Surrealismo s m Automatismo psichico puro mediante il

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“Surrealismo s. m. Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere

“Surrealismo s. m. Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altri modi, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero, con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica e morale” ( dal Manifesto surrealista redatto da Andrè Breton nel 1924)

Tematiche fondamentali del Surrealismo • Amore come fulcro della vita • Sogno, follia e

Tematiche fondamentali del Surrealismo • Amore come fulcro della vita • Sogno, follia e ricerca dei contenuti inconsci come mezzi di fuga dalla razionalità • Polemica contro la centralità del pensiero logico • Liberazione dell’individuo dalle convenzioni sociali • Rinnovamento politico antiborghese Gli artisti surrealisti furono influenzati dagli studi di Freud sul subconscio, sul sogno e sul lapsus

 • L’obiettivo dell’arte surrealista era quello di far uscire allo scoperto un tipo

• L’obiettivo dell’arte surrealista era quello di far uscire allo scoperto un tipo di sapere capace di non negare, anzi di esprimere la complessità della psiche umana. A questo puntava per esempio la pratica dei cadavres exquis (letteralmente “cadaveri squisiti” dalle parole iniziali della prima composizione di scrittura automatica): il gruppo si disponeva intorno ad un tavolo; un membro incominciava a disegnare, poi ripiegava la carta e passava il foglio al vicino perché proseguisse il disegno senza sapere cosa precedeva. Da questa pratica. , che potremmo paragonare al gioco del telegrafo senza fili, risultavano mostri e immagini incomprensibili, che erano insieme frutto del caso e dell’atmosfera psicologica in cui il gruppo aveva lavorato.

Il carnevale di arlecchino Il carnevale di Arlecchino, conservato alla Albright-Knox Art Gallery di

Il carnevale di arlecchino Il carnevale di Arlecchino, conservato alla Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, è un dipinto di Joan Mirò, che l'autore eseguì a Parigi, quando aveva già aderito alla tecnica surrealista dell'automatismo psichico, che prevede di mettere a dura prova il corpo permettere all'immaginazione di perdersi in visioni fantastiche e surreali. Lo scopo dell'artista in questo quadro è proprio rappresentare una delle sue visioni. Si riconosce qualche elemento della realtà (un gatto, un tavolo, un pesce, una scala), ma questi non sono altro che elementi della realtà che si trasformano dando origine alla visione. Tutti gli oggetti sono fluttuanti, quasi come se fossero inventati. Popolano questo ampio spazio come se fossero fantasmi.

 • L’opera si presenta come un grande spettacolo realizzato con oggetti strani, piccoli

• L’opera si presenta come un grande spettacolo realizzato con oggetti strani, piccoli giocattoli fantastici, infantili diavoletti, strani esseri informi, mostriciattoli che escono da cubi che si attorcigliano su asticelle sottili, molti sono sospesi a mezz’aria come giocolieri nel paese delle meraviglie. Oggetti simboli, questi di Mirò, fluttuanti in uno spazio appena accennato che evocano una pittura infantile e primitiva che nessuno dei suoi compagni surrealisti aveva ancora esplorato in quegli anni. La disposizione libera delle figure all’interno della composizione ricorda dipinti del secolo XV di Hieronimus Bosch che pare siano stati osservati al Louvre dallo stesso Mirò. Si ritrovano infatti, gli stessi strani folletti, gli stessi esseri informi diabolici presenti nel carnevale del pittore catalano. Mirò, liberando la sua fantasia, è riuscito a creare una seconda realtà ugualmente fisica e reale, forse più forte e scioccante di quella reale. Un mondo parallelo al nostro, surreale ed inconscio. E’ riuscito a reinventare oggetti non sottomessi alle leggi morali e ai conformismi sociali fino ad arrivare ad uno stato fluido delle cose: oggetti-simboli, elementi puramente immaginativi, onirici e metafisici. Il quadro richiama mondi infantili e burleschi ma che non vogliono essere una realtà astratta ma una parallela a quella reale, ugualmente reale e concreta. Mirò, infatti, amava ripetere che i suoi mondi proprio perché creati da forme non sono astratti ma sono veri: la forma, per Mirò non è mai astratta, è come un algoritmo matematico, ha cioè un inizio ed una fine;

Nel 1938, rievocando questa opera, chiarisce quelli che sono i suoi elementi caratterizzanti, i

Nel 1938, rievocando questa opera, chiarisce quelli che sono i suoi elementi caratterizzanti, i quali possono essere ritrovati anche in altre tele: la scala indica la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali sono quelli che amava e di cui sempre si circondava, il gatto colorato, ad esempio, è un omaggio a quello che aveva sempre con sé quando dipingeva, la sfera nera sulla destra del dipinto simboleggia il globo terrestre, il triangolo che appare dalla finestra evoca la Tour Eiffel e Parigi dove risiedeva in quegli anni. Tutto per Mirò aveva una vita segreta, gli interessava immaginare e raccontare, rappresentare quello che gli altri non consideravano. Egli dava enorme importanza alla pittura infantile perché i bambini non condizionati dalla società, riuscivano ad avvicinarsi più agevolmente al mondo delle fiabe, le vivevano, le assaporavano meglio di quanto potesse fare un adulto. Da qui parte il suo personale cammino artistico degli anni surrealisti che riesce a potenziare fino ad arrivare, negli ultimi anni della sua vita, ad opere completamente astratte. L’amore per l’arte infantile proprio perché svincolata dai tradizionali canoni pittorici lo porta a semplificazioni formali fortemente antinaturalistiche. Il carnevale di Arlecchino è considerato uno dei capolavori del movimento surrealista perché esemplifica, meglio di altre opere, gli obiettivi ed i traguardi che questa corrente pittorica si è proposta fin dal momento della sua fondazione. Essa, infatti, aveva come principale obiettivo quello di liberare la fantasia e l’immaginazione dell’artista, fino a quel momento legata alla tradizione naturalistica ancora di stampo ottocentesco, ormai sterile e priva di interesse

La persistenza della memoria di Salvator Dalì (1931) "Invece di rendermi duro, come la

La persistenza della memoria di Salvator Dalì (1931) "Invece di rendermi duro, come la vita in realtà aveva progettato, Gala riuscì. . . a costruirmi un guscio che proteggeva la sensibile nudità del paguro bernardo che vi era insediato, cioè io stesso, sicché mentre io esternamente acquistavo sempre più l'aspetto di una fortezza internamente potevo continuare a invecchiare molle, ipermolle. E il giorno in cui decisi di dipingere orologi li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all'ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala però uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un Camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico della "ipermollezza" di quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier e, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto su cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una vista del paesaggio di Port Lligat. Sapevo che l'atmosfera che mi era riuscito di creare in quel quadro doveva servirmi come sfondo ad un'idea ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce quando, d'un tratto, "vidi" la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell'ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi a lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei più famosi, era terminato. "

La persistenza della memoria è uno dei dipinti eseguiti da Dalì conseguentemente all’elaborazione del

La persistenza della memoria è uno dei dipinti eseguiti da Dalì conseguentemente all’elaborazione del metodo paranoico-critico, così ribattezzato dallo stesso artista, cioè il far emergere l’inconscio, secondo quel principio dell’automatismo psichico teorizzato da Breton, ma generato dagli interessi per la psicoanalisi e per gli scritti di Freud. Si trattava dell’interpretazione delle forme basata sulla capacità di rielaborarle con l’immaginazione, similmente alla lezione di Leonardo da Vinci che invitava ad osservare le macchie sui muri per vedervi affiorare delle figure; in tal modo all’occhio umano si schiudevano muovi mondi, che sarebbe stato compito della pittura poi concretizzare. I quattro orologi sono simbolo del tempo che passa inesorabile, e che nel suo trascorrere, incappa nell’uomo e gli si incolla addosso, gli regala l’ esperienza, ma lo fa soffrire. Il tramonto è un trapasso, che si ricollega simbolicamente al tempo. Egli definisce il tempo con una frase : ” paranoico-critico“. Sull’ orologio arancione, troviamo degli insetti, che rappresentano la realtà, l’ esistenza di qualunque forma di vita, divorata dal tempo.

La giraffa infuocata di Salvator Dalì In primo piano c'è una figura femminile, senza

La giraffa infuocata di Salvator Dalì In primo piano c'è una figura femminile, senza volto, sorretta da stampelle, dal cui seno e dalla cui gamba sinistra fuoriesce una serie di cassetti; in secondo piano, un' altra donna con un drappo rosso nella mano sollevata; sullo sfondo di una montagna lontana, un giraffa in fiamme. Quest' opera intende esprimere "il pathos della guerra civile considerata come un fenomeno di storia naturale". La giraffa infuocata si staglia contro l’immenso cielo cupo, allegoria di violenza e morte. Questa tela indica come l’artista abbia “risentito” della rivoluzione psicoanalitica freudiana. Le figure sono rappresentate a cassetti, che indicano tutti i segreti e le paranoie del corpo umano, che solo la psicoanalisi è in grado di aprire

Questa non è una pipa Renè Magritte Sulla tela un’immagine dipinta in modo così

Questa non è una pipa Renè Magritte Sulla tela un’immagine dipinta in modo così verosimigliante da non lasciare dubbi. Rappresenta sicuramente un oggetto chiamato pipa. Una didascalia da abbecedario afferma però che no, Ceci n’est pas une pipe. A questo proposito scrisse il filosofo Michel Foucault nel saggio omonimo: “paragonato alla tradizionale funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente paradossale. Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha bisogno di esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo familiare). Ed ecco che nel momento in cui dovrebbe dare un nome, lo dà negando che sia tale. ” La didascalia contesta dunque il criterio di equivalenza tra somiglianza e affermazione e afferma che la pipa del quadro è solo la rappresentazione di un oggetto tangibile che non ha niente a che vedere con essa. Il messaggio di Magritte è infondo abbastanza chiaro, ovvero: attenzione, rappresentazione non significa realtà, l’immagine di un oggetto non è l’oggetto stesso! La pipa del quadro non si può fumare così come le mele delle nature morte non si possono addentare…

Il doppio segreto Renè Magritte (1928) Ancora una volta il pittore interroga quella che

Il doppio segreto Renè Magritte (1928) Ancora una volta il pittore interroga quella che noi chiamiamo la realtà. Sullo sfondo di un paesaggio marino, il viso impassibile di un uomo (o di un manichino di cera? ) è stato tranciato e spostato lateralmente. La lacerazione mostra una spaccatura profonda, molto diversa dal volto liscio, senza espressione né sguardo, che la dissimulava. La maschera è stata proprio strappata, ma ciò che celava è ancora più misterioso e si rimane perplessi di fronte a questa ampia cavità dalle pareti umide e scure, avvinte da sonagli (probabilmente legati a ricordi infantili e che ritornano spesso nelle opere del pittore). Magritte svela il baratro che separa l’essere dalla sua apparenza e conferma che la realtà resta enigmatica.