KANT Critica del Giudizio Prof Michele de Pasquale

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KANT (Critica del Giudizio) Prof. Michele de Pasquale

KANT (Critica del Giudizio) Prof. Michele de Pasquale

con la Critica della Ragion Pura e della Ragion Pratica si sono profilati due

con la Critica della Ragion Pura e della Ragion Pratica si sono profilati due mondi contrapposti: il mondo conoscitivo regolato secondo leggi fisiche necessitanti e limitate al piano fenomenico l'uomo, in quanto attività teoretica, conosce il mondo materiale come l'insieme di una serie di fenomeni particolari necessariamente concatenati secondo il rigido meccanismo della legge di causalità; in esso non scorge alcun principio intelligente e spontaneo operante finalisticamente il mondo morale fondato sul postulato della libertà e capace di cogliere l’essenza noumenica dell'io l’uomo, in quanto attività morale, coglie in se stesso la presenza di un'essenza metafisica, noumenica, di una libera attività razionale istituente autonomamente la legge morale

con la Critica del Giudizio, Kant vuole verificare se c'è nella natura umana oltre

con la Critica del Giudizio, Kant vuole verificare se c'è nella natura umana oltre all'intelletto (facoltà su cui si fonda l'attività conoscitiva) ed alla ragione (facoltà su cui si fonda l'attività pratica), un'altra facoltà rispondente all'esigenza di stabilire un accordo fra libertà e necessità, tra mondo fenomenico e mondo noumenico l'uomo avverte questa esigenza perché si accorge di non poter espletare completamente il compito morale secondo libertà in un mondo che l'attività conoscitiva ci presenta come tutto racchiuso nei ferrei meccanismi della necessità: egli sente il "bisogno" di concepire la natura in accordo con la sua libertà, organizzata cioè in modo da favorire e non ostacolare questa libertà

restando acquisito che la conoscenza scientifica della natura è possibile soltanto facendo ricorso ai

restando acquisito che la conoscenza scientifica della natura è possibile soltanto facendo ricorso ai giudizi sintetici a priori dell'intelletto, è riscontrabile nella natura umana una "facoltà" che, facendo leva sulla struttura soggettiva della mente e non sulla natura organizzata secondo leggi fisiche, possa concepire la natura come realtà ordinata in vista di un fine, cioè come realtà organizzata ad opera di un principio spirituale interno spontaneo e tendente ad una finalità superiore al semplice meccanismo causalistico? e se c'è, qual è e come funziona?

“ Tutte le facoltà o capacità dell'anima possono essere ricondotte a queste tre, che

“ Tutte le facoltà o capacità dell'anima possono essere ricondotte a queste tre, che non si lasciano a loro volta derivare da un fondamento comune: la facoltà di conoscere, il sentimento del piacere e del dispiacere, e la facoltà di desiderare. ” (Kant, Critica del giudizio, Introduzione) tra la "facoltà del conoscere" oggetto di analisi da parte della Critica della ragion pura e la "facoltà del desiderio" esaminata dalla Critica della ragion pratica, Kant colloca il " sentimento del piacere e del dispiacere" cui corrisponde la "facoltà del giudicare“ la Critica del giudizio intende procedere all'esame di questa "facoltà del giudicare", che fonda il "sentimento del piacere e del dispiacere"

Kant riconosce l'esistenza di una terza "facoltà spirituale", oltre a quella conoscitiva ed a

Kant riconosce l'esistenza di una terza "facoltà spirituale", oltre a quella conoscitiva ed a quella morale, e la situa in posizione mediana tra di esse il "sentimento" è la facoltà che può operare l'accordo tra natura fisica e libertà umana come funziona questa facoltà? di quale giudizio può fare uso? “ Il giudizio in generale è la facoltà di pensare il particolare come contenuto nell'universale (la regola, il principio, la legge); il giudizio che opera la sussunzione del particolare (anche se esso, in quanto giudizio trascendentale, fornisce a priori le condizioni secondo le quali soltanto può avvenire la sussunzione a quell'universale), è determinante. Se è dato, invece, soltanto il particolare ed il giudizio deve trovare l'universale, esso è semplicemente riflettente. ”

giudizio determinante: l’universale (forme a priori) incapsula il particolare l'universale, rappresentato dalle categorie dell'intelletto,

giudizio determinante: l’universale (forme a priori) incapsula il particolare l'universale, rappresentato dalle categorie dell'intelletto, è già dato: la "sussunzione" dei vari oggetti della esperienza sensibile a quell'universale determina la realtà fisica, costituisce la serie degli eventi naturali organizzati secondo le categorie intellettuali (si tratta dei giudizi scientifici studiati nella prima Critica) giudizio riflettente: si ricerca l’universale (principio della finalità della natura) a partire dal particolare l'universale non è dato, ma è da trovare: il sentimento si trova davanti gli oggetti già organizzati secondo le forme dell'intelletto e riflette su di essi per cercare un universale che li possa comprendere tutti; universale che nel caso specifico è rappresentato dal fine

col giudizio riflettente grazie al sentimento, il soggetto guarda alla natura considerandola come se

col giudizio riflettente grazie al sentimento, il soggetto guarda alla natura considerandola come se fosse organizzata in vista di una finalità: il sentimento non impone il principio della finalità alla natura, ma soltanto a se stesso in virtù di questo principio "soggettivo" l'uomo sente la natura come spontanea tensione verso una finalità e vive il suo rapporto con essa secondo armonia, sente la sua libertà in accordo con la natura “ Questo principio trascendentale il giudizio riflettente può darselo soltanto esso stesso come legge, non derivarlo da altro; né può prescriverlo alla natura, poiché la riflessione sulle leggi di natura si accomoda alla natura, ma questa non si accomoda alle condizioni con le quali noi aspriamo a formarci di essa un concetto, che è del tutto contingente rispetto alle condizioni stesse. ” (Kant, Critica dei giudizio, Introduzione)

di fronte ad un fatto naturale, il cielo stellato, il mare, una cascata d'acqua,

di fronte ad un fatto naturale, il cielo stellato, il mare, una cascata d'acqua, l'uomo può tenere un duplice atteggiamento: può, da scienziato, cercare di conoscerne la struttura profonda, la serie di cause che lo determinano, la natura delle singole parti che lo compongono il giudizio dello scienziato è determinante e punta alla conoscenza del fenomeno può, da osservatore interessato soltanto al fenomeno quale "spettacolo" naturale, guardarlo rapito con la spinta del sentimento, e provare un intimo piacere derivante dalla riflessione che quel fenomeno naturale sembra fatto apposta per piacergli, per accordarsi con i suoi sentimenti il giudizio dello spettatore disinteressato è riflettente e punta a stabilire un accordo tra la nostra spiritualità e la finalità secondo cui, soggettivamente, pensiamo sia ordinata la natura

l'uomo può, però, stabilire il suo rapporto con la natura utilizzando il principio della

l'uomo può, però, stabilire il suo rapporto con la natura utilizzando il principio della finalità in due modi, dando luogo, quindi, a due tipi di giudizio riflettente: giudizio estetico è "soggettivo" perché trova nel gusto e, quindi, nel soggetto, l'ordine della natura finalizzato all'accordo tra l'io ed il mondo “ si giudica la forma dell'oggetto (non l'elemento materiale della sua rappresentazione, come sensazione), nella semplice riflessione su di essa, come il fondamento di un piacere per la rappresentazione di un tale oggetto; e questo piacere viene pure considerato connesso con tale rappresentazione in modo necessario, e quindi non solo per il soggetto che apprende questa forma, ma per ogni soggetto giudicante in generale. L'oggetto allora si chiama bello e la facoltà di giudicare mediante tale piacere (e per conseguenza universalmente) si chiama gusto. ” (Kant, Critica del giudizio, Introduzione) giudizio teleologico è "oggettivo" in quanto vede l'ordine nella natura stessa, considera, cioè, la natura tesa a realizzare essa stessa una finalità “ il giudizio teleologico determina le condizioni sotto le quali qualche cosa (per esempio un corpo organizzato) sia da giudicarsi secondo l'idea di uno scopo della natura. “ (Kant, Critica del giudizio, Introduzione)

l’oggetto del giudizio estetico è il “bello“ che non è una qualità inerente alle

l’oggetto del giudizio estetico è il “bello“ che non è una qualità inerente alle cose, ma soltanto un modo soggettivo di considerarle: “ quando si tratta di giudicare se una cosa è bella, non si vuole sapere se a noi o a chiunque altro importi, o anche soltanto possa importare, della sua esistenza; ma come la giudichiamo contemplandola semplicemente (nell'intuizione o nella riflessione). . . ; si vuol sapere soltanto se questa semplice rappresentazione dell'oggetto è accompagnata in me da piacere. . . Si vede facilmente che dal mio apprezzamento dì questa rappresentazione, non dal mio rapporto con resistenza dell'oggetto dipende che si possa dire che esso è bello e che io provi di aver gusto. ” (Kant, Critica del giudizio) la bellezza non risiede nelle cose, ma nell’uomo: l’armonia non è una qualità delle cose, ma un’esperienza interiore del soggetto che egli “inconsapevolmente” proietta sull’oggetto (di qui l’errore di credere che il bello sia una proprietà oggettiva ed ontologica delle cose)

il giudizio estetico è completamente indifferente sia alla conoscenza dell'oggetto, sia ad una sua

il giudizio estetico è completamente indifferente sia alla conoscenza dell'oggetto, sia ad una sua valutazione etica: qualcosa è bella soltanto perché produce nell'osservatore una reazione di piacere disinteressato, una commozione derivante dalla sua "forma", come se fosse costituito semplicemente per il fine del piacere con soggettività del giudizio estetico s’intende che in tutti gli uomini agisce una stessa struttura emotiva, e quindi, una identica reazione estetica rispetto ad una stessa rappresentazione (pur non raggiungendo l'universalità dei giudizi determinanti, il giudizio estetico deve essere condividibile da tutti gli altri uomini): bello è ciò che piace disinteressatamente ed universalmente, indipendentemente dai concetti che l'intelletto formula su di esso “ In tutti i giudizi coi quali dichiariamo bella una cosa, noi non permettiamo a nessuno di essere di altro parere, pur senza fondare il nostro giudizio sopra concetti, ma soltanto sul nostro sentimento, di cui così facciamo un principio, non però in quanto sentimento individuale, ma in quanto sentimento comune. ” (Kant, Critica del giudizio)

il giudizio di gusto testimonia l'esistenza nell'oggetto di un qualcosa di spirituale, di spontaneo

il giudizio di gusto testimonia l'esistenza nell'oggetto di un qualcosa di spirituale, di spontaneo e libero che al sentimento si rivela come la presenza in esso di un nucleo metafisico si stabilisce un accordo tra l'io e la natura attraverso la corrispondenza tra l'essenza noumenica del soggetto, colta in sede morale al di là della struttura meccanica del corpo, e il nucleo metafisico sentito presente nella natura per mezzo del sentimento del bello

il giudizio estetico ci permette di esprimere una valutazione, oltre che sul bello, anche

il giudizio estetico ci permette di esprimere una valutazione, oltre che sul bello, anche sul sublime “ Il bello della natura riguarda la forma dell'oggetto, la quale consiste nella limitazione; il sublime, invece, si può trovare anche in un oggetto privo di forma in quanto implichi o provochi la rappresentazione dell'illimitatezza, pensata per di più nella sua totalità. …Nel primo caso il piacere è quindi legato con la rappresentazione della qualità, nel secondo, invece, con quella della quantità. . . Inoltre, mentre il primo implica direttamente un sentimento di agevolazione e intensificazione della vita, e perciò si può conciliare con le attività e con il gioco dell'immaginazione, il sentimento del sublime, invece, è prodotto dal senso di un momentaneo impedimento, seguito da una più forte effusione delle forze vitali, e perciò, in quanto emozione, non si presenta affatto come un gioco, ma come qualcosa di serio nell'impiego dell'immaginazione. ” (Kant, Critica del giudizio) il sentimento del sublime comporta un "movimento dell'animo", al contrario del gusto del bello che mantiene l'animo in una

il movimento dell’animo può essere riferito o alla facoltà del conoscere o a quella

il movimento dell’animo può essere riferito o alla facoltà del conoscere o a quella del desiderare “ In entrambi i casi la finalità della rappresentazione data è giudicata solo rispetto a questa facoltà (senza scopo o interesse); e allora la prima facoltà è attribuita all'oggetto come una disposizione matematica dell'immaginazione, la seconda come una disposizione dinamica. ” (Kant, Critica del giudizio) sublime matematico: indica il sentimento suscitato in noi dalla "smisurata grandezza della superficie marina, ad esempio, o dalla immensità della volta celeste" sublime dinamico: esprime il sentimento di ammirazione e di turbamento che ci prende di fronte allo scatenarsi di una terrificante tempesta d'acqua e di vento in entrambi i casi avvertiamo l'inadeguatezza dei nostri sensi e della nostra immaginazione a comprendere eventi di così imponente portata e siamo presi da un sentimento di sconforto e di paura; ma per contrasto il sentimento di impotenza si trasforma subito dopo in consapevolezza della propria superiorità intellettuale: la furia degli elementi naturali mi può anche travolgere, ma ad essa posso sempre opporre la mia natura razionale e la mia capacità di valutazione

di fronte a spettacoli di così smisurata grandezza o di cosi smisurata potenza, il

di fronte a spettacoli di così smisurata grandezza o di cosi smisurata potenza, il soggetto avverte nella natura la presenza di qualcosa che supera le sue capacità di comprensione intellettuale, sente la presenza in essa di una forza metafisica, così come ha avvertito in sede morale la presenza in sé di una realtà noumenica liberamente legiferante grazie al sentimento, coglie un'armonia nascosta tra mondo oggettivo e mondo soggettivo; armonia che la scienza con i suoi giudizi non può assolutamente cogliere

il giudizio teleologico ci induce a credere che nella natura stessa operi un principio

il giudizio teleologico ci induce a credere che nella natura stessa operi un principio metafisico capace di organizzare il tutto in vista di una finalità nella considerazione di un essere vivente, ad esempio, finché ci fermiamo alle semplici cause meccaniche, non riusciremo mai a spiegarci il perché di quella conformazione fisica e non di un'altra; quando, invece, tentiamo una spiegazione finalistica e presupponiamo l'esistenza di un fine ultimo a cui ogni essere tende, allora ci rendiamo conto che l'organizzazione di quell'ente non poteva essere diversa da com'è “ Così, per esempio, nel parlare della struttura di un uccello, delle cavità che sono nelle sue ossa, della disposizione delle sue ali al movimento, della sua coda destinata a far da timone, etc. , si dice che tutto ciò è contingente in supremo grado quando si guarda al semplice nexus effectivus della natura, e non si ricorre ancora ad una specie particolare di causalità, cioè a quella dei fini (nexus finalis); vale a dire che la natura, considerata come semplice meccanismo, avrebbe potuto configurarsi in mille altri modi, senza che le capitasse di giungere proprio all'unità secondo un tale principio, e che quindi non si può sperare di trovarne neppure la minima ragione nel concetto di natura, ma solo fuori di esso” (Kant, Critica del giudizio)

il giudizio teleologico, essendo un giudizio riflettente e non determinante, non fornisce una visione

il giudizio teleologico, essendo un giudizio riflettente e non determinante, non fornisce una visione scientifica della realtà; ma ciò nonostante esso non va trascurato, “ poiché se esso non ci fa meglio comprendere il modo di formarsi di questi prodotti, è però un principio euristico per ricercare le leggi particolari della natura. ” (Kant, Critica del giudizio) il giudizio teleologico, pur non essendo un giudizio conoscitivo, svolge, infatti, una funzione utile alla ricerca, in quanto, al di là di ogni spiegazione meccanicistica, propone una spiegazione finalistica come limite a cui la scienza deve tendere continuamente nelle sue ricerche il fine cui sembra tendere tutta la natura è l'uomo: “ Vi sono motivi sufficienti. . . per considerare l'uomo non soltanto come un fine della natura, come tutti gli esseri organizzati, ma come lo scopo ultimo di essa sulla terra, in modo che rispetto a lui tutte le altre cose naturali costituiscono un sistema di fini. . . Il primo scopo della natura sarebbe la felicità, il secondo la cultura dell'uomo. . . Come l'unico essere che sulla terra abbia l'intelligenza, e quindi una facoltà di porsi volontariamente degli scopi, egli è, in verità, il ben titolato signore della natura; e se questa si considera come un sistema teleologico, egli ne è per la sua destnazione lo scopo ultimo. ”

lo scopo ultimo della natura finalisticamente organizzata non va cercato nell'uomo considerato come corpo,

lo scopo ultimo della natura finalisticamente organizzata non va cercato nell'uomo considerato come corpo, come meccanismo biologico “ Soltanto nell'uomo in quanto soggetto della moralità si può trovare questa ligislazione incondizionata relativamente ai fini, che rende lui solo capace di essere uno scopo finale, cui la natura sia teleologicamente subordinata. ” (Kant, Critica del giudizio) l'accordo tra natura ed uomo, in tal modo, sembra perfettamente realizzato: la natura si presenta, nella considerazione finalistica, come la struttura capace dì favorire l'esplicazione della moralità dell'uomo la constatazione di quest'accordo presuppone l'ammissione, tutta sentimentale e nient'affatto razionale, dell'esistenza di un "Dio", "causa morale" del mondo: “ Dobbiamo, dunque, ammettere una causa morale del mondo, per proporci uno scopo finale, conformemente alla legge morale; e per quanto questo scopo è necessario, altrettanto è necessario ammettere quella causa: cioè che vi è un Dio. ”