Lospitalit declinata come ascolto dellaltro della sua storia
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L’ospitalità, declinata come ascolto dell’altro, della sua storia, incide sul nostro essere profondo, fa di noi persone capaci di accoglienza, e fa sì che l'ospitalità stessa sia un even to che plasma la nostra interiorità.
L’ambivalenza del termine “ospite” (in senso attivo: che dà ospitalità, e in senso passivo: che riceve ospitalità) è significativa del lo scambio di doni e di ruoli che avviene all’interno di tale relazione, sicché ci si può legittimamente porre la domanda:
Ha scritto il poeta Edmond Jabès: Lo straniero ti permette di es sere te stesso facendo di te uno straniero e la distan za che ci separa dallo straniero è la stessa che ci sepa ra da noi 6. Edmond Jabès, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato, SE, Milano 1991, pp. 11, 61.
Certo, una cultura dell’ospitalità ha come base l’a scolto.
Ascoltare lo straniero significa accoglierne l’ap pello e assumere la responsabilità di una risposta; si gnifica anche accettare di togliersi le lenti deformanti dei pregiudizi, delle verità prefabbricate, degli slogan, dei luoghi comuni, per avvicinarsi a lui, ascoltarlo, par largli, e vedere modificato il proprio giudizio 7: Avvi cinati, dice lo straniero. A due passi da me, sei ancora troppo lontano. Mi vedi per quel che sei tu e non per quello che sono io 8. 7. Cfr. Stefano Tomelleri, L’ospite e lo straniero. Zona grigia ed educazione all’a scoltointerculturale, in Pluriverso 3 (1999), pp. 12 17.
L’ascolto è il luogo che consente la contaminazione delle differenze: grazie a esso, que ste perdono il loro carattere assoluto e irreversibile, e quello che poteva essere un limite all’incontro e rappre sentare la sua fine, diviene la soglia che consente
L’ascolto consente di declinare il “con fi ne”(del corpo, della casa, dello stato) in modo tale che la seconda parte di questo vocabolo, cioè la “fine”, il “termine”, che esso rappresenta, non prevalga sulla pri ma (“con”) diventando occasione di rigetto e di chiusura, ma si manifesti come luogo di incontro e di co munione con l’altro.
Il confine è la giusta linea di de marcazione dell’identità che vive esponendosi ai rischi fecondi dell’incontro, del dialogo e della contaminazio ne; invece, il muro, la barriera, il filo spinato, renden do insuperabile il confine, creano una prigione nel mo mento stesso in cui, in nome della sicurezza, cercano di difendere e proteggere l’identità.
L’ascolto implica la sospensione del giudizio, ovvero la rinuncia al pregiudizio, e l’accettazione che sia l’altro a definirsi e a farsi conoscere: si assisterà così al passag gio dall’altro come “categoria” (definito in base all’ap partenenza religiosa, etnica, culturale, eccetera) all’altro come “tu personale” (con una biografia, una storia per sonale e collettiva, soprattutto con un peso di sofferen za e un presente di paura).
Smettere i pregiudizi signi fica impegnarsi nel lavoro di conoscenza dell’altro: senza questa conoscenza, particolarmente necessaria e diffici le nei confronti degli stranieri, non potrà avvenire alcu na vera ospitalità.
Occorre infatti evitare due rischi contrapposti: l’appropriazione dell’altro mancandogli di rispetto e la disappropriazione di sé e della propria cultura per inchinarsi a un altro mitizzato ed enfatiz zato. Allora si può accedere all’incontro con l’altro come apparizione.
Inoltre, per accogliere l’altro occorre umiltà e curio sità. L’umiltà di chi ritiene che l’altro possa sempre apportare qualcosa alla mia umanità e alla mia pratica di vita e la curiosità di chi si apre con simpatia alle usan ze culturali dell’altro.
Così, forse, si può pervenire anche all’empatia, a sentire l’altro integrando il piano emo tivo, quello somatico e quello mentale in un unico atteggiamento ospitale.
Infine ospitare l’altro implica il dialogo con l’altro. Il dialogo è il cammino che percorre la strada fra i due interlocutori in un andirivieni in cui si costruisce quo tidianamente e insieme il senso del vivere e la possibi lità del con vivere.
La conversazione diviene conver sione: l’altro non è più offuscato dalle nubi dei pregiu dizi e posso vederlo in verità e accoglierlo con sincerità.
Dall’urgente necessità di dare un riparo, un alloggio, un ricovero, si passa dunque all’ospitalità come stile di esistenza, come forma di vita e come confessione di fe de nel Dio che ha dato la terra come luogo di abitazio ne per ogni uomo.
Infatti, canta il salmista: �“Del Signo re è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abi tanti”(Sal 24, 1) e David confessa: �“Tutto, Signore, è tuo, nei cieli e sulla terra. . . Noi siamo stranieri davan tia te, e ospiti, come tutti i nostri padri” (2 Cr 29, 11. 15).
Ospitare i pellegrini oggi La vita di Gesù di Nazaret, come attestata nei van geli, è caratterizzata da uno stile di incontro con l’al tro che può essere definito “santità ospitale” 9. Cfr. Christoph. Theobald, Il cristianesimo come stile. Un modo di fare teologia nella postmodernità, EDB, Bologna 2009.
La san tità, l’alterità di Gesù, l’uomo che ha narrato Dio, è vissuta da lui non come separatezza, ma come ospitalità, capacità di incontro e accoglienza che diviene nar razione dell’accoglienza e della comunione radicale di Dio con gli uomini.
E ogni incontro mostra un uomo capace di adattarsi alle capacità relazionali e di ascol to dell’altro, di accoglierlo così come è senza pregiudi zi, anzi mettendo sempre in atto una prassi di uscita dai pregiudizi e dagli stereotipi.
§ Gesù accoglie la donna peccatrice che, con meravigliosa libertà rispetto all’am biente e sfidando coraggiosamente i pregiudizi, irrom pe in un banchetto e compie gesti di amore nei suoi con fronti (cfr. Lc 7, 36 50).
Gesù, che vede in lei una don na capace di amore, non una prostituta, le dà ospitali tà accogliendo il linguaggio non verbale ma corpo reo di cui si mostra capace.
• Superando le barriere etniche e religiose, Gesù incontra la donna samarita na (cfr. Gv 4, 1 42), la incontra chiedendole ospitalità (“Dammi da bere”: Gv 4, 7) ed esponendosi a lei nel suo bisogno.
�Gesù incontra il lebbroso toccandolo e contraendo impurità rituale (cfr. Mc 1, 40 45), accettan do cioè di ospitare in sé qualcosa della sua
� Gesù incontra l’uomo alienato di Gerasa ascoltando pazientemente la sofferenza che spinge quell’uomo ad atteggiamenti violenti e aggressivi (cfr. Mc 5, 1 -20).
Ge sù si lascia vincere dall’ostinatezza della donna cananea che lo induce, con santa audacia, a mutare parere e ad accordale ospitalità (cfr. Mt 15, 21 28).
La pratica di incontro di Gesù è magistero autore vole per la capacità di ospitalità e di incontro dei cristiani.
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