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Non gridate più Cessate d’uccidere i morti, Non gridate più, non gridate Se li

Non gridate più Cessate d’uccidere i morti, Non gridate più, non gridate Se li volete ancora udire, Se sperate di non perire. Hanno l’impercettibile sussurro, Non fanno più rumore Del crescere dell’erba, Lieta dove non passa l’uomo G. Ungaretti La guerra e i poeti

La guerra attesa “Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della

La guerra attesa “Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura…Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero…ci voleva una bella annaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto…. E’ finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria…”. Così Giovani Papini, nel settembre 1914, salutava lo scoppio di una guerra invocata e attesa da tanti intellettuali dell’epoca, una “ossessione d’attesa” , come recita un verso di Clemente Rebora: è l’attesa della palingenesi anche violenta di un mondo e di una società giunta al punto estremo della decadenza.

L’euforìa collettiva e l’entusiasmo patriottico che travolsero le masse erano già presenti nei testi

L’euforìa collettiva e l’entusiasmo patriottico che travolsero le masse erano già presenti nei testi poetici dell’interventismo italiano e nei proclami “imperialisti” di Gabriele D’Annunzio. Nelle terzine della Canzone d’oltremare, il poeta-vate, esaltando l’impresa italiana in Libia, prefigura un destino di gloria e di vittorie: ”Italia, alla riscossa!. . . e in terra e in mare tieni la tua guerra”

Anche Saba, ricordando quei giorni, dichiara: “Non ero, non mi sentivo più, solo e

Anche Saba, ricordando quei giorni, dichiara: “Non ero, non mi sentivo più, solo e sbandato…Facevo parte di una comunità di uomini…”. E componeva versi così: ” il soldato che non parte in guerra/è femmina che invecchia senza amore” E Corrado Govoni grida “Bella è la guerra…Viva la guerra!. . . E gli uomini si sentirono uomini finalmente” mentre i futuristi fanno della guerra il tema d’elezione del loro nuovo strumento poetico ‘parolibero’

GUERRA di Corrado Govoni Che importa se domani Se fra poco morrai? Oggi sei

GUERRA di Corrado Govoni Che importa se domani Se fra poco morrai? Oggi sei sano e vivo. Quando si è morti per tutti è lo stesso Esser vissuti novant’anni o un anno. Sgozza, fracassa, trucida! Spara, artigliere, spara senza posa. Ti darò io la mira giusta. …. Incendiate, incendiate, date fuoco alla terra che diventi un sole. Devasta sconquassa distruggi, passa, o bellissimo flagello umano, sii peste terremoto ed uragano. Fa che una primavera rossa Di sangue e di martirio Sgorga da questa vecchia terra, e che la vita sia come una fiamma. Viva la guerra!

La guerra-comunione Nelle note a Vita d’un uomo Ungaretti scrive: “Ero in presenza della

La guerra-comunione Nelle note a Vita d’un uomo Ungaretti scrive: “Ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo nuovo, in modo terribile…Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione”. La guerra in Ungaretti è comunione con gli uomini, slancio solidaristico; è anche sentimento di appartenenza al ‘tutto’, teatro in cui il poeta si sente “docile fibra dell’ universo”.

Anche i versi di Piero Jahier, valdese e figlio di un Jahier predicatore, esprimono

Anche i versi di Piero Jahier, valdese e figlio di un Jahier predicatore, esprimono un forte comunitarismo, soprattutto nell’allegoria del ‘camminatore’: un cammino che la guerra rende meno solitario, verso ignote stazioni d’arrivo. La sua stessa poesia è indicata dall’autore come “canti di marcia”. Molti titoli di Jahier iniziano con la congiunzione per eccellenza, il “con”, così come la sua raccolta più significativa Con me e con gli alpini

Manifestazione più alta della guerra-comunione è l’impulso a solidarizzare, a fraternizzare con il ‘nemico’:

Manifestazione più alta della guerra-comunione è l’impulso a solidarizzare, a fraternizzare con il ‘nemico’: è il caso di Fausto Maria Martini, che non preme il Martini grilletto contro il soldato austriaco ferito, descritto come un “fanciullo…trascinato dal fluire d’un’ istessa onda fino nell’estrema avventura. . ”

ITALIA di Giuseppe Ungaretti Sono un poeta Un grido unanime Sono un grumo di

ITALIA di Giuseppe Ungaretti Sono un poeta Un grido unanime Sono un grumo di sogni Sono un frutto D’innumerevoli contrasti d’innesti Maturato in una serra Ma il tuo popolo è portato Dalla stessa terra Che mi porta Italia E in questa uniforme Di tuo soldato Mi riposo Come fosse la culla Di mio padre Locvizza il 1°ottobre 1916 S 0 LDATO di Giuseppe Ungaretti Di che reggimento siete Fratelli? Fratello Tremante parola Nella notte Come una fogliolina Appena nata Saluto Accorato Nell’aria spasimante Implorazione Sussurrata Di soccorso All’uomo presente alla sua Fragilità Mariano il 5 luglio 1916

Veglia Un’intera nottata buttata vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata

Veglia Un’intera nottata buttata vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al penilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mo silenzio ho scritto lettere piene d’amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita G. Ungaretti

La guerra-festa L’entusiasmo di chi parte per la guerra cantando a squarciagola può assumere

La guerra-festa L’entusiasmo di chi parte per la guerra cantando a squarciagola può assumere le forme ingenue e cantilenanti, da sagra di paese di Giulio Barni. Quella della Buffa – la fanteria - è una festa popolare, da sagra di paese, prima che l’Isonzo cominci a tingersi del suo sangue, con gli assalti frontali di Cadorna. Una festa che si serve anche del dialetto e che trasforma il tambureggiare delle artiglierie in una sorta di allegro contrappunto alle battute popolaresche. Ma gli interpreti per eccellenza della guerra-festa sono i futuristi: le parole in libertà, l’esplosione analogica, la simultaneità oratoria celebrano lo spettacolo estetico della guerra. Anche nei versi di Ardengo Soffici , come nelle prose di Comisso, la guerra è festa, vacanza, spettacolo, “avventura dei sensi” Nella sezione poetica L’ubriaco, Massimo Bontempelli estremizza le caratteristiche della “festa” e dello “spettacolo” sensoriale sino a una condizione di ubriachezza. Proiettato al centro del rituale orgiastico della guerra, il poeta si inebria, si dimentica, si perde, fantasticando di poter vedere l’estremo degli spettacoli: quello della morte.

SUL KOBILEK di Ardengo Soffici Sul fianco biondo del Kobilek Vicino a Bavterca, Scoppian

SUL KOBILEK di Ardengo Soffici Sul fianco biondo del Kobilek Vicino a Bavterca, Scoppian gli shrapnel a mazzi Sulla nostra testa Le lor nuvolette di fumo Bianche, color di rosa, nere Ondeggiano nel nuovo cielo d’Italia Come deliziose bandiere. Nei boschi intorno di freschi nocciuoli La mitragliatrice canta, le pallottole che sfiorano la nostra guancia hanno il suono di un bacio lungo e fine che voli. Se non fosse il barbaro ondante fetore Di queste carogne nemiche, . si potrebbe in questa trincea che si spappola al sole accender sigarette e pipe; Bim, bum, bom, Bim, bum, bom, E tranquillamente aspettare, al rombo del canon. . . ! al rombo dei canon. . . ! soldati gli uni agli altri più che fratelli, la morte; che forse non ci oserebbe toccare, tanto siamo giovani e belli. LA BUFFA di Giulio Barni E cossa galo fato La fanteria l’è buffa, Non sono bersagliere, I nostri bersaglieri? El nostro bravo alpino? El nostro fantaccino? l’è bassa di statura, non son neppure alpin: Ogni colpo di fucile El ga bevù la senapa El gà passà l’ Isonzo ma quando va all’assalto io sono della Buffa, Cinquecento prigionieri! Al fresco, sul Trentino E el Monte Sabotino. anche i honved gan’ paura. io sono fantaccin.

La guerra-tragedia La sostanza traumatica della guerra, la presenza ossessiva della morte nel paesaggio

La guerra-tragedia La sostanza traumatica della guerra, la presenza ossessiva della morte nel paesaggio sono temi ricorrenti nelle poesie di guerra. Nel Coro a bocca chiusa di Clemente Rebora, la tragica incombenza di dare sepoltura ai caduti, resi mostruosi dalla putrefazione, ispira una ‘sinfonia’ espressionista di grande forza drammatica Anche in Vann’Antò il compagno di trincea è colui che in realtà è già morto: la vita del soldato è un commercio quotidiano e ininterrotto con la morte; mentre in Manlio Dazzi “c’è chi sta peggio” dei morti: i vivi Per Carlo Emilio Gadda è difficile salire alla montagna: la natura si scatena tragicamente, simbolo di una realtà che l’uomo non riesce a dominare : la neve è feroce e fanno battaglia/ le tempeste dei cieli/ sulla terra Il vertice “tragico” della poesia di guerra è rappresentato dalla grande Sonada quasi ona fantasia- Caporetto 1917 del poeta dialettale milanese Delio Tessa, che testimonia l’evento più tragico della guerra: Caporetto. Tessa non prende parte in prima persona alla guerra, ma essa non è affatto lontana, si abbatte come una apocalisse imminente sulla collettività vociante della metropoli, intersecando diversi piani nel tempo e nello spazio: il “qui” della mesta passeggiata in città e il “lassù” della guerra di trincea, l’ ”ora” dei tristi presentimenti e “quel giorno” della rotta di Caporetto e della disfatta nazionale

da Sul Monte San Marco di Vann’Antò Quello ch’ieri dormiva Nella trincea presso a

da Sul Monte San Marco di Vann’Antò Quello ch’ieri dormiva Nella trincea presso a me, nello stesso cubicolo, fratellino di culla: non risponde, - ho chiamato!Bombardiere di Manlio Dazzi non risponde più; non gli giunge il grido Quando spavalda e fragorosa amica, del mio cuore…O , tu lustra come una zingara di notte, compagno, mi cerchi sale coi fanti la bombarda, è giorno mi preghi, anche tu, d’azione. – Su! C’è chi sta peggio. – I fanti? – Non ha trincea. Occhieggia gli aeroplani, mi chiami…, io non sento svela la bocca ardente nella notte. non rispondo più ! Giuoca il suo giuoco d’ansia allo scoperto. - C’è chi sta peggio, bombarda. – I malati? -. Ha male d’asma. Lancia i barilotti, che con fatica salgono a un loro segno, e capofitti con gran schianto piombano. - Bombarda, su! C’è chi sta peggio. – I morti? – Se è per morire, morirà di schianto. Sette spavaldi e fragorosi amici le dànno il cuore per l’ultimo lancio. - C’è chi sta peggio, bombardiere: i vivi. – Alla montagna salire di Carlo Emilio Gadda Alla montagna salire, Pietra su pietra Una torre Sulla montagna volevo levare. Ma il vento corre La terra Vallata : Delle tempeste nei cieli Del Settentrione Fa radunata E nelle forre Le scaglia, Contro gli steli Di primavera. Fanno battaglia Le tempeste dei cieli Sulla terra : Si travolgono in guerra Sulla montagna. Strappano i dolci veli Dell’umidore Alla selva Di primavera. Corrono la campagna. Il mio passo è vano Nel sentiero E l’occhio, contro la neve Feroce, si serra. Cade la mano. Il passo inutile deve Aver fine. La neve Turbina, fra la guerra Feroce delle tempeste.

Ospedale da campo 026 Di Ardengo Soffici Ozio dolce dell’ospedale! Si dorme a settimane

Ospedale da campo 026 Di Ardengo Soffici Ozio dolce dell’ospedale! Si dorme a settimane intere; Il corpo che avevamo congedato Non sa credere ancora a questa felicità: vivere. Le bianche pareti della camera Son come parentesi quadre, Lo spirito vi si riposa Fra l’ardente furore della battaglia d’ieri La guerra-riflessione E l’enigma fiorito che domani ricomincerà. Sosta chiara, crogiuolo di sensi multipli, Molti testi poetici esprimono i momenti di raccoglimento interiore o di Qui tutto converge in un’unità indicibile; stupefatta contemplazione o la necessità, da parte dei poeti-combattenti, di Misteriosamente sento fluire un tempo d’oro fermarsi per tentare di comprendere ciò che sta avvenendo. Il tono che Dove tutto è uguale; accomuna questi testi è dunque quello della riflessione. i boschi, le quote della vittoria, gli urli, il sole, il sangue dei morti, io stesso, il mondo, E’ ricorrente, ad esempio, il motivo del ricovero in ospedale: un riposo E questi gialli limoni forzato in quelle “bianche pareti della camera” in cui “lo spirito vi si riposa”, Che guardo amorosamente risplendere che permette Sul mio nero comodino di ferro, vicino al guanciale. di guardare i “gialli limoni risplendere” ( A. Soffici)

I momenti di pausa servono a fissare quei mutamenti interiori che il fuoco della

I momenti di pausa servono a fissare quei mutamenti interiori che il fuoco della prima linea ha originato, ma che hanno bisogno di essere elaborati. Le illusioni d’anteguerra sono tutte sfumate, svanita ogni traccia di retorica patriottarda: la guerra è ormai senza fanfara, come dice Rebora. E le poesie, lente e meditative, sono animate dal moto di torsione spirituale di chi, riflettendo, ha già cominciato a mutare il proprio atteggiamento. Emblematico è il grande punto interrogativo disegnato da. Buzzisubito dopo la rotta di Caporetto: il pittografismovolutamente infantile esprime un altrettanto infantile stato di totalespaesamentoe incertezza.

La pausa è rappresentata con efficacia anche dal futurista Luciano Folgore : le cose

La pausa è rappresentata con efficacia anche dal futurista Luciano Folgore : le cose riprendono la loro canzone, fatta di silenzi ronzanti, spezzati ogni tanto da una fucilata isolata che, in questo contesto, può apparire un fenomeno naturale. Ma il paesaggio idilliaco è segnato dalla presenza della morte e quel silenzio contemplativo rende stranieri al mondo. Nelle pause di riflessione si può immaginare anche il ritorno nella casa d’origine, ma, significativamente, chi ritorna è già morto. Forse è uno spettro chi immagina il proprio Ritorno a casa, di notte, alla luce della luna; e solo l’illusione della madre, il suo pensiero trasparente potrà trovare che nulla in lui sia mutato (Corrado Alvaro). A un compagno di Corrado Alvaro Se dovrai scrivere alla mia casa, Dio salvi mia madre e mio padre, la tua lettera sarà creduta mia e sarà benvenuta. Così la morte entrerà E il fratellino la festeggerà. Non dire alla povera mamma Che io sia morto solo. Dille che il suo figliolo più grande, è morto con tanta carne cristiana intorno. Se dovrai scrivere alla mia casa, Dio salvi mia madre e mio padre, non vorranno sapere se sono morto da forte. Vorranno saper se la morte sia scesa improvvisamente. Di’ loro che la mia fronte è stata bruciata là dove mi baciavano, e che fu lieve il colpo, che mi parve fosse il bacio di tutte le sere. Di’ loro che avevo goduto tanto prima di partire, che non c’era segreto sconosciuto che mi restasse a scoprire;

La fantasia del ritorno domina la poesia di tipo meditativo-riflessivo, anche se per molti

La fantasia del ritorno domina la poesia di tipo meditativo-riflessivo, anche se per molti il ritorno sarà l’occasione per la più cocente delle delusioni. Intanto la guerra impone un ritorno alla realtà: è il momento delle più brucianti verifiche per i numerosi intellettuali della avanguardia che glorificarono la guerra come sola “igiene del mondo” Ci empimmo gli occhi d’immenso, scandisce un poeta “minore” come Auro d’Alba, e invece ci tingemmo di sangue le mani MACERAZIONE di Auro d’Alba Soffriamo ancora in silenzio come non sapevamo far più la nostalgia degli esclusi, la meditabonda poesia che nasce dalle umili cose, la poesia delle voci sommesse delle mezze voci raccolte nelle casupole famose nei sentieri di rado battuti, ovunque passino i rifiuti della vita. Abbiamo troppo cantato A gola gonfia Sotto un gran cielo stellato Sotto un fiato cocente di sole, sul verde e sulla pietra nel vento e nell’onda abbiamo gridato la strofa che più ci parve gioconda. Pensammo d’essere nati per le cime più alte dove si brucia ogni amore, creature generate per distanze smemorate per contrade senza colore.

DOMANDA ANGOSCIOSA CHE TORNA d Piero Jahier quando vi guardo e voi non potete

DOMANDA ANGOSCIOSA CHE TORNA d Piero Jahier quando vi guardo e voi non potete sapere: perché alcuni sono chiamati a lavorare e guadagnar sulla guerra, e altri a morire? Morire non ha equivalente di sacrificio; morire è un fatto assoluto. Se la guerra ha un valore morale: rieducare alla salute, alla Mansuetudine, alla giustizia, attraverso il passaggio nella Pena della privazione e distruzione, perché sopra tutto Debbon portarne il peso questi che erano nella privazione e Mansuetudine, e non desideravano più che la salute? Perché facevi onestamente tanti figliuoli Nostra forza, gloria d’Italia Più di tutti ne devi sacrificare. Perché sei sano Buon sangue che cicatrizza presto Sempre abile a soffrire. Perché sei povero Ora che il denaro ridicolo Non compra più nulla Che vale più solo il lavoro del povero Che la vita è sospesa tra un raccolto e l’altro E il tuo pane scuro è diventato a tutti pane Perché, santo popolo d’Italia, perché più di tutti devi morire?

La guerra-follia Sono noti i numerosissimi casi di soldati in preda a improvvisa follia,

La guerra-follia Sono noti i numerosissimi casi di soldati in preda a improvvisa follia, a dissociazioni schizofreniche o anche gli episodi simulazione della follia come unica possibilità di fuga. Il poeta surrealista Andrè Breton descrive un soldato che “in piedi sul parapetto, in pieno combattimento, dirigeva col dito i proiettili che passavano…la guerra non era che finzione, le parvenze dei proiettili non potevano fare alcun male, le apparenti ferite non erano che maquillage…”

A volte, come in Dino Campana, si assiste a una inversione psicotica tra causa

A volte, come in Dino Campana, si assiste a una inversione psicotica tra causa ed effetto, per cui è il poeta stesso che pensa di aver causato la guerra: “Sappiate che il colpevole della guerra sono io, che la causa di questa guerra è il mio amore con Sibilla Aleramo” Ma Campana, sia pure nelle forme paranoico-deliranti che gli sono proprie, è tra i pochissimi poeti che avverta la responsabilità delle letteratura nei confronti della guerra. Non a caso rigetta con violenza la retorica bellica di D’Annunzio, definita “la massima cloaca di tutto il letteratume presente e passato…. Il dolore del Vate non è il dolore del poeta: è senza nobiltà, senza silenzio, senza umiltà, senza luce. . ”. A nove mesi dalla fine della guerra sarà internato in manicomio.

La follia di guerra di Massimo Bontempelli ha caratteristiche molto simili alle ossessioni di

La follia di guerra di Massimo Bontempelli ha caratteristiche molto simili alle ossessioni di Campana. Non solo il paesaggio è frammentato e sconvolto, ma lo stesso corpo del poeta si disperde in frammenti. La guerra è delirio, la trincea con i suoi orrori – grumi di sangue, pezzi di cervello – si sovrappone al fioraio sull’angolo del Corso, mentre le immagini brucianti delle rose, dei garofani, dei giacinti acquistano il rilievo tremendo delle nature morte di Van Gogh. La vita è uccidere, è vitamitragliatrice che spezzetta gli uomini in grappoli rossi, in pezzi di carne, in una orrenda macedonia, una pasta lunatica di strazio d’uomini.

Purificazione di Nicola Moscardelli Disinfettata la carne squarciata da baci di ferro rovente purificata

Purificazione di Nicola Moscardelli Disinfettata la carne squarciata da baci di ferro rovente purificata l’anima che s’insanguina negli sterpi e nei pruni, tutto l’essere mio risale alla sorgente con altri occhi più chiari, con altro cuore più fermo. Nati all’accetta all’aratro al piccone al colpo rovescio -cravatta d’apasce e cuor di buon figlioqui tutti un colore di fusione, alta tensione di nervi e di carne macerata tra rovi e macigni, qui tutti emigranti a scavare ad arare a seminare: il sangue fermenta nelle zolle, a volte l’ossa nostre pietra fra pietre più calda, qualcuno è preso nell’ingranaggio e stroncato: occhi d’adolescenti così chiari d’una chiarezza mortuaria, occhi grigi di padri che sentono gli orfani chiamar di lontano: tutti fratelli fedeli i compagni che furono che sono che verranno. Chi passerà la strada che scaviamo? Chi mieterà il sangue che seminiamo? Tutta la notte un sogno In Nicola Moscardelli lo shoch della ferita produce una un sorriso sulle labbra di chi dorme visionaria confusione del soggetto con la terra, essa stessa accanto ai morti: nell’alba colore di rosa fermentata dal sangue delle vittime: si dorme accanto ai si scopron le tombe morti, ci si confonde con i morti, e le tombe si scoprono e si si levano i morti

Voce di vedetta morta di Clemente Rèbora C’è un corpo in poltiglia Con crespe

Voce di vedetta morta di Clemente Rèbora C’è un corpo in poltiglia Con crespe di faccia, affiorante Sul lezzo dell’aria sbranata. Frode la terra. Forsennato non piango: Affar di chi può, e del fango. Però se ritorni Tu uomo, di guerra A chi ignora non dire; Non dire la cosa, ove l’uomo E la vita s’intendono ancora. Ma afferra la donna Una notte, dopo un gorgo di baci, Se tornare potrai; Soffiale che nulla del mondo Redimerà ciò ch’è perso Di noi, i putrefatti di qui; Stringile il cuore a strozzarla: E se t’ama, lo capirai nella vita Più tardi, o giammai.

La guerra segna il trionfo della tecnologia anche come grande agente di trasformazione delle

La guerra segna il trionfo della tecnologia anche come grande agente di trasformazione delle esperienze visive e sonore, cioè delle forme di percezione Il bombardamento sensoriale, sia di tipo visivo che acustico, sottopone il combattente a stimoli di intensità senza precedenti. Oltre che una minaccia per la vita, i rombi delle moderne artiglierie configurano un autentico assalto all’equilibrio sensoriale La guerra-percezione In molte liriche la nebbia è una presenza significativa, che intralcia la visione naturale del soggetto. La nebbia è un elemento naturale che però tende a confondersi con gli innaturali fumi della battaglia tecnologica.

Immagini di guerra di Giuseppe Ungaretti Assisto la notte violentata L'aria è crivellata come

Immagini di guerra di Giuseppe Ungaretti Assisto la notte violentata L'aria è crivellata come una trina dalle schioppettate degli uomini ritratti nelle trincee come le lumache nel loro guscio Mi pare che un affannato nugolo di scalpellini batta il lastricato di pietra di lava delle mie strade e io l'ascolti non vedendo in dormiveglia Valloncello di Cima il 6 Agosto 1916

In molti testi poetici la percezione è condizione e al tempo stesso sostanza dell’espressione.

In molti testi poetici la percezione è condizione e al tempo stesso sostanza dell’espressione. Il carattere più importante della sperimentazione del Porto Sepolto è costituito proprio dalla frammentarietà delle percezioni, che si traduce nella frammentazione dei versi: in questo senso Ungaretti è il poeta di guerra per eccellenza

PELLEGRINAGGIO In agguato In questi budelli Di macerie Ore e ore Ho strascicato La

PELLEGRINAGGIO In agguato In questi budelli Di macerie Ore e ore Ho strascicato La mia carcassa Usata dal fango Come una suola O come un seme Di spinalba Ungaretti Uomo di pena Ti basta un’illusione Per farti coraggio Un riflettore Di là Mette un mare Nella nebbia G. Ungaretti Valloncello 16 agosto 1916

Il tempo di Giulio Barni Se il tempo diventa sereno Il 10 faremo l’azione

Il tempo di Giulio Barni Se il tempo diventa sereno Il 10 faremo l’azione Se il tempo diventa sereno… Ed i soldati scrutarono Le stelle e il firmamento, pesarono respirando il fremito del vento. Ma il 9 si vide splendere Un cerchio intorno alla luna La luna era velata D’un velo nebuloso. I soldati e gli ufficiali Che stavan da 30 giorni In attesa dell’azione Si guardarono l’un l’altro Si sarebbero baciati. All’alba del 10 pioveva.

Principio di novembre Carlo Stuparich Oggi l’aria è chiara e fine e i monti

Principio di novembre Carlo Stuparich Oggi l’aria è chiara e fine e i monti son cupi e tersi, poveri anni persi in fantasie senza confine. Qui ogni pietra ha un contorno ogni fibra un colore, i rami tendono intorno una rigidità senza languore. Foglie gialle cadute per troppa secchezza, segnano l’asprezza di grandi arie mute Il cielo è azzurro di profondità le cose son ferme e recise. passò un respiro d’eternità in queste solitudini derise novembre 1915 Il caos percettivo della guerra coinvolge tutti i sensi; l’udito è continuamente aggredito e induce stati di trance o di ungarettiano dormiveglia. Agli scalpellini minuti di Ungaretti corrisponde il piccone sordo di Rèbora, e i suoi colpi mordenti accompagnano il “camminamento” di chi ascolta.

Anche le sensazioni olfattive sono devastanti: odore “della putrefazione”, del “cuoio marcio”, del “sangue

Anche le sensazioni olfattive sono devastanti: odore “della putrefazione”, del “cuoio marcio”, del “sangue fresco”, odore di morte, ma anche di vita quotidiana: “le sigarette Sport” o “l’odore dell’erba, annusata la faccia contro terra” Stracci di nebbia lenti Camillo Sbarbaro Stracci di nebbia lenti e ceneri d’ulivi. Quasi a credere stenti che vivi. E’ la pioggia una ninnananna di triste fanciulla; al corpo che giace la terra, una culla 1918

La guerra-lutto Molte poesie si iscrivono sotto il segno del lutto, intimamente familiare e

La guerra-lutto Molte poesie si iscrivono sotto il segno del lutto, intimamente familiare e privato; ma la condizione luttuosa finisce per allargarsi e tingere di sé tutta una generazione, come a voler trovare una giustificazione ulteriore, per questo senso di mutilazione personale, negli eventi della storia pubblica.

L’opera poetica di Carlo Emilio Gadda appare come un grande tentativo di elaborazione del

L’opera poetica di Carlo Emilio Gadda appare come un grande tentativo di elaborazione del lutto per la morte del fratello, “il più orrendo dolore della mia vita” SUL SAN MICHELE (Gaddus, 4 luglio 1917) di Carlo Emilio Gadda Morti, compagni morti, So come fu, come sarà: Le nuvole passano il muto Cielo. Ha taciuto La battaglia. Tace coi morti Il monte, Senza suono, senza terribilità. Cerco nel monte i morti Ma i lor visi li cela la terra Gli occhi nel termine assorti Le facce indurite Dal martellar della guerra Facce di gioventù, Occhi fermi, cari visi, Nel mondo non ci son più. Nel monte li mangia la terra I compagni; la guerra È passata più là. E sento il cannone che batte; che batte, che non ristà. Vorrei parlarvi e parlare Compatti dietro il cannone Veder le granate a smontare Pezzo per pezzo le corone Delle trincere Sopra i colli bruciati. Avervi compagni, beati Di giovinezza ed orgoglio All’assalto delle trincere E lungi dal soglio Dell’opere prese Altri monti vedere Altre schiere Avverse Altri cieli senza confine Altro ridente paese. Non vedo che un velo Di nuvole perse Tetre, nere, Andare col vento nel cielo. Il soffio dolce e forte Nel sonno, nella fatica Soffia della rorida vita Nel tronco robusto, è spento. La mano riposa Senza carne sopra le dita [La] gamba non è dolorosa D’alcuna ferita. Riposa la fronte Sopra l’orbite vuote Nel buio della terra E tace il monte Che vi rinserra. E inutilmente, o sepolti, Ricordo e ripenso E smarrito ogni senso Nei vostri cuori, I vostri sogni e i sorrisi E i dolori Nel vento dissolti Morirono là, Dove segue la vetta La china; verso il cannone Che batte, Che non ristà. Cerco nel monte i morti Ma i lor visi li cela la terra Morti, compagni morti Gli occhi nel termine assorti Su l’ascesa della collina, Le facce indurite So come fu, come sarà: Dal martellar della guerra Saliva lenta la china: Facce di gioventù, scendeva a saetta, scendeva Occhi fermi, cari visi, Terribilmente l’oscurità. Nel mondo non ci son più. Morti, compagni morti, So come fu, come sarà: Le nuvole passano il muto Cielo. Ha taciuto Non vedo che un velo La battaglia. Tace coi morti Di nuvole perse Il monte, Tetre, nere, Senza suono, senza terribilità. Andare col vento nel cielo. ho detto ai soldati: “per oggi riposo”, Per oggi aspettatemi qui. ” E ho preso la strada del monte: Sito grigio, sito sassoso. Lo chiamano monte, così, Perché fu tremendo salire. Non c’era vento a lambire La fronte, Ma la mitraglia passava di qui. Grigia terra, deserto salire Al culmine E riscendere dalla pietraia, Grigio d’erbacce e di ghiaia, Pietre infrante, rottami, travi, Come cosa finite dal fulmine: Il mio passo vi cerca la strada. Son colmi gli scavi Delle trincere Rivolte e sommerse. Non vedo che schiere Nel cielo di nuvole perse Tetre, nere, Passare, col vento, di la, Come una gente che vada Verso l’eternità. Morti, compagni morti Su l’ascesa della collina, So come fu, come sarà: Saliva lenta la china: scendeva a saetta, scendeva Terribilmente l’oscurità.

Il carattere traumatico e luttuoso della guerra balza in primo piano in Giuseppe Ungaretti:

Il carattere traumatico e luttuoso della guerra balza in primo piano in Giuseppe Ungaretti: il suo pianto è come la pietra del S. Michele, nel suo cuore “nessuna croce manca”. La parola diventa un monumento, un cippo che segna la memoria di chi è scomparso. La percezione più acuta del lutto collettivo si può trovare nella semplice, nuda constatazione dell’assenza di chi non c’è più San Martino del Carso Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto Ma nel cuore Nessuna croce manca E’ il mio cuore Il paese più straziato

Anche una sezione della raccolta di Umberto Saba è poesia di lutto, pur se

Anche una sezione della raccolta di Umberto Saba è poesia di lutto, pur se il suo distacco dai compagni non è, come in Gadda, tragicamente definitivo. E’ presente la morte, ma la vera tragedia è la separazione dai simboli della comunità maschile (la “camerata”, i “ranghi”…)

La guerra ha falcidiato anche la comunità dei poeti, in modo particolare crepuscolari e

La guerra ha falcidiato anche la comunità dei poeti, in modo particolare crepuscolari e futuristi. Ai primi rivolge il suo Saluto Nino Oxilia, poco prima di lasciare definitivamente la sua cerchia morendo in combattimento E tu cantavi la provincia, Il saluto ai poeti le tragedie dei burattini, crepuscolari il suono dell'Avemaria; E tu cantavi il passato, di Nino Oxilia cantavi le domeniche Guido Gustavo Gozzano! piene di sole e di malinconia Il gioco del volano cantavi Ma voi non vedestee aspettavi di morire, la vampa e il divano tarlato; sul mondo, né potrete Sergio Corazzini! cantavi soave, in sordina, la vita futura cantare. Io sognavo di cantare i dagherrotipi, le essenze Cadeste sul limitare la corsa in un mondo di rosa, le diligenze; cantavi la crinolina. . . del Tempo; moristepiù vasto; in un ciel più profondo, di sete Io sognavo di cantare il presente lasciando alla stampa dentro a un più profondo mare vertiginoso, le macchine un breve sorriso di la corsa vertiginosa: morte: rotanti, i salvatacchi, la vostra sorte fu quella dell'onda volgevo la testa e senza posa il marciapiede lucente; che sciacqua vedevo i tuoi burattini volgevo la testa e udivo lieve sulla sabbia, ballare, gestire, manine, piedini, il milleottocentosessanta non quella dell'ondata che si squassa al ritmo del tuo cuore stanco. . . suonare la gavotta sul pianoforte a coda sugli scogli con impeti di rabbia; poi sei morto. Ed io ti canto, con l'aria di chi si goda foste la nuvola chesepolto tra la rose passa; se qualche corda è rotta. . . il vostro nome fu scritto sull'acqua. . . del camposanto, Poi sei morto. Ed io ti canto, poeta delle piccole cose, poeta del passato, mentre rulla il tamburo. . .

Lo slogan del dopoguerra -“vittoria mutilata”- appare persino sinistro. Tutta l’Europa, quella vittoriosa e

Lo slogan del dopoguerra -“vittoria mutilata”- appare persino sinistro. Tutta l’Europa, quella vittoriosa e quella sconfitta, conobbe tra le due guerre un ben più profondo senso di mutilazione: milioni di uomini -la ‘generazione perduta’- se ne erano andati per sempre Nella messa senza uomini di Carlo Betocchi si sente forte quest’assenza, innaturale e dolorosa: esito ultimo, tragicamente ironico, di una guerra che doveva essere soprattutto un’esperienza di comunione.

La messa disertata di Carlo Bertocchi In un borgo selvaggio, in un borgo della

La messa disertata di Carlo Bertocchi In un borgo selvaggio, in un borgo della montagna, sotto l’ombre del faggio una chiesa si lagna; un’erta strada oscura porta tra le sue mura. La campana ha suonato, non un uomo si vede ancora, raccolti sul sagrato s’accapigliano alla mora; e fanciulli cattivi lanciano acuti gridi. In chiesa malinconica Sta il prete con la stola gialla, una luce inarmonica di qua e di là sfarfalla; terribilmente bruna ogni cosa vi sfuma. Quella povera donna Che sta sgomenta è inginocchiata All’altare della Madonna, e quell’altra disperata: poveramente disperse sotto l’ombre universe. Nel mezzo è il corpo bianco Della chiesa, di tre fanciulle, il cui cantare stanco vola alle travi brulle; il prete non risponde a quell’anime monde. Ma Gesù Cristo volle Due bambini a piè dell’altare, prese due tristi zolle le fece respirare; ed erano due pargoli, eran nudi com’angioli. In essi, che baloccano Sopra gli scalini di marmo, meravigliosi toccano i raggi d’un bel sole calmo; vive, nel Corpus Domini, la Messa senza uomini.