VUOTI DI WELFARE E SPAZI DI COMUNIT ISTRUZIONI

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VUOTI DI WELFARE E SPAZI DI COMUNITÀ: ISTRUZIONI PER L’USO

VUOTI DI WELFARE E SPAZI DI COMUNITÀ: ISTRUZIONI PER L’USO

Argomenti chiave • Il Welfare che non arriva e l’incremento dei bisogni • in

Argomenti chiave • Il Welfare che non arriva e l’incremento dei bisogni • in che modo rispondono i servizi e come potrebbero essere più efficaci: lavoro di rete, sviluppo di comunità, progettazione partecipata, tra dialogo intergenerazionale e interculturale. • La proposta di un approccio trasversale che supporti e potenzi i contesti locali tra risorse e necessità. •

Ops, abbiamo esaurito il Welfare! • La domiciliarità sostenuta da una prossimità diffusa risulta

Ops, abbiamo esaurito il Welfare! • La domiciliarità sostenuta da una prossimità diffusa risulta essere una delle carte vincenti per supportare gli anziani fragili. Quali sono allora i maggiori ostacoli nella sua realizzazione? Per quale motivo non è ancora attivo un sistema integrato di servizi che abbia una maggiore prospettiva inclusiva? • Partiamo dall’evoluzione del sistema di welfare che si sono trasformati in relazione agli specifici contesti, fondandosi su politiche però, tendenzialmente, erano sempre troppo arretrate a fronte della rapidità dei mutamenti sociali in corso. La drastica diminuzione di risorse (tagli alla sanità e al sociale) ha fatto sì che crollasse il primo impianto di welfare state, di fatto decentralizzando le politiche e i poteri e, allo stesso tempo, generando non poche difficoltà di gestione. • Si riduce il ruolo del pubblico, si amplia quello del privato.

Ops, abbiamo esaurito il Welfare! • Ed eccoci nel welfare mix, dove è il

Ops, abbiamo esaurito il Welfare! • Ed eccoci nel welfare mix, dove è il mercato a tracciare le politiche; situazione alquanto rischiosa che può condurre fino alla «“mercificazione” dei servizi assistenziali e allo “svuotamento dello Stato”» (Rodger, 2004, p. 144 mio manuale) per cui sono i produttori di servizi che impattano sui consumatori. • Quindi da cittadini della delega a cittadini del consumo. La trasformazione non è banale e mette in crisi il sistema stesso di assistenza nelle sue linee generali perché l’orientamento rischia di spostarsi vertiginosamente verso l’efficienza a basso costo dei servizi. A che prezzo per la qualità? • Soffermiamoci per un istante su questa variazione. Cosa significa, in particolare per il supporto della domiciliarità?

Ops, abbiamo esaurito il Welfare! • In questo contesto di famiglie ristrette e con

Ops, abbiamo esaurito il Welfare! • In questo contesto di famiglie ristrette e con geometrie sempre più irregolari si inseriscono le badanti, come abbiamo visto prima, a tutela di una effettiva domiciliarità possibile; sono le donne del «welfare leggero» (Ambrosini – Cominelli, 2005), in cui il privato sopravanza il pubblico e ne velocizza i processi, a fronte dei bisogni sempre più pressanti. • Sono le donne che vengono da altrove, non così lontano poi, che ristabiliscono gli assetti familiare, ampliandone la composizione e trasformandone ulteriormente la struttura. • Si attivano così, potremmo dire, dei welfare personalizzati, a seconda delle ipotesi percorribili, dei contesti in cui si risiede, delle possibilità di intrecciare canali di assistenza, delle modalità previste per supportare le famiglie, dell’importanza che viene attribuita alla domiciliarità.

Il piano B: tra sussidiarietà e welfare relazionale • Una via percorribile è quella

Il piano B: tra sussidiarietà e welfare relazionale • Una via percorribile è quella di orientarsi verso un welfare comunitario o relazionale (Donati), dove la corresponsabilità sociale diventa uno degli assi essenziali per sviluppare ipotesi operative co-costruite. • Ci stiamo riferendo ad un welfare che sia maggiormente inclusivo, che veda nelle ipotesi di compartecipazione e di cooperazione (tra servizi, agenzie, cittadinanza…) non una via di fuga (al welfare che non c’è) ma una via di accesso a nuove modalità di costruire comunità. • Lavorare su questo fronte richiede di cambiare l’assetto delle politiche sociali e di intraprendere una decisa azione di contrasto contro la «privatizzazione della responsabilità» (Rodger, 2004, p. 13), verso una via dell’aver cura comune, dell’occuparsi delle cose che sono di interesse per la popolazione e la sua qualità della vita.

Il piano B: tra sussidiarietà e welfare relazionale • Una via percorribile è quella

Il piano B: tra sussidiarietà e welfare relazionale • Una via percorribile è quella di orientarsi verso un welfare comunitario o relazionale (Donati), dove la corresponsabilità sociale diventa uno degli assi essenziali per sviluppare ipotesi operative co-costruite. • Ci stiamo riferendo ad un welfare che sia maggiormente inclusivo, che veda nelle ipotesi di compartecipazione e di cooperazione (tra servizi, agenzie, cittadinanza…) non una via di fuga (al welfare che non c’è) ma una via di accesso a nuove modalità di costruire comunità. • Lavorare su questo fronte richiede di cambiare l’assetto delle politiche sociali e di intraprendere una decisa azione di contrasto contro la «privatizzazione della responsabilità» (Rodger, 2004, p. 13), verso una via dell’aver cura comune, dell’occuparsi delle cose che sono di interesse per la popolazione e la sua qualità della vita.

Il piano B: tra sussidiarietà e welfare relazionale • Ricreare contesi abitabili, attraversabili, percorribili

Il piano B: tra sussidiarietà e welfare relazionale • Ricreare contesi abitabili, attraversabili, percorribili anche da chi si vede limitato nell’invecchiare, significa ridisegnare piste di inclusione e ripensare ad azioni che abbiano un impatto collettivo (Kania – Kramer, 2011) e che diano vita ad una maggiore tutela e sicurezza sociale (Violini – Vittadini). • La comunità non si fa solo in emergenza, ma si costruisce nel tempo: un tempo longitudinale, in cui i soggetti-cittadini subiscono e, allo stesso tempo, generano dei cambiamenti; un tempo in cui può nascere il desiderio di coltivare delle relazioni di conoscenza e di scambio, che diventeranno poi assi percorribili del supporto all’invecchiamento. • Per fondarsi sulla relazione il welfare ha bisogno di un territorio e, allo stesso modo, un contesto necessita di prospettive di intervento. L’attivazione può essere reciproca, se i canali di comunicazione sono aperti.

La terza via: il welfare generativo • Ricreare contesi abitabili, attraversabili, percorribili anche da

La terza via: il welfare generativo • Ricreare contesi abitabili, attraversabili, percorribili anche da chi si vede limitato nell’invecchiare, significa ridisegnare piste di inclusione e ripensare ad azioni che abbiano un impatto collettivo (Kania – Kramer, 2011) e che diano vita ad una maggiore tutela e sicurezza sociale (Violini – Vittadini). • La comunità non si fa solo in emergenza, ma si costruisce nel tempo: un tempo longitudinale, in cui i soggetti-cittadini subiscono e, allo stesso tempo, generano dei cambiamenti; un tempo in cui può nascere il desiderio di coltivare delle relazioni di conoscenza e di scambio, che diventeranno poi assi percorribili del supporto all’invecchiamento. • Per fondarsi sulla relazione il welfare ha bisogno di un territorio e, allo stesso modo, un contesto necessita di prospettive di intervento. L’attivazione può essere reciproca, se i canali di comunicazione sono aperti.

La terza via: il welfare generativo • WELFARE GENERATIVO, modello-concetto messo a punto dalla

La terza via: il welfare generativo • WELFARE GENERATIVO, modello-concetto messo a punto dalla Fondazione Zancan che sposta l’attenzione dalla visione esclusivamente economica ad una prospettiva orientata su tre assi di valore: • la solidarietà, la responsabilità e l’uguaglianza. • Il passaggio essenziale (anche a livello organizzativo e della gestione dei fondi) si colloca a fianco ai caratteri del Raccogliere del Redistribuire (tipici di tutti i modelli di welfare) attraverso una triplice “R” maggiormente connessa alle persone: Rigenerare, Rendere e Responsabilizzare. • Questa visione si fonda su una reciprocità continua (orizzontale e verticale) tra diritti e doveri sociali, avviando una riflessione che può attuarsi solo grazie a dinamiche collettive e comunitarie.

Districarsi in trame complesse • «L’esercizio delle responsabilità sociali richiede conoscenze e capacità progettuali

Districarsi in trame complesse • «L’esercizio delle responsabilità sociali richiede conoscenze e capacità progettuali e crediamo che l’educazione possa favorire lo sviluppo di tali competenze, orientando il suo intervento su alcune traiettorie: • la conoscenza delle proprie risorse e delle dinamiche attive sul territorio di riferimento; • le competenze connesse con una maggiore consapevolezza del voler, poter, dover agire in quanto parte di una comunità che può essere co-costruita attraverso il dialogo informato, la cooperazione, la condivisione di beni…; • lo sviluppo della progettualità del singolo in relazione al contesto e del noi comunitario: elementi essenziali che possono coesistere e che mettono in evidenza l’importanza di avere obiettivi chiari e condivisi, così come azioni da compiere per raggiungerli in modo corresponsabile» . (Deluigi, 2015).

Il dialogo interculturale • Perché è importante introdurre la questione del dialogo interculturale negli

Il dialogo interculturale • Perché è importante introdurre la questione del dialogo interculturale negli ambiti di cura? • Non solo per la presenza delle badanti (e l’assenza delle loro famiglie) ma perché è necessario intraprendere vie e transiti di scambio e di reciprocità tra tutti i soggetti che prendono parte agli ambiti di cura. • Non ci riferiamo quindi ad orizzonti che interpretano lo straniero-diverso come soggetto con cui attivare necessariamente un approccio interculturale, ma vogliamo dilatare tale visione, in modo che possa attraversare trasversalmente tutte le interazioni con gli altri, quelle interazioni che poi, nelle dinamiche di cura, si intrecciano anche con necessità-dipendenza e libertà-progettazione.

Il dialogo interculturale • Se non c’è una prospettiva aperta, si assiste alla cura.

Il dialogo interculturale • Se non c’è una prospettiva aperta, si assiste alla cura. Il dialogo, invece, va scelto e coltivato e permette di prendere in considerazione nuove progettualità personali e comunitarie in una visione aperta e interpersonale. • Il pensiero interculturale e la sua costruzione (Stara) viene costantemente messo alla prova dall’esperienza e dal quotidiano ed è per questo che è necessario costruire strategie di pensiero, di interazione e di azione (di cura) che diano il giusto spazio alla comunicazione tra persone e non solo tra sistemi e riferimenti culturali generici e astratti. • Ma quali sono le motivazioni che spingono i “cittadini solitari” a mettersi in dialogo, a cercare scambio e reciprocità, a misurarsi con il confronto? Come poter suscitare interesse verso la partecipazione e la costruzione di spazi-tempi in cui uscire dal proprio Io e scoprirsi parte di una relazione? Molto dipende dalla qualità dei legami che costituiscono l’esperienza del vivere comune. Sempre che essi ci siano.

Il dialogo interculturale • Incontrare gli altri nel quotidiano, attraverso pratiche interculturali, consente di

Il dialogo interculturale • Incontrare gli altri nel quotidiano, attraverso pratiche interculturali, consente di “promuovere dinamiche partecipat(t)ive” (Deluigi, 2014), concretizzando le interconnessioni volte a favorire equità, giustizia sociale, comprensione e cooperazione. • Assi importanti di una struttura comunitaria democratica, in cui pensare e proporre occasioni di incontro-scambio tra identità, differenze, appartenenze e modalità innovative dello stare insieme e sentirsi prossimi, in modo reciproco e solidale. • Tutto questo non sempre avviene “spontaneamente” perché ciascuno di noi è troppo impegnato a rivolgere lo sguardo su di sé e sulle proprie problematiche; ecco perché l’educazione ha il ruolo di facilitare esperienze co-costruite, caratterizzate da processi di inclusione.

Il dialogo interculturale • Orientarsi verso la particella “co” significa non fermarsi alla descrizione

Il dialogo interculturale • Orientarsi verso la particella “co” significa non fermarsi alla descrizione di interventi da erogare agli utenti ma assumere una postura di dialogo con le persone, avviando dialoghi e laboratori di democrazia che poi necessitano di un accompagnamento fatto di cura e attenzione. È nella declinazione dei dialoghi interculturali che possono emergere le pluralità come ricchezze e le fragilità come sfide, entrambe da condividere e da affrontare congiuntamente. • È qui che ci possiamo riscoprire e riconfermare uomini e donne in ricerca delle proprie identità-appartenenze e delle proprie relazioni che contribuiscono a generare un’immagine e una rappresentazione di noi con le quali ci apriamo o ci chiudiamo agli altri. Questo è un itinerario destinato a rimanere incompiuto perché collocarsi e definirsi tra e con gli altri richiede una sperimentazione continua di sé e di quella parte di noi che, comunque, ci portiamo dietro, in quanto esseri sociali.

Il dialogo intergenerazionale • Il dialogo intergenerazionale è la seconda traiettorie trasversale che vogliamo

Il dialogo intergenerazionale • Il dialogo intergenerazionale è la seconda traiettorie trasversale che vogliamo attraversare, in quanto nei contesti cura è un elemento sempre presenze. • Diverse generazioni di diverse famiglie si attivano per garantire benessere ai soggetti più fragili. Se davvero si attiva un dialogo reciproco, vi sarà la possibilità di dilatare i campi di esperienza, avvalendosi proprio delle differenze come ricchezze, e cercando di potenziare al massimo i canali e le modalità di espressione delle persone che compongono i luoghi e i tempi della cura e dell’assistenza. • Abbiamo già visto che molto si fonda su una relazionalità che avvicina le parti, che le rende prossime, che consente di abbattere i confini statici e di superare categorie stereotipate, accrescendo nuove forme di coesione e di reciprocità (Deluigi 2014; 2015; Luppi, 2014).

Il dialogo intergenerazionale • Pensarsi insieme nell’ambiente di cura consente di condividere le risorse,

Il dialogo intergenerazionale • Pensarsi insieme nell’ambiente di cura consente di condividere le risorse, i saperi, le possibilità, cosi come le fragilità, i bisogni e le criticità; in questo modo, essendo più a con-tatto con il contesto e i suoi abitanti, è più semplice sperimentarsi come protagonisti attivi, anziani compresi (Ripamonti, 2005), avviando logiche e pratiche di welfare rafforzate da legami comunitari e reciproci, vera sostanza dell’innovazione sociale e della partecipazione (Santamaria, Volpe, 2007) che non resta immobile di fronte alle logiche verticali non sempre efficaci e capillari. • Entrare nella logica del dialogo intergenerazionale significa trovare mediazioni, ipotizzare soluzioni creative e strategie divergenti, utilizzare linguaggi che sappiano rendere prossime le persone e non snaturarle (senza avere come unico riferimento il paradigma bambini-anziani e circolo della vita che si ricongiunge).

Il dialogo intergenerazionale • Promuovere il dialogo intergenerazionale significa alimentare l’effettivo potere di pensiero-azione

Il dialogo intergenerazionale • Promuovere il dialogo intergenerazionale significa alimentare l’effettivo potere di pensiero-azione dei soggetti in un dato luogo e far sì che vi siano movimenti di reciprocità e di partecipazione in grado di riempire i vuoti di senso e le carenze di legame a cui l’individualismo sfrenato ci sottopone costantemente. • Si tratta di ipotizzare un nuovo modo di impegnarsi nel e per il sociale, in questioni -problemi che ci riguardano da vicino e che ci possono spingere a pensare ed attuare a forme di condivisione delle risorse personali e sociali. • Se la corresponsabilità diventa una forma mentis, allora, aver cura della comunità e del territorio in cui si vive e in cui si può generare il fermento della partecipazione democratica, diventa un vero e proprio atto trasformativo (Deluigi, 2016) dall’io al noi, dall’individuo alla cittadinanza. In una spirale virtuosa che per reggersi ha bisogno della partecipazione e dell’ibridazioni di welfare che rendano coese le parti sociali e che possano generare nuove progettazioni condivise.