I GIOVANI RICORDANO LA SHOAH LO SPORT E

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I GIOVANI RICORDANO LA SHOAH, LO SPORT E IL CALCIO NON C’E’ FUTURO CHE

I GIOVANI RICORDANO LA SHOAH, LO SPORT E IL CALCIO NON C’E’ FUTURO CHE NON IMPLICHI IL PASSATO: IL DOVERE DELLA MEMORIA A cura della classe 2^ C ITET “A. de Viti de Marco” TRIGGIANO (BA)

 La comparsa di adesivi raffiguranti Anna Frank con indosso la maglia della Roma,

La comparsa di adesivi raffiguranti Anna Frank con indosso la maglia della Roma, sugli spalti dello Stadio Olimpico, il 23 ottobre 2017, è il punto di partenza della nostra riflessione.

LUNEDÌ 23 OTTOBRE 2017

LUNEDÌ 23 OTTOBRE 2017

 Questo rappresenta l’ennesimo episodio di razzismo negli stadi italiani. Lo stesso giorno, il

Questo rappresenta l’ennesimo episodio di razzismo negli stadi italiani. Lo stesso giorno, il nuovo allenatore del Benevento, Roberto De Zerbi, trovava ad accoglierlo allo stadio uno striscione che recitava: «De Zerbi zingaro» . Del medesimo tenore sono stati i cori razzisti indirizzati ripetutamente contro l’allenatore di origini serbe del Torino, Siniša Mihailović , durante la partita di serie A tra Crotone e Torino del 15 ottobre 2017. E non era, in verità, la prima volta che questi veniva fatto oggetto di cori offensivi a causa delle proprie origini.

UNA DELEGAZIONE DEL LAZIO CALCIO AD AUSCHWITZ (5. 11. 2018) ANSA - AUSCHWITZ (CRACOVIA),

UNA DELEGAZIONE DEL LAZIO CALCIO AD AUSCHWITZ (5. 11. 2018) ANSA - AUSCHWITZ (CRACOVIA), 5 NOV - Al Viaggio della Memoria partito ieri da Roma verso i luoghi della Shoah oggi si è unita anche una delegazione della Lazio. Alla visita ai campi di sterminio nazisti di Auschwitz e Birkenau - oltre alla sindaca Virginia Raggi, a più di cento studenti e alla comunità ebraica - sono presenti anche Arturo Diaconale, Angelo Peruzzi, e calciatori del settore giovanile della Lazio. "La sindaca ci ha mandato questo invito, era l'impegno che il presidente Lotito aveva preso alla Sinagoga (dopo il caso delle figurine di Anna Frank all'Olimpico), era una promessa e un impegno che manteniamo approfittando dell'iniziativa della sindaca Raggi", aveva spiegato solo pochi giorni fa all'ANSA Diaconale. "Oggi siamo qui insieme agli studenti delle scuole romane e ai testimoni Sami Modiano e Tatiana Bucci. Senza memoria non c'è futuro. Roma non dimentica il rastrellamento del Ghetto e l'orrore della Shoah. Mai più", ha detto la sindaca Raggi.

 Abbiamo così fatto una ricerca in rete e abbiamo trovato tanti episodi di

Abbiamo così fatto una ricerca in rete e abbiamo trovato tanti episodi di odio odierno contro gli ebrei. In realtà, a nostro parere, si tratta di pregiudizio ignorante e non consapevole. Tuttavia, resta il fatto che il pregiudizio antisemita è purtroppo ancora vivo.

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HTTPS: //WWW. GAZZETTA. IT/CALCIO/01 -11 -2015/TAVECCHIO-ANCORA-BUFERA-INSULTI-EBREI-GAY 130738947590. SHTML? REFRESH_CE-CP 1 NOVEMBRE 2015 - MILANO l presidente Figc in un colloquio con il quotidiano online Soccerlife: "La sede della Lega Nazionale Dilettanti? Comprata da quell’ebreaccio di Anticoli. E tenete lontano da me gli omosessuali". La difesa di Tavecchio: "Sono vittima di un ricatto, conversazione manipolata"

RONNY ROSENTHAL Agli inizi degli anni ‘ 90 ci fu un caso clamoroso che

RONNY ROSENTHAL Agli inizi degli anni ‘ 90 ci fu un caso clamoroso che coinvolse Ronny Rosenthal, attaccante israeliano che nel 1989 venne acquistato dall’Udinese e che immediatamente fu oggetto di minacce antisemite dalla frangia più estremista degli ultras friulani. L’ex giocatore di Liverpool e Standard Liegi fu costretto addirittura ad abbandonare il campo dopo le visite mediche avevano segnalato problemi fisici incompatibili con l’attività agonistica. Per il diretto interessato però non era così e citò in giudizio l’Udinese per ‘danni morali’ perché, a suo modo di vedere, il contratto venne rescisso per le pressioni dei tifosi. Alla fine il giudice gli diede ragione.

 Nel novembre del 2012, durante il derby della Capitale, ci fu un altro

Nel novembre del 2012, durante il derby della Capitale, ci fu un altro caso di becero tifo. Intorno al 25° minuto, venne esposto uno striscione antisemita in curva nord, sede storica della tifoseria biancoceleste. Vi era scritto: “C’è chi tifa Lazio e kippah Roma” Quattro anni più tardi, sempre sugli spalti dell’Olimpico arrivano anche svastiche e croci celtiche, ma questa volta su iniziativa della tifoseria romanista. Era già successo l’anno precedente, ma questa volta con uno tetro striscione ad aggravare il messaggio. La Roma giocava contro il Livorno e in curva sud, culla del tifo giallorosso, al fischio d’inizio sono comparse le bandiere della vergogna – il volto del Duce, la croce uncinata e quella celtica – e un lungo striscione bianco sul quale era scritto: “Lazio-Livorno: stessa iniziale, stesso forno”.

Di seguito immagini di “tifo” razzista con insulti che coinvolgono gli ebrei

Di seguito immagini di “tifo” razzista con insulti che coinvolgono gli ebrei

A questo punto abbiamo cercato di capire: perché? Utile è stato visionare questo link

A questo punto abbiamo cercato di capire: perché? Utile è stato visionare questo link dal sito dello YAD VASHEM di Gerusalemme, per approfondire il tema dell’antisemitismo nella storia https: //www. yadvashem. org/educational-videos/video-toolbox/hevt-sports. html

ANTISEMITISMO LA VISIONE DELL’EBREO Ricerca delle immagini Ricerca di parole

ANTISEMITISMO LA VISIONE DELL’EBREO Ricerca delle immagini Ricerca di parole

LUOGHI COMUNI "Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù“ “Gli ebrei sono responsabili

LUOGHI COMUNI "Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù“ “Gli ebrei sono responsabili della peste“ "Gli ebrei sono avari, degli usurai che si arricchiscono con i soldi degli altri“ "Gli ebrei non vogliono integrarsi nel mondo cristianooccidentale“ "Gli ebrei vogliono manovrare tutti i paesi secondo i loro interessi"

PREGIUDIZIO CONTRO EBREI NELLA STORIA Antisemitismo Antiebraismo Antigiudaismo Antisionismo

PREGIUDIZIO CONTRO EBREI NELLA STORIA Antisemitismo Antiebraismo Antigiudaismo Antisionismo

 I nazisti boicottano i negozi degli ebrei (1933), sul cartello si legge: "Tedeschi!

I nazisti boicottano i negozi degli ebrei (1933), sul cartello si legge: "Tedeschi! Difendetevi, non comprate dagli ebrei!"

NAZISMO E SPORT

NAZISMO E SPORT

Lanciatore di giavellotto nel campo sportivo Grunewald, Berlino, 1938 circa, Herbert Sonnenfeld; Jewish Museum

Lanciatore di giavellotto nel campo sportivo Grunewald, Berlino, 1938 circa, Herbert Sonnenfeld; Jewish Museum Berlin, acquisto dai fondi della Stiftung Deutsche Klassenlotterie di Berlino

 A differenza di Mussolini, Hitler non nutriva nessun interesse per lo sport. Aveva

A differenza di Mussolini, Hitler non nutriva nessun interesse per lo sport. Aveva dello sport soltanto una concezione che si potrebbe definire “spartana”: milioni di corpi allenati nello sport, avrebbero potuto trasformarsi in un paio d’anni in un esercito. Per Hitler il “corpo della nazione”( non il corpo dell’individuo ) deve essere mantenuto in buona salute e fortificato, temprato alla fatica e alla sofferenza, per dare dimostrazione di superiorità razziale e per rigenerare la razza stessa. Lo slogan nazista era “il tuo corpo non ti appartiene”. Mantenersi sani e forti era un dovere patriottico di tutti i cittadini tedeschi “ariani”, tale dovere era ancora più pressante per gli atleti del Reich che incarnavano l’uomo nuovo nazista.

 Il processo di trasformazione investiva gli sportivi tedeschi di “sanguepuro”, che erano elevati

Il processo di trasformazione investiva gli sportivi tedeschi di “sanguepuro”, che erano elevati a eroi, a semidei e li sottoponeva a pressioni psicologiche e di violenza fisica. Lo sportivo del Reich, allenato a superare la soglia del dolore, alla fatica, ha il dovere di vincere perché la vittoria è la prova della sua appartenenza alla” razza eletta”. La perdita sul campo sportivo era considerata un disonore che si traduceva in un’umiliazione pubblica e collettiva. Il campione sportivo del Reich attirava su di sé, tutte le aspettative del regime che aveva bisogno del corpo dell’atleta perfetto, per esibire la prova della propria superiorità biologica.

HITLER E LE OLIMPIADI DEL 1936 Quando il Fuhrer salì al potere nel 1933,

HITLER E LE OLIMPIADI DEL 1936 Quando il Fuhrer salì al potere nel 1933, Berlino era già stata da tempo designata come città che avrebbe avuto l’onore di ospitare le Olimpiadi nel 1936, ed egli si mostrò a più riprese scontento di dover organizzare quello che definiva “un indegno festival organizzato dagli ebrei”. Lentamente cambiò idea, grazie alle teorie del ministro della Propaganda del Terzo Reich (Joseph Goebbels) che esaltava il ruolo politico dello sport come dimostrazione della superiorità della razza ariana e dell’uomo germanico. Così senza badare a spese il Fuhrer si adoperò per una organizzazione magistrale. Per il’ 36 fu pronto un immenso stadio nuovo di zecca. Il giorno dell’apertura dei giochi, all’arrivo dell’ultimo tedoforo, novità introdotta dal nazismo e poi divenuta consuetudine, lo stadio era gremito di tedeschi che inneggiavano ed osannavano Hitler. Inoltre furono proprio i nazisti ad introdurre le riprese televisive e il bollettino quotidiano delle vittorie. Tutto ciò, unito al numero dei partecipanti, che raggiunse la stratosferica cifra di 4066, contribuì a mostrare al mondo intero la Germania nazista come la nazione più efficiente del mondo. Tuttavia l’opera sarebbe rimasta incompleta senza una prestazione all’altezza della squadra tedesca, a tal fine i nazisti, che ovviamente non diedero agli ebrei la possibilità di partecipare, organizzarono un lunghissimo e meticoloso periodo di preparazione che si concluse con tre mesi massacranti per gli atleti nella Foresta Nera. Il lavoro diede i suoi frutti. I risultati per i nazisti furono strepitosi: per i tedeschi 36 medaglie d’oro, 12 in più degli Stati Uniti e primo posto nel medagliere. Terzi e quarti italiani e giapponesi, i regimi nazi-fascisti battevano le democrazie su tutta la linea.

 Ci fu però un’eccezione che macchiò in parte la grande affermazione fascista: si

Ci fu però un’eccezione che macchiò in parte la grande affermazione fascista: si chiamava Jesse Owens, un nero americano, che dominò ben quattro gare e che mandò su tutte le furie Hitler, che si rifiutò di stringere la mano al campione.

EBREI NEL CALCIO Molti esponenti del mondo del calcio furono segnati da prigionia e

EBREI NEL CALCIO Molti esponenti del mondo del calcio furono segnati da prigionia e morte in deportazione. Nonostante fosse cittadino americano, l’ala destra dell’Ajax, Eddie Hamel, fu arrestato e deportato nel 1942; morì ad Auschwitz, il 30 aprile del ’ 43. Stessa sorte per Han Hollander, radiocronista olandese e per Julius Hirsch, primo calciatore tedesco ebreo a vestire la maglia della Nazionale. E ancora, Kurt Landauer, presidente di quel Bayern Monaco che Hitler si affrettò a rinominare Judenklub, fu imprigionato a Dachau. Arpad Weisz, allenatore ungherese, sulla cui storia torneremo in seguito, è forse il caso più noto in Italia: vinse uno scudetto con l’Ambrosiana e due col Bologna, ma dovette lasciare l’Italia nel ’ 39 a causa delle leggi razziali e dell’espulsione degli ebrei stranieri; fu arrestato in Olanda, dove si era trasferito e deportato ad Auschwitz, nell’ottobre del ’ 42, dove morì il 31 gennaio 1944.

EBREI NEL CALCIO Simon Kuper, un giornalista olandese di trentasei anni, storico dello sport,

EBREI NEL CALCIO Simon Kuper, un giornalista olandese di trentasei anni, storico dello sport, che vive a Parigi, ha scritto: “Il calcio è stato il luogo in cui Olocausto e vita quotidiana si sono incontrati”. Per comprendere il senso di questa frase è sufficiente pensare ai documenti recuperati da Kuper negli archivi dello Sparta Rotterdam: lettere con cui l’Ajax comunicò ai soci ebrei che, in virtù delle nuove leggi, dopo l’occupazione tedesca dell’Olanda, il loro tesseramento sarebbe decaduto. Escludere gli ebrei dalle manifestazioni sportive era una conseguenza logica e inevitabile del processo innescato dalla Germania. Gli stessi calciatori ebrei dello Sparta, traditi dai compagni filonazisti, furono consegnati alle SS.

AJAX, LA SQUADRA DEL GHETTO. IL CALCIO E LA SHOAH Simon Kuper ha scritto

AJAX, LA SQUADRA DEL GHETTO. IL CALCIO E LA SHOAH Simon Kuper ha scritto un bel libro: Ajax, la squadra del ghetto. Il calcio e la Shoah L’Ajax nel 1943

 AJAX, LA SQUADRA DEL GHETTO. IL CALCIO E LA SHOAH Il punto di

AJAX, LA SQUADRA DEL GHETTO. IL CALCIO E LA SHOAH Il punto di partenza del libro è una confutazione del mito dell’Olanda come Paese tutto sommato tollerante nei confronti degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. La cosa curiosa è che Kuper racconta tutto questo andando a spulciare i verbali delle riunioni dei club sportivi olandesi, per verificare cosa successe veramente quando gli occupanti nazisti imposero l’allontanamento degli ebrei dalle società. Risposta: si adeguarono, obbedienti. Lo stesso fece l’Ajax, squadra molto amata dagli abitanti di Amsterdam, ebrei e non. E benché l’ ottantenne archivista della squadra spieghi che «agli ebrei piacevano le cose belle, così andavano a vedere l’ Ajax» , lo stadio in cui giocava era il punto d’incontro tra ebrei e gentili, anche in anni di antisemitismo montante. Ma, racconta Kuper, nonostante la fama di squadra amata dagli ebrei (cosa non più vera che per le altre squadre della città), il suo atteggiamento verso gli ebrei fu uguale a quello delle altre associazioni sportive del Paese: «Come qualsiasi altra istituzione olandese si contraddistinse per l’ ambiguità e la codardia, e si continuò a inseguire un pallone qualunque cosa accadesse» .

Ajax, la squadra del ghetto. Il calcio e la Shoah L’ambiguità dell’Ajax fu oltremodo

Ajax, la squadra del ghetto. Il calcio e la Shoah L’ambiguità dell’Ajax fu oltremodo sottile: i soci ebrei furono espulsi nel 1941, ma poi il club fece molto per aiutarli quando si trovarono in difficoltà. Aiutati dal fatto «di appartenere a una società calcistica a maggioranza non ebrea» . Resta quindi la domanda: perché l’Ajax è considerata una società di ebrei al punto che i suoi tifosi esponevano la bandiera di Israele? La risposta è nascosta nella storia dell’Ajax del dopoguerra. I primi a investire denaro nel club furono due fratelli, Freek e Wim van der Meijden, costruttori edili diventati ricchi lavorando per gli invasori tedeschi. Visto il loro passato, il club non consentì loro di diventare soci, ma essi non si offesero. Anche perché il loro principale alleato fu un certo Jaap van Praag, antico socio del club che aveva trascorso gli ultimi due anni e mezzo della guerra «nascondendosi sopra un negozio di fotografia di Amsterdam. Poiché il negoziante non sapeva di lui, doveva trascorrere le ore di apertura del negozio seduto immobile su una sedia» . Insomma, furono van Praag e i collaborazionisti soprannominati «fratelli Bunker» a creare il mito dell’Ajax, rafforzato poi da massicci investimenti di altri ebrei in una squadra i cui calciatori erano considerati ebrei, anche se non lo erano. Cruijff, per esempio, essendo figlio di un commerciante morto giovane e un ottimo uomo d’affari con qualche parentela ebrea acquisita dalla moglie, per tutti gli ebrei di Amsterdam è ebreo anche se non è vero. Le identificazioni forti si costruiscono anche così.

Ajax, la squadra del ghetto. Il calcio e la Shoah Alla fine della guerra,

Ajax, la squadra del ghetto. Il calcio e la Shoah Alla fine della guerra, più o meno tutti in Olanda erano legati alla morte di qualche persona cara durante il conflitto, non andavano esclusi dunque i dirigenti dell’Ajax. Il presidente divenne Jaap Van Raag, un negoziante di dischi ebreo che si era nascosto per due anni nel retrobottega di un minuscolo negozio di fotografie. Tra i dirigenti anche Maup Caransa, anch’egli ebreo, ma salvato durante la guerra dal fatto che fosse sposato con una potente donna cattolica, e di mestiere faceva il petroliere. Non solo personaggi positivi, altri due importanti dirigenti erano Wim e Freed Van Der Mejiden, due imprenditori che costruivano i bunker per i nazisti e che furono processati dopo la liberazione del Paese ma che non si sa in che modo riescono a convincere Van Raag, che diventerà il più grande presidente dei Lancieri, ad entrare in società. Scrive Kuper nel libro che “Una squadra di calcio è come una famiglia e questo è particolarmente vero per coloro che non ne hanno una propria. Non erano rimaste molte famiglie ebree dopo l’olocausto“. Lo stesso Johann Cruijff, scomparso pochi giorni fa, aveva perso il padre e fu adottato dall’Ajax e da tutta la comunità ebraica. La squadra di Cruijff, forse tra le più forti della storia, era forgiata dalla guerra: il padre di un suo compagno di squadra, Ruud Krol, difensore straordinario che ha giocato anche al Napoli, era Kuki Krol. Kuki è stata una delle figure di spicco della resistenza olandese, della quale ha fatto parte anche Leo Horn, l’arbitro olandese che nel 1963 diresse la partita nella quale l’Ungheria umiliò l’Inghilterra col risultato di 6 -3.

AJAX, LA SQUADRA DEL GHETTO. IL CALCIO E LA SHOAH L’Ajax “post bellico”, quello

AJAX, LA SQUADRA DEL GHETTO. IL CALCIO E LA SHOAH L’Ajax “post bellico”, quello dopo la seconda guerra mondiale, è nato da un dato di sofferenza della storia olandese, in questa curiosa e oscura contraddizione che ha messo insieme imprenditori ebrei con imprenditori nazisti. Quella dell’Ajax è una storia particolare perché, nonostante il progressismo che spesso mostra nelle proprie leggi, l’Olanda è ancora fortemente antisemita. I più acerrimi rivali dell’Ajax, i tifosi del Feyenoord, spesso intonano cori contro gli ebrei.

“ERA MOLTO BRAVO MA ANCHE EBREO E CHI SA COME È FINITO” Negli anni

“ERA MOLTO BRAVO MA ANCHE EBREO E CHI SA COME È FINITO” Negli anni Trenta, il calcio vive un periodo di grande fermento. Diversi sono gli allenatori di spicco e l’Ungheria, con ‘i suoi ebrei’, è fucina di giovani talenti della panchina. Ad esempio, c’è Ernest Erbstein che, da esiliato a Budapest per scampare alle leggi razziali fasciste, costruirà le basi del ‘Grande Torino’ insieme allo storico presidente, Ferruccio Novo, vincendo poi, nel dopoguerra, 4 scudetti di fila, prima della ‘tragedia di Superga’, nella quale egli stesso morì. Ernest Erbstein.

 Poi, il giovane Bela Guttmann, che, sopravvissuto all’Olocausto, rifugiandosi in Svizzera, vince due

Poi, il giovane Bela Guttmann, che, sopravvissuto all’Olocausto, rifugiandosi in Svizzera, vince due Coppe Campioni con il Benfica di Eusebio, prima dell’esonero e della celebre maledizione ‘il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni’ (da allora 5 finali perse!). Da sinistra: Eusebio, Guttmann e Mario Coluna, con la Coppa Campioni

FASCISMO E SPORT Le dittature e i regimi totalitarismi hanno sfruttato lo sport e

FASCISMO E SPORT Le dittature e i regimi totalitarismi hanno sfruttato lo sport e l’attività fisica sia fini della preparazione militare sia ai fini propagandistici ideologico-politico. Negli anni del ventennio fascista, il regime si appropria della ginnastica e dello sport per farne un formidabile strumento di propaganda politica, veicolo per il consenso autoritario di massa sui fondare il potere. Lo sport nel periodo fascista divenne rappresentazione della potenza e dell’identità nazionale.

 Mussolini ritratto in foto come aviatore, schermidore, cavaliere, calciatore … incarnava il simbolo

Mussolini ritratto in foto come aviatore, schermidore, cavaliere, calciatore … incarnava il simbolo dello sport e dello stato. “Lo sport abitua gli uomini alla lotta in campo aperto” così Mussolini concepiva il senso della pratica sportiva: i giovani maschi italiani, venivano preparati ad affrontare prove di coraggio, di resistenza alla fatica e di lotta. Soprattutto viene inculcato loro il senso della disciplina e dell’obbedienza, secondo il motto fascista ”credere, obbedire, combattere”. Anche le giovani donne dovevano essere forti per poter essere delle buone madri che dovevano dare figli, non solo alla famiglia, ma anche alla Patria, così insieme all’educazione fisica, si insegnava loro, l’economia domestica, la puericultura e l’infermieristica. Il 3 aprile 1926 fu creata l’OPERA NAZIONALE BALILLA (ONB), che si occupava della preparazione fisica e morale dei giovani italiani. La stragrande maggioranza dei bambini italiani era iscritta all’ONB e dall’ottobre del 1927, l’educazione fisica divenne materia obbligatoria nelle scuole e ovunque si costruirono palestre e impianti sportivi. Inoltre venne creata l’ACCADEMIA FASCISTA MASCHILE DI EDUCAZIONE FISICA, che nel luglio diplomò i primi 200 maestri. Il compito dell’ONB era quello di diffondere nei giovani il sentimento della disciplina: dovevano portare rispetto ed obbedienza ai propri comandanti, erano obbligati a fare il saluto romano ai superiori e portare l’uniforme. L’organizzazione doveva provvedere anche, all’istruzione paramilitare, affinché fossero preparati alla guerra e potessero essere impiegati nell’esercito. Le attività ginniche e sportive erano state quindi militarizzate. Ovunque si organizzavano manifestazioni, saggi ginnici e parate che venivano chiamate adunate, nelle quali si esibivano i livelli di preparazione raggiunti. Divise, marce, esercitazioni, disciplina erano gli strumenti per la formazione dell’italiano “nuovo”. Il sabato pomeriggio sottratto al lavoro (chiamato sabato fascista), era destinato a tutte le manifestazioni.

L’OPERA NAZIONALE BALILLA PREVEDEVA QUESTO TIPO DI SUDDIVISIONE: ETA’ MASCHI FEMMINE 4 -8 Figli

L’OPERA NAZIONALE BALILLA PREVEDEVA QUESTO TIPO DI SUDDIVISIONE: ETA’ MASCHI FEMMINE 4 -8 Figli della lupa Figlie della lupa 8 -12 Balilla Piccole Italiane 12 -14 Balilla moschettieri Piccole italiane 14 -18 Avanguardisti Giovani Italiane 18 -21 Giovani fascisti universitari(GUF) Giovani fasciste universitarie(GUF) Nei reparti maschili, i giovani Balilla e gli Avanguardisti, durante le esercitazioni utilizzavano un “moschetto”, riproduzione in scala ridotta del famoso fucile modello 91 dei fanti italiani durante la prima guerra mondiale. Così terminata la necessaria preparazione, potevano entrare in guerra, realizzando pienamente la formula fascista “ Libro e moschetto fascista perfetto”. I Balilla e gli Avanguardisti partecipavano a molti saggi ginnici collettivi, che riunivano giovani da tutta Italia. Ogni saggio iniziava con gli “Inni alla Patria e quelli della rivoluzione”, seguiti dal discorso di Mussolini. Nei saggi si eseguivano sia esercizi a corpo libero sia esercizi di atletica e di tennis, mentre le giovani donne utilizzavano anche cerchi e archi. Gli Avanguardisti partecipavano anche al CONCORSO DUX, una manifestazione di saggi, gli atleti partecipavano alla gara rappresentando un tema che veniva giudicato da una commissione. I GUF ( giovani fascisti universitari) potevano partecipare ai LITTORIALI dello SPORT (una sorta di olimpiadi del fascismo). I giovani erano scelti tramite selezioni provinciali. Per i giovani che decidevano di non frequentare l’università, potevano continuare l’addestramento passando, dopo qualche anno all’OND ( opera nazionale dopolavoro), dove venivano praticati molti sport a livello agonistico ( atletica, ciclismo, sci e nuoto). L’attività agonistica era portata all’esasperazione per far nascere nei giovani delle tendenze aggressive.

L’EDUCAZIONE FISICA A SCUOLA L’educazione fisica era considerata al pari delle altre discipline scolastiche

L’EDUCAZIONE FISICA A SCUOLA L’educazione fisica era considerata al pari delle altre discipline scolastiche e gli insegnanti di ginnastica iniziarono a far parte del Consiglio dei professori. Nelle scuole vennero dedicate due ore settimanali all’insegnamento dell’educazione fisica e i programmi di insegnamento, pubblicati a cura dell’ONB in speciali quaderni, comprendevano per le prime due classi di elementari un’attività di carattere ricreativo; dalla terza classe in poi, il programma prevedeva il saluto romano collettivo in classe e fuori, il saluto individuale, l’attenti, il riposo. Nelle ultime due classi, erano previste delle marce in gruppo e per file coreografiche. Per i giovani tra i 16 e i 18 anni erano previsti esercizi a corpo libero e agli attrezzi, volteggi, corse piane e ad ostacoli, marce fino a 20 km. Fondamentale era alternare l’allenamento individuale con quello collettivo e di utilizzare le forme sportive anche per i fini militari ( in particolare, i lanci erano utilizzati per far pratica nel lancio delle bombe).

 SPORT FASCISTI PER ADDESTRAMENTO MILITARE · TIRO A SEGNO (addestramento alle armi) ·

SPORT FASCISTI PER ADDESTRAMENTO MILITARE · TIRO A SEGNO (addestramento alle armi) · GINNASTICA (miglioramento fisico della razza) · SCHERMA ( veniva avvicinata al combattimento romano) · ATLETICA LEGGERA (attività basilare per la preparazione alla resistenza e alla fatica) · RUGBY (per il combattimento) · CANOTTAGGIO (allena spalle vigorose pronte ad agire in ogni occasione) MOTOCICLISMO MOTONAUTICA MOTORISMO AVIAZIONE ( temprano il carattere e il coraggio, chi guida spesso deve prendere decisioni o di vita o di morte). LE GRANDI MANIFESTAZINI NAZIONALI Alla gente, ma anche molti atleti che facevano sport perché dovevano farlo, piaceva assistere a spettacoli sportivi. Iniziano quindi le grandi manifestazioni nazionali, in particolare il Giro d’Italia e la Mille Miglia. Il giro d’Italia era una corsa ciclistica a tappe che riusciva a far arrivare i ciclisti in tutte le zone dell’Italia, unificandola politicamente e sportivamente. In premio c’erano medaglie d’oro con impressa l’effige del duce. La Mille Miglia era una competizione organizzata su strade rigorosamente restaurate dal fascismo, documentava quale meraviglioso vivaio di energie esisteva nell’Italia fascista, nel campo della scienza, della tecnica, del lavoro, dell’organizzazione e dello sport.

 Nel 1928 alle OLIMPIADI di Amsterdam, le ragazze della società ginnastica di Pavia

Nel 1928 alle OLIMPIADI di Amsterdam, le ragazze della società ginnastica di Pavia conquistarono la medaglia d’argento: era la dimostrazione che il settore della ginnastica in Italia era molto sviluppato e non solo per gli uomini. Le Olimpiadi di LOS ANGELES del’ 32 si conclusero con palmares per l’Italia di tutto rispetto, posizionandola al secondo posto nel medagliere internazionale- Nel 1933 il pugile Primo Carnera, vinse per K. O. Jack Sharkey in sei riprese e diventò campione del mondo dei pesi massimi del pugilato. La sua prima dichiarazione ad un giornalista del Corriere della Sera fu: “Offro questa vittoria al mondo sportivo italiano, giubilante e orgoglioso di aver mantenuto la promessa fatta al Duce”.

IL CALCIO NEL PERIODO FASCISTA Il calcio che piaceva molto al fascismo per il

IL CALCIO NEL PERIODO FASCISTA Il calcio che piaceva molto al fascismo per il suo carattere collettivo che esaltava lo spirito di squadra ed era considerato uno strumento privilegiato per la costruzione di un’identità nazionale fiera e orgogliosa, conobbe un’ascesa senza precedenti. Il calciatore sul campo era metafora del soldato in battaglia, che si sacrifica per l’onore e la gloria dell’intera squadra. Nel 1926 già i più importanti club di calcio erano nati e così la Carta di Viareggio ( che disciplinava lo status del calciatore e delle organizzazioni arbitrali) stabilì finalmente un campionato a girone unico, cui fu dato vita a partire dal 1929. Nel decennio 1926/1936 si costruirono numerosi stadi, apprezzabili anche dal punto di vista architettonico, come il “Littorale” di Bologna, il “ Berta” di Firenze, “San Siro” di Milano … Ma soprattutto si conobbero due eventi decisivi: la nascita del tifo e delle tifoserie. L’Italia del calcio raggiunse nel periodo fascista risultati sorprendenti come le vittorie del campionato del mondo nel 1934 e nel 1938. I mondiali del 1934, svoltisi in Italia , furono poi l’ulteriore occasione, non solo per mostrare al capacità del regime, organizzando alla perfezione la competizione. L’apice di questa macchina organizzativa fu la festa per la vittoria finale, giocata il 10 giugno 1934 davanti a cinquantamila spettatori, preparati a cantare inni fascisti, sventolando fazzoletti sui quali era stampato in nome del Duce.

ARPAD WEISZ Arpad Weisz nacque nel 1896 a Solt, un paese della campagna ungherese.

ARPAD WEISZ Arpad Weisz nacque nel 1896 a Solt, un paese della campagna ungherese. Dopo le prime esperienze da giocatore al Törekves e al Maccabi Brno, arrivò in Italia nel 1924, dove fu notato dall’Inter che lo acquistò nel 1925. Un anno dopo, un grave infortunio pose fine alla sua carriera da giocatore, così ebbe inizio quella da allenatore. Arpad Weisz divenne il primo giocatore-allenatore che la storia del calcio conosca e proprio dalla panchina dell’Inter, dette il via al rilancio della squadra, con alcuni nuovi acquisti: nel 1927, dalla Juventus, Luigi Allemandi, nel 1929, dal Treviso il ventenne ‘Gipo’ Viani. L’intuizione decisiva fu quella di lanciare nel 1927 il sedicenne Giuseppe Meazza. Il trio Allemandi-Viani-Meazza costituirà la costola della formazione interista. Nella stagione 1929 -1930, Weisz divenne, a trentaquattro anni, l’allenatore più giovane ad aver vinto uno scudetto, record tutt’ora imbattuto: quella che dopo la fusione con l’US Milanese era diventata l’Ambrosiana Inter, vinse il primo campionato italiano a girone unico, con Meazza capocannoniere con 31 gol. Vinse poi altri due scudetti con il Bologna, del quale era diventato allenatore nel 1935. Espulso con la sua famiglia, in quanto ebreo straniero, nel 1939 si trasferì a Parigi e poi in Olanda dove allenò con grande successo il Dordrechtschte football club. Ma la sua vicenda si concluse drammaticamente: fu arrestato con la sua famiglia, trasferito nel campo di Westerbork e deportato ad Auschwitz-Birkenau, nell’ottobre 1942. La moglie i figli furono uccisi all’arrivo, Arpad resistette, fino al 31 gennaio 1944.

DOPO AUSCHWITZ: IL RICORDO Di fatto dimenticato e caduto nell'oblio per quasi sessant'anni, nel

DOPO AUSCHWITZ: IL RICORDO Di fatto dimenticato e caduto nell'oblio per quasi sessant'anni, nel 2007 il suo nome è stato riscoperto grazie al giornalista Matteo Marani, il quale ne ha ricostruito la storia nel libro Dallo scudetto ad Auschwitz. Solamente nel 2009, su iniziativa del Comune di Bologna, è arrivata la prima commemorazione ufficiale a Weisz, con l'apposizione di una targa a lui dedicata sotto la torre di Maratona dello stadio Renato Dall'Ara; [ nel 2018 la curva San Luca dello stesso impianto gli sarà intitolata. Da qui in avanti, si sono moltiplicate le iniziative in ricordo dell'allenatore. Nel 2012, in occasione del Giorno della Memoria, è stata posta una targa allo stadio Giuseppe Meazza di Milano, per ricordare il tecnico del terzo scudetto nerazzurro. Nel 2013 gli è stato dedicato il quarto di finale di Coppa Italia tra Inter e Bologna, coi giocatori delle due squadre entrati in campo con una maglia commemorativa. Nello stesso anno è stata apposta una targa commemorativa allo stadio Silvio Piola di Novara. Nel 2014 anche la città di Bari gli ha reso omaggio, intitolandogli una via nei pressi dello stadio San Nicola.

GINO BARTALI, LO SPORTIVO CHE HA AIUTATO: UN GIUSTO

GINO BARTALI, LO SPORTIVO CHE HA AIUTATO: UN GIUSTO

Yad Vashem riconosce Gino Bartali tra i Giusti tra le Nazioni. Gerusalemme, 23 Settembre

Yad Vashem riconosce Gino Bartali tra i Giusti tra le Nazioni. Gerusalemme, 23 Settembre 2013 Yad Vashem ha riconosciuto Gino Bartali come Giusto tra le Nazioni. Bartali fu un campione di ciclismo (vinse tre Giri d'Italia e due Tour de France) ed una figura pubblica molto amata; durante l'occupazione nazista dell'Italia (iniziata nel settembre 1943) lui , devoto cattolico, fece parte di una organizzazione per il salvataggio di ebrei organizzata dal Rabbino Nathan Cassuto e dall'Arcivescovo di Firenze, cardinale Elia Angelo della Costa (già riconosciuto Giusto tra le Nazioni). Questa rete ebraico-cristiana nata in seguito all'occupazione tedesca e all'inizio delle deportazioni, salvò centinaia di ebrei italiani e stranieri, rifugiati giunti da territori che erano stati posti sotto il controllo italiano, soprattutto dalla Francia e dalla Jugoslavia. Gino Bartali nell'organizzazione aveva il ruolo del corriere, nascondendo documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli tra una città e l'altra, mentre si allenava. Consapevole di rischiare la vita, Bartali consegnò documenti falsi a molte persone, tra cui lo stesso Rabbino Cassuto.