Evidenza empirica a riguardo di due ipotesi evolutive

  • Slides: 17
Download presentation
Evidenza empirica a riguardo di due ipotesi evolutive per le specie che, allo stato

Evidenza empirica a riguardo di due ipotesi evolutive per le specie che, allo stato selvatico, mostrano un incremento della mortalità in funzione dell’età Giacinto Libertini (giacinto. libertini@tin. it) Versione ridotta e semplificata di un lavoro in fase di elaborazione [basato su uno spunto tratto da: Libertini, G. (2006) The. Scientific. World. JOURNAL 6, 1086 -1108 DOI 10. 1100/tsw. 2006. 209]

La curva di sopravvivenza di una specie allo stato selvatico, escludendo le prime fasi

La curva di sopravvivenza di una specie allo stato selvatico, escludendo le prime fasi della vita che hanno una maggiore mortalità, è descritta da una nota formula [1]: mt = m 0 + α tβ ovvero la mortalità al tempo t (mt) è pari alla mortalità iniziale (m 0) più un fattore di incremento esponenziale in funzioni dei parametri α e β. Molte specie mostrano allo stato selvatico un sensibile incremento della mortalità in funzione dell’età [2]. Tale incremento è stato descritto con il suo acronimo in inglese (IMICAW) [3] oppure con il termine “actuarial senescence in the wild” [4]. [1] Ricklefs, R. E. (1998) Am. Nat. 152, 24 -44. [2] Deevey, E. S. Jr. (1947) Q. Rev. Biol. 22, 283 -314; Laws, R. M. and Parker, I. S. C. (1968) Symp. Zool. Soc. Lond. 21, 319 -359; Spinage, C. A. (1970) J. Anim. Ecol. 39, 5178; Spinage, C. A. (1972) Ecology 53, 645 -652; Holmes, D. J. and Austad, S. N. (1995) J. Gerontol. A Biol. Sci. 50, B 59 -B 66; Ricklefs, R. E. (1998) Am. Nat. 152, 24 -44. [3] Libertini, G. (1988) J. Theor. Biol. 132, 145 -162. [4] Holmes, D. J. and Austad, S. N. (1995) J. Gerontol. A Biol. Sci. 50, B 59 -B 66.

La Fig. 1 -B mostra che per una specie con incremento della mortalità allo

La Fig. 1 -B mostra che per una specie con incremento della mortalità allo stato selvatico, la mortalità complessiva è la somma della mortalità iniziale (m 0), detta anche mortalità estrinseca (me), più la mortalità dovuta a fattori intrinseci (mi). La Fig. 1 -A mostra la curva di sopravvivenza della stessa specie (Curva 1) e una ipotetica curva di sopravvivenza (Curva 2) causata solo dall’azione della mortalità iniziale (m 0) o estrinseca (me). FIG. 1 – Una specie con incremento della mortalità allo stato selvatico

Per molte altre specie la regola è un trascurabile declino della fitness, vale a

Per molte altre specie la regola è un trascurabile declino della fitness, vale a dire un costante o quasi costante tasso di mortalità (Fig. 2), talora con un modesto incremento dovuto agli effetti cumulati dei danni da ferite, o, addirittura, in alcuni casi un lieve calo della mortalità [1]. Specie di questo secondo gruppo, se i sopravviventi raggiungono età molto avanzate, sono state definite “animals with negligible senescence” [2]. FIG. 2 - Una specie senza incremento della mortalità allo stato selvatico [1] Comfort, A. (1979) The Biology of senescence, 3 rd ed. Churchill Liv. , Edinburgh & London; Congdon, J. D. et al. (2003) Exp Gerontol 38(7): 765 -772. [2] Finch C. E. (1990) Longevity, Senescence, and the Genome, Univ. of Chicago Press, Chicago.

IL PROBLEMA: In termini evolutivi come si giustifica il fatto che, allo stato selvatico,

IL PROBLEMA: In termini evolutivi come si giustifica il fatto che, allo stato selvatico, molte specie mostrano un progressivo incremento della mortalità? Due sono le possibilità: 1) IPOTESI NON-ADATTATIVA 2) IPOTESI ADATTATIVA

PRIMA IPOTESI: L’incremento della mortalità non ha valore adattativo L’incremento della mortalità è causato

PRIMA IPOTESI: L’incremento della mortalità non ha valore adattativo L’incremento della mortalità è causato da vari fattori dannosi, non adattativi, che limitano la durata della vita. Ad esempio: - mutazioni dannose accumulate col passare delle generazioni [1] - geni ad effetti multipli (vantaggiosi in giovane età e dannosi successivamente) [2] - limitazioni fisiologiche / biochimiche / ambientali [3] [1] Medawar, P. B. (1952) An Unsolved Problem in Biology, H. K. Lewis, London; Hamilton, W. D. (1966) J. Theor. Biol. 12, 12 -45; Edney, E. B. and Gill, R. W. (1968) Nature 220, 281 -282; Mueller, L. D. (1987) Proc. Natl. Acad. Sci. USA 84, 1974 -1977; Partridge, L. and Barton, N. H. (1993) Nature 362, 305 -311. [2] Williams, G. C. (1957) Evolution 11, 398 -411; Rose, M. R. (1991) Evolutionary biology of aging, Oxford Univ. Press, New York. [3] Kirkwood, T. B. L. (1977) Nature 270, 301 -304; Kirkwood, T. B. L. and Holliday, R. (1979) Proc. R. Soc. Lond. B. Biol. Sci. 205, 531 -546.

Gli effetti di questi fattori dannosi sono bilanciati solo in parte dalla selezione per

Gli effetti di questi fattori dannosi sono bilanciati solo in parte dalla selezione per una maggiore durata della vita. FIG. 3 – Ipotesi non adattativa [a] è la selezione a favore di una maggiore durata della vita [b] sono i fattori dannosi limitanti la durata della vita [me] è la mortalità estrinseca o iniziale

SECONDA IPOTESI: L’incremento della mortalità ha un valore adattativo. Un incremento della mortalità è

SECONDA IPOTESI: L’incremento della mortalità ha un valore adattativo. Un incremento della mortalità è negativo in termini di selezione individuale. Ma, considerando meccanismi di selezione sopraindividuali (ad es. la kin selection), in certe condizioni l’incremento della mortalità ha un valore adattativo ed è favorito dalla selezione [1] Libertini, G. (1988) J. Theor. Biol. 132, 145 -162; Libertini, G. (2006) The. Scientific. World. JOURNAL 6, 1086 -1108 DOI 10. 1100/tsw. 2006. 209. FIG. 4 - Ipotesi adattativa [a] è la selezione a favore di una maggiore durata della vita [c] è il vantaggio ipotizzato in certe condizioni per giustificare la mortalità intrinseca [mi] [me] è la mortalità estrinseca o iniziale [b] rappresenta i fattori dannosi limitanti la durata della vita ed è considerato trascurabile

Non esporremo le teorie basate sulle anzidette ipotesi Descriveremo brevemente tre evidenze empiriche e

Non esporremo le teorie basate sulle anzidette ipotesi Descriveremo brevemente tre evidenze empiriche e valuteremo la loro compatibilità con le due ipotesi

PRIMA EVIDENZA EMPIRICA Trascurando il possibile modesto incremento della mortalità dovuto all’effetto dell’accumulo dei

PRIMA EVIDENZA EMPIRICA Trascurando il possibile modesto incremento della mortalità dovuto all’effetto dell’accumulo dei danni da ferite, molte specie allo stato selvatico non mostrano un incremento della mortalità, vale a dire la loro fitness è stabile ad ogni età [1]. L’ipotesi non-adattativa non predice l’esistenza di specie senza incremento della mortalità (“animals with negligible senescence”), in quanto i fattori che causano il declino della fitness sono considerati universali. Tali specie nei casi con maggiore longevità (ad es. : rockfish, storioni, tartarughe, molluschi bivalvi, aragoste, etc. [1]) rappresentano qualcosa di strano che suscita notevoli dubbi e difficoltà teoriche [2]. Per l’ipotesi adattativa non vi è alcun problema a spiegare il caso delle specie senza incremento della mortalità: in assenza delle condizioni che favoriscono una durata della vita più ridotta, una specie è predetta NON dover avere incremento della mortalità! [3] [1] Finch C. E. (1990) Longevity, Senescence, and the Genome, Univ. of Chicago Press. [2] Finch, C. E. and Austad, S. N. (2001) Exp. Gerontol. 36, 593 -597. [3] Libertini, G. (1988) J. Theor. Biol. 132, 145 -162; Libertini, G. (2006) The. Scientific. World. JOURNAL 6, 1086 -1108 DOI 10. 1100/tsw. 2006. 209.

SECONDA EVIDENZA EMPIRICA In una autorevole e documentata rassegna [1], le curve di sopravvivenza

SECONDA EVIDENZA EMPIRICA In una autorevole e documentata rassegna [1], le curve di sopravvivenza di molte specie di mammiferi e uccelli studiati allo stato selvatico mostrano: - una significativa (P<0. 01) correlazione positiva tra la mortalità estrinseca (m 0) e l’incremento della mortalità intrinseca (mi) (Fig. 5). FIG. 5 [1] Ricklefs, R. E. (1998) Am. Nat. 152, 24 -44.

- una significativa (P<0. 001) correlazione inversa tra la mortalità iniziale (m 0) e

- una significativa (P<0. 001) correlazione inversa tra la mortalità iniziale (m 0) e la proporzione di morti dovute alla mortalità intrinseca (Fig. 6), FIG. 6

- un significativa (P<. 001) correlazione inversa tra mortalità iniziale (m 0) e i

- un significativa (P<. 001) correlazione inversa tra mortalità iniziale (m 0) e i sopravvissuti all’età t* quando il totale incremento della mortalità intrinseca diventa maggiore di m 0 (Fig. 7). FIG. 7 N. B. : La correlazione è tratta dai dati di Ricklefs, ma non è evidenziata dall’A.

L’apparente contrasto tra le prime due correlazioni, una positiva e l’altra negativa, si spiega

L’apparente contrasto tra le prime due correlazioni, una positiva e l’altra negativa, si spiega con una attenta lettura della terza correlazione. In effetti, confrontando due curve di sopravvivenza assai differenti, la prima con piccola mortalità iniziale (Fig. 8 -A) e la seconda con forte mortalità iniziale (Fig. 8 -B), possiamo osservare che nel primo caso i sopravvissuti all’età t* sono circa l’ 85%, mentre nel secondo caso la mortalità cresce più rapidamente ma all’età t* non vi sono sopravvissuti. Pertanto, nel primo caso la durata media della vita è fortemente influenzata dall’incremento della mortalità mentre nel secondo caso la sua influenza è minima. FIG. 8 – A: Curva di sopravvivenza di Panthera leo. B: Curva di sopravvivenza di Parus major. Le linee verticali tratteggiate indicano il tempo t* quando mi diventa maggiore di m 0.

Per l’ipotesi adattativa, per determinate condizioni ecologiche vi è un valore ottimale della durata

Per l’ipotesi adattativa, per determinate condizioni ecologiche vi è un valore ottimale della durata media della vita che è il risultato dell’equilibrio tra la selezione per una maggiore durata della vita e gli effetti combinati della mortalità estrinseca e dei fattori che favoriscono una minore durata della vita. Considerando due specie con differenti mortalità estrinseche e lo stesso valore ottimale della durata della vita, nella specie con maggiore mortalità estrinseca la mortalità intrinseca dovrà avere una minore efficacia se si vuole avere lo stesso valore ottimale della durata della vita. Pertanto, l’ipotesi adattativa predice una relazione inversa tra mortalità estrinseca e riduzione della durata media della vita causata dalla mortalità intrinseca [1]. Per l’ipotesi non-adattativa, la previsione è che per le specie con maggiore mortalità estrinseca, la mortalità intrinseca e i suoi effetti debbono essere massimali, e viceversa [2]. Ciò è palesemente sconfessato dall’evidenza empirica, come esplicitamente dichiarato da Ricklefs per la seconda correlazione [3]. [1] Libertini, G. (1988) J. Theor. Biol. 132, 145 -162. [2] Kirkwood, T. B. L. and Austad, S. N. (2000) Nature 408, 233 -238. [3] Ricklefs, R. E. (1998) Am. Nat. 152, 24 -44.

TERZA EVIDENZA EMPIRICA Una grande mole di ricerche indica che il sistema telomero-telomerasi, geneticamente

TERZA EVIDENZA EMPIRICA Una grande mole di ricerche indica che il sistema telomero-telomerasi, geneticamente determinato e regolato, modula finemente le capacità di duplicazione delle cellule, portandole progressivamente all’esaurimento di tali capacità (replicative senescence) e ad un generale progressivo decadimento delle funzioni cellulari (cell senescence) [1]. Tale processo è reversibile: l’introduzione dell’enzima telomerasi nelle cellule somatiche le “immortalizza”, vale a dire le rende capaci di innumerevoli duplicazioni e ripristina tutte le funzioni cellulari [2]. L’ipotesi adattativa predice e richiede l’esistenza di meccanismi geneticamente determinati e regolati causanti l’incremento della mortalità. Pertanto i suddetti meccanismi non solo sono compatibili con l’ipotesi adattativa ma sono addirittura indispensabili per l’ammissibilità di tale ipotesi. Al contrario l’ipotesi non-adattativa non predice l’esistenza di tali meccanismi. La loro esistenza potrebbe essere compatibile con l’ipotesi non-adattativa solo se una funzione adattativa li giustificasse in modo plausibile. [1] Shay J. W. and Wright W. E. (2000) Nat. Rev. Mol. Cell. Biol. 1(1): 72 -78; Fossel, M. B. (2004) Cells, Aging and Human Disease, Oxford Univ. Press, USA [2] Bodnar, A. G. , et al. (1998) Science 279, 349 -352.

Un possibile scopo per la replicative senescence e per la cell senescence è quella

Un possibile scopo per la replicative senescence e per la cell senescence è quella di una difesa generale contro i tumori maligni [1] in una sorta di scambio tra invecchiamento e lotta contro il cancro [2]. Ma questa ipotesi non giustifica le grandi differenze tra specie e specie nei limiti alla duplicazione a meno che il rischio di tumori maligni non è postulato come variabile da specie in correlazione con i limiti imposti alle cellule dalla modulazione del sistema telomero-telomerasi. Come esempi estremi: due “animals with negligible senescence”, hanno allo stato selvatico eguali livelli di attività dell’enzima telomerasi in individui di ogni età cronologica [3] e crescenti problemi di carcinogenesi alle maggiori età non sono plausibili giacché, per definizione, i loro tassi di mortalità non variano con l’età. [1] Campisi, J. (1997) Eur. J. Cancer 33(5): 703 -709; Wright W. E. and Shay J. W. (2005) J. Am. Geriatr. Soc. 53(9 Suppl): S 292 -294. [2] Campisi, J. (2000) In Vivo 14(1): 183 -8. [3] Klapper, W. et al. (1998) FEBS Letters 434, 409 -412; Klapper, W. et al. (1998). FEBS Letters 439, 143 -146. CONCLUSIONE: Solo l’ipotesi adattativa supera il giudizio dell’evidenza empirica, il solo vero giudice nel metodo scientifico a partire dai tempi di Bacone e Galilei