Giambattista Vico Letteratura italiana B 20142015 Et principio
Giambattista Vico Letteratura italiana B 2014/2015
• Et principio, quod ad scientiarum attinet • instrumenta, a critica hodie studia inauguramur: quae, quo suum primum verum ab omni, non solum falso, sed falsi quoque suspicione expurget, vera secunda et verisimilia omnia aeque ac falsa mente exigi iubet. Incommode quidem: nam adolescentibus quam primun sensus communis est conformandus, ne in vita agenda aetate firmati in mira erumpant et insolentia. Ut autem scientia a veris oritur, error a falsis, ita a verisimilibus gignitur sensus communis. [. . . ] Itaque, cum maxime adolescentibus sensus communis educi • deberet, verendum ne iis nostra critica praefocetur. Praeterea sensus communis, ut omnis prudentiae, ita eloquentiae regula est. . . Innanzitutto, circa gli strumenti delle scienze, noi iniziamo gli studi dalla critica, la quale, per liberare la verità genuina non solo da ogni errore, ma anche da ciò che può suscitare il minimo sospetto di errore, prescrive che siano allontanati dalla mente tutti i secondi veri, ossia i verisimili, al modo stesso che si allontana la falsità. Tuttavia è sbagliato: infatti la prima cosa che va formata negli adolescenti è il senso comune, affinché, giunti con la maturità al tempo dell’azione pratica, non prorompano in azioni strane e inconsuete. Il senso comune si genera dal verosimile come la scienza si genera dal vero e l’errore dal falso [. . . ]. Dunque, dovendo gli adolescenti essere educati, soprattutto nel senso comune, è da temere che esso sia soffocato dal metodo critico dei moderni. De nostri temporis studiorum ratione (d’ora in poi “De rat. ”), in Giambattista Vico, Opere, a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori, 1990, t. II, , p. 104
• Denique nostri critici ante, extra, supra omnes corporum imagines suum primum elocant verum. Sed id adolescentibus immature atque acerbe praecipiunt. Nam ut senectus ratione, ita adolescientia phantasia pollet. [. . . ] Et memoriam, quae cum phantasia, nisi eadem, certe pene eadem est, in pueris, qui nulla alia mentis facultate praestant, excoli impense necesse est. [. . . ] Deinde sola hodie critica celebratur; topica nedum non praemissa, sed omnino posthabita. Incommode iterum: nam ut argomentorum inventio prior natura est, quam de eorum veritate diiudicatio, ita topica prior critica debet esse doctrina • • • Infine i nostri critici pongono il primo vero come anteriore, estraneo e superiore ad ogni immagine corporea. Ma lo insegnano troppo prematuramente ai giovani. Infatti, come nella vecchiaia prevale la ragione, nella gioventù prevale la fantasia [. . . ] E la memoria, la quale se non è tutt’uno con la fantasia, certo è press’a poco la stessa cosa, poiché i fanciulli in nessun’altra facoltà della mente primeggiano, deve essere rigorosamente coltivata [. . . ] Oggi si celebra solo la critica e la topica non solo non precede, ma addirittura è lasciata indietro. E ciò a torto, poiché come la scoperta degli argomenti viene per natura prima del giudizio sulla verità, così la topica, come materia di insegnamento, deve precedere la critica. De rat. , cit. , pp. 104 -107
Ma la fantasia altro non è che risalto di riminiscenze, e l’ingegno altro non è che lavoro d’intorno a cose che si ricordano. Ora, perché la mente umana dei tempi che ragioniamo non era assottigliata da ver’un arte di scrivere, non spiritualezzata da alcuna pratica di conto e di ragione, non fatta astrattiva da tanti vocaboli astratti di quanti ora abbondan le lingue, [. . . ] ella esercitava tutta la sua forza in queste tre bellissime facultà, che le provengon dal corpo; e tutte e tre appartengono alla prima operazion della mente, la cui arte regolatrice è la topica, siccome l’arte regolatrice della seconda è la critica; e come questa è arte del giudicare, così quella è arte di ritruovare. Sn 44 [699], ed. Battistini, pp. 766 -767
[. . . ] quella boria delle nazioni [. . . ] che, o barbare o umane si fussero, ciascheduna si è tenuta la più antica di tutte e serbare le sue memorie fin dal principio del mondo [. . . ] la boria dei dotti, i quali ciò che essi sanno vogliono che sia antico quanto ch’è il mondo [. . . ] Sn 44, [53; 59] ed. Battistini, pp. 462 -465.
• Ma in tal densa notte di tenebre ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità, apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità, la quale non si può a patto alcuno chiamare in dubbio; che questo mondo civile egli è stato certamente fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i princìpi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. Sn 44 [331], ed. Battistini, pp. 541 -542
• Principio di tal’origini e di lingue e di lettere si truova essere stato ch’i primi popoli della gentilità, per una dimostrata necessità di natura, furon poeti, i quali parlarono per caratteri poetici; la qual discoverta, ch’è la chiave maestra di questa Scienza, ci ha costo la ricerca ostinata di quasi tutta la nostra vita letteraria. Sn 44 [34], ed. Battistini, p. 44
. . . il cielo finalmente folgorò, tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi, come dovett’avvenire per introdursi nell’aria la prima volta un’impressione sì violenta. Quivi pochi giganti, che dovetter esser gli più robusti, ch’erano dispersi per gli boschi posti sull’alture de’ monti, siccome le fiere più robuste ivi hanno i loro covili, eglino, spaventati ed attoniti dal grand’effetto di che non sapevano la cagione, alzarono gli occhi ed avvertirono il cielo. Sn 44 [377], ed. Battistini, p. 571
• si finsero il Cielo esser un gran Corpo animato, che per tal aspetto chiamarono GIOVE, il primo Dio delle Genti dette Maggiori; che col fischio de’ fulmini, e col fragore de’ tuoni volesse dir loro qualche cosa: e sì incominciarono a celebrare la naturale Curiosità, ch’è figliuola dell’Ignoranza, e madre della Scienza, la qual partorisce nell’aprire, che fa della mente dell’uomo la Maraviglia. (Sn 44, p. 140; c. 81 v) (377). (ed. Battistini, pp. 571572; ).
• XLVIII. E’ natura de’ fanciulli, che con l’idee, e nomi degli uomini, femmine, cose, che la prima volta hanno conosciuto; da esse, e con essi dappoi apprendono e nominano tutti gli uomini, femmine, cose, c’hanno con le prime alcuna somiglianza, o rapporto. Sn 44, p. 89; c. 55 r. [206]
• tali Caratteri si truovano essere stati certi Generi Fantastici, ovvero Immagini per lo più di sostanze animate o di Dei, o d’Eroi, formate dalla lor fantasia; a i quali riducevano tutte le spezie, o tutti i particolari a ciascun Genere appartenenti”. Sn 44, p. 29; c. 21 v. [34]
XLIX E’ un luogo d’oro quel di Giamblico, De mysteriis aegyptiorum [. . . ] che gli egizi tutti i ritruovati utili o necessari alla vita umana richiamavano a Mercurio Trismegisto. […] dimostra ch’i primi uomini, come fanciulli del gener umano, non essendo capaci di formare i generi intelligibili delle cose, ebbero naturale necessità di fingersi i caratteri poetici, che sono generi o universali fantastici, da ridurvi come a certi modelli, o pure ritratti ideali, tutte le spezie particolari a ciascun suo genere simiglianti [. . . ] Appunto come gli egizi tutti i loro ritruovati utili o necessari al gener umano, che sono particolari effetti di sapienza civile, riducevano al genere del “sappiente civile”, da essi fantasticato Mercurio Trismegisto, perché non sapevano astrarre il genere intelligibile di “sappiente civile”, e molto meno la forma di “civile sapienza” [. . . ] E questa ultima degnità, in séguito dell’antecedenti, è ‘l principio delle vere allegorie poetiche, che alle favole davano significati univoci, non analogi, di diversi particolari compresi sotto i loro generi poetici: le quali perciò si dissero diversiloquia, cioè parlari comprendenti in un general concetto diverse spezie di uomini o fatti o cose. • Sn 44 [207; 209 -210], ed Battistini, pp. 513 -514 •
• s’aggiugne la propietà de’ primi popoli, che sopra nella logica poetica si è ragionata, di non saper astrarre le qualità da’ subbietti, e, non sappiendole astrarre, per appellare le qualità appellavan essi subbietti. Di che abbiamo ne’ favellari latini troppo certi argomenti. Non sapevano i romani cosa fusse lusso: poi che l’osservarono ne’ tarantini, dissero “tarantino” per “profumato”. Non sapevano cosa fussero strategemmi militari: poi che l’osservarono ne’ cartaginesi, gli dissero “punicas artes”. Non sapevano cosa fusse fasto: poi che l’osservarono nei capovani, dissero “supercilium campanicum” per dire “fastoso” o “superbo”. Sn 44, [768 -769], ed. Battistini, p. 801.
La favella poetica, com’abbiamo in forza di questa logica poetica meditato, scorse per così lungo tratto dentro il tempo istorico, come i grandi rapidi fiumi si sporgono molto dentro il mare e serbano dolci l’acque portatevi con la violenza del corso, per quello che Giamblico ci disse sopra nelle Degnità: che gli egizi tutti i loro ritruovati utili alla vita umana riferirono a Mercurio Trismegisto; il cui detto confermammo con quell’altra Degnità: ch’ “i fanciulli con l’idee e nomi d’uomini, femmine, cose, c’hanno la prima volta vedute, apprendono ed appellano tutti gli uomini, femmine, cose appresso, c’hanno con le prime alcuna somiglianza o rapporto”, e che questo era il naturale gran fonte de’ caratteri poetici, co’ quali naturalmente pensarono e parlarono i primi popoli. Sn 44 [412], ed. Battistini, pp. 592 -593
• Quel nastro di sineddoche, e di metonimia, Tertia messis erat; nacque senza dubbio da necessità di natura; perchè dovette correre assai più di mille anni, per nascere tralle nazioni questo vocabolo astronomico, anno; siccome nel Contado Fiorentino tuttavia dicono, abbiamo tante volte mietuto, per dire tanti anni. E quel gruppo di due sineddochi, e d’una metonimia, Post aliquot mea regna videns mirabor aristas, di troppo accusa l’infelicità de’ primi tempi villerecci a spiegarsi; ne’ quali dicevano tante spighe, che sono particolari più delle messi, per dire tanti anni: e perch’era troppo infelice l’espressione, i Gramatici v’hanno supposto troppo di arte. Sn 44, pp. 158 -159; cc. 91 v-92 r. (407)
• Quello è degno d’osservazione, che ’n tutte le Lingue la maggior parte dell’espressioni d’intorno a cose inanimate sono fatte con trasporti del corpo umano, e delle sue parti, e degli umani sensi, e dell’umane passioni: come capo, per cima, o principio; fronte, spalle, avanti e dietro; occhi delle viti, e quelli che si dicono lumi ingredienti delle case; bocca, ogni apertura; labro, orlo di vaso, o d’altro; dente d’aratro, di rastello, di serra, di pettine; barbe, le radici; lingua di mare; fauce, o foce, di fiumi, o monti; collo di terra; braccio, di fiume; mano, per picciol numero; seno di mare, il golfo; fianchi, e lati i canti; costiera di mare; cuore per lo mezzo, ch’ umbilicus dicesi da’Latini; gamba, o piede di paesi, e piede per fine; pianta per base, o sia fondamento; carne, ossa di frutte; vena d’acqua, pietra, miniera; sangue della vite, il vino; viscere della Terra; ride il Cielo, il Mare; fischia il vento; mormora l’onda; geme un corpo sotto un gran peso; e i contadini del Lazio dicevano sitire agros, laborare fructus, luxuriari segetes; e i nostri Contadini andar’ in amore le piante, andar’ in pazzia le viti, lacrimare gli orni… (Sn 44, pp. 156 -7; c. 90 rv. (405)
Metaphor is at the core of scientific theory formulation […] By making new connections and relating concepts, Metaphor guides the rational part of the mind in its quest to give structure to the world of matter. Science involves things we can never see – atoms, waves, gravitational forces, magnetic fields, etc. So scientists use their metaphorical capacities to get a look, so to speak, at this hidden matter. Waves are said to undulate through empty space like water waves ripple through a still pond; atoms to leap from one quantum state to another; electrons to travel in circles around an atomic nucleus, and so on. […]. Fernand Hallyn (1990) has recently referred to science as a thought system that gives the world a ‘poetic structure’. In true Vichian style, Hallyn contends that the scientific imagination is not fundamentally different from the one that undergirds myth or poetry. All of science has a rhetorical, or more precisely, metaphorical structure. Even the nature of experimentation can be seen in this light. Experimentation is a search for connections, linkages, associations of some sort or other. And […] the technique of scientific experimentation has always been tied to our narrative mode of putting things together into a coherent story or narration that would make sense only in the cultural milieu in which was forged» Marcel Danesi, Vico, Metaphor, and the Origins of Language (1993)
George Lakoff, Mark Johnson, Metaphors we live by , The University of Chicago Press, 1980. Mark Turner, The literary Mind. The origins of Thought and Language, Oxford University Press, 1996 George Lakoff, Mark Johnson, Philosophy in the Flesh. The embodied Mind and its Challenge to western Thought, New York, Basic Books, 1999 Mark Johnson, The Meaning of the Body. Aesthetics of Human Understanding The University of Chicago Press, 2007. Raymond G. Gibbs (ed. ), The Cambridge Handbook of Metaphor and Thought, Cambridge University Press, 2008
[…] we think of time itself, which has no spatial shape, as having a spatial shape – linear, for example, or circular. We like to think of events in time, which also have no spatial shape, as having features of spatial shapes – continuity, extension, discreteness, completion, open-endedness, circularity, part-whole relations, and so on. This way of conceiving of time and of events in time arises by projecting skeletal image schemas from space onto time. Mark Turner, The Literary Mind (1996) We (adults) conceptualize time via deep, systematic spatial-movement metaphors, in which the passage of time is understood as relative motion in space Mark Johnson, The Meaning of the Body, (2007)
An embodied theory of meaning looks for the origins and structures of meaning in the organic activities of embodied creatures in interaction with their changing environments. It sees meaning and all our higher functioning as growing out of and shaped by our abilities to perceive things, manipulate objects, move our bodies in spece, and evaluate our situation. Mark Johnson, The Meaning of the Body (2007)
The core idea is that our experience of meaning is based, first, on our sensorimotor experience, our feelings, and our visceral connections to our world ; and second, on various imaginative capacities for using sensorimotor processes to understand abstract concepts. Mark Johnson, The Meaning of the Body (2007) You learn the corporeal logic of circular motions with your eyes, feet, and hands, and this body knowledge carries over into our understanding of circular arguments, circular processes, and temporal circularity. […] Many of our most fundamental concepts, including those lying at the heart of ethics, politics, and philosophy, have their roots in movement and other bodily experiences at a pre-reflective level. (Ivi)
la seconda si parlò per imprese eroiche, o sia per simiglianze, comparazioni, immagini, metafore e naturali descrizioni, che fanno il maggior corpo della lingua eroica, che si truova essersi parlata nel tempo che regnaron gli eroi. Sn 44, Sn 44 [32], ed. Battistini p. 439
Di questa logica poetica sono corollari tutti i primi tropi, de’ quali la più luminosa e, perché più luminosa, più necessaria e più spessa è la metafora, ch’allora è vieppiù lodata quando alle cose insensate ella dà senso e passione, per la metafisica sopra qui ragionata: ch’i primi poeti dieder a’ corpi l’essere di sostanze animate, sol di tanto capaci di quanto essi potevano, cioè di senso e passione, e sì ne fecero le favole; talché ogni metafora sì fatta viene ad essere una picciola favoletta. Sn 44 [404], ed. Battistini, pp. 587 -588
Logica vien detta dalla voce λὸγοϛ, che prima, e propiamente significò favola, che si trasportò in Italiano favella; e la favola da’ Greci si disse anco μύθος onde vien a’ Latini mutus; la quale ne’ tempi mutoli nacque mentale, che in un luogo d’oro dice Strabone essere stata innanzi della vocale, ossia dell’articolata: onde λὸγοϛ significa & idea, e parola. Sn 44, p. 153; c. 88 v [401]
Imperciocchè in forza d’altri Principj qui scoverti di Mitologia, che vanno di seguito agli altri Principj qui ritruovati della Poesia si dimostra, le Favole essere state vere e severe Istorie de’ costumi delle antichissime Genti di Grecia; e primieramente che quelle degli Dei furon Istorie de’ tempi, che gli uomini della più rozza Umanità gentilesca credettero, tutte le cose necessarie, o utili al Gener Umano esser Deitadi; della qual Poesia furon autori i primi popoli, che si truovano essere stati tutti di Poeti Teologi; i quali senza dubbio ci si narrano aver fondato le nazioni gentili con le Favole degli Dei Sn 44, p. 6; c. 8 r [7].
IV. Che le Favole nel loro nascere furono narrazioni vere, e severe; onde μύθος, la favola fu diffinita vera narratio, come abbiamo sopra più volte detto; le quali nacquero dapprima per lo più sconce, e perciò poi si resero impropie, quindi alterate, seguentemente inverisimili, appresso oscure, di là scandalose, ed alla fine incredibili; che sono Sette Fonti della difficultà delle Favole; i quali di leggieri si possono rincontrare in tutto il II Libro. Sn 44, p. 392; c. 229 r [814]
XII. Ch’i Rapsodi partitamente chi uno, chi altro andavano cantando i Libri d’Omero nelle fiere, e feste per le Città della Grecia. XIII. Che dall’origini delle due voci, onde tal nome Rapsodi è composto, erano consarcinatori di canti; che dovettero aver raccolto, non da altri certamente, che da’ loro medesimi popoli; siccome ὅμηροϛ vogliono pur essersi detto da ὁμού, simul & εἴρειν, connectere, ove significa il mallevadore; perocchè leghi insieme il creditore col debitore; la qual origine è cotanto lontana, e sforzata, quanto è agiata, e propia, per significare l’Omero nostro, che fu legatore, ovvero componitore di favole. Sn 44, p. 399; c. 243 v (851; 852)
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