Il mercato nel pensiero economico Lezione 12 20

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Il mercato nel pensiero economico Lezione 12. 20 Nuove prospettive sul mercato e la

Il mercato nel pensiero economico Lezione 12. 20 Nuove prospettive sul mercato e la concorrenza dopo Marshall Paolo Paesani (DEF Tor Vergata)

Introduzione • Fin dall’inizio della storia dell’Economia politica, gli economisti hanno riflettuto sull’esistenza di

Introduzione • Fin dall’inizio della storia dell’Economia politica, gli economisti hanno riflettuto sull’esistenza di monopoli, cartelli, oligopoli e sui rischi che possono derivare dalla limitazione della concorrenza e del libero scambio. Ne parlano (in contesti e con implicazioni diverse), Smith, Marx, Cournot, Walras, Marshall tra molti altri. • La pubblicazione dei Principi di Marshall segna una pietra miliare sulla strada dell’economia politica e dell’economia industriale (studio delle imprese, delle industrie e delle diverse forme di mercato). Tra gli anni Venti e i Trenta del ‘ 900, questo studio porta a due risultati principali • Primo, una critica serrata ai modelli di equilibrio parziale come base per studiare la formazione dei prezzi delle merci e dei servizi dei fattori produttivi. Questa critica si deve in particolare a P. Sraffa. • Secondo, elaborazione di nuovi modelli capaci di spiegare il funzionamento dei mercati non concorrenziali (concorrenza monopolistica, oligopolio). Tra i molti contributi in questa direzione ci limiteremo a illustrarne tre legati ai nomi di H. Chamberlain, J. Robinson e H. Hotelling. • A latere, una critica diversa e più radicale del capitalismo e della società capitalistica, di segno diverso da quella di Marx, viene dall’economista statunitense di origine norvegese T. Veblen (non ne parleremo). • Sullo sfondo, si compie la trasformazione del capitalismo dalla fase iniziale (piccole imprese, proprietà familiare, dimensione locale/nazionale) alla fase della piena maturità (grandi imprese, proprietà diffusa, separazione fra proprietà e management, dimensione nazionale/internazionale). Nuove innovazione si affacciano sulla scena (es. elettricità).

Piero Sraffa (1898 – 1983) • Le radici familiari e la formazione intellettuale e

Piero Sraffa (1898 – 1983) • Le radici familiari e la formazione intellettuale e politica, la scoperta del socialismo, Luigi Einaudi, «L’inflazione monetaria in Italia durante e dopo la guerra» (1920), l’amicizia con Gramsci. • Primi contatti inglesi (1921 -1922): Keynes e gli articoli «bancari» e prime esperienze di lavoro in Italia (1922 -1927), conoscenza con Raffaele Mattioli, Carlo Rosselli e Piero Gobetti, l’avvento del fascismo, avvio della carriera accademica. • Problemi con Mussolini e il trasferimento a Cambridge (anche grazie alla reputazione acquisita con gli articoli del 1925 e del 1926 dove critica Marshall e il suo metodo degli equilibri parziali) • Cambridge (insegnamento, ricerca, curatore dell’edizione completa delle opere di Ricardo, Cambridge Circus) e l’Italia (le scuole sraffiane in Italia e la ripresa dell’economia classica … ma anche Marshall non è stato dimenticato dagli italiani).

Piero Sraffa (1898 – 1983) • I contributi fondamentali di Sraffa sono tre •

Piero Sraffa (1898 – 1983) • I contributi fondamentali di Sraffa sono tre • Pars destruens: Critica di Marshall e dell’ortodossia marginalista, basi del pensiero economico del Novecento. • Pars construens: Proposta di uno schema teorico alternativo ai modelli di equilibrio economico generale, basato sulla ripresa dell’approccio classico. • Interdipendenze tra settori sul piano della produzione • Ripresa del concetto di sovrappiù e di concorrenza come livellamento dei saggi di profitto • Ripresa dell’idea del conflitto distributivi: saggio di salario – saggio di profitto (distribuzione non determinata da tecnologia; spazio per fattori politici e sociali) • Superamento della teoria del valore lavoro ma ripresa del concetto di prezzo normale come costo di produzione • Abbandono del concetto di margine. • Edizione critica delle opere di D. Ricardo. Secondo Kaldor (1983, p. 340) «Un monumento esemplare di erudizione. Certamente nessun autore inglese, in campo scientifico o letterario, aveva ricevuto un riconoscimento paragonabile, più di 125 anni dopo la morte» . Contributo che contribuisce a riportare Ricardo nell’alveo dell’economia classica, contro alcune ricostruzioni che volevano Ricardo precursore del marginalismo. • In questa lezione, ci concentriamo sulla critica a Marshall.

Critica alla teoria del valore di Marshall (1) • Sraffa critica la teoria del

Critica alla teoria del valore di Marshall (1) • Sraffa critica la teoria del valore di Marshall basata sulle «due lame della forbice» e sul concetto di equilibrio parziale. Critica in particolare l’idea che esista una curva d’offerta di lungo periodo che definisce una relazione uno a uno tra quantità prodotta, costo di produzione e prezzo e mostra come solo in pochi casi la teoria del valore di Marshall sia compatibile con i rendimenti crescenti e decrescenti. • La critica compare in due articoli, uno in italiano, l’altro in inglese, con soluzioni differenti • 1925 ‘Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta’, Annali di Economia, 2 , pp. 277 -328; • L’intervento di F. Y. Edgeworth e J. M. Keynes; • 1926 ‘The laws of returns under competitive conditions’, Economic Journal, 36, December, pp. 535 -550. • La critica di Sraffa consiste nel dimostrare l’impossibilità di contemperare concorrenza perfetta, curve di costo a U, equilibrio parziale. • Nell’articolo del 1925, la via d’uscita è il ritorno ai costanti come caso normale • Nell’articolo del 1025, la via d’uscita è la concorrenza monopolistica

Critica alla teoria del valore di Marshall (2) Il punto di attacco: “Il quasi

Critica alla teoria del valore di Marshall (2) Il punto di attacco: “Il quasi unanime accordo che si è formato fra gli economisti intorno alla teoria del valore di concorrenza che trae ispirazione dalla fondamentale simmetria delle forze di domanda e di quelle dell’offerta ed è basata sull’ipotesi che le cause essenziali e della determinazione del prezzo di particolari merci possano essere semplificate e raggruppate in modo da venire rappresentate da una coppia di curve intersecantesi di domanda e offerta collettiva. […] Nella riposante veduta che ci offre la moderna teoria del valore, una macchia che rompe l’armonia dell’insieme è rappresentata dalla curva d’offerta, basata sulle leggi della produttività crescente e decrescente. Che le sue fondamenta sieno meno solide di quelle delle altre parti dell’edificio viene generalmente riconosciuto. Che essi sieno addirittura così deboli da non poter reggere il peso che viene caricato su di esse, è un dubbio che sonnecchia in fondo alla coscienza di molti, ma che i più riescono silenziosamente a soffocare. ”. Sraffa 1926 (1986), p. 66

Critica alla teoria del valore di Marshall (3) • Sraffa elabora la sua critica

Critica alla teoria del valore di Marshall (3) • Sraffa elabora la sua critica distinguendo tre casi: • Costi crescenti (all’aumentare della quantità), curva d’offerta inclinata positivamente nel piano (p, q) • Costi decrescenti (all’aumentare della quantità), curva d’offerta inclinata negativamente nel piano (p, q) • Costi costanti (all’aumentare della quantità), curva d’offerta orizzontale nel piano (p, q) • Visione tradizionale (semplificata): • Costi crescenti = Agricoltura (Produttività marginale decrescente associata al fattore terra) • Costi decrescenti = Industria (Divisione del lavoro, economie di scala, innovazione) • Costi costanti = Servizi • Tripartizione problematica: ipotesi di partenza, confini incerti fra le industrie, compresenza nella stesso settore di imprese con curve di costo diverse.

Costi crescenti • Sraffa collega l’andamento crescente dei costi di produzione e la pendenza

Costi crescenti • Sraffa collega l’andamento crescente dei costi di produzione e la pendenza positiva della curva d’offerta, all’ipotesi di produttività marginale decrescente causata da un fattore di produzione fisso. • In questo caso, se la domanda di mercato aumenta da D a d, ci aspettiamo che l’equilibrio si sposti da A ad a, la quantità prodotta da H a h e che il prezzo aumenti seguendo l’andamento crescente del costo marginale dell’industria. • Sraffa argomenta che questo avviene solo se fattore fisso è utilizzato unicamente dalle imprese all’interno del settore oggetto di osservazione. • Se il fattore fisso è utilizzato da più settori, vale una delle due alternative: • Primo, l’aumento della produzione e dei costi nel settore osservato, determina un aumento dei costi e dei prezzi degli altri settori che utilizzano il fattore fisso in questione (anche se la produzione all’interno degli altri settori non cambia). L’aumento dei prezzi degli altri beni si ripercuote sulla domanda del bene oggetto di osservazione che non è più indipendente dall’offerta (come richiesto dalla logica dell’equilibrio parziale) e sulla curva di offerta stessa (interdipendenze settoriali). In questo caso, non è possibile utilizzare l’equilibrio parziale ma serve un modello di EEG. • Secondo, l’aumento della produzione e dei costi nel settore osservato NON determina l’aumento dei costi e dei prezzi degli altri settori che utilizzano il fattore fisso. In questo caso, è difficile ipotizzare che il costo aumenti con la quantità prodotta (il fattore non è realmente fisso e il settore osservato può acquisire una quantità maggiore di quel fattore dagli altri settori senza ripercussioni). Si ricade nel caso dei costanti.

Costi decrescenti • Sraffa collega l’andamento decrescenti dei costi di produzione e la pendenza

Costi decrescenti • Sraffa collega l’andamento decrescenti dei costi di produzione e la pendenza negativa della curva d’offerta, all’ipotesi di economie di scala (produttività crescente), distinguendo tra economie interne all’impresa (dovute a divisione del lavoro ampliamento degli impianti) ed economie esterne all’impresa ma interne al settore (caso analizzato da Marshall). • Se la domanda di mercato aumenta da D a d, ci aspettiamo che l’equilibrio si sposti da A ad a, la quantità prodotta da H a h e che il prezzo diminuisca seguendo l’andamento decrescente del costo medio dell’industria. • Sraffa argomenta che in questo caso, dato il numero di imprese, si deve ipotizzare che ogni impresa operi nel punto in cui il costo marginale coincide con il costo medio (punto di minimo di quest’ultimo, extraprofitti pari a zero). • Anche in questo caso, Sraffa identifica dei problemi • Primo, se la diminuzione dei costi medi è interna all’impresa, questa tende ad acquisire potere di mercato sulle altre trasformando nel tempo la concorrenza in un monopolio (problema di Cournot, ignorando LCH). Salta l’ipotesi di concorrenza perfetta e l’idea che la curva di domanda per la singola impresa sia orizzontale e infinitamente elastica in corrispondenza del prezzo di mercato, che la singola impresa prende come un dato. • Secondo, se la diminuzione dei costi medi è esterna all’industria è plausibile ipotizzare che più settori siano interessati dai vantaggi dell’espansione della produzione in termini di minori costi e minori prezzi. In questo caso, come nel precedente, non è possibile utilizzare l’equilibrio parziale ma serve un modello di EEG. Solamente se (e per Sraffa avviene raramente), le economie di scala sono davvero esterne alle imprese ma rigorosamente interne al settore senza ripercussioni sugli altri, allora vale il caso di Marshall.

Costi costanti • Marshall collega l’andamento dei costanti alla situazione in cui all’interno del

Costi costanti • Marshall collega l’andamento dei costanti alla situazione in cui all’interno del settore osservato, i due fenomeni osservati in precedenza (fattori di produzione fissi, economie di scala interne all’impresa e/o esterne all’impresa ma interne all’industria) sono all’opera simultaneamente, bilanciandosi (produttività costante). Per Sraffa questa è una spiegazione complicata. Una più semplice è che i costanti riflettano riproducibilità in condizioni di rendimenti costanti per un tratto significativo della produzione. • Es. imprese nel settore siderurgico che controbilanciano le difficoltà derivanti dai limiti dell’industria estrattiva con i vantaggi della riorganizzazione delle manifatture. • In questo caso, se la domanda di mercato aumenta da D a d, ci aspettiamo che l’equilibrio si sposti da A ad a, la quantità prodotta da H a h e che il prezzo rimanga invariato, senza generare quegli effetti di retroazione sugli altri settori che rendono gli altri due casi e in generale l’ipotesi di curve di costo a U incompatibili con l’ipotesi di concorrenza e l’idea della croce Marshalliana. • In questo caso, però salta la simmetria tra domanda e offerta nel determinare il prezzo di equilibrio. I prezzi riflettono solamente le condizioni di produzione e torniamo dalle parti dei prezzi normale dell’economia classica che è possibile studiare e analizzare indipendentemente dalle quantità.

Critica alla teoria del valore di Marshall (3) «Con queste conclusioni, e volendo rimanere

Critica alla teoria del valore di Marshall (3) «Con queste conclusioni, e volendo rimanere all’interno della concezione moderna non sembrano restare aperte che tre strade teoriche: 1) l’impostazione marshalliana di equilibrio economico parziale, ma drasticamente ridotta all’ipotesi di rendimenti e costi costanti; 2) l’impostazione walras paretiana di equilibrio economico generale; 3) abbandonare del tutto l’ipotesi di concorrenza perfetta. Tuttavia l’ana li si di Sraffa è distruttiva anche di queste tre possibili vie d’uscita. » [Ingrao e Ranchetti 1996, p. 540]. Necessità di «Rifondare» la basi della teoria economica (Pars costruens del progetto culturale di Sraffa)

Dalla concorrenza perfetta alla concorrenza monopolistica • Il contesto • Critica di Sraffa alla

Dalla concorrenza perfetta alla concorrenza monopolistica • Il contesto • Critica di Sraffa alla teoria del valore di Marshall • Superamento dell’ipotesi di concorrenza perfetta • Prezzo dato e indipendente dalla quantità prodotta dalla singola impresa • Omogeneità dei beni prodotti dalle singole imprese (dalla sostituibilità perfetta alla sostituibilità imperfetta) • Evoluzione del capitalismo (La fine del laissez faire) • La nascita delle società per azioni (Separazione tra proprietà e management) • Consolidamento e nascita di grandi imprese (anche grazie a fusioni e acquisizioni), graduale affermazione della società dei consumi di massa. • Formazioni di vasti conglomerati di imprese e formazione dei trust attivi sul piano nazionale e internazionale.

I protagonisti • Joan V. Robinson (1903 – 1983) e la concorrenza imperfetta. •

I protagonisti • Joan V. Robinson (1903 – 1983) e la concorrenza imperfetta. • J. Robinson e il Cambridge circus • La presenza di segmentazione tra i mercati permette al monopolista di vendere la stessa merce a prezzi diversi in mercati diversi, sfruttando le diverse condizioni di domanda. La concorrenza imperfetta riguarda sia i mercati dei beni che quelli dei fattori produttivi (es. monopolio e monopsonio nel mercato del lavoro) • Gli altri contributi di J. Robinson (critica alla teoria neoclassica della produzione e del capitale, economia post-keynesiana, economia dello sviluppo) • Edward Chamberlin (1899 – 1967) e la concorrenza monopolistica (comportamento strategico) • Differenziazione del prodotto lungo varie dimensioni e possibilità per l’impresa di ritagliarsi la sua nicchia all’interno della quale agisce da monopolista. • Grande attenzione al ruolo della pubblicità, del marketing e dello sviluppo dei prodotti nel creare nicchie o segmenti di clientela all’interno dello stesso mercato (incentivi alla differenziazione rispetto ai concorrenti, cambia l’idea di concorrenza)

Mercato e concorrenza monopolistica (1) • Struttura del mercato • Elemento concorrenziale: tante aziende

Mercato e concorrenza monopolistica (1) • Struttura del mercato • Elemento concorrenziale: tante aziende in concorrenza tra loro all’interno di un mercato composto da «segmenti» , tra i quali i consumatori sono liberi di muoversi. • Elemento monopolistico: Ogni «segmento» è occupato da un’impresa che produce un bene eterogeneo (sostituto imperfetto dei beni prodotti dalle altre imprese) ed esercita un potere di monopolio all’interno del «segmento» • Questo potere di mercato è limitato dalla possibilità che altre imprese entrino nel «segmento» presidiato dall’impresa incumbent. • Nell’ambito del suo segmento, l’impresa è price maker ma il suo potere è limitato non solo dall’elasticità della domanda al prezzo (questo è vero anche nel caso del monopolio puro) ma dalla presenza di imprese concorrenti

Mercato e concorrenza monopolistica (2) • Strategie concorrenziali • Differenziare i beni per aumentare

Mercato e concorrenza monopolistica (2) • Strategie concorrenziali • Differenziare i beni per aumentare il potere di mercato all’interno di ogni «segmento» (e ridurre la possibilità che i consumatori si spostino da un segmento all’altro) • Fattori di eterogeneità: differenziazione del prodotto, packaging, localizzazione, servizi alla vendita. • Esempio di strategia concorrenziale: Marketing, pubblicità e possibilità d’influenzare le preferenze dei consumatori (le preferenze non sono più un dato)

Equilibrio di breve periodo • Domanda (D) e Ricavo marginale (R’) nel breve periodo

Equilibrio di breve periodo • Domanda (D) e Ricavo marginale (R’) nel breve periodo (reminiscenza marshalliana, numero di impresenti nel mercato dato, stock di capitale fisso), all’interno del segmento osservato • Costo medio (CM) e costo marginale (C’) con il tradizionale andamento a U. • Equilibrio del monopolista di breve periodo (QBP, PBP) • Extra-profitti positivi.

Equilibrio di lungo periodo • La presenza di extra-profitti di BP attira nuove imprese

Equilibrio di lungo periodo • La presenza di extra-profitti di BP attira nuove imprese nel «segmento» . • L’aumento della concorrenza rende la curva di domanda di lungo periodo e la curva del ricavo marginale corrispondente, più elastiche e ne determina lo spostamento verso il basso (punto ti tangenza tra la curva di domanda e quella del costo medio) • Massimizzazione del profitto (C’ = R’) e profitti nulli • Equilibrio di LP con produzione a un livello inefficiente rispetto a quello di concorrenza perfetta.

Critiche di Hicks alla concorrenza monopolistica • Critica 1: Scarsa rilevanza applicativa del concetto

Critiche di Hicks alla concorrenza monopolistica • Critica 1: Scarsa rilevanza applicativa del concetto di concorrenza monopolistica rispetto a quello di concorrenza perfetta: «Che la concorrenza sia perfetta o imperfetta, l’espansione della singola impresa verrà fermata da fattori che sono stime puramente soggettive: in un caso dal sorgere di costi soggettivi o costi di organizzazione; nell’altro dalla supposizione che la curva del ricavo marginale sia inclinata verso il basso. I fatti oggettivi non ci danno i mezzi di distinguere tra i due casi» (Hicks, cit. Sassu) • Critica 2: La concorrenza monopolistica si può comunque analizzare utilizzando il metodo marshalliano e come tale non porta al suo superamento.

La classificazione di Triffin (1) • La teoria della concorrenza monopolistica come occasione per

La classificazione di Triffin (1) • La teoria della concorrenza monopolistica come occasione per integrare equilibrio parziale ed equilibrio generale (così creando le basi di una moderna teoria del valore) • Equilibrio parziale: l’industria (insieme di imprese interdipendenti) come unità di riferimento realistica, analizzata a parità di altre condizioni (ceteris paribus) indipendentemente da ciò che avviene nel resto del sistema economico. • Equilibrio generale: la singola impresa (o il singolo consumatore) come unità di riferimento, analizzata tenendo conto di tutte le possibili influenze esterne e ipotizzando che tutti i mercati siano perfettamente concorrenziali (il che nella realtà non è). • La teoria dell’interdipendenza economica di Triffin ruota intorno al concetto di elasticità incrociata (dqi/qi)/(dpj/pj)

La classificazione di Triffin (2) • La teoria dell’interdipendenza economica di Triffin ruota intorno

La classificazione di Triffin (2) • La teoria dell’interdipendenza economica di Triffin ruota intorno al concetto di elasticità incrociata (dqi/qi)/(dpj/pj) (coefficiente di interdipendenza) • «Nella realtà i mercati sono interrelati e i cambiamenti che si verificano in un mercato causano cambiementi anche negli altri» • Classificazione dei diversi regimi di mercato • Monopolio puro (dqi/qi)/(dpj/pj) = 0 • Concorrenza monopolistica (dqi/qi)/(dpj/pj) = valore finito • Concorrenza perfetta (dqi/qi)/(dpj/pj) = infinito • Limitato successo di Triffin • Problematico studiare la concorrenza monopolistica senza prendere veramente in considerazione l’interdipendenza strategica tra le imprese, cos che invece verrà fatta nell’ambito delle diverse teorie dell’oligopolio

Harold Hotelling (1895 – 1973) • Statistico matematico e economista teorico, autore di pochi

Harold Hotelling (1895 – 1973) • Statistico matematico e economista teorico, autore di pochi articoli molti, alcuni dei quali molto influenti (tassazione, gestione ottimale risorse esauribili). • “Stability in Competition”, Economic Journal, vol. 39, no. 153 (March 1929), 41 -57 • Riferimenti a Cournot, Dupuit, Walras, Edgeworth e Sraffa • Ipotesi di partenza • Due imprese (negozi) vendono beni identici ma si differenziano per la localizzazione lungo un’unica strada urbana. La popolazione è distribuita uniformemente lungo questa strada. • Ogni consumatore compra un’unità del bene per unità di tempo e la trasporta a casa, dato il costo unitario di trasporto (tot. euro per chilometro tra casa e negozio). • Caso 1: Localizzazione data per entrambe le imprese. • Caso 2: Localizzazione data per una sola delle due imprese.

Il duopolio di Hotelling • Se la localizzazione di entrambe le imprese è data

Il duopolio di Hotelling • Se la localizzazione di entrambe le imprese è data (Caso 1), le due imprese non applicheranno lo stesso prezzo (come fanno nel duopolio di Cournot senza costi di trasporto). • L’impresa che ha una quota maggiore di mercato tra sé e i confini della città applicherà un prezzo più alto (l’impresa A nella figura sottostante tratta da Hotelling 1929), rispetto all’impresa concorrente perché può contare su un mercato più ampio. • Se una delle due imprese è libera di scegliere la propria localizzazione, si avvicinerà alla concorrente, dal lato dove il mercato è maggiore (equivalente all’ipotesi di differenziazione limitata e non accentuata come ipotizzato da Chamberlin).

Heinrich von Stackleberg (1905 – 1946) • Economista e professore universitario (Berlino, Bonn). •

Heinrich von Stackleberg (1905 – 1946) • Economista e professore universitario (Berlino, Bonn). • Rielabora il modello di Cournot, introducendo l’ipotesi che uno dei duopolisti di comporti da Leader e l’altro da Follower (gerarchia tra i duopolisti). • Il Follower si comporta come il duopolista di Cournot • Il leader è consapevole del comportamento del Follower e ne tiene conto nel formulare la sua scelta ottimale. • Se tutti e due si comportano da Follower, l’equilibrio è quello di Cournot • Se tutti e due si comportano da leader, l’equilibrio è indeterminato • Se c’è un leader e un Follower l’equilibrio è diverso da quello di Cournot (verificare). • La scelta del ruolo da giocare dipende da fattori convenzionali, dinamiche endogene del mercato

Il duopolio di Stackleberg (1) • p = a – b. Q • Funzione

Il duopolio di Stackleberg (1) • p = a – b. Q • Funzione di domanda di mercato, P = prezzo, Q = quantità prodotta dalle due imprese e venduta sul mercato. Le due imprese producono un bene identico. • Q = q 1 + q 2 • C = cq (stessa funzione di costo per entrambe le imprese) • Funzione del costo totale con costo marginale, c > 0 costante • L’esempio si può generalizzare al caso di imprese con funzioni di costo diverse e al caso di costi marginali crescenti con la quantità prodotta. • I profitti delle due imprese sono dati da • Impresa 1: P 1 = pq 1 – C 1 = [a – bq 1 – bq 2*]q 1 – cq 1 (Leader, massimizza il profitto tenendo conto della reazione del follower alle sue azioni) • P 2 = pq 2 – C 2 = [a – bq 1 – bq 2]q 2 – cq 2 (Follower, massimizza il profitto secondo quanto previsto dalla congettura di Cournot)

Il duopolio di Stackleberg (2) • Massimizzazione del profitto e determinazione dell’equilibrio • Determinazione

Il duopolio di Stackleberg (2) • Massimizzazione del profitto e determinazione dell’equilibrio • Determinazione delle funzioni di reazione • Derivando P 2 rispetto a q 2 e ponendo la derivata pari a 0 otteniamo l’equazione della funzione di reazione della prima impresa q 2 = (a – bq 1 – c)/2 b. Questa espressione definisce la quantità ottimale prodotta dalla seconda impresa, nell’ipotesi che la seconda impresa produca q 2. • Sostituendo questa funzione di reazione, nella funzione obiettivo della prima impresa questa funzione e derivando la funzione così ottenuta rispetto a q 1 (l’unica incognita) si determina l’equilibrio • Equilibrio: • q 1* = (a-c)/2 b (quantità prodotta dal Leader), q 2*= (a-c)/4 b (quantità prodotta dal Follower, minore della quantità prodotta dal Leader) • Q* = q 1* + q 2*= 3(a-c)/4 b (quantità complessiva) • p*= a – b. Q* = a – 3(a-c)/4 = (a + 3 c)/4 • I profitti del Leader sono maggiori di quelli del Follower.

Fonti • Sandmo A. (2011), Economics evolving, Princeton University Press, Princeton • Sraffa P.

Fonti • Sandmo A. (2011), Economics evolving, Princeton University Press, Princeton • Sraffa P. (1925 [1986]) «Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta» , in P. Sraffa, Saggi, il Mulino, Bologna, pp. 15 -65 • Sraffa P. (1925 [1986]) «Le leggi della produttività in regime di concorrenza» , in P. Sraffa, Saggi, il Mulino, Bologna, pp. 67 -84