VITA E OPERE Giovenale nacque ad Aquino nel

  • Slides: 6
Download presentation
VITA E OPERE

VITA E OPERE

Giovenale nacque ad Aquino, nel Lazio meridionale, tra il 50 e il 60 d.

Giovenale nacque ad Aquino, nel Lazio meridionale, tra il 50 e il 60 d. C. da padre liberto. Sebbene fosse di condizione economica non elevata, studiò a Roma grammatica e retorica. Tentò di fare l’avvocato, ma, come si ricava dai suoi scritti, ebbe così poca fortuna da doversi adattare all’umilante vita del cliens, come il suo amico Marziale. Notizie incerte parlano di un esilio in Egitto. L’imperatore Adriano lo avrebbe infatti allontanato da Roma, alla veneranda età di 80 anni, con il pretesto di un incarico militare, per punirlo di alcuni versi offensivi nei confronti del suo amante, Antinoo. Qui probabilmente morì, attorno al 130 d. C.

Scrisse sedici satire in esametri, divise in cinque libri, dopo la morte di Domiziano.

Scrisse sedici satire in esametri, divise in cinque libri, dopo la morte di Domiziano. Riprende la satira cominciata da Lucilio, Orazio e Persio. Egli, difatti, nella satira I, di argomento letterario, cita come suoi modelli Lucilio e Orazio e, come Persio, riprende l’atteggiamento critico nei confronti della letteratura moderna. Attaccò poi la cultura contemporanea, poiché caratterizzata dalla mitologia da lui svalutata, e definì le recitationes istituzioni inutili, false rappresentazioni della realtà. Egli propone di trattare della realtà, del verum, la cui mostruosità è evidenziata dal satirico che tende a enfatizzare gli eventi, mostrati come casi raccapriccianti; ricordiamo ad esempio il matrimonio di un eunuco o l’esibizione di una matrona in veste di gladiatrice. L’argomento principale delle sue opere, difatti, è il comportamento umano, visto nel suo aspetto peggiore: Giovenale, così come Persio, tratta dei mores, non per correggerli, bensì per denunciarli, attaccando i vizi e non le persone, mediante l’indignatio, utilizzata dal satirico per provocare il lettore, suscitando indignazione nel pubblico. Si scaglia contro la società contemporanea, ritenuta marcia e paragona, attraverso il mos maiorum (da lui inteso come metro di riferimento, i nuovi costumi ai costumi degli antenati, non caratterizzati da una tale corruzione e perversità. Il poeta ritiene poi che i vizi individuali si riflettono sulla società e considera i costumi contemporanei in relazione alle conseguenze che hanno sulle persone. Due sono gli argomenti che prevalgono: • il tema delle divitiae (il possesso di beni), che appare un malvagio elemento di discriminazione, una fonte di ingiustizia; la ricchezza, infatti, è rivelante per i comportamenti negativi che induce a chi la possiede e per le difficoltà che causa; • l’istituto della clientela, relativo ai disagi della condizione del cliente stesso che vanno degenerando, causando corruzione. A tal proposito, Giovenale, tuttavia, individua nel patronato un elemento capace di garantire l’armonia tra i poveri da un lato e i ricchi dall’altro.

SATI RE Nella satira I è descritta la giornata umiliante del cliente, fino alla

SATI RE Nella satira I è descritta la giornata umiliante del cliente, fino alla delusione del mancato invito a cena. Il tema è ampliato nella satira III in cui la parola viene ceduta ad un cliente onesto e povero, Umbricio che accusa la vita di Roma, corrotta e resa difficile dalla mancata fedeltà dei Greci e degli orientali. Per tale motivo appare l’avversione per questi due popoli, essendo Giovenale convinto che la cultura ellenica abbia rovinato il mos maiorum, e che l’unica soluzione per i Romani era quella di emigrare in provincia. Nella satira V prevale il tema dell’indignatio. Tratta della cena di un cliente a casa del patrono Virrone. Il cliente viene attaccato perché si umilia pur di ottenere un invito a cena, e si vede quanto la condizione del cliente Trebio, che beve un vino che fa male in bicchieri da poco prezzo, è differente rispetto a quella del patrono che beve in calici preziosi, vini prelibati. Domina dunque l’idea della ricchezza come discriminazione. Nella satira IV attacca la corte imperiale, non contemporanea, di un imperatore defunto. L’attacco è svolto in modo ironico, riprendendo un aneddoto in cui a Domiziano venne donato un enorme rombo, un pesce, talmente grande che non si sapeva come cuocerlo, facendo piombare la corte nel ridicolo. Le satire II e VI trattano dei mores: la II si scaglia contro l’omosessualità, vista come tradimento della virilità trasmessa dagli antenati. La VI si scaglia contro la donna; egli si rifà al matrimonio dell’amico Postumo, che sconsiglia, preferendo il suicidio. Per il poeta il matrimonio era virtù solo sotto il regno di Saturno, poi è nato l’adulterio (ne è un esempio Messalina, l’imperial meretrice, che, lasciato il palazzo, si recava dal suo amante). Molti, secondo Giovenale, sono infatti i difetti delle donne: la lussuria, prima tra tutti, la prepotenza, la superbia, la mascolinità, caratteristiche contrapposte alla donna ideale dell’antico costume, dedita ai lavori domestici. La satira VII denuncia le ristrettezze in cui versano poeti, storici, grammatici…aggravate dall’avarizia dei ricchi.

Il bisogno di rinnovamento spinge l’autore a trattare temi tradizionali della satira. Principalmente egli

Il bisogno di rinnovamento spinge l’autore a trattare temi tradizionali della satira. Principalmente egli rifiuta una prospettiva totalmente negativa. Il poeta non vuole più solo denunciare i mores ma proporre anche comportamenti corretti e positivi, motivo per cui riprende l’intento didattico della satira: riemergono i motivi moralizzanti della satira e riappare la concezione fondamentale della diatriba ossia l’idea che gli unici veri beni sono interiori, perché quelli esteriori sono apparenza; la ricchezza così diviene un falso bene, e non un bene ricavato dall’ingiustizia. Per cui il secondo Giovenale è più pacato, non indirizza il suo attacco contro il male e i malvagi ma contro l’errore e gli illusi; non utilizza più il tema dell’indignatio ma dell’ironia e dello scherno. Giovenale ricerca nella vita quotidiana i segni del mostruoso e dell’eccedenza. Difatti, prevale una visione distorta della realtà, e ciò gli consente di scrivere con stile alto, che i satirici hanno sempre rifiutato; infatti, talvolta, il tono è innalzato. Lo stile assume le movenze dell’epos, dell’oratoria. Come Orazio, Giovenale utilizza il labor limae (elaborazione stilistica) e fa uso poi di una serie di figure retoriche, perifrasi, iperboli, paradossi, figure dell’ironia che rendono l’aspetto linguistico complesso. Oltre a termini sublimi ritroviamo anche termini che più si avvicinano alla quotidianità, motivo per cui tale linguaggio può essere definito misto, necessario poi a Giovenale per cogliere le bassezze della realtà.

SATIRE DEL SECONDO GIOVENALE La satira VIII è incentrata sulla virtù, che è l’unica

SATIRE DEL SECONDO GIOVENALE La satira VIII è incentrata sulla virtù, che è l’unica nobiltà che un uomo può avere. La satira IX è incentrata su una conversazione tra il satirico e un cliente corrotto e deluso, Nevolo, amante del ricco Virrone. La satira X tratta di quale debba essere l’oggetto delle preghiere agli dei. La satira XI tratta del motivo del giusto mezzo, come Orazio. La satira XII nella prima parte tratta dei sacrifici del satirico per aiutare un amico sopravvissuto a un naufragio, e nella seconda parte tratta dei cacciatori di eredità. La satira XIII è rivolta a un amico truffato. La satira XIV tratta dell’influenza negativa che gli adulti possono avere sui figli, sui giovani, come l’avarizia per esempio. La satira XV tratta di un caso di cannibalismo avvenuto in Egitto. La satira XVI attacca i privilegi dei militari.