Divina Commedia Inferno Canto XXIV Parafrasi Unitre Arquata

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Divina Commedia Inferno Canto XXIV Parafrasi Unitre Arquata – Grondona 29 novembre 2017

Divina Commedia Inferno Canto XXIV Parafrasi Unitre Arquata – Grondona 29 novembre 2017

Inferno Canto XXIV In quella parte del giovanetto anno che ’l sole i crin

Inferno Canto XXIV In quella parte del giovanetto anno che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra e già le notti al mezzo dì sen vanno, 3 In quel periodo dell’anno nato da poco in cui il sole rende più caldi i suoi raggi trovandosi nella costellazione dell’Acquario e già le notti si avviano a durare dodici ore, quella parte del giovanetto anno : il periodo dell'anno appena nato in cui il sole scalda i suoi capelli-raggi (i crin) sotto il segno dell’Acquario, e le notti, con il gradua. Ie approssimarsi dell’equinozio di primavera si avviano a ridurre la loro durata alla metà delle 24 ore (al mezzo dì sen vanno), è — come tutti sanno — il cuore dell'nverno (20 gennaio-18 febbraio).

Inferno Canto XXIV quando la brina in su la terra assempra l’imagine di sua

Inferno Canto XXIV quando la brina in su la terra assempra l’imagine di sua sorella bianca, ma poco dura a la sua penna tempra, 6 quando la brina riproduce sulla terra l’aspetto della neve, ma la sua penna si spunta rapidamente, Assempra: “trascrive” – “copia” – (dal latino exemplare) ma poco dura a la sua penna tempra: ma la sua penna (con la quale ritrae l’immagine della neve) si stempera subito, per dire che il fitto tratteggio bianco della brina dura poco.

Inferno Canto XXIV lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda,

Inferno Canto XXIV lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda, e vede la campagna biancheggiar tutta; ond’ei si batte l’anca, 9 il povero contadino al quale mancano le provviste, si alza, e guarda, e vede tutta la campagna imbiancata, per cui si percuote il fianco, lo villanello a cui la roba manca, “il pastorello che non ha da mangiare per il gregge (e forse nemmeno per sé) ond’ei si batte l’anca: gesto che pratichiamo anche noi, per lo più ringhiando di rincalzo “porca miseria!” o simili

Inferno Canto XXIV ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l

Inferno Canto XXIV ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; poi riede, e la speranza ringavagna, 12 rientra in casa, e andando di qua e di là si lamenta, come il misero che non sa cosa fare: poi torna fuori, e recupera la speranza, come ’l tapin che non sa che si faccia: come un poveretto che non sa dove sbattere la testa riede: cioè torna (a guardar fuori) - ringavagna: “recupera” ma letteralmente “ rimette nella borsa” (nel toscano antioco gavagna vale “paniere” come ancora oggi qui da noi cavagna, a Milano cavagnol e a Pistoia gavagno.

Inferno Canto XXIV veggendo ’l mondo aver cangiata faccia in poco d’ora, e prende

Inferno Canto XXIV veggendo ’l mondo aver cangiata faccia in poco d’ora, e prende suo vincastro e fuor le pecorelle a pascer caccia. 15 vedendo che il mondo ha mutato aspetto In poco tempo, e prende il suo bastone, e spinge fuori le pecorelle al pascolo. aver cangiata faccia: “aver cambiato aspetto”, cioè colore, sparita la brina. vincastro: è il bastone di salice dei pastori

Inferno Canto XXIV Così mi fece sbigottir lo mastro quand’io li vidi sì turbar

Inferno Canto XXIV Così mi fece sbigottir lo mastro quand’io li vidi sì turbar la fronte, e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro; 18 Nello stesso modo Virgilio mi fece sbigottire quando lo vidi con aspetto così turbato, ed altrettanto rapidamente giunse la medicina al mio spavento, Mastro: è lo stesso che “maestro”. sì’ turbar la fronte: richiama il “ turbato un poco d’ira nel sembiante“ del canto precedsente; così tosto : “con la stessa rapidità (con cui in una mattina d’inverno il mondo “in poco d’ora” cambia aspetto), al mal giunse lo ’mpiastro: “alla malattia arrivò la medicina”, insomma, “al mio soccorso subentrò il sollievo”.

Inferno Canto XXIV ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me

Inferno Canto XXIV ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio dolce ch’io vidi prima a piè del monte. 21 poiché, non appena giungemmo al ponte franato, la mia guida si rivolse a me con quell’atteggiamento affettuoso che io avevo precedentemente veduto ai piedi del colle (vv. canto I, versi 13 e 77). al guasto ponte: “al ponte franato”, cioè “alle macerie del ponte”. con quel piglio/dolce : “ con quel tratto sereno” prima : vale “ la prima volta” , il primo canto

Inferno Canto XXIV Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima ben

Inferno Canto XXIV Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima ben la ruina, e diedemi di piglio. 24 Aprì le braccia, dopo aver preso dentro di sé una decisione e aver osservato prima attentamente la frana, e mi afferrò. In altri termini: “!dopo aver preso una decisione fra sé e sé, previo un attento esame del pendio franoso, mi abbraciò sollevandomi da terra

Inferno Canto XXIV RIME CARE E RIME EQUIVOCHE RIME CARE: la prima che incorpori

Inferno Canto XXIV RIME CARE E RIME EQUIVOCHE RIME CARE: la prima che incorpori una unica consonante appare soltanto al 23° verso: le precedenti ne incorporano due o tre, tipo “empre” “astro”. Tali rime erano dette al tempo di Dante RIME CARE RIME EQUIVOCHE: (Equi –vox ) Nei prmi 24 versi si riscontrano ben tre rime di questo tipo, rime cioè, fra parole uguali, ma di senso diverso: TEMPRA E FACCIA (verbi) con TEMPRA E FACCIA (sostantivi); PIGLIO (sostantivo) con PIGLIO (locuzione avverbiale) Preludio di METAMORFOSI

Inferno Canto XXIV E come quei ch’adopera ed estima, che sempre par che ’nnanzi

Inferno Canto XXIV E come quei ch’adopera ed estima, che sempre par che ’nnanzi si proveggia, così, levando me sù ver’ la cima 27 E come colui che mentre agisce valuta, tanto che sembra sempre predisporre la mossa successiva così pure Virgilio, sollevandomi verso la cima d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia dicendo: "Sovra quella poi t’aggrappa; ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia". 30 di una sporgenza di roccia, cercava subito un altro spunzzone e mi diceva: “Aggrappati poi sopra quella; ma prima tastala, per assicurarti che ti regga”! Non era via da vestito di cappa, ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, potavam sù montar di chiappa in chiappa. 33 Non era certo quella via adatta alla gente che indossa la cappa degli ipocriti, perché già noi, anche se lui leggero e io sospinto da lui, riuscimmo a salire a fatica di sporgenza in sporgenza;

Inferno Canto XXIV E se non fosse che da quel precinto più che da

Inferno Canto XXIV E se non fosse che da quel precinto più che da l’altro era la costa corta, non so di lui, ma io sarei ben vinto. 36 e se non fosse stato che su quell’argine (cioè l’argine interno della bolgia) la scarpata era più breve rispetto a quell’altro da cui eravamo scesi (a precipizio un cato fa), non so cosa avrebbe fatto Virgilio, ma io mi sarei dato di certo per vinto. Ma perché Malebolge inver’ la porta del bassissimo pozzo tutta pende, lo sito di ciascuna valle porta 39 Ma siccome Malebolge discende e pende tutta verso l’apertura del bassissimo pozzo centrale, la forma di ciascuna bolgia è fatta in modo che l’una costa surge e l’altra scende; noi pur venimmo al fine in su la punta onde l’ultima pietra si scoscende. 42 la sua riva esterna sia più alta e quella interna più bassa: continuando a salire, raggiungemmo infine il bordo della settima bolgia dove spiccava l’ultima pietra del ponte franato. La lena m’era del polmon sì munta quand’io fui sù, ch’i’ non potea più oltre, anzi m’assisi ne la prima giunta. 45 Il fiato a tal punto mi era stato spremuto fuori dai polmoni nel momento in cui raggiunsi la cima, che non potevo più andare avanti, anzi mi sedetti appena arrivato.

Inferno Canto XXIV "Omai convien che tu così ti spoltre", disse ’l maestro; "ché,

Inferno Canto XXIV "Omai convien che tu così ti spoltre", disse ’l maestro; "ché, seggendo in piuma, in fama non si vien, né sotto coltre; 48 "Ormai è necessario che tu con fatiche di questo genere ti tolga di dosso la pigrizia" disse Virgilio; “ poiché, adagiandosi sui cuscini, o sotto le coperte, non si raggiunge la fama; sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, qual fummo in aere e in acqua la schiuma. 51 senza la quale chi consuma la sua vita (senza ottenerla), non lascia nessuna orma, nessun segno di sé sulla terra, come il fumo che svanisce nell’aria e la schiuma nell’acqua. E però leva sù; vinci l’ambascia con l’animo che vince ogne battaglia, se col suo grave corpo non s’accascia. 54 Perciò tirati sù: vinci llo scoramento facendoti forza con quel tuo animo coraggioso che può vincere qualsiasi battaglia, se non si lascia abbattere dalla pesantezza del suo corpo.

Inferno Canto XXIV Più lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro

Inferno Canto XXIV Più lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro esser partito. Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia". 57 Occorre salire una scala più lunga (dal centro della terra alla vetta dei purgatorio); non è sufficiente che tu ti sia allontanato da questi dannati: se mi capisci, ora fa in modo che la mia esortazione ti sia d’aiuto. “ Leva’ mi allor, mostrandomi fornito meglio di lena ch’i’ non mi sentia, e dissi: "Va, ch’i’ son forte e ardito". 60 Allora mi alzai, mostrandomi provvisto di forze più di quanto io stesso me ne sentissi, e dissi: " Procedi, poiché sono forte e coraggioso ". Su per lo scoglio prendemmo la via, ch’era ronchioso, stretto e malagevole, ed erto più assai che quel di pria. 63 Ci incamminammo sul ponte (che varca la settima bolgia), il quale era irto di sporgenze, angusto e difficile da percorrere ed assai più ripido di quello precedente.

Inferno Canto XXIV Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de

Inferno Canto XXIV Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de l’altro fosso, a parole formar disconvenevole. 66 Procedevo parlando per non apparire stanco; per cui dall’altra bolgia usci una voce, incapace di articolare parole. Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso fossi de l’arco già che varca quivi; ma chi parlava ad ire parea mosso. 69 Non so che cosa disse, sebbene mi trovassi già sulla sommità del ponte che qui fa da valico: ma colui che parlava pareva spinto a camminare. Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; per ch’io: "Maestro, fa che tu arrivi 72 Io ero rivolto verso il basso, ma il mio sguardo, per quanto penetrante, non poteva arrivare fino al fondo (della bolgia) a causa dell’oscurità; perciò dissi: " Maestro, fa in modo di arrivare all’altro argine e scendiamo giù da questo ponte; poiché, come di qui odo senza comprendere, così vedo quello che c’è nel fondo senza distinguere nulla ". da l’altro cinghio e dismontiam lo muro; ché, com’i’ odo quinci e non intendo, così giù veggio e neente affiguro". 75

Inferno Canto XXIV "Altra risposta", disse, "non ti rendo se non lo far; ché

Inferno Canto XXIV "Altra risposta", disse, "non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta si de’ seguir con l’opera tacendo". 78 " Non ti do altra risposta se non il fare (ciò che tu chiedi) " disse; "poiché occorre soddisfare la richiesta giusta con i fatti, senza parlare. “ Noi discendemmo il ponte da la testa dove s’aggiugne con l’ottava ripa, e poi mi fu la bolgia manifesta: 81 Discendemmo per il ponte da quella estremità in cui esso si congiunge con l’argine ottavo, e poi la bolgia mi divenne visibile: e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena che la memoria il sangue ancor mi scipa. 84 e in essa vidi uno spaventoso ammasso di serpenti, e di così strano genere, che il ricordarmene mi guasta ancora il sangue.

Inferno Canto XXIV Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri,

Inferno Canto XXIV Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree produce, e cencri con anfisibena, 87 Più non si vanti la Libia con i suoi deserti, poiché se genera chelidri, iaculi e faree, e cencri con anfisibene, né tante pestilenzie né sì ree mostrò già mai con tutta l’Etïopia né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. 90 mai mise in mostra tanti animali velenosi né così nocivi insieme con tutta l’Etiopia, e con la terra (l’Arabia) che è delimitata dal Mar Rosso. Tra questa cruda e tristissima copia corrëan genti nude e spaventate, sanza sperar pertugio o elitropia: 93 In mezzo a questa feroce e terribile moltitudine correvano schiere nude e atterrite, senza speranza di trovare riparo o elitropia (pietra che si credeva guarisse dal morso dei serpenti e rendesse invisibili):

Inferno Canto XXIV con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le

Inferno Canto XXIV con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. 96 avevano le mani avvinte dietro la schiena con serpenti; questi spingevano la coda e la testa lungo i loro fianchi, e si attorcigliavano sul loro davanti. Ed ecco a un ch’era da nostra proda, s’avventò un serpente che ’l trafisse là dove ’l collo a le spalle s’annoda. 99 Ed ecco che contro uno che si trovava dalla parte del nostro argine, si scagliò un serpente che lo trafisse nel punto in cui il collo si congiunge alle spalle. Né O sì tosto mai né I si scrisse, com’el s’accese e arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse; 102 Non si scrisse mai tanto rapidamente né “o" né " i ", come quello prese fuoco e bruciò, e dovette, cadendo, diventare tutto quanto cenere; e dopo che fu così annientato a terra, la cenere si radunò insieme per virtù propria, e si trasformò di colpo nello stesso dannato di prima: e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa e ’n quel medesmo ritornò di butto. 105

Inferno Canto XXIV Così per li gran savi si confessa che la fenice more

Inferno Canto XXIV Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; 108 allo stesso modo i grandi sapienti affermano che la fenice muore e in un secondo tempo rinasce, allorché si avvicina al suo cinquecentesimo anno: ma sol d’incenso lagrime e d’amomo, e nardo e mirra son l’ultime fasce. 111 mentre è in vita non si ciba né di erbe né di biada, ma solo di stille d’incenso e di amomo (resina aromatica), e morendo si avvolge nel nardo e nella mirra. E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch’a terra il tira, o d’altra oppilazion che lega l’omo, 114 E quale è colui (l’epilettico) che cade, e non ne conosce il perché, a causa di un assalto di demoni che lo fa precipitare a terra, o di un altro impedimento che lo paralizza, quando si leva, che ’ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia ch’elli ha sofferta, e guardando sospira: 117 il quale, quando si rialza, si guarda attorno del tutto disorientato a causa del grande dolore che ha sofferto, e mentre guarda sospira, erba né biado in sua vita non pasce,

Inferno Canto XXIV tal era ’l peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant’è

Inferno Canto XXIV tal era ’l peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant’è severa, che cotai colpi per vendetta croscia! 120 tale era il peccatore quando si rialzò. Oh quanto è severa la potenza di Dio, la quale per punizione scaglia tali colpi! Lo duca il domandò poi chi ello era; per ch’ei rispuose: "Io piovvi di Toscana, poco tempo è, in questa gola fiera. 123 Virgilio gli chiese poi chi fosse; onde egli rispose: " Io precipitai dalla Toscana, poco tempo fa, in questa bolgia crudele. Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana". 126 Trovai di mio gradimento una vita da bestia, non da uomo, degna del bastardo che fui; sono Vanni Fucci, la bestia, e Pistoia fu il mio degno covo ". E ïo al duca: "Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giù ’l pinse; ch’io ’l vidi omo di sangue e di crucci". 129 E io a Virgilio: " Digli che non faccia il furbo, e chiedigli quale peccato lo spinse quaggiù; poiché io lo conobbi come uomo sanguinario e rissoso ".

Inferno Canto XXIV E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse, ma drizzò verso me

Inferno Canto XXIV E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse, ma drizzò verso me l’animo e ’l volto, e di trista vergogna si dipinse; 132 E il peccatore, che capì, non esitò, ma rivolse verso di me l’animo e lo sguardo, e arrossì di malvagia vergogna; poi disse: "Più mi duol che tu m’ hai colto poi disse: " Provo più dolore per il fatto che tu mi abbia sorpreso nella condizione ne la miseria dove tu mi vedi, miseranda nella quale mi vedi, di quello che quando fui de l’altra vita tolto. 135 provai morendo. Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch’io fui ladro a la sagrestia d’i belli arredi, 138 Non posso ricusarti quello che mi chiedi: sono collocato così in basso perché fui ladro nella sagrestia riccamente addobbata, e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor da’ luoghi bui, 141 e il furto fu allora ingiustamente attribuito ad altri. Ma affinché tu non gioisca per avermi veduto in questo stato, se mai uscirai dall’inferno,

Inferno Canto XXIV apri li orecchi al mio annunzio, e odi. presta attenzione alla

Inferno Canto XXIV apri li orecchi al mio annunzio, e odi. presta attenzione alla mia profezia, e ascolta: Pistoia dapprima si svuota dei Pistoia in pria d’i Neri si dimagra; Neri (scacciati nel 1301 dai Bianchi): in poi Fiorenza rinova gente e modi. 144 seguito Firenze cambia popolazione e forme di governo. (i Bianchi verranno banditi dopo l’entrata in città di Carlo di Valois, perché con il suo appoggio i Neri sostituiranno al potere il partito avversario) Tragge Marte vapor di Val di Magra ch’è di torbidi nuvoli involuto; e con tempesta impetüosa e agra 147 sovra Campo Picen fia combattuto; ond’ei repente spezzerà la nebbia, sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto. 150 Marte fa uscire dalla val di Magra un fulmine avviluppato in nuvole cupe; e con travolgente e aspra tempesta si combatterà a Campo Piceno; per cui esso vigorosamente dissiperà le nubi, in modo che ogni Bianco ne sarà colpito. E detto l’ ho perché doler ti debbia!". E ho detto ciò perché ti debba far male!”