LE PAROLE CHIAVE MEDIOEVO E FEUDALESIMO MEDIOEVO LATINO

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LE PAROLE CHIAVE: MEDIOEVO E FEUDALESIMO; MEDIOEVO LATINO E LETTERATURE ROMANZE • La parola

LE PAROLE CHIAVE: MEDIOEVO E FEUDALESIMO; MEDIOEVO LATINO E LETTERATURE ROMANZE • La parola “Medioevo” significa “età di mezzo”. Fu usata dalla cultura umanistica dei secoli XV e XVI, che voleva ricollegarsi direttamente al mondo classico dell’antichità greco-romana scavalcando idealmente l’”età di mezzo”. Quest’ultima era dunque rappresentata dai secoli intercorsi fra la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476) e la nascita della nuova cultura umanistica del Quattrocento e del Cinquecento. La valutazione storica di questo lungo periodo era sostanzialmente negativa: il Medioevo era considerato un’età buia, di tenebre. • Il giudizio attuale sul Medioevo non è più così negativo: è vero che nel Medioevo entra in crisi un vecchio mondo, ma è altrettanto vero che ne nasce uno nuovo, che pone le premesse dell’Europa moderna. Al giorno d’oggi si individua una netta distinzione fra Alto Medioevo (i secoli fino al Mille, in cui predominano i segni della crisi economica e culturale) e Basso Medioevo (i secoli dopo il Mille, quando il panorama cambia sensibilmente con la ripresa dello sviluppo economico e demografico, con la rinascita delle città, con la diffusione dell’economia monetaria, dei commerci, degli scambi culturali, con il primo avvio di un artigianato preindustriale).

 • Gli inizi del Medioevo furono segnati dal crollo dell’Impero romano e dalle

• Gli inizi del Medioevo furono segnati dal crollo dell’Impero romano e dalle invasioni barbariche, vere e proprie migrazioni di popoli dal nord verso il sud e da est verso ovest. Nella mescolanza di popoli e culture e nella frantumazione che ne derivò, per vari secoli in Europa l’unico cemento ideale fu il Cristianesimo e l’unica organizzazione unitaria fu rappresentata dalla Chiesa. • Il fattore caratterizzante del Medioevo fu il feudalesimo. La parola “feudalesimo” (dal latino feudum, che riprendeva la radice germanica feh = “bestiame”) indicava originariamente le ricchezze (bestiame e terre) che venivano date in beneficio da un signore a chi gli prestava servizi di ordine economico o militare. All’inizio il beneficio era temporaneo: alla morte del beneficiario, bestiame e terre tornavano al signore; poi divenne ereditario. • Anche per la storia del feudalesimo si può parlare di due fasi diverse. Questo sistema economico, sociale e politico, basato sulla supremazia della nobiltà terriera, si afferma e si consolida, incontrastato, nel corso dell’Alto Medioevo. Nel Basso Medioevo, il feudalesimo deve invece convivere con tendenze diverse e opposte, di tipo borghese, fondate cioè sulla produzione di merci e sul commercio, che progressivamente, attraverso i secoli, porteranno al suo superamento (ma questo avverrà in modo decisivo solo alla fine del Settecento o all’inizio dell’Ottocento).

 • Il sistema economico è dunque basato quasi esclusivamente sull’agricoltura e sull’allevamento del

• Il sistema economico è dunque basato quasi esclusivamente sull’agricoltura e sull’allevamento del bestiame, mentre quello sociale è fondato sul rapporto personale di dipendenza e di subordinazione che vincola il “vassallo”, che riceve il beneficio, al signore che glielo concede. A sua volta il vassallo tende ad imporre lo stesso rapporto ai suoi dipendenti (“valvassori”) in cambio di altri benefici, e così via, sino a creare una piramide sociale estremamente rigida. • La società risulta suddivisa in tre ordini: gli oratores (coloro che pregano, cioè il clero), i bellatores (coloro che combattono, cioè i guerrieri) ed i laboratores (coloro che sono addetti ai lavori manuali, cioè soprattutto i contadini). [TEORIA DEI TRE ORDINI DI ADALBERONE DI LAON] I primi due sono gli ordini LAON dominanti, anche se al loro interno sono poi suddivisi in rigide gerarchie, mentre il terzo ordine deve solo lavorare ed obbedire.

 • Altro concetto importante per la nostra trattazione è quello di “Medioevo latino”,

• Altro concetto importante per la nostra trattazione è quello di “Medioevo latino”, che indica la cultura medievale in latino, di argomento classico o cristiano. Il latino è l’unica lingua scritta durante l’Alto Medioevo. In questo periodo, la lingua parlata derivante dal latino si era progressivamente imbastardita fondendosi con apporti provenienti dalle varie lingue dei popoli germanici che avevano invaso l’Italia, la Gallia, la penisola iberica. Così la distanza fra lingua parlata e latino scritto era diventata sempre più grande. Le varie lingue parlate vengono chiamate “volgari” (da vulgus = “popolo”), in quanto usate dal popolo. Per diversi secoli la cultura in volgare è dunque una cultura esclusivamente orale. Solo nel Basso Medioevo, le varie lingue parlate o volgari derivanti dal latino diventano lingue scritte, dando vita alle diverse letterature nazionali e quindi annullando, almeno in buona misura, il divario fra lingua scritta e lingua parlata. Tuttavia il latino continuerà a restare come lingua dei dotti, e non solo come lingua della filosofia, della teologia, della scienza, ma anche come lingua letteraria. • Le varie lingue nazionali (o “volgari”) derivanti dal latino sono chiamate “romanze”. L’aggettivo “romanzo” deriva dall’avverbio latino romanice, usato nell’espressione romanice loqui, che significa “parlare alla maniera dei cittadini che in origine erano romani”. Dunque, coloro che abitavano la Romània (cioè l’area geografica dominata da Roma) non parlavano più il latino, ma il “romanico” o il “romanzo”, cioè lingue derivate dal latino (si chiamano infatti anche neolatine), ma ormai molto diverse sia dal latino classico dell’antichità sia dal latino scritto medievale.

I CENTRI DELLA PRODUZIONE CULTURALE, GLI INTELLETTUALI, LA SCRITTURA • Il tessuto culturale del

I CENTRI DELLA PRODUZIONE CULTURALE, GLI INTELLETTUALI, LA SCRITTURA • Il tessuto culturale del mondo latino viene distrutto dalle invasioni barbariche del secolo V. Fino al tentativo di Carlo Magno di restaurare l’Impero (800 d. C. ), si assiste al degrado della lingua latina scritta che si contamina con le varie parlate locali, imbastardendosi. La scomparsa delle scuole pubbliche favorisce tale processo di degradazione. In questi secoli, l’unica forza organizzativa, sul piano culturale, è quella della Chiesa, che riesce a mantenere scuole episcopali presso le cattedrali o nella dimora dei vescovi, mentre nei monasteri ferve l’attività degli amanuensi che copiano e tramandano gli scritti dell’antichità latina e della cristianità. Anche se alcune strutture culturali e civili sono presenti in qualche città (Roma, Pavia, Ravenna, in parte Verona), si può dire che, in questo periodo, il ceto intellettuale coincide quasi completamente con il clero. • Una certa rinascita culturale la si ha soltanto ai tempi di Carlo Magno ( rinascita carolingia), carolingia quando la sede dell’Impero ad Aquisgrana diventa anche quella della Schola Palatina, Palatina che promuove, sotto la direzione del monaco anglosassone Alcuino, una ripresa degli studi classici ed un ritorno alla purezza della lingua latina. Successivamente tentativi analoghi di riprendere e continuare la grandezza e lo splendore dell’Impero romano e della cultura latina furono promossi dall’imperatore Ottone III (rinascita ottoniana) ottoniana , con l’aiuto del monaco Gerberto d’Aurillac, diventato poi papa col nome di Silvestro II, e poi, nel secolo XII, questa volta su un piano esclusivamente culturale e non anche politico, dalla scuola di Chartres in Francia e da vari altri centri, sempre francesi.

 • In tutto l’Alto Medioevo, fino al XII secolo, la cultura largamente prevalente

• In tutto l’Alto Medioevo, fino al XII secolo, la cultura largamente prevalente fu quella orale. La dissoluzione del sistema scolastico pubblico e la limitazione dell’insegnamento alla formazione del clero da parte della Chiesa, la scomparsa di un pubblico letterario, la scarsa urbanizzazione, l’accentramento di ogni attività culturale intorno alle sedi episcopali, nei monasteri e nel palazzo imperiale (e in misura molto minore presso i castelli di alcuni signori feudali) riducevano la opportunità stessa degli scambi culturali e anche le occasioni di incontro e di esperienze. Fuori da questi luoghi, scarse erano le possibilità di comunicazione della stessa cultura orale (solo: feste religiose e fiere, dove la folla si riuniva intorno alla figura del giullare). giullare • I giullari (dal latino ioculares = buffoni) all’inizio erano soprattutto buffoni, ciarlatani, saltimbanchi, mimi, ballerini, giocolieri, attori, suonatori, che intrattenevano il pubblico girovagando di paese in paese e di corte in corte. Per i loro scherzi, a volte volgari e osceni, erano malvisti dalla Chiesa, che vedeva in loro dei continuatori delle tradizioni pagane. Con il passare del tempo, il giullare si specializzerà nel cantare e recitare testi poetici. A partire dal secolo XII i giullari non solo recitavano opere di poesia scritte da altri, ma, in alcuni casi, soprattutto in Francia, cominciavano a comporle essi stessi in volgare, raggiungendo un notevole prestigio culturale. Erano dunque delle figure laiche di intellettuali, singolari eccezioni in un’epoca in cui il ceto intellettuale coincideva con quello religioso.

 • Un’altra eccezione era rappresentata, ma siamo già dopo il Mille, dai clerici

• Un’altra eccezione era rappresentata, ma siamo già dopo il Mille, dai clerici vagantes, vagantes studenti che passavano da una sede universitaria ad un’altra e improvvisavano e talora ponevano anche per scritto i loro canti profani. I giullari ed i clerici vagantes avevano un ruolo particolare soprattutto nelle feste di Carnevale in cui incoraggiavano il popolo ad esprimere, attraverso la parodia, il rovesciamento dei valori correnti, della serietà e autorità del potere politico e religioso e delle sue leggi. • Nell’Alto Medioevo si scrive poco e secondo criteri non unitari né stabili. Anche gli esponenti più alti del potere politico sanno quasi sempre leggere, ma quasi mai scrivere: lo stesso Carlo Magno sapeva solo, sembra, mettere la propria firma. La scrittura era praticata quasi esclusivamente dal clero e si esercitava soprattutto negli scriptoria (sale di scrittura) dei conventi e dei monasteri, dove gli amanuensi copiavano sui codici i documenti del passato o del presente. • Il libro (o codice) era un oggetto raro e prezioso, e infatti veniva considerato un tesoro. Anche le biblioteche più fornite dei maggiori monasteri non andavano oltre qualche centinaio di esemplari. La lettura veniva fatta ad alta voce (anche quando era solitaria) e solo nel secolo XII comincia a diffondersi quella silenziosa. La scrittura non separa le parole fra loro e, anche dopo la diffusione della minuscola carolina (più leggibile e stabile, in coerenza con i programmi di rinnovamento voluti da Carlo Magno), non è di facile decifrazione. Solo con il passaggio alla scrittura gotica (secolo XIII) si afferma la separazione fra le parole e la decifrazione diviene più agevole.

CENNI DI LINGUISTICA DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE • Se c’è una cosa veramente

CENNI DI LINGUISTICA DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE • Se c’è una cosa veramente difficile da stabilire con precisione è quando e come nasce una lingua: lingua perché parliamo e scriviamo in italiano? Come mai il latino, che è madre comune delle lingue romanze, ha generato l’italiano, il francese, il rumeno, lo spagnolo e via dicendo, lingue tutte così diverse tra loro? • Qualsiasi lingua non nasce in un preciso momento, momento ma è il frutto di un lento processo secolare che tiene conto di fattori storici, linguistici e culturali. Così è avvenuto nel passaggio dal latino alle lingue romanze e poi al volgare italiano, un lungo percorso che ha le sue radici nella tendenza sempre più marcata alla semplificazione. • Una precisazione è d’obbligo: di latino non ce n’era uno solo Una cosa era il latino “colto”, un’altra quello “popolare”, popolare proprio della lingua d’uso. Tra i due registri linguistici esistono varie divergenze, tuttavia non si tratta di due lingue diverse, ma di due aspetti della stessa lingua.

LATINO CLASSICO E LATINO VOLGARE • Alla base delle lingue romanze non sta il

LATINO CLASSICO E LATINO VOLGARE • Alla base delle lingue romanze non sta il latino classico, classico ossia il latino usato dagli scrittori con finalità colte e rimasto pressoché immutato nei secoli, anche in seguito all’azione conservatrice operata dalla scuola e dalla Chiesa, bensì quello volgare più popolare, popolare utilizzato nella vita quotidiana e soggetto pertanto ad una continua evoluzione, anche per il progressivo ampliamento degli orizzonti del mondo romano. • Con il disgregarsi della società imperiale e con la conseguente crisi sociale che ne derivò, la scuola divenne di fatto incapace di assicurare il mantenimento della norma classica: il latino volgare (il cosiddetto “sermo vulgaris”), vulgaris meno sorvegliato e più aperto a innovazioni espressive, si andò dunque sviluppando affiancando la lingua classica, riservata alle classi più colte e ponendosi così come una sorta di anello intermedio tra il latino classico e le lingue neolatine

 • Al lessico del latino volgare, volgare più semplice e rispondente a necessità

• Al lessico del latino volgare, volgare più semplice e rispondente a necessità concrete della vita quotidiana, la nostra lingua ha attinto una gran parte di vocaboli, soprattutto quelli di uso più comune, comune mentre le parole di registro più colto o attinenti i linguaggi tecnici e settoriali derivano quasi sempre dal lessico classico (e costituiscono i cosiddetti “latinismi”). • Nei seguenti esempi si può notare come alcune parole derivino direttamente dal latino classico (e sono quelle di registro più colto), altre dal latino volgare ( e sono quelle di uso più comune): • dal latino classico domus (= la casa) →→ domestico, domicilio • dal latino volgare casa (= la casa) →→ casa • dal latino classico equus (= il cavallo) →→ equino, equestre, equitazione • dal latino volgare caballus (= il cavallo) →→ cavallo • dal latino classico ignis (= il fuoco) →→ igneo, ignifugo • dal latino volgare focus (= il fuoco) →→ fuoco

DAL LATINO ALL’ITALIANO • All’interno delle lingue romanze, l’italiano è una delle lingue che

DAL LATINO ALL’ITALIANO • All’interno delle lingue romanze, l’italiano è una delle lingue che maggiormente si richiamano al modello latino, latino tanto che alcune parole presentano lo stesso suono in entrambe le lingue (ad esempio mare, dea, rosa, luna, bene, male. . . ). I fenomeni che caratterizzarono il passaggio dal latino volgare all’italiano furono molteplici; di seguito vengono descritti soltanto i mutamenti più significativi, ovvero quelli che riguardano: – la fonologia (dal greco foné = “suono” e lògos = “studio”), ovvero la parte della grammatica che studia i fonemi, cioè i suoni di una lingua; – la morfologia (dal greco morphé = “forma” e lògos = “studio”), ovvero la parte della grammatica che studia le parole in quanto parti di un discorso, classificandole (articolo, sostantivo, aggettivo, pronome, verbo, avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione) e descrivendone le forme (genere, numero, modo, tempo. . . ); – la sintassi (dal greco sun = “con” e tàxis = “ordine”), ovvero la parte della grammatica che studia la combinazione delle parole nel discorso, le loro diverse funzioni nella frase semplice e nel periodo; – la lessicologia (dal greco lèxis = “parola”), ovvero la parte della grammatica che studia l’insieme delle parole di una lingua, analizzandone la formazione, i raggruppamenti per aree di significato, i valori espressivi.

 • MUTAMENTI FONETICI: Nel latino classico la pronuncia delle vocali (a, e, i,

• MUTAMENTI FONETICI: Nel latino classico la pronuncia delle vocali (a, e, i, o, u) si differenziava per la durata (o “quantità”) lunga o breve: le vocali lunghe erano pronunciate con un tempo doppio rispetto a quelle brevi (a lunga = aa; a breve = a). La differenza di durata consentiva di distinguere parole omografe: ad esempio, la parola liber con la ī significa “libero”, mentre con la ĭ significa “libro”. Già nel latino volgare, alla quantità delle vocali si sostituì il timbro, per cui le vocali brevi furono in genere pronunciate aperte (dènte da dĕntem), le lunghe chiuse (stélla da stēlla). Inoltre, nel passaggio dal latino all’italiano, le vocali atone (ossia che si trovavano in sillabe non accentate) caddero, come ad esempio in: calidum → caldo alterum → altro mentre i dittonghi latini ae – oe –au scomparvero o si ridussero a semplici vocali. Ad esempio: rosae → rose poenam → pena aurum → oro

 • MUTAMENTI MORFOLOGICI: Il latino è una lingua flessiva, ossia determina la funzione

• MUTAMENTI MORFOLOGICI: Il latino è una lingua flessiva, ossia determina la funzione della parola nella frase mediante apposite desinenze che variano a seconda della funzione che si vuole esprimere: ogni sostantivo, aggettivo e pronome muta dunque desinenza a seconda del “caso”, ossia della funzione logica svolta nella frase. Per quanto riguarda la morfologia nominale e pronominale, in italiano invece la funzione della parola all’interno della proposizione è espressa mediante preposizioni che lasciano inalterata la parola stessa. Di conseguenza, in latino l’ordine delle parole nella frase è libero; in italiano, invece, diventa essenziale a far capire il ruolo sintattico. La progressiva scomparsa delle declinazioni si nota già nel latino volgare: gradualmente le funzioni espresse dai casi vengono interpretate mediante il ricorso all’uso di preposizioni e all’ordine fisso delle parole. Altri aspetti significativi sul piano delle differenze morfologiche sono: • la scomparsa del neutro, un genere che in latino designava le realtà inanimate. Nel passaggio dal latino all’italiano, i sostantivi di genere neutro sono diventati per lo più di genere maschile. Ad esempio: mare, is → il mare animal, animalis → l’animale

 • la formazione dell’articolo determinativo e indeterminativo, assenti in latino. Dall’aggettivo dimostrativo ille,

• la formazione dell’articolo determinativo e indeterminativo, assenti in latino. Dall’aggettivo dimostrativo ille, illa, illud (quello, quella) deriva il nostro articolo determinativo “il, la”: progressivamente il pronome dimostrativo perse la sua funzione indicativa (quello, quella) per assumere un valore più vicino a quello dell’articolo determinativo italiano. Dall’aggettivo numerale latino unus, una, unum (uno, uno solo) deriva invece l’articolo indeterminativo “un, uno, una”: ille lupus → il lupo unus lupus → un lupo illa rosa → la rosa una rosa → una rosa • una diversa formazione della forma passiva del verbo. In latino la forma passiva del verbo era sintetica, cioè costituita dall’unione del tema verbale con le desinenze proprie del passivo (laud–or = io sono lodato, laud–aris = tu sei lodato, laud-atur = egli è lodato). In italiano, invece, la forma del passivo è perifrastica, cioè formata da più parole, unendo il participio passato del verbo con le voci dell’ausiliare “essere” (laudatus sum = io sono lodato; laudatus es = tu sei lodato; laudatus est = egli è lodato).

 • DIFFERENZE LESSICALI: Il latino costituisce la base più ampia dei vocaboli della

• DIFFERENZE LESSICALI: Il latino costituisce la base più ampia dei vocaboli della nostra lingua: è stato calcolato che il lessico italiano è rappresentato per circa tre quarti da parole derivanti dal latino. Il passaggio dal latino all’italiano è avvenuto principalmente attraverso due linee: quella della tradizione ininterrotta e popolare del latino volgare, con il suo lessico concreto e specifico, e quella interrotta e dotta, che ha recuperato dal latino classico alcune parole che si erano perdute o avevano cambiato il loro significato e le ha adattate all’italiano, spesso modificandone l’aspetto fonetico o il senso originario. Questa situazione ha comportato la presenza in italiano di numerosi doppioni: uno di registro più popolare, l’altro di tono più elevato. Spesso, infatti, da una stessa radice latina abbiamo esiti diversi: da plebem derivano sia “pieve” (tradizione popolare) che “plebe” (tradizione dotta). Spesso, nel passaggio dal latino all’italiano, il significato delle parole resta invariato (rosa = la rosa; stella = la stella; amicitia = l’amicizia); altre volte invece vi è un cambiamento di significato dalla parola latina a quella italiana. E’ questo il caso dell’aggettivo captivus (“prigioniero”), che è passato ad indicare in italiano “scellerato, malvagio, cattivo”, perché i cristiani definivano captivus diaboli (“prigioniero del diavolo”) chi si macchiava di gravi colpe.

 • MUTAMENTI SINTATTICI: Dal punto di vista della sintassi del periodo, il latino

• MUTAMENTI SINTATTICI: Dal punto di vista della sintassi del periodo, il latino classico predilige la subordinazione (o ipotassi), per cui da una proposizione indipendente (o principale) dipendono varie subordinate che ne chiariscono e ne ampliano il senso. Nel passaggio dal latino classico a quello volgare e poi alle lingue romanze, la struttura del periodo tende a semplificarsi e la coordinazione ( o paratassi) prevale sulla subordinazione.

DAL VOLGARE ALL’ITALIANO • A differenza dell’italiano, una lingua sostanzialmente “pacifica”, il cui prestigio

DAL VOLGARE ALL’ITALIANO • A differenza dell’italiano, una lingua sostanzialmente “pacifica”, il cui prestigio è stato nel tempo solo letterario e mai politico, il latino è stato invece una lingua “aggressiva”, imposta ai popoli con la forza della dominazione. L’unica lingua straniera che i Romani rispettarono e fecero propria fu il greco, mentre le altre lingue, ritenute barbare, finirono per essere spodestate dal latino, con il quale in parte si fusero. • Tuttavia, già a partire dall’età tardo-imperiale (III-IV secolo d. C. ), all’interno del latino si vengono a determinare: –un processo di differenziazione linguistica, linguistica per cui la lingua parlata in una certa regione dell’Impero non è la stessa di altre regioni; –una frattura tra lingua scritta e lingua parlata, parlata in seguito alla quale il latino scritto tende a cristallizzarsi ed a mantenere il suo ruolo di lingua colta, mentre il latino volgare ha un’evoluzione diacronica dalla quale nascono, nell’arco di quattro-cinque secoli, le lingue romanze, dette anche “volgari”, trasformazioni di un particolare registro stilistico del latino in realtà linguisticamente autonome. • Tra il V e l’VIII secolo le invasioni dei Goti, dei Longobardi e dei Franchi lasciano nel lessico tracce del loro passaggio: passaggio così il germanico werra (mischia) scalza il classico bellum. Si entra in un’epoca “buia”: l’uso della scrittura si perde e il lessico diventa minimo ed estremamente concreto. Il linguaggio si fa poverissimo, si imbastardisce, diventando così grossolano e disadorno da sembrare addirittura infantile.

 • Continua intanto il processo di differenziazione linguistica che porterà, nello stesso arco

• Continua intanto il processo di differenziazione linguistica che porterà, nello stesso arco di tempo, alla formazione delle lingue romanze, romanze in particolare: –nell’area iberica: castigliano (spagnolo), portoghese, catalano; –nell’area francese: provenzale (lingua d’oc) e francese (lingua d’oil); –nell’area italiana: vari dialetti, tra cui sarà destinato ad emergere il toscano. • La nuova realtà linguistica appare con chiarezza con la rinascita degli studi voluta da Carlo Magno: Magno al Concilio di Tours (813) è evidente la necessità di tradurre le prediche in francese ed in tedesco perché siano comprese dal pubblico. Sempre in Francia, pochi anni dopo, si giunge al primo documento in volgare romanzo, romanzo il cosiddetto giuramento di Strasburgo, pronunciato il 14 febbraio 842 per sancire l’alleanza tra gli eserciti di Ludovico il Germanico e di Carlo il Calvo. I due erano figli di Ludovico il Pio, successore di Carlo Magno e con questo patto rafforzavano l’alleanza contro il terzo fratello, Lotario. Il giuramento venne redatto in volgare francese (“romana lingua”) ed in tedesco perché fosse compreso dai rispettivi eserciti.