Letteratura e Industria Scuola e lavoro nella narrativa

  • Slides: 15
Download presentation
Letteratura e Industria

Letteratura e Industria

“Scuola e lavoro nella narrativa di Lucio Mastronardi” Lucio Mastronardi è forse una figura

“Scuola e lavoro nella narrativa di Lucio Mastronardi” Lucio Mastronardi è forse una figura secondaria nel panorama letterario dell’Italia del Novecento, ma al pari di altri è riuscito a dar voce e dignità al contesto cittadino in cui è nato e vissuto: Vigevano. La vita di questa città, che egli vede proiettarsi soprattutto sulla piazza è per lui qualcosa di irripetibile e quello è il centro, tutti passano da lì con le loro vite e le loro esperienze. Sembra di assistere ad una scena teatrale in cui i personaggi che si muovono hanno l’aspetto di tipi, il cui obietti- vo è la spinta ad arricchirsi. In questo senso Mastronardi è stato accostato a Balzac, in quanto, similmente a quest’ultimo, viene a creare una sorta di piccola Commedia Umana, realizzandola a modo suo grazie alla capacità di tradurre sulla pagina la realtà con una scrittura graffiante, incisiva e soprattutto ironica, mostrando però di non avere il sangue romanzesco del grande autore francese. Fedele alla propria esperienza personale, si sofferma sui due aspetti per lui più immediatamente visibili, familiari ed importanti: il mondo dei calzolai e quello dell’insegnamento, rappresentando la realtà provinciale con una lingua nuova, che Vittorini definisce “di straordinario brio”.

Si tratta cioè di una sorta di “impasto”, in cui la lingua tradizionale si

Si tratta cioè di una sorta di “impasto”, in cui la lingua tradizionale si mescola ad espressioni dialettali che diventano incisive “macchie di colore”. Il modello di questo scrittore è dunque quello verghiano e la lingua diventa lo strumento adatto a rappresentare la realtà vigevanese che si fa specchio della realtà mondiale. Il rapporto difficile e problematico con la scuola nasce dalla personalità di Mastronardi, insofferente nei confronti della struttura didattica che è in conflitto con la sua creatività. Egli viene richiamato spesso per la didattica da seguire e arriva a concepire la classe quasi come una gabbia, che non gli dà la possibilità di esprimersi e di essere se stesso.

Tutto questo trova espressione nel Maestro di Vigevano che è soprattutto una satira del

Tutto questo trova espressione nel Maestro di Vigevano che è soprattutto una satira del nostro ambiente scolastico e di certi metodi educativi. In questo romanzo l’autore descrive, fra l’altro, le ridicolaggini della cosiddetta “scuola attiva gli aspetti più comici di alcuni personaggi chiamati a comandare, a dirigere. Troviamo infatti un direttore che non si può dimenticare facilmente: con le sue incredibili fissazioni e il suo linguaggio pomposo egli costituisce un incubo per i maestri di Vigevano alle prese con i guai e i problemi di tutti i giorni. Nel Maestro di Vigevano non viene però trattata solo la tematica della scuola, ma anche quella del lavoro: la trama segue infatti la carriera del maestro Antonio Mombelli, insegnante in quella Vigevano venuta alla ribalta negli anni di miracolo economico, per il boom arriso alle sue innumerevoli fabbriche di scarpe. L’ambizione di tutta una categoria di proletari e di piccoli artigiani è di entrare nei ranghi della borghesia industriale , di passare dalla bottega alla fabbrichetta, dalla bicicletta alla fuoriserie. Mastronardi è intransigente e a tratti cattivo nel dipingere i suoi soggetti e sa cogliere dal vivo le situazioni per poi riportarle sulla carta con segno breve, dando alla sua opera valenza documentaria.

Luciano Bianciardi” La vita agra di Bianciardi, è il simbolo dell’effervescenza economica degli anni

Luciano Bianciardi” La vita agra di Bianciardi, è il simbolo dell’effervescenza economica degli anni del Boom, gli anni Sessanta, prodotto del passaggio da un’Italia post-bellica ancora di stampo contadino a una nuova Italia, industrializzata e arricchita, così ansiosa di crescere ma ancora troppo piccola per non sentirsi sola, spaesata, nella continua ricerca della chimera del progresso. In questo panorama sociale ed economico la letteratura ha preso una nuova via, con una serie di autori che, interpretando in modo nuovo il rapporto con la vita quotidiana, si sono allineati in qualche modo alla “Beat generation” dei paesi anglosassoni; il più rappresentativo , estroso, capace è stato sicuramente Luciano Bianciardi.

Egli è, nella descrizione fatta dal suo amico Giovanni Arpino, un bombarolo timido, appartenente

Egli è, nella descrizione fatta dal suo amico Giovanni Arpino, un bombarolo timido, appartenente alla tribù così rara dei “Grandi Bizzarri“, degli “scrittori contro”, con la capacità — o dovrei dire : la grazia? - di scorticare quanto accade, uomini e cose, crocevia esistenziali e amorazzi da corridoio. Grossetano impiantato nella fredda, frenetica, febbrile Milano, Bianciardi con la sua opera ha dato un importante contributo alla narrativa italiana della seconda metà del ‘ 900, rivolgendosi ad un pubblico che va dall’appassionato medio colto al più esigente letterato.

La vita agra è un raro esempio di analisi del grande disagio che trovava

La vita agra è un raro esempio di analisi del grande disagio che trovava luogo dietro le quinte dell’effimero spettacolo che fu il “Boom”, e contemporaneamente si ritrovano quei valori , quella rabbia, quel bisogno di farsi sentire che caratterizzeranno di lì a poco la contestazione studentesca ed operaia. All’interno della narrazione si inseriscono con naturalezza alcune pause riflessive , alcune digressioni “teoriche” che partono comunque, in genere , dalla situazione della società del tempo. Bianciardi nella sua opera ha sempre voluto lanciare un messaggio di tipo sociale , analizzando e criticando la società di uno Stato in improvvisa crescita. Nella sua narrativa vi è una critica piena di disprezzo verso la bruttura , la freddezza di quel mondo di cui il torracchione di vetro e cemento veniva ad essere l’emblema. Inizialmente il protagonista de La vita agra progetta di far saltare in aria il torracchione col grisù , la sostanza che provocò lo scoppio della miniera , ma l’idea fortemente utopica , velleitaria, ad un tratto si ferma. Questa sosta nella ribellione è sinonimo di una sconfitta contro forze più grandi , troppo grandi per l’uomo quale individuo singolo, privato della sua libertà.

“La realtà industriale nel Memoriale di Paolo Volponi”. Tra la fine degli anni ‘

“La realtà industriale nel Memoriale di Paolo Volponi”. Tra la fine degli anni ‘ 50 e i primi anni ’ 60, terminato il periodo della ricostruzione postbellica, l’Italia conosce una seconda rivoluzione industriale e si affaccia alla realtà nuova di un paese moderno e avanzato. Le conseguenze che ne derivano sono di enorme portata, non solo per le condizioni materiali della vita degli italiani, ma anche per i rapporti sociali, per i comportamenti e per le nuove mentalità che si affermano. Tutto ciò si riflette, naturalmente, sulla vita culturale, sulla letteratura: è inevitabile che essa non rimanga estranea alle varie trasformazioni del contesto in cui nasce. Nell’Italia attraversata dal “boom economico” si ha una mutazione nel ruolo sociale dell’ intellettuale che diviene sempre più salariato dell’industria culturale (editoria, giornali, radio, cinema), perdendo di regola quell’autonomia di movimenti, quella libertà di pensiero che erano state sue prerogative in altre fasi della storia.

A cogliere per primo la necessità di tener presente il rapporto tra letteratura e

A cogliere per primo la necessità di tener presente il rapporto tra letteratura e realtà industriale è Volponi secondo il quale la realtà industriale non è solo la pura materia del racconto, ma sostanza stessa della narrazione : il punto di vista adottato è infatti quello dell’operaio, è l’ottica stravolta e folle di cui patisce l’alienazione della fabbrica. L’alienazione indotta dal mondo industriale non è semplicemente rappresentata, non è solo un contenuto, ma fa corpo con la costruzione stessa del romanzo e con il punto di vista del folle che, proprio stravolgendo la realtà, coglie le incongruenze intrinseche di quel mondo apparentemente razionalizzato.

Il romanzo, per le tematiche presenti, può considerarsi un capitolo della nostra storia sociale.

Il romanzo, per le tematiche presenti, può considerarsi un capitolo della nostra storia sociale. La vicenda del Memoriale è ambientata in una città industriale del Piemonte, di cui l’autore tace il nome anche se, è identificabile con Ivrea (sede della Società Olivetti) e la campagna circostante. Si svolge in un arco di tempo che va dal 1945 al 1956. Ne è protagonista narrante, in prima persona, Albino Saluggia, nato ad Avignone da genitori italiani rientrati in patria e stabiliti a Candia nel Canavese. Durante la narrazione il protagonista rievoca spesso il periodo della guerra e della prigionia in Germania, il senso di angoscia provato in quei momenti: tutto ciò è la causa dei suoi “mali”. Albino aspira ingenuamente a una vita nuova e sana, che, innocentemente, spera di trovare nel lavoro in fabbrica. L’illusione cede presto la strada alla realtà della vita nell’ambiente industriale in cui la superficialità dei rapporti e la disumanità del lavoro lo riaccompagnano in una malattia spirituale e conseguentemente fisica che la fredda assistenza medica di fabbrica non può curare. Saluggia diffida dei medici aziendali, ed interpreta la loro condotta come una persecuzione ai suoi danni, una cospirazione finalizzata ad emarginarlo e a schiacciarlo, azione alla quale reagisce isolandosi sempre di più, spingendosi ad assumere atteggiamenti negativi nel rendimento lavorativo. In seguito al calo la direzione gli assegna lavori sempre più declassati della fabbrica.

Volponi mette in luce la spersonalizzazione del lavoro e la povertà dei rapporti umani

Volponi mette in luce la spersonalizzazione del lavoro e la povertà dei rapporti umani nella dimensione produttiva industriale, la difficoltà di integrazione tra l’efficientismo impersonale tecnologico e una visione del mondo arcaica e contadina a cui Saluggia è legato in modo tale da permettere che il punto di vista resti costantemente quello “straniato” del nevrotico. Il libro può anche essere letto come romanzo-diagnosi, in cui si estrinseca il rapporto ambivalente e fortemente dipendente di Saluggia con la madre, l’orroreattrazione per il sesso, la malattia come fuga dalle responsabilità della vita adulta e involuzione ad una rassicurante e più comoda dimensione infantile. I due filoni tematici del testo, il mondo della fabbrica e la nevrosi, sono nel romanzo correlati al fine di salvaguardare la “diversità” dell’individuo non integrato consentendogli piena libertà di giudizio sul mondo della fabbrica.

Ottiero Ottieri “Donnarumma all’assalto” occupa, tra i romanzi di letteratura industriale, un posto a

Ottiero Ottieri “Donnarumma all’assalto” occupa, tra i romanzi di letteratura industriale, un posto a sé. Fra le sue pagine non scorre la vita grigia e monotona delle fabbriche del dopoguerra, non si respira l’odore grasso dei fumi densi di veleni, non si sente il crepitio delle frese e delle saldatrici: in esse arde il sole dell’estate meridionale, traspare il profumo della brezza del golfo, le strade non sembrano fiumi di catrame nelle pianure, ma sentieri che si arrampicano ripidi fra i paesi, e che con la loro ricchezza di scorci possono ancora destare sorpresa e piacere nel viaggiatore.

Le parole non sembrano scritte in una casa di periferia, o in un sotterraneo

Le parole non sembrano scritte in una casa di periferia, o in un sotterraneo cittadino, sono quelle rilassate di un diario, scritto nella tranquillità della sera; il protagonista non è un umile operaio, vessato dal sistema, ma un addetto alla selezione del personale, un “dottore”, una persona dignitosa e rispettata. Ciò non deve trarre in inganno: accanto a parti a volte più rilassate, il romanzo nasconde una dimensione drammatica, una tragedia che si insinua fin dalle prime pagine, che attende il lettore che, insieme col protagonista, è condotto, grazie agli strumenti della psicotecnica, in un viaggio verso l’intimo dell’animo umano, arrivando a conoscere, con occhio talmente indiscreto da essere cinico, realtà di povertà, di emarginazione, di disagio.

È la tragedia di un territorio e di una popolazione che viene a contatto

È la tragedia di un territorio e di una popolazione che viene a contatto con una realtà totalmente aliena, quella industriale, che, come una ferita in- fetta, intacca le difese naturali, scioglie ogni dignità di uomini prima semplici, ma che dal legame con la terra traevano una forma di dignità, ottenendo un ruolo produttivo. Gli uomini che si rivolgono al protagonista per ottenere un posto di lavoro, invece, umiliano la loro stessa condizione: l’attesa spasmodica di una convocazione e la foga con cui, per lo più inutilmente, implorano, supplicano l’assunzione, li porta a confessioni impudiche, a ostentare le proprie disgrazie, per ottenere pietà. Viene a mancare ogni dignità. Lo psicotecnico annota, dalla sua prospettiva dapprima più distaccata, poi più coinvolta, storie di drammi familiari, di malattie, di umiliazioni sociali. Sulle pagine del diario finiscono le parole, piene di rancore, di mariti umiliati dalle mogli, di giovani malvoluti dalle fidanzate, mortificati nella loro virilità. La vita della fabbrica viene segnata dalla presenza dei disperati che attendono ai cancelli, che tentano di gettarsi sotto le vetture dei dirigenti, arrivando alla fine ad abituarsi all’atte- sa, a familiarizzare con i portieri, ad adagiarsi nella loro condizione. È stridente il contrasto tra questi individui, ossessionati dalla fabbrica, eppure così inerti, e l’efficienza degli operai assunti: alla modernità dei lavoratori si contrappone l’atteggiamento di clientelismo nei confronti dei dirigenti, la corruzione, condotta con metodi goffi e maldestri.

All’immagine dei lavoratori restii persino a scioperare si contrappone la figura di chi arriva

All’immagine dei lavoratori restii persino a scioperare si contrappone la figura di chi arriva a seguire il protagonista fino a casa, di chiede la “parola d’onore” su una promessa di assunzione. Gli antichi usi della gente delle campagne meridionali si scontrano con le politiche di una società, l’Olivetti, celebre per la sua attenzione ai dipendenti. Dentro il capannone si comunica con chiare e formali lettere battute a macchina dalla segretaria, fuori ammiccamenti e mezze parole sono la regola. Stride il contrasto fra lo stabilimento, costruito secondo canoni razionali, pulito, dalle pareti curate, dai pavimenti lisci e regolari, e il paesaggio circostante. Ottieri si profonde in lunghe ed appassionate descrizioni, cariche di colori, di dettagli delicati, da sembrare inappropriate per un romanzo di letteratura industriale: il mare, la costiera, i villaggi, le radure in cui le coppie si appartano in automobile, la grande ferita dell’acciaieria, che dalla terra devastata si allunga con i suoi moli fino al mare, accogliendo navi cariche di carbone, che vengono scaricate nella notte, fra disumane grida di sirene, confuse con i gemiti dell’operaio rimasto ucciso durante il trasbordo del combustibile. “Donnarumma all’assalto” dimostra l’impossibilità di esportare un modello economico, una scala di valori, un modo di essere in un territorio che non li può sopportare. Nonostante le migliori intenzioni, tutti gli attori della vicenda ne escono indeboliti, consumati dal confronto. È questo il grande pregio di Ottieri: aver parlato di industria senza limitarsi ai, seppur gravi, problemi che la riguardano direttamente, ma consegnando ai lettori un messaggio di valore generale, mai tanto attuale come in questi tempi.