affanni mi turbano nel sonno! E quale ospite è questo che tra noi così improvviso è giunto? Quale appare nel volto e al portamento, e quale il cuore mostrò nei rischi e nella guerra il braccio! Io credo certo (e il pensier mio non sbaglia) che sia stirpe di Dei: d’animo grande è la fierezza indizio! Oh qual destino qui l’ha sospinto! Quali epiche gesta combattute narrava! Se nel cuore Eneide IV 9 -19 ormai irrevocabile non fosse che a nessuno vorrò più unirmi in nozze da che il mio primo amore con la morte delusa mi lasciò, a questa forse, se in odio non avessi e nozze e talamo, a questa colpa forse avrei ceduto!

Eneide IV 20 -30 agnosco veteris vestigia flammae Sarò sincera ormai, con te, sorella:

Eneide IV 20 -30 agnosco veteris vestigia flammae Sarò sincera ormai, con te, sorella: dopo la morte di Sicheo, da quando del sangue di un congiunto i miei Penati furono aspersi, solo questi i sensi in me sconvolse, e l’animo ne trema: conosco i segni dell’antica fiamma! Ma prima qui vorrei veder la terra aprirsi in nero baratro ai miei piedi, o Giove onnipotente con un fulmine scagliarmi in mezzo all’ombre, fra le pallide ombre dell’Orco, alla profonda notte, prima che te e le tue leggi mai, o pudore, contamini. Colui che a sé mi unì per primo, egli il mio amore tutto con sé portò, ed ora e sempre nel suo sepolcro seco lo conservi!» Ma detto questo in lacrime proruppe e di pianto inondò le guance e il seno.

L’incitamento di Anna: Id cinerem aut manis credis curare sepultos? Eneide IV 31 -53

L’incitamento di Anna: Id cinerem aut manis credis curare sepultos? Eneide IV 31 -53 Ed Anna a lei: «O più della mia vita / cara sorella! Dunque, sola, / tutta la giovinezza lascerai / piangendo disfiorirti, e i dolci figli / e di Venere i doni ignorerai? / Credi tu che i sepolti, i Mani, l’Ombre / si curino di ciò? / Che prima alcuno / né di Libia né in Tiro abbia potuto / vincere il tuo dolore, sia concesso! / Iarba respinto e tutti gli altri capi, / che ricca di trionfi Africa vanta, / io ben comprendo! Ma un gradito amore / vorrai pure spezzare? / Non ricordi nelle terre di chi tu hai posto sede? / Da una parte le getule nazioni / in guerra insuperabili e la Sirti / e i Numidi sfrenati ci circondano; / dall’altra una regione tormentata / d’eterna sete, ed i Barcei che ovunque / il furore sospinge. E poi, che dire / della guerra da Tiro minacciata / e del fratello ostile? Io credo invece / che col favor di Giuno e degli Dei / abbia tenuto al vento questa rotta / l’iliaca flotta. Un dì, quale città / vedrai sorgere in questa! Quale regno / con tali nozze! Unite a noi per sempre / l’armi dei Teucri, a quali imprese mai / s’innalzerà la gloria dei Fenici! / Invoca, dunque, dagli Dei la grazia, / e, fatti i sacrifici, pensa solo / ai doveri ospitali, trova indugi / al suo soggiorno qui, finché nel mare / si plachino l’inverno e Orione acquoso, / e le navi ancor rotte e il cielo è infido!»

Didone vinta dall’amore Eneide IV 54 -67 His dictis impenso animum flammavit amore spemque

Didone vinta dall’amore Eneide IV 54 -67 His dictis impenso animum flammavit amore spemque dedit dubiae menti solvitque pudorem … tacitum vivit sub pectore vulnus! Con questi detti l’animo già acceso vie più le infiamma, ed alla dubbia mente la speme infonde che il pudor dissolve. E insieme a lei frequenta i sacri templi pace invocando, e bianche e scelte agnelle secondo il rito immola alla leggifera Cerere prima, e a Febo e al padre Lièo, e a Giuno poi, che degli sposi ha cura. Lei, bellissima Dido, con la destra di bianca mucca versa fra le corna un’aurea coppa, e avanti ai pingui altari sempre s’aggira e ai santi simulacri. Inizia il dì coi voti e, appena aperto alle vittime il petto, attenta e fissa i palpiti e le viscere consulta. O mente ignara e misera dei vati! Al suo furor che giovan templi e voti? L’intime fibre già brucia la fiamma, e occulta vive la ferita in petto!

Uritur infelix Dido totaque vagatur urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta Eneide IV 68

Uritur infelix Dido totaque vagatur urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta Eneide IV 68 -73 Arde Dido infelice, e smaniosa per tutta la città vaga qual cerva che da lontan, tra le cretesi macchie, un pastore incalzandola coi dardi abbia ferito incauta, ed uno strale in lei senza avvedersene lasciò; e quella in fuga corre selve e boschi ma la freccia mortal resta nel fianco.

nunc media Aenean secum per moenia ducit Sidoniasque ostentat opes urbemque paratam, incipit effari

nunc media Aenean secum per moenia ducit Sidoniasque ostentat opes urbemque paratam, incipit effari mediaque in voce resistit Eneide IV 74 -76 Ora conduce Enea per l’ampie vie, gli mostra di Sidone le ricchezze, la città costruita, e in cuore esulta; e dir vorrebbe, ma nel dir s’arresta.

Post ubi digressi, lumenque obscura vicissim luna premit suadentque cadentia sidera somnos, sola domo

Post ubi digressi, lumenque obscura vicissim luna premit suadentque cadentia sidera somnos, sola domo maeret vacua stratisque relictis incubat. Eneide IV 77 -85 Poi, quando il giorno muore e vien la sera, e tornano ai conviti, smaniosa chiede di Troia ancora i duri eventi, e ancor del narrator pende dal labbro. E quando tutti son partiti e, fioca a sua volta s’asconde in ciel la luna, e già le stelle, declinando, al sonno invitano e alla quiete, ella si strugge nella casa deserta e s’abbandona sul vuoto seggio ove sedeva Enea. Lontana, ascolta e vede lui lontano o tiene in grembo Ascanio, tutta presa dalla paterna somiglianza, invano d’illudere sperando il suo tormento.

. . . pendent opera interrupta minaeque murorum ingentes aequataque machina caelo. Eneide IV

. . . pendent opera interrupta minaeque murorum ingentes aequataque machina caelo. Eneide IV 86 -89 Non più sorgon le torri a mezzo tronche, non più la gioventù s’addestra all’armi, o il porto e la fortezza per la guerra rende sicuri: l’opere interrotte, e le mura massicce e minacciose, e i tanti ordigni eretti fino al cielo restano sospesi.

Giunone assale Venere con aspre parole Poi le propone un connubio stabile tra Enea

Giunone assale Venere con aspre parole Poi le propone un connubio stabile tra Enea e Didone sperando che il Troiano rinunci all’Italia Venere accetta per assicurare al figlio un tranquillo soggiorno a Cartagine

Ascolta. Enea nel bosco con l’infelice Dido andar s’accinge a caccia insieme appena il

Ascolta. Enea nel bosco con l’infelice Dido andar s’accinge a caccia insieme appena il primo raggio avrà il Titano sparso sulla terra, e di sua luce avrà schiarito il cielo. Un nero nembo di frammista grandine, quando le schiere trepide con reti tutto il bosco avran cinto, su di loro dall’alto verserò, tutto scuotendo di tuoni il cielo. In fuga allor trepidi qua e là dispersi andranno, e in densa notte presto saranno avvolti. Ma Didone sola verrà col Teucro in uno speco. Io sarò lì, e se del tuo volere ancor sei certa, in stabile connubio per sempre li unirò, e Imene questo sarà per loro. Il piano di Giunone Eneide IV 117 -127 His ego nigrantem commixta grandine nimbum, … desuper infundam et tonitru caelum omne ciebo … speluncam Dido dux et Troianus eandem devenient. Adero …

La caccia Eneide IV 128 -139 Sorgeva intanto dall’Oceano il sole; e d’ogni casa,

La caccia Eneide IV 128 -139 Sorgeva intanto dall’Oceano il sole; e d’ogni casa, ai primi raggi, usciva l’eletta gioventù con reti e lacci, armi da caccia a larga lama, e cani dal sottil fiuto. I cavalier massìli d’ogni parte s’addensano coi primi sulla soglia ad attendere Didone che a letto ancora indugia, mentre fervido splendido d’oro e d’ostro il suo destriero il fren schiumoso impaziente morde. Ed ecco alfin avanza circondata dal seguito regale, tutta avvolta d’una sidonia clamide dipinta d’ostro sull’orlo: la faretra ha d’oro, i capelli annodati in spilla d’oro, d’oro un fermaglio alla purpurea veste.

Eneide IV 140 -150 A lei s’affianca Julo qual compagno in volto sorridente; e

Eneide IV 140 -150 A lei s’affianca Julo qual compagno in volto sorridente; e avanti a tutti, di tutti il più bello, Enea s’inoltra i due drappelli unendo. Quale Apollo, Licia lasciando e dello Xanto il corso, fulgido torna alla materna Delo ad instaurare i cori… … non di meno di lui prestante e fiero Enea andava, tanta beltà gli risplendeva in volto. ipse ante alios pulcherrimus omnis infert se socium Aeneas

postquam altos ventum in montis Eneide IV 151 Quando si giunse sugli alti monti,

postquam altos ventum in montis Eneide IV 151 Quando si giunse sugli alti monti, ecco un correre di capre selvatiche, spinte dalle alte cime giù per i clivi, e per i larghi campi una schiera di cervi abbandonano i gioghi in una fuga polverosa. Ascanio supera ora questi ora quelli con il suo veloce cavallo e prega di incontrare o un cinghiale o un leone.

Interea magno misceri murmure caelum incipit, insequitur commixta grandine nimbus … speluncam Dido dux

Interea magno misceri murmure caelum incipit, insequitur commixta grandine nimbus … speluncam Dido dux et Troianus eandem deveniunt. Eneide IV 160 -168 Intanto il cielo di sordo mormorìo ecco turbarsi e scrosciar pioggia a grandine frammista. I Tiri amici e i giovani Troiani, e il Dardanio di Venere nepote raggiungono pei campi in fuga sparsi vari ripari, e già dai monti in piena scrosciano i fiumi. Insieme si ritrovano nella stessa spelonca Enea e Didone. La Terra prima e pronuba Giunone diedero il segno: arse di lampi il cielo conscio del fatto, e su, negli alti monti, dai vertici ulularono le Ninfe.

Ille dies primus leti primusque malorum causa fuit; neque enim specie famave movetur nec

Ille dies primus leti primusque malorum causa fuit; neque enim specie famave movetur nec iam furtivum Dido meditatur amorem: coniugium vocat, hoc praetexit nomine culpam. Eneide IV 169 -172 Quello di ogni sventura il primo giorno, quello la causa fu di tanti mali! E infatti che si noti o che si dica più non muove Didone, né furtivo serba il suo amore: chiama Enea marito e la colpa nasconde con tal nome.

La Fama, monstrum horrendum… Eneide IV 173 -195 Extemplo Libyae magnas it Fama per

La Fama, monstrum horrendum… Eneide IV 173 -195 Extemplo Libyae magnas it Fama per urbes, Fama, malum qua non aliud velocius ullum mobilitate viget virisque adquirit eundo, parva metu primo, mox sese attollit in auras ingrediturque solo et caput inter nubila condit. Ma già le ville e i borghi della Libia / corre la fama orribile di cui / nessun male più rapido dilaga: / dal moto stesso trae vigore e, andando, / più forze acquista quanto più cammina. / Piccola prima e timida, ben presto, / alta s’aderge al cielo sì che il capo / fra le nubi nasconde mentre ancora / sopra la terra rapida dilaga. / … / mostro nefasto, smisurato, orrendo / che quante penne ha addosso, tanti occulti / -incredibile a dirsi- ha sotto quelle / vigili occhi, e tante lingue, e tante / bocche vocianti e altrettanti orecchi. / Di notte a mezzo fra la terra e il cielo / per l’ombre vola stridula, né gli occhi / al dolce sonno mai declina vinta / … / e allor le genti, d’acre gioia accesa, / assorda di molteplici discorsi, / e col vero il non vero insieme sparge: / ch’era venuto Enea, di teucra stirpe, / cui la bella Didone non sdegnava / unirsi qual compagna, ed or riscalda / l’un l’altro nel piacer tutto l’inverno / immemori del regno e di se stessi / e da turpe passion entrambi presi. / … / subito il corso volse a Jarba gétulo / ad incendiarne l’animo coi detti, / l’ira accrescendo.

Al centro del mondo c'è un luogo che sta fra la terra, il mare

Al centro del mondo c'è un luogo che sta fra la terra, il mare e le regioni del cielo, al confine di questi tre regni. Da lì si scorge tutto ciò che accade in qualsiasi luogo del mondo, anche nel più remoto, e lì giunge, a chi ascolta, qualsiasi voce. Vi abita la Fama: ha eretto la casa nel punto più alto, una casa nella quale ha posto infinite entrate e mille fori, senza che una porta ne impedisca l'accesso. È aperta notte e giorno; tutta di bronzo sonante, vibra tutta, riporta le voci e ripete ciò che sente. Ovidio Non vi è pace all'interno e in nessun angolo silenzio, ma pure non vi è frastuono, solo un brusio sommesso, come quello che fanno le onde Metamorfosi del mare se le si ascolta di lontano o come l'ultimo brontolio dei tuoni, XII 39 -63 quando Giove fa rimbombare lugubri le nubi. L'atrio è sempre affollato: gente d'ogni risma che va e viene. Mescolate a voci vere ne vagano qua e là migliaia di false, che spargono intorno chiacchiere e parole equivoche. Di queste alcune riempiono le orecchie sfaccendate di calunnie, altre riportano il sentito dire, e la dose delle invenzioni cresce a dismisura, perché ognuno vi aggiunge qualcosa di suo. Lì trovi la Credulità, l'incauto Errore, la Gioia immotivata e i Timori sfibranti, la Sedizione improvvisa e i Sussurri d'origine incerta.

Giove invia Mercurio Jarba, figlio di Giove Ammone, prega il padre di vendicare l’offesa

Giove invia Mercurio Jarba, figlio di Giove Ammone, prega il padre di vendicare l’offesa Giove l’ascolta e manda Mercurio a ricordare ad Enea la missione assegnatagli dal Fato

At regina dolos (quis fallere possit amantem? ) praesensit Eneide IV 296 -304 Ma

At regina dolos (quis fallere possit amantem? ) praesensit Eneide IV 296 -304 Ma chi mai può ingannare un’amante? La regina l’inganno presentì. Per prima vide quel che avveniva, tutto, pur sicura sempre temendo. E già d’angoscia stretta dall’empia Fama apprende e ode e ascolta che s’armava la flotta alla partenza. Smaniosa allor, né più di sé padrona, dall’odio accesa in furia e in fuoco corre per tutta la città… Infine Enea ella per prima affronta

dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum posse nefas tacitusque mea decedere terra? nec te noster

dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum posse nefas tacitusque mea decedere terra? nec te noster amor nec te data dextera quondam nec moritura tenet crudeli funere Dido? Eneide IV 305 -314 Anche dissimular sperasti, perfido, tal tradimento, e dalla terra mia di nascosto partire? E non ti tiene il nostro amor, né la giurata fede, né Dido che morrà di atroce morte? Anzi, proprio d’inverno armi la flotta, tra la furia dei venti apri le vele pel mare burrascoso! Che faresti se non a terre d’altri e a sedi ignote ti dirigessi, e ancor Troia esistesse? A Troia forse in simili tempeste andresti con la flotta? O me tu fuggi?

per ego has lacrimas dextramque tuam te (quando aliud mihi iam miserae nihil ipsa

per ego has lacrimas dextramque tuam te (quando aliud mihi iam miserae nihil ipsa reliqui), per conubia nostra, per inceptos hymenaeos, si bene quid de te merui, fuit aut tibi quicquam dulce meum, miserere domus labentis et istam, oro, si quis adhuc precibus locus, exue mentem. Vedi: / per te le genti libiche e i tiranni / m’han dei Numidi in odio; ostili tutti / mi sono i Tiri, ed è il pudore estinto / e la fama perduta per la quale / un dì alle stelle andava il nome mio!/ A chi me moribonda lascerai / ospite mio? Ahimè! Eneide IV 314 -330 Questo soltanto / di te che eri marito Ma io, per la tua fé, per queste amare ora mi resta! / E che più aspetto? Che il lacrime mie (perché nient’altro, vedi, crudel fratello / le mie mura distrugga o niente, infelice, io stessa a me lasciai!); Jarba gétulo / prigioniera mi tragga? / Oh per il connubio nostro, per i nostri avessi almeno / prima della tua fuga un figlio tuo; / se almeno avanti un intrapresi imenei, se di te mai pargoletto Enea / mi vedessi giocare, ben meritai, o se dolcezza alcuna che nel volto / te ricordasse, non del mai avesti da me, Enea, ti prego: pietà della mia casa! e il tuo pensiero tutto allora / delusa e abbandonata mi vedrei! / te ne scongiuro, se le preci ancora E più non disse. han luogo in te, muta del tutto!

Con poche e fredde parole Enea risponde alla «regina» Didone: § Mai dimenticherà il

Con poche e fredde parole Enea risponde alla «regina» Didone: § Mai dimenticherà il suo debito di riconoscenza § Mai scorderà il nome di Elissa § Mai ha pensato di nasconderle la sua partenza § Mai le ha parlato di matrimonio § Se fosse padrone della sua vita, tornerebbe in patria per ricostruire la rocca di Troia § I responsi di Apollo gli hanno imposto di raggiungere l’Italia § Mercurio , mandato da Giove, lo ha sollecitato alla partenza Il brusco addio di Enea Eneide IV 331 -361 desine meque tuis incendere teque querelis; Italiam non sponte sequor Lascia di amareggiar dunque coi tuoi vani lamenti il cuore mio e tuo! Non di mia voglia ancor seguo l’Italia!

L’IRA di DIDONE Eneide IV 362 -373 E mentre queste cose egli diceva, /

L’IRA di DIDONE Eneide IV 362 -373 E mentre queste cose egli diceva, / torva da tempo già lei lo guardava / gli occhi qua e là volgendo, e con lo sguardo / da capo a piè scorrendolo in silenzio. / Alfin, vinta da sdegno, aspra proruppe: / «A te non una dea fu genitrice, né di tua stirpe Dardano è l’autore, / perfido; ma dall’aspre rupi il Caucaso / ti generò, l’alpestre orrendo Caucaso, / e tigri ircane a te diedero il latte! / Che dissimulo ormai? O a qual vergogna / più grande mi riserbo? Un solo gemito / ha forse dato al pianto mio? Mai forse / di guardarmi degnò? Impietosito / qualche lacrima sparse, e la sua amante / commiserò una volta? Oh quali ormai funesti a più funesti mali / anteporre potrò? Oh me infelice, / cui la massima Giuno né il Saturnio / più non guardano ormai con occhi giusti!

L’IRA di DIDONE: Eneide IV 373 -387 i, sequere Italiam ventis, pete regna per

L’IRA di DIDONE: Eneide IV 373 -387 i, sequere Italiam ventis, pete regna per undas L’ho raccolto sbattuto sulla spiaggia, mendicante; a parte, folle, lo chiamai del regno e la flotta perduta e i suoi compagni da morte gli ridiedi! Ahimè ch’io sento trascinarmi le Furie e in odio tutto volgersi in me l’amore! Ed ora Apollo, ora le sorti licie, ora da Giove, da Giove stesso inviato un messaggero porta di là terribili comandi! Eh sì! Ché degli Dei questo è l’affanno, questo li turba nella loro quiete! Ma non ti tengo, né il tuo dir ribatto! Segui l’Italia, va’, cerca il tuo regno fra i venti e le tempeste! Ma se ancora può qualche cosa un dio di me pietoso, fra l’onde pagherai, perfido, il fio della tua colpa; e Dido a nome invano invocherai! Ed io ti seguirò, con le fumose tede, pur lontana; e quando avrà disgiunto le mie membra dall’anima la morte, ombra vagante in tutti i luoghi ti sarò vicina! Allora pagherai, perfido, il fio! Io lo saprò e, giù, tra i morti, a me lieto verrà l’annuncio!

his medium dictis sermonem abrumpit et auras aegra fugit seque ex oculis avertit et

his medium dictis sermonem abrumpit et auras aegra fugit seque ex oculis avertit et aufert, linquens multa metu cunctantem et multa parantem dicere. suscipiunt famulae conlapsaque membra marmoreo referunt thalamo stratisque reponunt. Eneide IV 388 -392 E ciò dicendo tronca il colloquio e affranta via dagli occhi gli si toglie fuggendo e lui lasciando in suo timor confuso e a dir proteso. La sostengon le ancelle e l’egre membra distendono sul talamo marmoreo sulle coltri adagiandola.

At pius Aeneas, quam lenire dolentem solando cupit et dictis avertere curas, multa gemens

At pius Aeneas, quam lenire dolentem solando cupit et dictis avertere curas, multa gemens magnoque animum labefactus amore iussa tamen divinum exsequitur classemque revisit. Eneide IV 393 -396 Il Troiano benché lenire e consolar l’amante desiderasse, e con le sue parole mitigare l’affanno che l’affligge e al pianto il cuor gl’induce, tuttavia obbedisce al comando e ai suoi ritorna.

I preparativi per la partenza I Teucri allor s’affrettano e, impazienti, da tutto il

I preparativi per la partenza I Teucri allor s’affrettano e, impazienti, da tutto il lido in mare spingono i legni fra gli ondeggianti flutti, e dalle selve recan remi frondosi e tronchi grezzi per fretta della fuga. Andar li vedi da tutta la città precipitosi, quali formiche memori del verno quando a predar si volgono e a riporre alto mucchio di farro: in lunga fila va il bruno stuol pei campi e seco porta fra gli steli la preda: questa spinge grossi chicchi sforzandosi sugli omeri, quelle le file serrano incitando le infingarde al sentier che ovunque ferve. Eneide IV 397 -407

quis tibi tum, Dido, cernenti talia sensus, quosve dabas gemitus, cum litora fervere late

quis tibi tum, Dido, cernenti talia sensus, quosve dabas gemitus, cum litora fervere late prospiceres arce ex summa, totumque videres misceri ante oculos tantis clamoribus aequor! improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis! Eneide IV 408 -415 Quale a tal vista allor era il tuo cuore, quali i sospiri, Dido, quando il lido vedevi ovunque fervere dall’alto della tua torre, e tutto avanti a te confondersi di gridi l’ampio mare? Spietato amor, a che non spingi tu l’animo umano? Ancor tornare al pianto, ancor tentar pregando ella s’induce, e supplice l’orgoglio al cuor posporre, nulla lasciar, per non morire invano.

Didone sconvolta prega Anna di intercedere Eneide IV 416 -435 «Anna, tu vedi come

Didone sconvolta prega Anna di intercedere Eneide IV 416 -435 «Anna, tu vedi come in tutto il lido / s’affrettano concordi! D’ogni parte / sono venuti , e già le bianche vele / chiamano al largo i venti, e i marinai / sulle poppe hanno posto le corone ! / Se sospettar potei tanto dolore / e soffrirlo saprò! Pure, sorella, / solo questo conforto porgi ancora / a me infelice; poi che te soltanto / quel perfido onorava, a te affidava / i segreti pensieri, e tu soltanto / i più facili accessi conoscevi / e i momenti opportuni! Va’, sorella, / e supplice ricorda a quel superbo / che in Aulide coi Greci io non giurai / l’esterminio del popolo troiano; / non io la flotta a Pergamo mandai, / né il cenere o il sepolcro di suo padre / mai profanai! Perché le mie parole / nel duro cuore accogliere rifiuta? / E dove corre? Oh questo estremo dono / conceda almeno all’infelice amante: / aspetti una partenza propizia / e meno infausti venti! Io non gli chiedo / le antiche nozze ch’egli ha ormai tradito, / né che al Lazio rinunci e lasci il regno; / sol breve tempo chiedo, al mio dolore / requie e conforto, e fino a che sventura, / che già mi vinse, ora a soffrir m’insegni! / Sol quest’ultima grazia gli domando, / (pietà per tua sorella, Anna) che a lui / della morte accresciuta renderò!»

Talibus orabat, talisque miserrima fletus fertque refertque soror. sed nullis ille movetur fletibus aut

Talibus orabat, talisque miserrima fletus fertque refertque soror. sed nullis ille movetur fletibus aut voces ullas tractabilis audit; fata obstant placidasque viri deus obstruit auris. Eneide IV 437 -449 Così pregava, e questi pianti porta e riporta la suora addolorata; ma non lo muove il pianto, né v’è prece ch’egli benigno ascolti: opposto è il Fato e insensibili un dio rende gli orecchi. Enea resta fermo e irremovibile come una quercia secolare percossa dalla furia dei venti

tum vero infelix fatis exterrita Dido mortem orat Allora Dido, del suo fato sgomenta

tum vero infelix fatis exterrita Dido mortem orat Allora Dido, del suo fato sgomenta e ormai sdegnosa di più veder la luce, morte invoca. Eneide IV 450 -473 Luttuosi presagi: le libagioni di latte diventar nere e il vino trasformarsi in sangue; dal cenotafio di Sicheo, di notte, sente la voce del marito che la chiama e il canto di un gufo trasformarsi in pianto Incubi notturni: Enea, ormai nemico, la incalza; sola e smarrita va per le strade della città, inutilmente cercando i Tiri agit ipse furentem /in somnis ferus Aeneas, semperque relinqui / sola sibi, semper longam incomitata videtur /ire viam et Tyrios deserta quaerere terra

Didone disperata decide di morire, ma nasconde il suo proposito alla sorella fingendo di

Didone disperata decide di morire, ma nasconde il suo proposito alla sorella fingendo di aver trovato, grazie ad una maga, il modo di liberarsi della sua passione Eneide IV 478 -498 «… Questa (la maga) dice poter sciogliere i cuori / con sue malie, e a suo piacere ad altri / infondere d’amore i duri affanni; fermar l’acqua dei fiumi; gli astri in cielo / volgere indietro ed evocare i Mani: / muggir vedrai la terra sotto i piedi / e scender dai monti gli orni. / Su te lo giuro, sul tuo caro capo / e sugli Dei, che contro voglia impresi / queste magiche sorti: or, di nascosto, / ergi al cielo una pira entro la reggia; / e l’armi sue, che fisse al letto mio / lasciò quell’empio, e tutte le sue spoglie, e il letto coniugal che mi perdé, / gettavi sopra; ché la maga al rito / prescrive e impone ogni ricordo in cenere / mandare di quell’empio. »

haec effata silet, pallor simul occupat ora Eneide IV 499 -503 Tace quindi, e

haec effata silet, pallor simul occupat ora Eneide IV 499 -503 Tace quindi, e improvviso pallor tinge il suo volto. Ma non per questo in lei l’altra sospetta pensier alcun di morte. Nella mente come accoglier potrebbe tal furore o temer più che in morte di Sicheo? Prepara quindi ciò che le fu imposto.

Preparativi di morte Eneide IV 504 -521 Viene innalzata la pira che Didone incorona

Preparativi di morte Eneide IV 504 -521 Viene innalzata la pira che Didone incorona «fonde funerea» , di fronda funerale Sul letto la regina pone il ritratto di Enea e la spada da lui donatale La maga compie il rito invocando tre volte le divinità infernali, spargendo l’acqua e facendo offerte La stessa Didone «con pure mani sparge il farro e il sale presso gli altari, un piè dai lacci sciolta; e in sciolta veste invoca gli astri e gli della sua morte consci; e un Dio se v’è, che giusto e memor sia protettor di chi serve iniquo amore» .

Nox erat et placidum carpebant fessa soporem corpora per terras, silvaeque et saeva quierant

Nox erat et placidum carpebant fessa soporem corpora per terras, silvaeque et saeva quierant aequora, cum medio volvuntur sidera lapsu, cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres, quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis rura tenent, somno positae sub noctesilenti, lenibant curas et corda oblita laborum. Eneide IV 522 -528 Era la notte, e placido sopore prendean le stanche membra sulla terra; e quete eran le selve e il fiero mare, e già dal ciel cadevano le stelle. Taceva l’aria intorno; e gli animali e i variopinti uccelli e quanti sono nell’acque vaste e limpide i viventi, o nei placidi campi aspri di dumi, nel sonno immersi, alla silente notte, leniano il cuor dimentico d’affanni.

 «εὕδουσι δʼ ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες πρώονές τε καὶ χαράδραι φῦλά τʼ

«εὕδουσι δʼ ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες πρώονές τε καὶ χαράδραι φῦλά τʼ ἑρπέτ' ὅσα τρέφει μέλαινα γαῖα θῆρές τʼ ὀρεσκώιοι καὶ γένος μελισσᾶν καὶ κνώδαλʼ ἐν βένθεσσι πορφυρέας ἁλός· εὕδουσι δʼ οἰωνῶν γένος τανυπτερύγων» Alcmane fine del VII sec. a. C. Fr. 49 Garzya «Dormono le cime dei monti e le gole, i picchi e i dirupi, e le famiglie di animali, quanti nutre la nera terra, e le fiere abitatrici dei monti e la stirpe delle api e i mostri negli abissi del mare purpureo; dormono le schiere degli uccelli dalle larghe ali»

Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti

Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna lampa: Tu dormi, che t'accolse agevol sonno Nelle tue chete stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai nè pensi Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno Appare in vista, a salutar m'affaccio, E l'antica natura onnipossente, Che mi fece all'affanno. A te la speme Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. Giacomo Leopardi LA SERA DEL DÌ DI FESTA

at non infelix animi Phoenissa, neque umquam solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem

at non infelix animi Phoenissa, neque umquam solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem accipit: ingeminant curae rursusque resurgens saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu. sic adeo insistit secumque ita corde volutat Eneide IV 529 -533 Ma non Didone infelice: non ancora al sonno s’abbandona, né la pace della notte negli occhi o in cuore accoglie. L’affanno anzi raddoppia, ed improvviso amor risorgendo infuria e fluttua fra l’ondeggiar dell’ira. Così veglia, e così, fra se stessa, in cuor rivolge

en, quid ago? Eneide IV 534 -546 Or che farò? Schernita, i pretendenti or

en, quid ago? Eneide IV 534 -546 Or che farò? Schernita, i pretendenti or cercherò di prima, e il cuore, supplice, dei Numidi allettar che tante volte quali mariti disdegnai superba? L’iliaca flotta allora, e dei Troiani seguire i cenni? Oh sì! Mi giova infatti l’averli del mio aiuto sollevati; e grato resta, e saldo, in lor memoria il ricordo del vecchio beneficio! E chi, se io volessi, or mi vorrebbe? Chi mai, me invisa, alle superbe navi accogliere vorrebbe? Oh sventurata! E non ti accorgi, non conosci ancora del teucro sangue gli spergiuri? E poi? Sola e fuggiasca unirmi a lui furtiva coi marinai festanti, o andar coi Tiri da tutti i miei seguita in folta schiera? E quelli che strappai già da Sidone a gran fatica, a dare ancor le vele li spingerò sul mare in mezzo ai venti?

quin morere ut merita es, ferroque averte dolorem. Eneide IV 547 -552 tu lacrimis

quin morere ut merita es, ferroque averte dolorem. Eneide IV 547 -552 tu lacrimis evicta meis, tu prima furentem his, germana, malis oneras atque obicis hosti. non licuit thalami expertem sine crimine vitam degere more ferae, talis nec tangere curas; non servata fides cineri promissa Sychaeo. Muori piuttosto, come meritasti, e con la spada tronca il tuo dolore! Tu, dal mio pianto vinta, tu, sorella, m’aggravasti il dolor con questi mali, e m’offristi al nemico! A me concessa non fu una vita senza nozze e colpa, anche se a guisa di selvaggia fiera, e sfuggir queste pene! Né la fede ho mantenuto al cener di Sicheo!

Il nuovo messaggio di Mercurio Ad Enea che dorme sull’alta poppa della nave appare

Il nuovo messaggio di Mercurio Ad Enea che dorme sull’alta poppa della nave appare nuovamente Mercurio Il dio lo esorta a non indugiare per evitare ogni possibile rappresaglia di Didone (varium et mutabile semper femina, vv. 569570) Enea obbedisce ed ordina di salpare e «lasciato il lido, ovunque il mare dispar spumoso e bianco sotto i legni che solcan l’onde e sferzano l’azzurro» (vv. 582 -584)

. . . regina e speculis ut primam albescere lucem vidit et aequatis classem

. . . regina e speculis ut primam albescere lucem vidit et aequatis classem procedere velis. . . Eneide IV 583 -594 E già spargea di luce il cielo immenso lasciando di Titone Aurora il letto, quando dall’alto la regina vide nel nuovo giorno andar lungi la flotta a vele gonfie e senza vita il porto e la spiaggia deserta. Allora il petto più volte e più percosso, e il biondo crine con le mani strappandosi, proruppe: «Oh, Giove! E se n’andrà dunque costui, e uno straniero ha il regno mio schernito? Non brandiran le spade ad inseguirlo da tutta la città? E non trarranno i navigli da tutti gli arsenali? Andate dunque! Via, portate il fuoco! Date le vele! Orsù forza coi remi!. . .

quid loquor? aut ubi sum? quae mentem insania mutat? infelix Dido, nunc te facta

quid loquor? aut ubi sum? quae mentem insania mutat? infelix Dido, nunc te facta impia tangunt? Eneide IV 595 -606 Che dico? Dove sono? Che pazzia / mi sconvolge la mente? / Oh te infelice! / Ora la sua empità, ora ti offende? / Allor doveva, quando offrivi il regno! / Ecco la fede di quel pio che seco / dalla Patria portar dice i Penati, e il vecchio padre agli omeri s’impose! / Il corpo suo ghermire e fare a brani / e sperderlo pel mar, io, non potevo? / Non potevo con l’armi uccider lui / e i suoi compagni, e dargli in pasto Ascanio? / Certo dubbia la sorte della lotta! / Ma dovendo morir, di che temere? / Le fiaccole nel campo avrei portato, / e, incendiate le navi, il figlio e il padre / e la lor stirpe con loro estinta!

L’invocazione agli Dei Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras… Eneide IV 607 -612

L’invocazione agli Dei Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras… Eneide IV 607 -612 O Sole, che quaggiù, con le tue fiamme, poni ogni cosa in luce; e tu Giunone delle mie colpe fomite e mezzana; Ecate che di notte sei nei trivi delle città invocata; ultrici Furie, e Numi voi della morente Elissa, udite le mie ultime parole, volgete contro gli empi il vostro sdegno, e, benevoli e pii, la mia preghiera or ascoltate!

La maledizione cadat ante diem mediaque inhumatus harena Eneide IV 613 -621 Se fatale

La maledizione cadat ante diem mediaque inhumatus harena Eneide IV 613 -621 Se fatale è ormai che l’esecrando giunga in porto e approdi, e così vuole il fato alto di Giove, e questo è irrevocabile, che almeno, spinto dall’armi di nemica gente, dal patrio suol lontano, dall’abbraccio tolto di Julo, implori aiuto, e in pianto veda perire i suoi di morte indegna! E quando, infine, di una iniqua pace avrà le leggi indecorose accolte, non goda il regno né la dolce luce, ma cada anzi il suo giorno e, sull’arena, giaccia insepolto! Questo io chiedo, questa ultima voce col mio sangue verso!

La maledizione E voi, miei Tiri, la sua gente e tutta la sua futura

La maledizione E voi, miei Tiri, la sua gente e tutta la sua futura schiatta perseguite con l’odio vostro, sempre: e alle mie spoglie questo dono mandate: nessun patto, nessuna pace mai fra le due genti! Sorgi anzi un dì, dalle mie ossa, o fiero Vendicatore! E i dardani coloni con il ferro e col fuoco incalza e uccidi oggi, domani, sempre e in ogni luogo che bastino le forze; opposti sempre i lidi ai lidi, i flutti ai flutti ovunque e l’armi all’armi, e ancor nemici un giorno fra loro si combattano i nepoti!» Eneide IV 622 -629 Tum vos, o Tyrii, stirpem et genus omne futurum exercete odiis, cinerique haec mittite nostro munera. Nullus amor populis nec foedera sunto. exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor qui face Dardanios ferroque sequare colonos, nunc, olim, quocumque dabunt se tempore vires. Litora litoribus contraria, fluctibus undas imprecor, arma armis: pugnent ipsique nepotesque. »

Con un pretesto Didone allontana la sua nutrice, Barce Eneide IV 630 -641 Questo

Con un pretesto Didone allontana la sua nutrice, Barce Eneide IV 630 -641 Questo dicendo l’animo volgeva / or qua or là, cercando impaziente / troncar l’odiata vita; e alla nutrice / del primo sposo, Barce, così disse / (la sua era morta nell’antica patria): / «Buona nutrice va’, chiamami Anna; / di’ che s’affretti a tergersi con l’acqua di puro fonte, e coi prescritti doni / le vittime conduca. Così venga; / tu velati le chiome con le bende. / Io voglio il sacrificio a Giove Stigio, / già ritualmente impreso, al fin condurre / per fine imporre al mio dolore e dare / alle fiamme, sul rogo, la sua effigie!» . / Con senil fretta quella si avviava.

Eneide IV 642 - 650 At trepida et coeptis immanibus effera Dido sanguineam volvens

Eneide IV 642 - 650 At trepida et coeptis immanibus effera Dido sanguineam volvens aciem, maculisque trementis interfusa genas et pallida morte futura, interiora domus inrumpit limina et altos conscendit furibunda rogos ensemque recludit Dardanium, non hos quaesitum munus in usus. Trepida allora Dido e fieramente nel suo intento decisa, gli occhi torvi, sparsa le guance frementi di macchie, pallida già della futura morte, oltre le interne soglie, in cima al rogo, irrompe furibonda, forsennata; e la spada d’Enea, non a tal fine a lui richiesta, snuda. E poi che gli occhi sul noto letto e sulle iliache vesti ebbe rivolto, un poco soffermatasi piangendo e ricordando, alfin su quelle si abbandonò, e in questi estremi detti così proruppe …

Eneide IV 651 -658 «O dolci spoglie, dolci finché il destino lo concesse e

Eneide IV 651 -658 «O dolci spoglie, dolci finché il destino lo concesse e un dio, accogliete quest’anima e, dolente, da tanta pena alfin mi liberate! La mia vita ho vissuto, e il corso tutto che la sorte mi diede ho già percorso: ora sotterra andrà l’anima mia! Una eccelsa città ho pur fondato; ho visto alfine le superbe mura; ho vendicato mio marito, ostile mio fratello ha pagato a me il suo fio: oh troppo, ahimè, troppo morrei felice solo se mai quelle straniere navi, mai questa terra avessero raggiunto!» «dulces exuviae, dum fata deusque sinebat, accipite hanc animam meque his exsolvite curis. … felix, heu nimium felix, si litora tantum numquam Dardaniae tetigissent nostra carinae. »

dixit, et os impressa toro «moriemur inultae, sed moriamur» ait. «sic, sic iuvat ire

dixit, et os impressa toro «moriemur inultae, sed moriamur» ait. «sic, sic iuvat ire sub umbras. hauriat hunc oculis ignem crudelis ab alto Dardanus, et nostrae secum ferat omina mortis. » Eneide IV 659 -662 Disse, e, premendo sopra il letto il volto: «Morirò invendicata, eppur, ch’io muoia! Così, così mi piace andar fra l’ombre! Veda dall’alto il Teucro coi suoi occhi questo mio fuoco, e a lui, empio e crudele, tal presagio di morte seco porti!»

Eneide IV 663 -671 La morte di Didone Aveva detto; e già le sue

Eneide IV 663 -671 La morte di Didone Aveva detto; e già le sue fantesche tra questo dir la vedono reclina sulla spada, e la spada insanguinata, e le mani di sangue tutte intrise. Si propaga il clamor per l’ampie stanze, fra l’attonito volgo corre il grido, di lamenti, di gemiti, di pianti le donne empion la casa; il cielo ovunque di strida acute echeggia, quasi tutta Cartagine crollasse invasa e vinta, o Tiro antica, e rabide le fiamme i templi sormontassero e le case.

La disperazione di Anna Udì, gelando, e trepidando accorse la sorella atterrita; e i

La disperazione di Anna Udì, gelando, e trepidando accorse la sorella atterrita; e i pugni al petto e l’unghie al volto forsennata alzando, irruppe fra le ancelle, la morente forte chiamando, a nome: «Questo, questo era quel che, sorella, m’apprestavi? / … / Eneide IV 672 -685 E proprio io, con queste mani mie mi adoperai; con la mia voce i Numi e i patri Dei chiamai, perché, crudele, sola lasciassi te nella tua morte? Di che prima, infelice, piangerò? Teco, sorella, il popol tuo e me stessa e di Sidone i padri e l’alte mura hai voluto distruggere per sempre! date, vulnera lymphis Lasciate che la piaga or le deterga, abluam et, extremus si quis super halitus errat, e con le labbra mie, se ancora vive sulle sue labbra un alito, lo colga!» ore legam

ter sese attollens cubitoque adnixa levavit, ter revoluta toro est oculisque errantibus alto quaesivit

ter sese attollens cubitoque adnixa levavit, ter revoluta toro est oculisque errantibus alto quaesivit caelo lucem ingemuitque reperta Eneide IV 685 -692 Così dicendo già gli alti gradini avea saliti, e la sorella al seno moribonda piangendo si stringeva tergendo con la veste il nero sangue. Ella gli occhi aggravati aprir tentando ancor vien meno : la ferita al petto profonda brucia ognor. Poi, sollevatasi tre volte sopra il gomito appoggiandosi tre volte sulla coltrice ricadde; e per il cielo limpido vaganti gli occhi alla luce sospirando volse.

Eneide IV 693 - 705 Giuno potente allora, impietosita della difficil morte e del

Eneide IV 693 - 705 Giuno potente allora, impietosita della difficil morte e del dolore di sua lunga agonia, Iri dal cielo l’alma lottante e ancora al corpo avvinta a sciogliere mandò. «hunc ego Diti sacrum iussa fero teque isto corpore solvo» … sic ait et dextra crinem secat, omnis et una dilapsus calor atque in ventos vita recessit «Questo capello, sacro a Dite, io colgo dal ciel mandata; e te da queste membra, sciolgo per sempre!» Così disse, e il crine con la destra tagliò: tutto ad un punto, svanì il calore e in soffio si disperse.

Nei Campi del Pianto, tra le anime dei morti per amore, Enea incontra Didone

Nei Campi del Pianto, tra le anime dei morti per amore, Enea incontra Didone Eneide VI 456 -466 «O infelice, - le disse - vera dunque / m’era giunta notizia ch’eri morta, / e con la spada corsa al passo estremo? / Fui causa io per te di tanto lutto? / Ma per le stelle giuro e per gli Dei, / per la fede se v’è quaggiù fra i morti, / che me ne andai da te contro mia voglia! / Il volere dei Numi, quello stesso / che attraverso quest’ombre ora mi spinge, / per questi luoghi squallidi, per questa / notte infinita, fu che a te mi tolse / col suo potere; e mai creduto avrei / pel mio abbandono, in te, tanto dolore! / Ma ferma il passo, e, qui, alla mia vista / non ti sottrarre! Deh, perché mi sfuggi? / Questa è l’ultima volta che il destino / mi concede parlarti!» quem fugis? extremum fato quod te adloquor hoc est

illa solo fixos oculos aversa tenebat nec magis incepto vultum sermone movetur quam si

illa solo fixos oculos aversa tenebat nec magis incepto vultum sermone movetur quam si dura silex aut stet Marpesia cautes. tandem corripuit sese atque inimica refugit in nemus umbriferum, coniunx ubi pristinus illi respondet curis aequatque Sychaeus amorem. Lei sdegnosa, e torva riguardante, invano Enea così cercava raddolcire, e al pianto l’animo indurre: gli occhi al suolo fissi ella teneva, ed altra parte volta; e mai, fin dalle prime sue parole, mutò il suo volto, quasi dura selce o paria rupe a lui fosse davanti. Eneide VI 467 -473 Come nemica alfin gli si tolse volgendo al bosco, ove il suo primo sposo il dolor e l’amor condivideva. Né per ciò men dolente a lungo Enea l’accompagnò, finché poté, con gli occhi, piangendo e sospirando finché sparve. Indi riprese la fatale via.