Erica Antonini Sapienza Universit di Roma Dipartimento di
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Erica Antonini Sapienza Università di Roma Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale Giovani senza. L'universo Neet tra fine del lavoro e crisi della formazione
2 Introduzione Da qualche anno ha fatto la sua comparsa nei report delle inchieste sociologiche, statistiche e mediatiche l’acronimo Neet (Not in Employment, Education or Training), a designare un universo giovanile dai 15 ai 29 anni che non studia né lavora e, in quanto tale, privo di qualsivoglia prospettiva o fiducia nel futuro. DEMOCRAZIA: DEFINIZIONI, CONDIZIONI, CRISI 16 febbraio 2013
3 Nel 2014 in Italia oltre 2 milioni di giovani risultavano fuori dal circuito formativo e lavorativo (23, 9%). La quota dei Neet è più elevata tra le donne (26, 1%) che tra gli uomini (21, 8%) e nel Mezzogiorno è quasi doppia rispetto al Centro Nord. Nella comparazione con i paesi dell’Unione Europea (in media 15, 9%), l’Italia mostra la percentuale più elevata di Neet dopo la Grecia e la Bulgaria. La quota meno alta si registra nei Paesi Bassi (6, 2%), seguiti da Lussemburgo (7, 6%), Austria (7, 8%) e Danimarca (8, 2%). DEMOCRAZIA: DEFINIZIONI, CONDIZIONI, CRISI 16 febbraio 2013
4 Lo stimolo a indagare tale fenomeno proviene, dunque, dal sempre più diffuso utilizzo dell’acronimo da parte delle istituzioni, soprattutto a livello politico e mediatico. Ciò che, tuttavia, sembra prevalere nel discorso pubblico è una tendenza alla generalizzazione semplificante nella rappresentazione di un universo tutt’altro che omogeneo, unitamente alla caratterizzazione della componente giovanile che non lavora né è impegnata in percorsi educativi o formativi, soprattutto nel contesto italiano, secondo la dimensione della volontarietà (nel senso di mancanza di volontà e spirito di sacrificio o di riluttanza snobistica a considerare proposte di impiego non pienamente consone con le conoscenze e le abilità acquisite nei percorsi di formazione). DEMOCRAZIA: DEFINIZIONI, CONDIZIONI, CRISI 16 febbraio 2013
5 1. Parole chiave per le società ipermoderne 2. Fine del lavoro e crisi della formazione 3. L'universo Neet: alcuni dati 4. Note conclusive DEMOCRAZIA: DEFINIZIONI, CONDIZIONI, CRISI 16 febbraio 2013
6 1. Parole chiave per le società ipermoderne a) Generazioni: genitori e figli dopo il tramonto dell'Autorità b) Politica: crisi della rappresentanza e populismo c) Media: disprezzo per l'impegno e nuove celebrities d) Incertezza: vivere la sfiducia, ricercare il rischio e) Tempo: cultura del presente e “capacità di aspirare”
7 a) Generazioni: genitori e figli dopo il tramonto dell'Autorità “Le nuove generazioni guardano il mare aspettando che qualcosa del padre ritorni” (Recalcati 2013: 13) Il “complesso di Telemaco”, offre un'inedita chiave di lettura del “nuovo disagio della giovinezza”, tramite l'analisi della relazione tra genitori e figli in un'epoca in cui l'autorità simbolica del padre “ha perso peso, si è eclissata, è irreversibilmente tramontata” (p. 11).
8 “Mentre col figlio-Edipo in primo piano è stato il conflitto tra le generazioni, la lotta, lo scontro fra due diverse concezioni del mondo, il rifiuto dell’eredità, il rifiuto dell’essere figli, col figlio-Narciso è divenuta centrale l’assimilazione indistinta dei genitori coi propri figli, la confusione tra le generazioni, l’assenza di conflitti e il culto di una felicità individuale senza legami con l’Altro. Il figlio-Telemaco è il simbolo del ‘giusto erede’: egli sa di essere figlio e sa compiere il viaggio più pericoloso per essere un erede. Egli ci mostra che si può essere figli senza rinunciare al proprio desiderio” (p. 98).
9 “Il padre che oggi viene invocato è un padre radicalmente umanizzato, vulnerabile, incapace di dire qual è il senso ultimo della vita ma capace di mostrare, attraverso la testimonianza della propria vita, che la vita può avere un senso” (p. 14). “A un adulto non si deve chiedere di rappresentare l’ideale di una vita cosiddetta morale, né, tantomeno, di una vita compiuta, ma di dare peso alla propria parola, il che significa innanzitutto provare ad assumere tutte le conseguenze dei suoi atti” (p. 74).
b) Politica: crisi della rappresentanza e populismo Impoverimento della rappresentanza (esclusivamente di interessi) e della dimensione relazionale del potere (canali di comunicazione partiti società) Declino del valore della formazione e della mediazione Declino della fiducia come collante della relazione politica e del senso di appartenenza (disaffezione dei cittadini verso la politica) Impoverimento delle forme di partecipazione Crescita esponenziale dell'astensionismo elettorale Ripiegamento sul privato, declino della fiducia anche nella vita sociale (crisi dei legami e della solidarietà sociale, crescita del particolarismo e del livello di individualizzazione) Svuotamento dei contenuti della cittadinanza (perdita del senso della “cittadinanza attiva”, dal cittadino all'elettore (Arendt) e all'avente diritto (Habermas), dal legame morale al rapporto burocratico 10
Dal disorientamento all'antipolitica 11 Frammentazione della rappresentanza, disprezzo per la forma partito e per la dimensione ideologico valoriale, preferenza per movimenti incentrati spesso su singole issues, relative al presente (eclissi della funzione politica di sintesi di istanze universalistiche nel lungo periodo) Ricerca di nuove forme di identità e appartenenza nella diffusione di fenomeni, spesso radicali, di aggregazione, fondati su localismo, nazionalismo, fondamentalismo, settarismo Diffusione di istanze populiste e anti-politiche (sintomi, non rimedi alla crisi della politica), fondati su: a) semplificazione del discorso politico: manicheismo, retorica del “noi” e del “loro”, logica del complotto; b) elogio del nuovo e dell'uomo comune, disprezzo per il professionismo e l'esperienza; c) creazione emotiva dell'appartenenza, coltivazione di un rapporto im-mediato tra elettore e leader (carismatico); d) slittamento dall'ideologia alla “storia di vita” (né di destra né di sinistra).
12 c) Media: disprezzo per l'impegno e nuove celebrities Il discredito per l'impegno (e, dunque, anche per il valore della formazione) affonda le sue radici, tra gli altri fattori, anche nella diffusione capillare di una “cultura” televisiva che fa leva su e, insieme, alimenta quella che lo storico Giovanni Gozzini (2011) ha definito “mutazione individualista”, ovvero una tendenza sviluppatasi soprattutto nella società italiana, a partire dagli anni Settanta: “La televisione cambia la testa degli italiani. Cancella la politica come progetto condiviso di futuro e la sostituisce con un’arena di gladiatori. Cancella la realtà e la sostituisce con uno spettacolo continuo che divinizza le persone comuni. Cancella la fatica e la sostituisce con il sogno del successo”.
13 Se dagli anni Cinquanta del XX secolo la comunicazione politica ha fatto pienamente propri gli schemi della comunicazione commerciale, dagli anni Novanta il marketing applicato alla sfera pubblica scopre l’efficacia dello storytelling, ovvero il potere che le “narrazioni” esercitano sull’immaginario collettivo. Se la personalizzazione della politica implica la crisi dei partiti e dei progetti ideologici, restano sulla ribalta comunicativa soltanto esseri umani e storie di vita (Santoro 2012: 167). Basti pensare al successo dei reality, al frame del successo facile dell’uomo comune che si rende visibile, famoso e, in quanto tale, si fa exemplum, incarnando colui che è “come noi” ed “è riuscito a farcela prima di noi”.
14 d) Incertezza: vivere la sfiducia, ricercare il rischio La dilagante “tentazione del nuovo”, anche “oltre il limite del senso”, si esprime spesso nella ricerca del rischio, anche tramite I cosiddetti “giochi pericolosi”: “Crisi della mediazione, fine della crescita del benessere, crollo della fiducia e indebolimento dei riferimenti valoriali sono fenomeni – tutt'altro che congiunturali – che si collocano sullo sfondo dei comportamenti giovanili e che su di essi si riflettono” (Morcellini 2013).
15 e) Tempo: cultura del presente e “capacità di aspirare” “Anche se riguarda l'individuo, l'avvenire ha sempre una dimensione sociale: dipende dagli altri. Tutti gli episodi che costituiscono le diverse 'tappe' della vita di un individuo […] dipendono in larga misura dagli altri e inseriscono questo stesso individuo, in maniera più stringente, nella rete dei doveri collettivi. Oggi parliamo di 'esclusione' sociale a proposito di quegli uomini e quelle donne che, almeno in apparenza, non hanno nessun 'avvenire', che se ne indignano e protestano, perché vivono il fatto di essere confinati in un presente così misero e senza fine come l'equivalente di una condanna a morte” (Augè 2012: 12 13).
16 Ciò ha profondi effetti su quella che Appadurai definisce la “capacità di aspirare”, ovvero la capacità di attuare “azioni e comportamenti o performance che abbiano una forza culturale a livello locale” e una natura tale da proporsi “come un elemento di rottura dell'immaginario sociale, inserendosi in un movimento corale di protesta, suscettibile di mettere in questione ideologie e norme di comportamento ampiamente diffuse e condivise” (Appadurai 2004, tr. it. : 18)
17 2. Fine del lavoro e crisi della formazione a) Fine del lavoro “È una società di lavoratori quella che sta per essere liberata dalle pastoie del lavoro, ed è una società che non conosce più quelle attività superiori e più significative in nome delle quali tale libertà meriterebbe di essere conquistata… Ci troviamo di fonte alla prospettiva di una società di lavoratori senza lavoro, privati cioè della sola attività rimasta loro. Certamente non potrebbe esserci niente di peggio”. (Hannah Arendt, 1958)
18 Se la preoccupazione di Arendt era quella dell’essere in futuro liberati dal lavoro e non saper più dedicarsi a nessun’altra delle attività umane superiori (l’opera e l’azione), ampia parte del dibattito contemporaneo si concentra sulla prospettiva di un processo produttivo che libera il lavoro umano nel senso che non ne ha più bisogno.
19 D'altro canto, per numerosi autori nella nuova società dell’immateriale il lavoro stesse assumerebbe ormai un senso diverso, avviandosi a farsi sempre più autonomo, consentendo un impiego crescente delle capacità cognitive dei lavoratori, a cui vengono restituite iniziativa e responsabilità, secondo un processo di “ripersonalizzazione” del lavoro (Kern e Schumann 1989, Borghi 1998).
In ogni caso, da tempo è in corso un dibattito sul fatto che stiamo uscendo dal modello in base al quale abbiamo vissuto negli ultimi due secoli: quello delle società fondate sul lavoro (Dahrendorf 1980, Habermas 1985, Offe 1985, Gorz 1988, Rifkin 1995, Castel 1995, Beck 2000). Per André Gorz la fine della società fondata sul lavoro deriva dalla crisi dell’ideologia che ne è alla base, per cui occorre lavorare sempre di più per conseguire la propria integrazione sociale, il benessere globale e la sconfitta della disoccupazione. Attualmente, argomentava l’autore già nel 1988, l’equazione “più uguale meglio” nell’ambito produttivo si dimostra inconsistente, dal momento che incrementi di produttività possono essere conseguiti soltanto riducendo l’impiego del lavoro umano. 20
21 Decisamente poco ottimista appare a questo proposito la posizione di Sennett sugli effetti sociali ed individuali del nuovo modello produttivo. In The Corrosion of Character egli sposta l’attenzione sui nuovi caratteri del cosiddetto capitalismo flessibile, in cui all’universo ormai svanito delle organizzazioni rigide e gerarchiche, in cui ciò che contava era il senso del carattere personale, si va sostituendo il mondo della ristrutturazione, della flessibilità, delle reti, dei processi just-in-time, dove è richiesto al lavoratore di reinventare continuamente il proprio ruolo, predisponendosi costantemente al mutamento e all’assunzione del rischio.
Nel richiedere al lavoratore la disponibilità costante all’assunzione del rischio e nello scoraggiarne atteggiamenti durevoli ma non più desiderabili – l’obbligazione formale, la fedeltà, l’impegno e la progettualità – il nuovo processo produttivo a lungo andare “minaccia di corrodere quelle qualità del carattere che legano reciprocamente gli esseri umani e conferiscono a ciascuno il senso dell’integrità del sé”. In tal modo, la flessibilità non solo genera ansia per la sensazione di essere sempre on trial, ma mina alle radici il senso di integrità personale, indebolisce i legami di fiducia e mette in discussione la possibilità di pianificare la propria “carriera” lavorativa, di ricavare cioè una narrazione coerente dalle esperienze accumulate, sulla base della quale orientarsi nelle scelte future (Sennett 1998). 22
Gallino riassume il maggior costo umano della flessibilità nell’idea di precarietà, ovvero di insicurezza oggettiva e soggettiva, una condizione che con il tempo “finisce per investire e modificare anche la mente, l’interiorità della persona”, che giunge a percepire se stessa in modo diverso dagli altri.
Ciò implica la limitata, se non nulla, possibilità di formulare progetti riguardo il proprio futuro professionale, esistenziale e familiare, unitamente al sentimento “che la propria vita, il proprio destino, il futuro subiscano quotidianamente l’impatto di fattori puramente contingenti”. La maggior parte dei lavori flessibili non consente di accumulare alcuna significativa esperienza professionale, trasferibile da un contesto all’altro, né di costruire per l’individuo una carriera o una stabile identità lavorativa. Peraltro, “la precarietà delle vite flessibili è un efficace alimento dell’antipolitica, dell’astensionismo elettorale, della resa all’esistente”.
Il carattere plurale della flessibilità la rende, al tempo stesso, risorsa per alcuni e “rischio finanche esistenziale” per altri, nella misura in cui essa rappresenta un onere sostanzialmente diverso a seconda del livello di qualificazione, della professione, della fascia di età, del genere, dello stato di salute, della storia lavorativa e delle origine etniche del singolo soggetto.
D’altro canto, “se la prima industrializzazione era stata caratterizzata da una forte tendenza a staccare, così come i luoghi, anche i tempi del lavoro da quelli della vita privata, con la seconda industrializzazione si realizza una tendenza del tutto inversa che va invece nella direzione di una nuova pre-industriale interpenetrazione di tempi di lavoro e tempi di vita”, nell´ambito del variegato universo delle forme contrattuali flessibili dei lavori atipici. La “società 7 x 24” è una società perennemente attiva, in cui il tempo di lavoro diviene inseparabile dagli altri tempi di vita, anche grazie all’insostituibile sostegno delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e che tuttavia appare scarsamente integrata, in termini di tempo da dedicare ai legami sociali e alle forme della ritualità tradizionale.
Se i lavoratori più qualificati vivono tale confusione tra tempo di lavoro (pubblico) e tempo libero (privato) come risorsa strategica per competere in un mercato concorrenziale, quelli meno qualificati “sono proiettati in quella stessa condizione di perenne attività perché pressati dalle esigenze di sopravvivenza sociale”. In tal modo, i lavoratori atipici, sovraccarichi di lavoro nella continua ricerca di un reddito, sono esposti ai rischi di un’estrema penalizzazione degli altri tempi di vita, di un’estrema frammentazione del percorso lavorativo e della perdita di una dimensione progettuale di lungo periodo.
28 Da tutto ciò conseguono, inoltre: a) la fine del lavoro-identità, centrale nell'età moderna (lavoro come fattore fondamentale di attribuzione dello status); b) la necessità di ridefinire il rapporto individuo/società su altre basi (cercando altrove fonti di identità e di appartenenza); c) la necessità di ridefinire l'equilibrio tempo di lavoro/tempo libero.
b) Principali criticità nella formazione crisi delle tradizionali istituzioni educative (famiglia, scuola), a fronte dell'espansione soprattutto del mezzo televisivo; politiche educative sempre meno orientate all'acquisizione del “sapere per il sapere” (si avanzano esigenze di profitto per giustificare le riduzioni di organico, conseguente diminuzione del potere d'acquisto e rallentamento della crescita); tendenza del sistema educativo a riprodurre i divari sociali, anziché ridurli (Boudon 2002). 29
30 “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani” (Hannah Arendt, 1958)
31 3. L'universo Neet: alcuni dati
32 Tasso di Neet in Europa (15 -24 anni) - Fonte: Eurostat, 2011
Giovani Neet 15 -29 anni per sesso nei paesi UE % (2012) - Fonte: Eurostat (Labour force survey) PAESI TOTALE UOMINI DONNE Grecia Bulgaria Italia Spagna Irlanda Romania Ungheria Slovacchia Cipro Lettonia Portogallo Polonia Regno Unito Estonia Francia Belgio Lituania Repubblica ceca Malta Slovenia Finlandia Germania Svezia Danimarca Austria Lussemburgo Paesi bassi Media UE 27 27, 1 24, 7 23, 9 22, 6 21, 3 19, 1 18, 8 17, 3 17, 1 15, 9 15, 7 24, 3 23 21, 8 23, 1 22, 1 16, 1 15, 4 15, 5 17, 2 16 15, 7 12, 8 29, 9 26, 4 26, 1 22, 2 20, 5 22, 3 22, 1 17, 5 18, 3 16 18, 8 15, 4 15, 3 15 14, 4 13, 9 12, 9 11, 8 10, 4 9, 6 8, 4 8, 2 7, 8 7, 6 6, 2 15, 9 12, 3 12 13, 6 13, 3 14, 8 8, 4 9, 2 10, 9 9, 4 7, 6 7, 9 8 6, 4 6, 2 5, 3 14 18, 5 18, 6 16, 3 15, 4 13 17, 7 15 12, 8 11, 4 11, 7 8, 9 8, 4 9, 1 9 7, 1 17, 8 33
Una non appropriata prospettiva di osservazione rischia di compromettere la comprensione del fenomeno, già a partire dalla variabilità delle componenti anagrafiche determinano l’universo Neet, una popolazione al suo interno fortemente segmentata. È evidente che “un adolescente presenta storie esistenziali e formative ed è esposto a criticità nettamente diverse da quelle, ad esempio, di un 25 -29 enne. Il fenomeno drop out – in altre parole il mancato assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione – non è assimilabile, anche sotto il profilo meramente descrittivo, alla condizione di chi ha conseguito un diploma o una laurea e si scontra con le problematicità dei processi di transizione verso il mondo del lavoro. Rientrano nella definizione di Neet individui potenzialmente non attrezzati sotto il profilo delle skills professionali (bassa qualificazione o qualificazione assente) e individui formalmente medium-high skills; individui con background sociali potenzialmente costituiti da fattori di emarginazione (criminalità, disagio, contesti familiari a rischio), si trovano accanto ad individui appartenenti a dimensioni sociali segnate da una ‘normalità’ di fondo” (Calabrese, Manieri, Mondauto, 2013: 7). 34
35 Esiste una tensione latente tra dimensione attiva e passiva del Neet, “quale condizione in alcuni casi consapevolmente agita e in altri coercitivamente determinata dal contesto di riferimento” (ivi: 8), in modo tale da poter parlare di una vera e propria polarizzazione, che deve indurre a ripensare i tradizionali paradigmi interpretativi.
36 Una ricerca Eurofound (European Foundation for the Improvement of Living and Working) del 2012 distingue tra cinque principali sottogruppi: 1. i disoccupati tradizionali (conventionally unemployed), il sottogruppo più ampio, da suddividere tra disoccupati di lungo e breve periodo; 2. gli indisponibili (unavailable), giovani disabili o con responsabilità di cura (soprattutto familiare); 3. i disimpegnati (disengaged), che non cercano lavoro né formazione, pur in assenza di incapacità o altri impegni, inclusi i lavoratori demotivati e coloro che assumono stili di vita rischiosi e asociali; 4. i ricercatori di opportunità (opportunity-seekers), che ricercano attivamente lavoro o formazione, selezionando, tuttavia, le opportunità più consone allo status e alle abilità; 5. i Neet volontari (voluntary Neet), giovani che viaggiano o sono costruttivamente impegnati in altre attività (arte, musica, autoformazione).
37 Il livello di vulnerabilità è evidentemente molto più alto per i disoccupati tradizionali, che risentono involontariamente dell’assenza di lavori disponibili, o per i disimpegnati in quanto demotivati, rispetto a quello dei “ricercatori di opportunità”, che beneficiano di un background sociale maggiormente privilegiato, potendo scegliere di selezionare tra offerte più allettanti, o a quello di coloro che sono impegnati in attività che non rientrano nei convenzionali canali lavorativi o formativi. Inoltre, tra i cosiddetti “indisponibili” diversa è la situazione dei disabili, che richiedono sostegni per partecipare al mercato del lavoro e della formazione, rispetto a quella, ad esempio, di giovani madri dotate di reddito elevato, che decidono volontariamente di uscire dal mercato del lavoro per prendersi cura di figli o genitori.
38 Clusters della popolazione Neet in UE - Fonte: Eufound 2012
39 La stessa ricerca Eurofound distingue tra 4 gruppi di paesi (clusters), in base alla diversa tipologia di Neet presenti: cluster 1: un insieme di paesi continentali e nordici, identificati nella figura con il colore rosso (Regno Unito, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia), comprendente paesi hanno perseguito politiche incentrate sulla “flexsecurity”, paesi di orientamento neo liberale e paesi dotati di un duplice sistema educativo, caratterizzati da: basso tasso di Neet, in prevalenza inattivi, con esperienza lavorativa, livello di istruzione non elevato, scarse abilità, scarsa presenza di lavoratori demotivati; ciò fa presagire, nella maggioranza dei casi, una componente “volontaria” nella dimensione di Neet, probabilmente per responsabilità di cura familiare o percorsi di vita alternativi, piuttosto che per la presenza di barriere per l’accesso giovanile al mercato del lavoro;
40 cluster 2: un insieme di paesi appartenenti al Mediterraneo meridionale e all'Europa orientale, identificati nella figura con il colore verde (Italia, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia), caratterizzati da: elevato tasso di Neet, in prevalenza donne e inattivi, senza esperienza lavorativa, elevate abilità, alta presenza di lavoratori demotivati; in cui la condizione di Neet è di origine involontaria, probabilmente per la presenza di problemi strutturali nella transizione dalla formazione al mercato del lavoro;
41 cluster 3: un insieme di paesi identificati nella figura con il colore lilla (Portogallo, Spagna, Irlanda, Estonia, Lettonia, Lituania), caratterizzati da: elavato tasso di Neet, in prevalenza uomini e disoccupati, con esperienza lavorativa, elevate abilità, elevata presenza di lavoratori demotivati; si tratta di paesi profondamente colpiti dalla recessione economica in termini di aumento della disoccupazione giovanile, indipendentemente dal livello di istruzione;
42 cluster 4: un gruppo eterogeneo di paesi, identificati nella figura con il colore azzurro (Francia, Belgio, Repubblica Ceca, Slovenia, Cipro), caratterizzati da: tasso di Neet al di sotto della media UE, in prevalenza disoccupati, con esperienza lavorativa, medie abilità, scarsa presenza di lavoratori demotivati; in questi casi la condizione di Neet appare influenzata dalla crisi economica, ma in misura minore rispetto ai paesi del cluster 3.
Alcuni fattori, di natura personale, economica e sociale aumentano le probabilità che una persona entri a far parte dell'universo Neet: • coloro che segnalano un qualche tipo di disabilità hanno il 40% di possibilità in più di diventare Neet rispetto agli altri; • i giovani con un background di immigrazione hanno il 70% di possibilità in più di diventare Neet rispetto ai coetanei autoctoni; • i giovani con un basso livello di istruzione hanno possibilità tre volte superiori di diventare Neet rispetto a quelli con istruzione terziaria; • vivere in zone remote aumenta la probabilità di diventare Neet fino a 1, 5 volte; • i giovani con un reddito familiare basso hanno più possibilità di diventare Neet rispetto a quelli con un reddito familiare medio; • avere genitori che sono stati disoccupati aumenta la probabilità di diventare Neet del 17%; • avere genitori con un basso livello di istruzione raddoppia la probabilità di diventare Neet; • i giovani con genitori divorziati hanno divorziato hanno il 30% di probabilità in più di diventare Neet. 43
44 ` Oltre a costituire un evidente spreco del potenziale giovanile, appartenere all'universo Neet ha anche conseguenze negative per l’economia e la società: • in termini di costi economici, a) per le finanze pubbliche (regimi di previdenza sociale e spese aggiuntive per assistenza sociosanitaria e giustizia penale) b) per le risorse (stime della perdite economiche, derivanti da sussidi e indennità sociosanitarie a singoli e famiglie, impatto in termini di costi per risorse o opportunità per il resto della società (reintegrare nel mercato il 10% dei Neet produrrebbe un risparmio annuo più di 10 miliardi di euro Eurofound 2012); • in termini di costi socio-politici, dal momento che la condizione di Neet riduce significativamente il tasso di fiducia nelle istituzioni, di interesse per la politica e di partecipazione politica e sociale (a diversi tipi di associazioni). di
` Secondo il rapporto “Noi Italia 2014”, diffuso dall’Istat nel febbraio 2014, il Neet in Italia: • è donna: le giovani tra i 15 e i 29 anni sono Neet nel 26, 1% dei casi (a fronte del 21, 8% dei ragazzi); • vive nel Sud Italia: una percentuale record di Neet risiede in Sicilia (37, 7%), Campania (35, 4%) e Calabria (33, 8%); • ha la cittadinanza italiana: secondo un rapporto di Italia Lavoro su dati Istat del 2009, i giovani Neet stranieri sono soltanto il 13% del totale, contro l’ 87% degli italiani; • ha un basso livello di istruzione: i Neet hanno un livello di istruzione inferiore rispetto ai giovani lavoratori, con il conseguimento della sola licenza media da parte del 43% degli stessi. 45
46 ` Giovani Neet 15 -29 anni per regione (2014) - dati percentuali - Fonte: Istat
` Giovani Neet 15 -29 anni per regione (2014) - dati percentuali - Fonte: Istat REGIONI QUOTA DI GIOVANI NEET Sicilia Campania Calabria Puglia Basilicata Sardegna Molise Lazio Abruzzo Umbria Toscana Piemonte Friuli Venezia Giulia Liguria Marche Veneto Lombardia Emilia Romagna Trento Valle d'Aosta Bolzano 37, 7 35, 4 33, 8 31, 2 29, 3 28, 4 24, 3 21, 5 19, 5 18, 7 18, 2 18, 0 17, 9 17, 8 17, 0 16, 2 15, 9 14, 3 13, 6 11, 6 47
Una ricerca svolta da Italia Lavoro nel terzo trimestre 2013 evidenzia nel caso ` italiano i seguenti sottogruppi di Neet, con relative percentuali a) giovani in cerca di occupazione (38, 2% del totale), in maggioranza uomini (55, 1% del totale), di età superiore ai 20 anni (90%), con un livello di istruzione medio alto e, in un caso su due, con precedenti esperienze di lavoro; si tratta del gruppo più attivo, e per certi versi più noto, quello dei “disoccupati”; b) indisponibili (21, 7%), prevalentemente donne over 25 (di cui il 59% coniugate e madri), che, per ragioni prevalentemente familiari, non intendono cercare lavoro; in questo caso l’inattività è una scelta, anche se è difficile stabilire se per volontà o per necessità, data l’impossibilità di coniugare lavoro e carichi familiari; c) disimpegnati (17, 5%), per lo più giovani di età superiore ai 20 anni, con basso livello di istruzione (licenza media nel 47% dei casi), indisponibili a mettersi in gioco, che vivono quasi tutti in famiglia, di cui una quota significativa non cerca lavoro, ritenendo di non riuscire a trovarlo o di non esserne interessati; anche in questo caso l’inattività è una scelta più o meno consapevole; d) giovani in cerca di opportunità (22, 6%), di cui un terzo composto da under 20 che cerca “occasioni per formarsi e per fare esperienze professionali”; pur non essendo disoccupati in senso stretto, sarebbero pronti a mettersi in gioco qualora fossero offerte loro reali opportunità di maturazione professionale. 48
49 ` Neet 15 -29 anni per Gruppo (val. %) - Terzo trimestre 2013 Elaborazioni Staff SSRMd. L Italia Lavoro su Microdati RCFL – Istat
` Secondo questi dati, dunque, all’interno dell’universo dei giovani Neet italiani l’inattività è prevalentemente dovuta all’assenza di opportunità (60%), mentre in quattro casi su dieci è volontaria; nel gruppo dei disimpegnati sono presenti sia fenomeni di scoraggiamento (dovuto verosimilmente al basso livello di istruzione) sia di vero e proprio disinteresse, sintomi in entrambi i casi di un processo di deresponsabilizzazione; anche per gli indisponibili l’inattività è una scelta ma, al contrario, si tratta di una scelta responsabile, spesso indotta dalla impossibilità di coniugare lavoro e famiglia; per le persone in cerca di occupazione e tra coloro che sono in cerca di opportunità, l’inattività non è una scelta, poiché la volontà di mettersi in gioco c’è, ma viene frustrata dalla mancanza di opportunità. Peraltro, nei due gruppi è considerevole la presenza di soggetti con istruzione superiore. (nel primo caso i laureati sono l’ 11, 3%, nel secondo il 15, 4%), fattore che indica come tali insiemi di individui, proprio in virtù di maggiori livelli formativi rispetto alla media dei Neet, mantengano un atteggiamento ‘proattivo’ verso il mercato del lavoro e verso la formazione professionalizzante” (Sorcioni, Reboani 2014). 50
Criticità del contesto italiano basso tasso di occupazione dei giovani italiani (per troppo lungo periodo di disoccupazione e inattività dopo la fine degli studi) elevata percentuale di giovani Neet, maggiore tra i giovani-adulti (25 -29) che non tra i giovani (15 24) (probabile conseguenza di lunghi periodi di mancanza di occasioni di lavoro, che alla fine scoraggia la ricerca di qualsiasi attività lavorativa) elevato tasso di abbandono scolastico (drop out) (anche se maggiore permanenza nei percorsi di istruzione e formazione come effetto dell'ultima crisi = potenziale opportunità) basso rendimento dell'investimento in formazione (probabilità di trovare lavoro pressoché identica per diplomati e laureati, anche per scarsa domanda di lavoro qualificato da sistema di PMI; in USA, Austria, Finlandia, Norvegia probabilità per laureati 4 volte maggiore) 51
52 alternanza tra studio e lavoro pressoché sconosciuta (“first study, then work”) scarso investimento in servizi per l'impiego (orientamento, intermediazione) e sostegni al reddito giovanile tradizionale tendenza alla segmentazione nel mercato del lavoro (netta linea di demarcazione tra insiders, protetti, e outsiders, non protetti) scarsa strutturazione/valorizzazione dell'istituto dell'apprendistato (fondamentale nella formazione e nella transizione al lavoro soprattutto nei paesi di lingua tedesca) per complessa individuazione delle competenze di soggetti istituzionali e parti sociali ambivalenza del lavoro temporaneo (alta flessibilità normativa): (da un lato può diventare “trappola di precarietà”, dall'altro maggiori probabilità di ottenere un lavoro a T. I. partendo da lavoro temporaneo che da condizione di Neet) ampia diffusione di forme di lavoro dipendente che sfuggono anche alle regole del lavoro temporaneo (lavoro sommerso, “false collaborazioni”, stage extra quadro normativo)
53 il forte impatto della flessibilizzazione del mercato del lavoro sulla posticipazione alla transizione alla vita adulta; la persistente rilevanza delle variabili ascritte (capitale economico, sociale e culturale della classe di origine) nel determinare sia i risultati scolastici e le scelte di indirizzo, sia gli esiti dei percorsi lavorativi instabili (o precari), con un evidente effetto di cristallizzazione delle diseguaglianze sociali; la mancanza di sostegno da parte del Welfare State, che favorisce il ruolo di supplenza da parte della famiglia di origine.
54 Secondo l'Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), a 4 anni dall'avvio del programma “Garanzia Giovani” (1 maggio 2014), finanziato con 1, 5 miliardi di euro dall'Unione Europea e volto a sostenere l'inserimento nel mondo del lavoro degli inattivi tra i 15 e i 29 anni: in Italia soltanto il 17, 5% degli iscritti ha trovato lavoro (225. 990 persone); il numero dei Neet resta abbondantemente superiore ai 2 milioni; nel 2017 sono diminuiti i contratti a tempo indeterminato; le chance di trovare la prima occupazione in tempi rapidi, ovvero entro un mese dalla conclusione dell’intervento attraverso “Garanzia Giovani”, si sono rivelate più elevate per gli uomini rispetto alle donne;
55 per trovare la prima occupazione l’attesa è particolarmente bassa nel Nord Ovest, dove il 53, 2% dei giovani è risultato occupato dopo un mese, mentre si dilata notevolmente nelle regioni meridionali, dove nei 30 giorni successivi alla cessazione della politica attiva soltanto il 28, 2% ha trovato una nuova occupazione. Il gap geografico permane, secondo il Rapporto Anpal, anche nel medio e lungo periodo. Al Sud e nelle Isole, ad esempio, oltre la metà di chi ha partecipato a “Garanzia Giovani” non ha trovato alcuna nuova occupazione nei sei mesi successivi al termine della politica attiva; oltre il 60% delle politiche attive connesse al programma sono consistite in tirocini, a cui si sono aggiunti ritardi nei pagamenti (un'anomalia rispetto agli altri Paesi europei, che ha comportato la necessità di un richiamo al nostro Paese da parte dell'Unione Europea). Fonti: www. anpal. gov. it www. ilfattoquotidiano. it, 30 aprile 2018
56 4. Note conclusive Tra le risultanze più significative delle interviste rivolte a testimoni privilegiati figurano: • la considerazione, tra le ragioni del numero particolarmente elevato di Neet in Italia, di una serie di motivi strutturali e culturali propri del sistema, riferibili, peraltro, non soltanto alla crisi economica (e alla minore domanda di lavoro da parte delle imprese), ma altresì a profonde difficoltà delle politiche relative a formazione, lavoro e welfare (soprattutto in alcune regioni), che rendono il fenomeno Neet più l’esito di un insieme di processi preesistenti che non un problema in sé;
57 • la conferma della necessità di operare una differenziazione tra i diversi profili sociali in cui è scomponibile l’universo Neet (oggetto di un’estrema relatività culturale nelle modalità di rappresentazione), al fine di progettare strumenti di intervento più consoni ai bisogni di ciascun sottogruppo; • la riluttanza a ritenere maggioritaria la dimensione “volontaria” della condizione di Neet, caratterizzata in realtà prevalentemente da assenza di fiducia e bisogno di nuove prospettive, piuttosto che da mancanza di impegno o spirito di sacrificio; • una valutazione complessivamente positiva delle recenti iniziative istituzionali, soprattutto a livello europeo, pur nella consapevolezza della necessità di monitorarne l’implementazione nel nostro paese;
58 • la considerazione dell’opportunità di favorire un maggior dialogo tra sistema della formazione e mercato del lavoro; • il riconoscimento della necessità, in condizioni profondamente mutate, di un cambiamento culturale nella direzione della flessibilità, ma all’interno di un’ottica di regolamentazione della stessa, che impedisca abusi e inasprimento delle già spiccate diseguaglianze sociali; la considerazione della necessità di programmare azioni di intervento secondo la duplice logica della continuità (uscendo dall’ottica episodica del “progetto”) e della differenziazione.
59 A ben vedere, allora, anche in questo caso, “le cose non sono quelle che sembrano”. La prevalenza nel discorso pubblico, soprattutto italiano, della tendenza alla generalizzazione semplificante nella rappresentazione del variegato universo Neet secondo la dimensione della volontarietà (nel senso di mancanza di volontà e spirito di sacrificio o di riluttanza snobistica a considerare proposte di impiego non pienamente consone con le conoscenze e le abilità acquisite nei percorsi di formazione), sembra tradursi nell’ennesimo tentativo di tacere su nodi strutturali e agende politiche, enfatizzando una lettura del fenomeno prevalentemente in termini di responsabilità individuali, in linea con una nota tendenza alla “psicologizzazione delle contraddizioni sociali”.
60 “E' in corso una massiccia psicologizzazione della realtà. La stessa società e le sue responsabilità si riducono a effetti inintenzionali di comportamenti individuali. “Si tende a scaricare sugli stessi giovani la responsabilità di una situazione certamente nuova, imprevista”.
61 “Si dimentica di soggiungere che i giovani di oggi, per una percentuale altissima, sono bloccati, emarginati, economicamente condannati a lavori precari. . . costretti ad uno stato di soggezione permanente. . . ˝. Con la psicologizzazione dei fatti sociali, si opera un rovesciamento: le vittime diventano responsabili della loro condizione. Al contrario, “una ricerca seria deve sondare la matrice causale oggettiva, mettendo in luce i fattori strutturali dei fenomeni sociali di cui si occupa” (Ferrarotti 2011: 18 20).
Riferimenti bibliografici 62 Ulrich Beck, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro. Tramonto delle sicurezze e nuovo impiego civile, Einaudi, 2000 Eurofound, NEETs. Young people not in employment, education or training: characteristics, costs and policy responses in Europe, 2012 (www. eurofound. europa. eu) Franco Ferrarotti, La strage degli innocenti. Note sul genocidio di una generazione, Armando, 2011 André Gorz, Metamorfosi del lavoro, Bollati Boringhieri, 1992 Mario Morcellini, Passaggio al futuro. Formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media, Franco. Angeli, 2000 Massimo Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, 2013 Richard Sennett, L’uomo flessibile. L’usura psicosociale nel neocapitalismo, Feltrinelli, 1999.
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