Universit de Fribourg 20112012 Anno accademico Uberto Motta
Université de Fribourg 2011/2012 Anno accademico Uberto Motta Libertà e destino. I personaggi della Gerusalemme liberata
Torquato Tasso (1544 -1595) Il temperamento → genialità e insicurezza La storia → l’età del Concilio di Trento (1545 -1563) La cultura → nel segno di Aristotele: la funzione, il contenuto e gli strumenti della poesia
La Poetica di Aristotele nel Rinascimento: date essenziali • 1498: tradotta sbrigativamente in latino da Giorgio Valla; • 1508: ripubblicata in greco, con edizione corretta, presso Aldo Manuzio; • 1536: latinizzata da Alessandro de’ Pazzi; • 1548: commentata da Francesco Robortello; • 1549: volgarizzata da Bernardo Segni; • 1550: commentata da Vincenzo Maggi e Bartolomeo Lombardi; • 1560: commentata da Pietro Vettori; • 1570: ‘volgarizzata ed esposta’ da Ludovico Castelvetro; • 1575: annotata e tradotta da Alessandro Piccolomini.
Appunti per una biografia 1544 nasce a Sorrento 1552 -59 Napoli, Roma, Urbino 1556 morte della madre 1560 -64 università di Padova e Bologna Bronzino (? ), Tasso adolescente, Udine, Museo Civico
Tasso, Canzone del Metauro (1578), vv. 2130 Ohimè! dal di che pria trassi l'aure vitali e i lumi apersi in questa luce a me non mai serena, fui de l'ingiusta e ria trastullo e segno, e di sua man soffersi piaghe che lunga età risalda a pena. Sàssel la gloriosa alma sirena, appresso il cui sepolcro ebbi la cuna: così avuto v'avessi o tomba o fossa a la prima percossa!
Tasso, Canzone del Metauro (1578), vv. 31 -40 Me dal sen de la madre empia fortuna pargoletto divelse. Ah! di quei baci, ch'ella bagnò di lagrime dolenti, con sospir mi rimembra e degli ardenti preghi che se 'n portár l'aure fugaci: ch'io non dovea giunger più volto a volto fra quelle braccia accolto con nodi così stretti e sì tenaci. Lasso! e seguii con mal sicure piante, qual Ascanio o Camilla, il padre errante.
Tasso, Canzone del Metauro (1578), vv. 41 -46 In aspro essiglio e 'n dura povertà crebbi in quei sì mesti errori; intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi stagion, matura l'acerbità de' casi e de' dolori in me rendé l'acerbità de gli anni.
Appunti per una biografia Tasso a Padova abbozzo del Gierusalemme Discorsi dell’arte poetica Rinaldo Frontespizio prima edizione: Venezia 1562
Tasso a Padova Il Gierusalemme Il Rinaldo L’armi pietose io canto e l’alta impresa di Gotifredo e de’ cristiani eroi da cui Gierusalem fu cinta e presa e n’ebbe impero illustre origin poi. Tu, Re del Ciel, come al tuo foco accesa la mente fu di quei fedeli tuoi, tal me n’accendi, e se tua santa luce fu lor nell’opre, a me nel dir sia duce. Canto i felici affanni e i primi ardori che giovanetto ancor soffrì Rinaldo, e come ’l trasse in perigliosi errori desir di gloria ed amoroso caldo, allor che, vinti dal gran Carlo, i Mori mostraro il cor più che le forze saldo; e Troiano, Agolante, e il fiero Almonte restar pugnando uccisi in Aspramonte.
Appunti per una biografia 1565 -1587 Ferrara 1573 Aminta 1565 -75 Goffredo 1577 colloquio con l’Inquisitore 1579 reclusione a Sant’Anna Jacopo Bassano, Ritratto di Tasso intorno al 1565, Kreuzlingen, Coll. Priv.
Tasso a Sant’Anna Lettera a Scipione «Come ribello contra il principe mio signore Gonzaga, Marzo per elezione, come ingiurioso contra gli amici 1579 e conoscenti, e come ingiusto contra me stesso […] sono trattato, e sono scacciato da la cittadinanza, non di Napoli o di Ferrara, ma del mondo tutto [. . . ] privo di tutte l’amicizie, di tutte le conversazioni, di tutti i commerci, de la cognizion di tutte le cose, di tutti i trattenimenti, di tutti i conforti, rigettato da tutte le grazie, e in ogni tempo e in ogni luogo egualmente schernito e abbominato» .
Tasso a Sant’Anna «Nuova ed inaudita sorte d’infelicità è la mia, ch’io debba persuadere a Vostra Signoria reverendissima di non esser forsennato, e di non dover come tal esser custodito dal signor duca di Ferrara» (da una lettera al card. Girolamo Albani, 23 maggio 1581) E. Delacroix, Tasso in prigione, Carleton University, Art History Dept.
Appunti per una biografia Gli ultimi anni 1581 -84 edd. della Ger. lib. 1586 -87 alla corte dei Gonzaga 1588 -94 tra Roma e Napoli 1593 Gerusalemme conquistata 1594 Discorsi del poema eroico 1595 morte a Roma Alessandro Allori, T. Tasso (? ), Firenze,
Gli ultimi anni «Non è più tempo ch’io parli della mia ostinata fortuna, per non dire de l’ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto condurmi a la sepoltura mendico, quando io pensava che quella gloria che [. . . ] avrà questo secolo da i miei scritti non fusse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone» (da una lettera ad Antonio Costantini). Maschera funeraria di T. Tasso
18. 10. 2011 • La tradizione del testo • Una fonte preziosa • L’inizio e la fine del racconto
La tradizione del testo • 1560, Gierusalemme • 1565 -75, Goffredo → meticoloso processo di revisione del testo (Scipione Gonzaga, Silvio Antoniano, Flaminio de’ Nobili, Pietro degli Angeli, Sperone Speroni) • 1575 -76, lettere ‘poetiche’ • 1579 -80, due edd. parziali • 1581, 4 edd. integrali, con introd. del titolo GL • 1584, ed. a Mantova a c. di S. Gonzaga (? ) • 1586 -92, ultima fase di revisione • 1593, ed. della Ger. Conq.
Le prime edizioni della Ger. lib. 1579 Genova (c. IV) 1580 Venezia (cc. I-X, XII, XIV-XVI) 1581 Parma, Ferrara (2), Venezia 1582, Venezia e Ferrara 1584 Mantova
Verso la Conquistata «Attenderò a la revisione, a la correzione, ed a l’accrescimento de la mia Gerusalemme; la quale aveva deliberato che fosse di ventiquattro canti: ma da poi ho pensato d’aggiunger a ciascun d’essi, o a la maggior parte, molte stanze, accioché il libro sia risguardevole per la convenevol grandezza, non solo per la bella stampa e per la carta reale» (da una lettera a Lorenzo Malpiglio, 1586)
1573: l’anno centrale Tre opere: • Aminta, favola pastorale • canti XIV-XVI della Gerusalemme liberata • Galealto, tragedia ↓ Un unico tema: che cosa è l’amore? Come si articolano i rapporti fra amore e onore, fra desiderio, passione e destino?
Il mito dell’età dell’oro: la naturalezza istintuale come garanzia di felicità; la legge morale come ostacolo al destino dell’individuo → S’ei piace, ei lice La risposta di Tasso: seguire il desiderio istintivo non è libertà ma sterile egocentrismo; l’uomo realizza il suo destino in un tessuto di relazioni, quando interiorizza la legge morale e la trasforma in potenzialità costruttrice
Una fonte preziosa (1) Flaminio de’ Nobili, Trattato dell’amore umano, 1567 «Amore si cagiona dallo inchinamento e affezione del senso verso la cosa bella, e questa prima affezione è naturale e si può attribuire al fato» . «Ma dopo succede il discorso dell’intelletto, il quale delibera se debbia compiacere o fare resistenza a quel piegamento del senso» . Si tratta dunque di rigettare gli amori cattivi, disonoranti (ferini), e di perseguire gli amori buoni (umani), cioè 1) fondati sulla reciprocità e non sul possesso, 2) non antitetici al proprio destino (i casi
Una fonte preziosa (2) “Può l’intelletto darsi tutto in preda al senso, quasi padrone al malvagio servo, e dei desideri e piaceri di lui fare i suoi, e massimamente di quei del tatto vilissimo sopra tutti gli altri sensi, e sordidissimo, non stimando violatione di leggi, perdita di tempo e di honore, ruina di famiglie. Questo è suto chiamato ferino e bestiale, il quale procede da intemperanza”.
Una fonte preziosa (3) “Comunemente sono da i poeti le donne simigliate alle cerve, le quali hanno questa proprietà, di fuggire quando sono sequitate dal cacciatore, e quando il veggiono lontano di fermarsi e di aspettarlo. Colla qual comparatione senza dubbio vogliono significare che le donne, mentre che sono amate, fuggono e usano scortesie, là dove quando sono abbandonate, all’hora si fermano e cercano da capo con favori e grate accoglienze allettare gli amanti”. Cfr. GL VI, 109 -110
Ger. lib. : inizio e fine del racconto Canto l'arme pietose e 'l capitano che 'l gran Sepolcro liberò di Cristo. Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, molto soffrì nel glorioso acquisto; e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi segni ridusse i suoi compagni erranti. Così vince Goffredo, ed a lui tanto avanza ancor de la diurna luce ch'a la città già liberata, al santo ostel di Cristo i vincitor conduce. Né pur deposto il sanguinoso manto, viene al tempio con gli altri il sommo duce; e qui l'arme sospende, e qui devoto il gran Sepolcro adora e scioglie il voto.
Il mito di Diana Ovidio, Met. II 401 -495: punizione di Callisto Ovidio, Met. III 155 -250: punizione di Atteone Boccaccio, Caccia di Diana, Teseida, Ninfale fiesolano
Due (altre) fonti preziose Aristotele, Politica III 4 Le virtù dell’uomo buono non coincidono con quelle del bravo cittadino, che per il benessere della comunità è chiamato all’obbedienza Agostino, De civitate Dei XII 6 «Se si cerca la ragione dell’infelicità degli angeli cattivi, la si riconosce nel loro distogliersi da Colui che è in sommo grado, per volgersi verso se stessi. Questa depravazione come si può chiamare altrimenti che orgoglio? Inizio di ogni peccato è l’orgoglio» .
Ger. lib. II 38 -39 Mentre son in tal rischio, ecco un guerriero (ché tal parea) d'alta sembianza e degna; e mostra, d'arme e d'abito straniero, che di lontan peregrinando vegna. La tigre, che su l'elmo ha per cimiero, tutti gli occhi a sé trae, famosa insegna, insegna usata da Clorinda in guerra; onde la credon lei, né 'l creder erra. Costei gl'ingegni feminili e gli usi tutti sprezzò sin da l'età più acerba: a i lavori d'Aracne, a l'ago, a i fusi inchinar non degnò la man superba. Fuggì gli abiti molli e i lochi chiusi, ché ne' campi onestate anco si serba; armò d'orgoglio il volto, e si compiacque rigido farlo, e pur rigido piacque.
Ger. lib. III 21 -22 Clorinda intanto ad incontrar l'assalto va di Tancredi, e pon la lancia in resta. Ferìrsi a le visiere, e i tronchi in alto volaro e parte nuda ella ne resta; ché, rotti i lacci a l'elmo suo, d'un salto (mirabil colpo!) ei le balzò di testa; e le chiome dorate al vento sparse, giovane donna in mezzo 'l campo apparse. Lampeggiàr gli occhi e folgoràr gli sguardi, dolci ne l'ira; or che sarian nel riso? Tancredi, a che pur pensi? a che pur guardi? non riconosci tu l'altero viso? Quest'è pur quel bel volto onde tutt'ardi; tuo core il dica, ov'è il suo essempio inciso. Questa è colei che rinfrescar la fronte vedesti già nel solitario fonte.
V. Carpaccio, San Giorgio e il drago, Venezia, San Giorgio degli Schiavoni, 1502
Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, Londra, National Gallery, 1450 ca.
Ger. lib. XII 40 -41 Or odi dunque tu che 'l Ciel minaccia a te, diletta mia, strani accidenti. Io non so; forse a lui vien che dispiaccia ch'altri impugni la fé de' suoi parenti. Forse è la vera fede. Ah! giù ti piaccia depor quest'arme e questi spirti ardenti. Qui tace e piagne; ed ella pensa e teme, ch'un altro simil sogno il cor le preme. Rasserenando il volto, al fin gli dice: – Quella fé seguirò che vera or parmi, che tu co 'l latte già de la nutrice sugger mi fèsti e che vuoi dubbia or farmi; né per temenza lascierò, né lice a magnanimo cor, l'impresa e l'armi, non se la morte nel più fer sembiante che sgomenti i mortali avessi inante. –
La ‘vera’ storia di Clorinda (GL XII 18 -41) Le fonti Atti degli apostoli VIII 27 -39 Filippo converte l’eunuco etiope, ministro della regina Candace e custode del suo tesoro Eliodoro, Etiopiche (fine IV sec. ): la storia di Cariclea, figlia dei sovrani di Etiopia (Idaspe e Persinna) F. Alvarez, Viaggio in Etiopia (ed. 1540, poi in G. B. Ramusio, Navigationi e Viaggi, vol. II, 1559)
Perseo libera Andromeda Tiziano, Londra, Wallace Collection G. Vasari , Firenze, Palazzo Vecchio, Studiolo di Francesco I
Francisco Alvarez, Viaggio in Etiopia Cap. 22 “Il battesimo lo fanno in questo modo: battezzano li maschi dopo 40 giorni, e le femmine dopo 60, e se inanzi muoiono vanno senza battesmo”. Cap. 159 “In tutte le mura delle chiese sono pitture del nostro Signore, e della nostra Donna e degli apostoli, e profeti e angeli, e in ciascuna vi è san Giorgio”.
Ger. lib. XII 57 -59 Tre volte il cavalier la donna stringe con le robuste braccia, ed altrettante da que' nodi tenaci ella si scinge, nodi di fer nemico e non d'amante. Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge con molte piaghe; e stanco ed anelante e questi e quegli al fin pur si ritira, e dopo lungo faticar respira. L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue su 'l pomo de la spada appoggia il peso. Già de l'ultima stella il raggio langue al primo albor ch'è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico, e sé non tanto offeso. Ne gode e superbisce. Oh nostra folle mente ch'ogn'aura di fortuna estolle! Misero, di che godi? oh quanto mesti fiano i trionfi ed infelice il vanto! Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti) di quel sangue ogni stilla un mar di pianto. Così tacendo e rimirando, questi sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ger. lib. XII 66 -67 – Amico, hai vinto: io ti perdon. . . perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l'alma sì; deh! per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. – In queste voci languide risuona un non so che di flebile e soave ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza. Poco quindi lontan nel sen del monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentì la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide, la conobbe, e restò senza e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Il battesimo in punto di morte: Pulci, Morgante, XII 64 -67 Disse il pagan [Marcovaldo]: - Laudato in sempiterno sia Gesù Cristo e tutti i santi sui! Io voglio in ogni modo battezarmi, e per tua mano, Orlando, cristian farmi. E ringrazio il tuo Dio, poi ch’io son morto per man del più famoso uom che sia al mondo: s’io mi dolessi, io arei certo il torto. Battezami per Dio, baron giocondo, ch’io sento già nel cuor tanto conforto, ch’esser mi par d’ogni peccato mondo. – Orlando al fiume subito correa, trassesi l’elmo e d’acqua poi l’empiea, e battezò costui divotamente. E come morto fu, sentiva un canto, ed angeli apparir visibilmente, che l’anima portar nel regno santo. E d’aver morto costui fu dolente e con Terigi faceva gran pianto; e feciono una fossa addrento e scura, e déttono a quel corpo sepultura. Ma una grazia, prima che morisse, al conte chiese quel gigante ancora: che, se per caso già mai avvenisse che parlassi a colei che lo innamora, che gli dicessi come il fatto gisse, e come sempre insino all’ultima ora di Chiarella e del suo amor costante si ricordò come fedele amante.
Il battesimo in punto di morte: Boiardo, Orl. Inn. I XIX 12 -16 Sospirando [Agricane] diceva a bassa voce: - Io credo nel tuo Dio, che morì in croce. Batteggiame, barone [Orlando], alla fontana prima ch’io perda in tutto la favella; e se mia vita è stata iniqua e strana, non sia la morte almen de Dio ribella. Lui, che venne a salvar la gente umana, l’anima mia ricoglia tapinella! Ben me confesso che molto peccai, ma la sua misericordia è grande assai. - Piangea quel re, che fo cotanto fiero, e tenìa il viso al cel sempre voltato. […] Questo diceva e molte altre parole: Oh quanto al conte ne rincresce e dole! Egli avea pien de lacrime la faccia, e fo smontato in su la terra piana; ricolse il re ferito nelle braccia, e sopra al marmo il pose alla fontana; e de pianger con seco non si saccia, chiedendoli perdon con voce umana. Poi battizzollo a l’acqua della fonte, pregando Dio per lui con mani gionte.
Domenico Tintoretto, Tancredi e Clorinda Houston (TX), The Museum of Fine Arts 1595 ca.
Tintoretto, Tancredi e Clorinda Caravaggio, Conversione di San Paolo (1595) (1601)
Claudio Monteverdi 1567 -1643 Bernardo Strozzi, Ritratto di Claudio Monteverdi, Venezia, Gallerie dell’Accademia 1640 ca.
C. Monteverdi, Combattimento di Tancredi e Clorinda, 1624
Il bosco diabolico (GL XIII 2 -4) Lucano, Bellum civile (Pharsalia), III vv. 399425 La foresta nei pressi di Marsiglia, che Cesare ordina sia abbattuta per ricavarne il legname necessario alla costruzione di nuove armi “V’era un bosco inviolato da tempo immemorabile… si soleva purificare tutti gli alberi con sangue umano… anche gli uccelli temevano di posarsi su quei rami… la muffa stessa e il pallore dei tronchi imputriditi producevano sgomento… e avvinghiandosi ai
GL XIII 18: qual semplice bambin… Lucr. De rerum natura VI 35 ss. Difatti, come i fanciulli trepidano e tutto temono nelle cieche tenebre, così noi nella luce talora abbiamo paura di cose che per nulla sono da temere più di quelle che i fanciulli nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad avvenire. Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre non li devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge della natura. Quindi viepiù seguiterò a tessere fino al fondo con le parole l'opera intrapresa.
Orl. fur. XXIII 107 -110 Il mesto conte a piè quivi discese; e vide in su l’entrata de la grotta parole assai, che di sua man distese Medoro avea, che parean scritte allotta. Del gran piacer che ne la grotta prese, questa sentenzia in versi avea ridotta. Che fosse culta in suo linguaggio io penso; et era ne la nostra tale il senso: “Liete piante, verdi erbe, limpide acque spelunca opaca e di fredde ombre grata, di Galafron, da molti invano amata, spesso ne le mie braccia nuda giacque […]”. Era scritto in arabico, che ’l conte intendea così ben come latino: fra molte lingue e molte ch’avea pronte, prontissima avea quella il paladino; e gli schivò più volte e danni et onte, che si trovò tra il popul saracino: ma non si vanti, se gà n’ebbe frutto, ch’un danno or n’ha, che può scontargli il tutto.
Ger. lib. XIII 41 Inf. XIII 31 -36 Orl. fur. VI 28 Allor porsi la mano un poco avante e colsi un ramicel da un gran pruno; e ’l tronco suo gridò: “Perché mi schiante? ”. Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: “Perché mi scerpi? Non hai tu spirto di pietade alcuno? ” Onde con mesta e flebil voce uscìo espedita e chiarissima favella, e disse: - Se tu sei cortese e pio, come dimostri alla presenza bella, lieva questo animal da l’arbor mio: basti che ’l mio mal proprio mi flagella, senza altra pena, senza altro dolore ch’a tormentarmi ancor venga di fuore.
Ger. lib. XIII 44 -46 Qual l'infermo talor ch'in sogno scorge drago o cinta di fiamme alta Chimera, se ben sospetta o in parte anco s'accorge che 'l simulacro sia non forma vera, pur desia di fuggir, tanto gli porge spavento la sembianza orrida e fera, tal il timido amante a pien non crede a i falsi inganni, e pur ne teme e cede. E, dentro, il cor gli è in modo tal conquiso da vari affetti che s'agghiaccia e trema, e nel moto potente ed improviso gli cade il ferro, e 'l manco è in lui la tema. Va fuor di sé: presente aver gli è aviso l'offesa donna sua che plori e gema, né può soffrir di rimirar quel sangue, né quei gemiti udir d'egro che langue. Così quel contra morte audace core nulla forma turbò d'alto spavento, ma lui che solo è fievole in amore falsa imago deluse e van lamento. Il suo caduto ferro intanto fore portò del bosco impetuoso vento, sì che vinto partissi; e in su la strada ritrovò poscia e ripigliò la spada.
La parabola di Erminia Canto III 12 ss Sulle mura di Gerusalemme Canto VI 55 -114 Dissidi e avventure Canto VII 1 -22 Tra i pastori Canto XIX 77 -131 L’incontro con Vafrino Scuola di Annibale Carracci, Erminia tra i pastori, Londra, National Gallery
Il personaggio di Erminia Poi gli dice infingevole, e nasconde sotto il manto de l’odio altro desio: Oimè! Ben il conosco, ed ho ben donde fra mille riconoscerlo deggia io, ché spesso il vidi i campi e le profonde fosse del sague empir del popol mio. Ahi quanto è crudo nel ferire! A piaga ch’ei faccia, erba non giova od arte maga. GL III 19 Et così aven che l’animo ciascuna sua passion sotto ’l contrario manto ricopre con la vista or chiara or bruna; però, s’alcuna volta io rido o canto, facciol, perch’i’ non ho se non quest’una via da celare il mio angoscioso pianto. Rvf. CII, 9 -11 I begli occhi ond’io fui percosso in guisa ch’e’ medesmi porian saldar la piaga, et non già vertù d’erbe, o d’arte maga, o di pietra dal mar nostro divisa, m’hanno la via sì d’altro amor precisa, ch’un sol dolce penser l’anima appaga. Rvf LXXV, 1 -6
Ger. lib. VI 55 -114: dissidi e avventure di Erminia Osserva dall’alto della torre il duello tra Tancredi e Argante (descritto in 1 -54 e interrotto al scendere della sera) Vorrebbe andare a curare le ferite di Tancredi: cfr. ottave 66 -68 → contrasto tra desiderio e convenienza È combattuta tra passione amorosa e senso dell’onore (ottave 70 ss. ) Decide di travestirsi con le armi di Clorinda per uscire da Gerusalemme (78 e ss. ) Scambiata per Clorinda, viene inseguita da due soldati e costretta alla fuga (107 e ss. )
Ger. lib. VI 70 Ma più ch'altra cagion, dal molle seno sgombra Amor temerario ogni paura, e crederia fra l'ugne e fra 'l veneno de l'africane belve andar secura; pur se non de la vita, avere almeno de la sua fama dée temenza e cura, e fan dubbia contesa entro al suo core duo potenti nemici, Onore e Amore.
Ger. lib. VI 79 -80 Soleva Erminia in compagnia sovente de la guerriera far lunga dimora. Seco la vide il sol da l'occidente, seco la vide la novella aurora; e quando son del dì le luci spente, un sol letto le accolse ambe talora: e null'altro pensier che l'amoroso l'una vergine a l'altra avrebbe ascoso. Questo sol tiene Erminia a lei secreto e s'udita da lei talor si lagna, reca ad altra cagion del cor non lieto gli affetti, e par che di sua sorte piagna. Or in tanta amistà senza divieto venir sempre ne pote a la compagna, né stanza al giunger suo giamai si serra, siavi Clorinda, o sia in consiglio o 'n guerra.
Ger. lib. VII 1 -22: Erminia tra i pastori La fuga di Erminia terrorizzata (cfr. ottava 3) L’amorevole accoglienza riservatale dai pastori (ottave 6 e ss. ) L’invettiva del più anziano pastore contro le iniquità della vita di corte (ott. 12 -14) Il lamento di Erminia (ott. 19 -22)
Ger. lib. VII 1 2 -3 …dal cavallo è scorta, / né più governa il fren la man tremante… Tiziano Vecellio, Amore Sacro e Amore Profano, Roma, Galleria Borghese, 1510 ca.
Ger. lib. VII 9 -10 Cfr. Lucano, Bellum civile (Pharsalia), V 508 e ss. Cesare con passo inquieto, nei vasti silenzi, prepara imprese che a stento oserebbe uno schiavo. Lasciati tutti, si accompagna alla sola Fortuna. Uscito dalla tenda […] trova al limitare delle onde una barca assicurata con una fune alle rocce corrose. Il nocchiero e padrone del battello occupava una dimora tranquilla , non lontana di lì […]. Cesare scuote tre e quattro volte la porta, e il tetto ne trema. Amiclate si leva dal giaciglio […]: non si cura della guerra, sa che le capanne non sono una preda nelle guerre civili. O sicura ricchezza del povero, umili Lari! O ancora incompresi doni degli dèi! A quali templi o palazzi poté toccare questo: non trasalire in tumulto al bussare della mano di Cesare?
Ger. lib. VII 12 -13 Tempo già fu, quando più l'uom vaneggia ne l'età prima, ch'ebbi altro desio e disdegnai di pasturar la greggia; e fuggii dal paese a me natio, e vissi in Menfi un tempo, e ne la reggia fra i ministri del re fui posto anch'io, e benché fossi guardian de gli orti vidi e conobbi pur l'inique corti. Pur lusingato da speranza ardita soffrii lunga stagion ciò che più spiace; ma poi ch'insieme con l'età fiorita mancò la speme e la baldanza audace, piansi i riposi di quest'umil vita e sospirai la mia perduta pace, e dissi: “O corte, a Dio. ” Così, a gli amici boschi tornando, ho tratto i dì felici. –
Domenico Zampieri, detto il Domenichino Erminia tra i pastori, London, National Gallery, 1620 ca.
Erminia tra i pastori: due interpretazioni pittoriche
T. Tasso, lettera a S. Gonzaga, 24 aprile 1576 «Io vorrei anco a questo [la storia di Erminia] dar un fine buono, e farla non sol far cristiana, ma religiosa monaca. So ch’io non potrò parlar più oltre di lei di quel ch’avea fatto, senza alcun pregiudizio de l’arte; ma pur non mi curo di variar alquanto i termini, e piacer un poco meno a gli intendenti de l’arte, per dispiacer un poco manco a’ scrupolosi. Io vorrei dunque aggiunger nel penultimo canto diece stanze, ne le quali si contenesse questa conversione» .
T. Tasso, lettera a Curzio Ardizio, 25 febbraio 1585 «Rispondendo all’oppositore, io stimo che in questa guisa altri potrebbe dimandare che avvenisse di Calipso, che di Circe, che di Andromaca, che de la filiuola del re de’ Feaci, che di tante persone che sono formate ne l’uno e ne l’altro poema più lodato de’ greci, e ne l’Eneide» .
T. Tasso, lettera a Scipione Gonzaga, 29 luglio 1575 «Quello accompagnare l’azione di Armida con l’azione principale, quasi sino al fine, potrà dare altrui noia e far parere ch’io abbia presa Armida per soggetto principale, e ch’io riguardi in lei non solo in quanto distorna i cristiani e ritiene Rinaldo, ma anco prima e per sé» .
Il canto IV • 1 -19 il concilio infernale → 9 -17 il discorso di Satana (radicale requisitoria dell’angelo caduto contro Dio) • 19 -26 il piano di Idraote e le sue istruzioni ad Armida • 27 -96 Armida nel campo cristiano → 39 -64 il discorso di Armida (finta richiesta di aiuto); la difesa di Armida da parte di Eustazio (fratello di Goffredo)
Ger. lib. IV 24 -26: le istruzioni di Idraote alla nipote Dice: – O diletta mia, che sotto biondi capelli e fra sì tenere sembianze canuto senno e cor viril ascondi, e già ne l'arti mie me stesso avanze, gran pensier volgo; e se tu lui secondi, seguiteran gli effetti a le speranze. Tessi la tela ch'io ti mostro ordita, di cauto vecchio essecutrice ardita. Vanne al campo nemico: ivi s'impieghi ogn'arte feminil ch'amore alletti. Bagna di pianto e fa' melati i preghi, tronca e confondi co' sospiri i detti: beltà dolente e miserabil pieghi al tuo volere i più ostinati petti. Vela il soverchio ardir con la vergogna, e fa' manto del vero a la menzogna. Prendi, s'esser potrà, Goffredo a l'esca de' dolci sguardi e de' be' detti adorni sì ch'a l'uomo invaghito omai rincresca l'incominciata guerra, e la distorni. Se ciò non puoi, gli altri più grandi adesca: menagli in parte ond'alcun mai non torni. – Poi distingue i consigli; al fin le dice:
Petr. , R. v. f. CCXIII Gratie ch’a pochi il ciel largo destina: rara vertù, non già d’umana gente, sotto biondi capei canuta mente, e ’n humil donna alta beltà divina; leggiadria singulare et pellegrina, e ’l cantar che ne l’anima si sente, l’andar celeste, e ’l vago spirto ardente, ch’ogni dur rompe et ogni altezza inchina; et que’ belli occhi che i cor’ fanno smalti, possenti a rischiarar abisso et notti, et torre l’alme a corpi, et darle altrui; col dir pien d’intellecti dolci et alti, coi sospiri soavemente rotti: da questi magi trasformato fui. IV 24 1 -3 biondi capelli… canuto senno IV 34 2 beltà divina IV 28 8 sì bella peregrina IV 77 2 i cor più duri spetra IV 94 1 luci vergognose e chine IV 92 3 dal petto lor l’alma divide IV 25 4 tronca e confondi co’ sospiri i detti
Sofronia e Armida a confronto È il suo pregio maggior che tra le mura d’angusta casa asconde i suoi gran pregi, e de’ vagheggiatori ella s’invola a le lodi, a gli sguardi, inculta e sola. (II 14) Lodata passa e vagheggiata Armida fra le cupide turbe, e se n’avede. No ’l mostra già, benché in suo cor ne rida. E ne disegni alte vittorie e prede. (IV 33) La vergine tra ’l volgo uscì soletta, Usa ogn’arte la donna, onde sia colto non coprì sue bellezze, e non l’espose, ne la sua rete alcun novello amante; raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta, né con tutti, né sempre un stesso volto con ischive maniere e generose. serba, ma cangia a tempo atti e (II 18) sembiante. Or tien pudica il guardo in sé raccolto, Mirata da ciascun passa, e non mira or lo rivolge cupido e vagante. l’altera donna, e innanzi al re se ’n viene. (IV 87) (II 19)
Ger. lib. IV 93 -95 Fra sì contrarie tempre, in ghiaccio e in foco, in riso e in pianto, e fra paura e spene, inforsa ogni suo stato, e di lor gioco l'ingannatrice donna a prender viene; e s'alcun mai con suon tremante e fioco osa parlando d'accennar sue pene, finge, quasi in amor rozza e inesperta, non veder l'alma ne' suoi detti aperta. O pur le luci vergognose e chine tenendo, d'onestà s'orna e colora, sì che viene a celar le fresche brine sotto le rose onde il bel viso infiora, qual ne l'ore più fresche e matutine del primo nascer suo veggiam l'aurora; e 'l rossor de lo sdegno insieme n'esce con la vergogna, e si confonde e mesce. Ma se prima ne gli atti ella s'accorge d'uom che tenti scoprir l'accese voglie, or gli s'invola e fugge, ed or gli porge modo onde parli e in un tempo il ritoglie; così tutto il dì in vano error lo scorge stanco, e deluso poi di speme il toglie. Ei si riman qual cacciator ch'a sera perda al fin l'orma di seguita fèra.
Il canto XIV • Il sogno di Goffredo, rapito miracolosamente in cielo (cfr. Cic. , Somnium Scipionis): necessità di perdonare e richiamare Rinaldo • Carlo e Ubaldo sono incaricati della spedizione: Pietro l’Eremita li invia al mago d’Ascalona (41 -42) • Il mago racconta ai due cavalieri le peripezie di Rinaldo e fornisce loro le istruzioni necessarie per liberarlo senza rimanere vittime di Armida
Ger. lib. XIV 62 -64 “O giovenetti, mentre aprile e maggio v'ammantan di fiorite e verdi spoglie, di gloria e di virtù fallace raggio la tenerella mente ah non v'invoglie! Solo chi segue ciò che piace è saggio, e in sua stagion de gli anni il frutto coglie. Questo grida natura. Or dunque voi indurarete l'alma a i detti suoi? La fama che invaghisce a un dolce suono voi superbi mortali, e par sì bella, è un'ecco, un sogno, anzi del sogno un'ombra, ch'ad ogni vento si dilegua e sgombra. Goda il corpo sicuro, e in lieti oggetti l'alma tranquilla appaghi i sensi frali; oblii le noie andate, e non affretti le sue miserie in aspettando i mali. Folli, perché gettate il caro dono, Nulla curi se 'l ciel tuoni o saetti, che breve è sì, di vostra età novella? minacci egli a sua voglia e infiammi strali. Nome, e senza soggetto idoli sono Questo è saver, questa è felice vita: ciò che pregio e valore il mondo appella. sì l'insegna natura e sì l'addita”.
Ger. lib. V 42 -43 Sorrise allor Rinaldo, e con un volto in cui tra 'l riso lampeggiò lo sdegno: – Difenda sua ragion ne' ceppi involto chi servo è – disse – o d'esser servo è degno. Libero i' nacqui e vissi, e morrò sciolto pria che man porga o piede a laccio indegno: usa a la spada è questa destra ed usa a le palme, e vil nodo ella ricusa. Ma s'a i meriti miei questa mercede Goffredo rende e vuol impregionarme pur com'io fosse un uom del vulgo, e crede a carcere plebeo legato trarme, venga egli o mandi, io terrò fermo il piede. Giudici fian tra noi la sorte e l'arme: fera tragedia vuol che s'appresenti per lor diporto a le nemiche genti. –
T. Tasso, Allegoria del poema (1576) “Gerusalemme, città forte ed in aspra e montuosa regione collocata, a la quale, sì come ad ultimo fine, sono dirizzate tutte le imprese dell’esercito fedele, ci segna la felicità civile, […] la quale è un bene molto difficile da conseguire, e posto in cima a l’alpestre e faticoso gioco della virtù: ed a questo sono volte, come ad ultima meta, tutte le azioni dell’uomo politico”.
Ger. lib. XIV 65 -67 Sì canta l'empia, e 'l giovenetto al sonno con note invoglia sì soavi e scorte. Quel serpe a poco e si fa donno sovra i sensi di lui possente e forte; né i tuoni omai destar, non ch'altri, il ponno da quella queta imagine di morte. Esce d'aguato allor la falsa maga e gli va sopra, di vendetta vaga. Ma quando in lui fissò lo sguardo e vide come placido in vista egli respira, e ne' begli occhi un dolce atto che ride, benché sian chiusi (or che fia s'ei li gira? ), pria s'arresta sospesa, e gli s'asside poscia vicina, e placar sente ogn'ira mentre il risguarda; e 'n su la vaga fronte pende omai sì che par Narciso al fonte. E quei ch'ivi sorgean vivi sudori accoglie lievemente in un suo velo, e con un dolce ventillar gli ardori gli va temprando de l'estivo cielo. Così (chi 'l crederia? ) sopiti ardori d'occhi nascosi distempràr quel gelo che s'indurava al cor più che diamante, e di nemica ella divenne amante.
Nicole Poussin, Rinaldo e Armida London, Dulwich Picture Gallery, 1628 -29
A. Van Dyck, Rinaldo e Armida Baltimore, Museum of Art 1628 -29
G. Tiepolo, Rinaldo e Armida, 1750 ca. Chicago, The Art Institute
Enea e Didone – Rinaldo e Armida Eneide IV 305 -330 discorso di Didone Te ne vai di nascosto? Ne morirò. Per te il pudore è perduto. 333 -361 discorso di Enea Mi sarà caro ricordarti. Sarei rimasto con te. Ger. Lib. XVI 44 -51 discorso di Armida Non aspettare che io ti preghi. Ti seguirò come una furia. 53 -56 discorso di Rinaldo Ti terrò tra le mie care memorie. Non ti è lecito venire con me. 57 -60 prima invettiva di 365 -387 prima invettiva di Armida [svenimento] Come un’ombra ti seguirò e prima di Didone [svenimento] Troverai la morte tra le onde e mi invocherai. Ti seguirò come un’ombra dopo la morte. 590 -629 seconda invettiva morire invocherai il mio nome. 63 -67 seconda invettiva di Armida
Ger. lib. XVI 42 Allor ristette il cavaliero, ed ella [Enea non si ferma] sovragiunse anelante e lagrimosa: [parteggiare dell’autore dolente sì che nulla più, ma bella per l’abbandonata] altrettanto però quanto dogliosa. Lui guarda e in lui s’affisa, e non favella [sguardo senza parole] o che sdegna o che pensa o che non osa. [ipotesi dell’autore] Ei lei non mira; e se pur mira, il guardo [incrinarsi della saldezza]
Ger. lib. XVI 51 -52 Prendergli [Armida] cerca allor la destra o 'l manto, supplichevole in atto, ed ei s'arretra, resiste e vince; e in lui trova impedita Amor l'entrata, il lagrimar l'uscita. Non entra Amor a rinovar nel seno, che ragion congelò, la fiamma antica; [Virg. , Aen. IV 23; Purg. XXX 48] v'entra pietate in quella vece almeno, pur compagna d'Amor, benché pudica e lui commove in guisa tal ch'a freno può ritener le lagrime a fatica. Pur quel tenero affetto entro restringe, e quanto può gli atti compone e infinge.
G. B. Tiepolo, Rinaldo abbandona Armida Vicenza, Villa Valmarana, 1757
Ger. lib. XVI 64 -67 Che fa più meco il pianto? altr'arme, altr'arte io non ho dunque? Ahi! seguirò pur l'empio, né l'abisso per lui riposta parte, né il ciel sarà per lui securo tempio. Già 'l giungo, e 'l prendo, e 'l cor gli svello, e sparte le membra appendo, a i dispietati essempio. Mastro è di ferità? vuo' superarlo ne l'arti sue. . . Ma dove son? che parlo? Misera Armida, allor dovevi, e degno ben era, in quel crudele incrudelire che tu prigion l'avesti; or tardo sdegno t'infiamma, e movi neghittosa a l'ire. Pur se beltà può nulla o scaltro ingegno, non fia vòto d'effetto il mio desire. O mia sprezzata forma, a te s'aspetta (ché tua l'ingiuria fu) l'alta vendetta. Questa bellezza mia sarà mercede del troncator de l'essecrabil testa. O miei famosi amanti, ecco si chiede difficil sì da voi ma impresa onesta. Io che sarò d'ampie ricchezze erede, d'una vendetta in guiderdon son presta. S'esser compra a tal prezzo indegna sono, beltà, sei di natura inutil dono. Dono infelice, io ti rifiuto; e insieme odio l'esser reina e l'esser viva, e l'esser nata mai; sol fa la speme de la dolce vendetta ancor ch'io viva. – Così in voci interrotte irata freme e torce il piè da la deserta riva, mostrando ben quanto ha furor raccolto, sparsa il crin, bieca gli occhi, accesa il volto.
Ger. lib. XX 50 -52 Così si combatteva, e 'n dubbia lance co 'l timor le speranze eran sospese. Pien tutto il campo è di spezzate lance, di rotti scudi e di troncato arnese, di spade a i petti, a le squarciate pance altre confitte, altre per terra stese, di corpi, altri supini, altri co' volti, quasi mordendo il suolo, al suol rivolti. Giace il cavallo al suo signore appresso, giace il compagno appo il compagno estinto, giace il nemico appo il nemico, e spesso su 'l morto il vivo, il vincitor su 'l vinto. Non v'è silenzio e non v'è grido espresso, ma odi un non so che roco e indistinto: fremiti di furor, mormori d'ira, gemiti di chi langue e di chi spira. L'arme, che già sì liete in vista foro, faceano or mostra paventosa e mesta: perduti ha i lampi il ferro, i raggi l'oro, nulla vaghezza a i bei color più resta. Quanto apparia d'adorno e di decoro ne' cimieri e ne' fregi, or si calpesta; la polve ingombra ciò ch'al sangue avanza, tanto i campi mutata avean sembianza.
Ger. lib. XX 61 e 63 -64 Giunse Rinaldo ove su 'l carro aurato stavasi Armida in militar sembianti, e nobil guardia avea da ciascun lato de' baroni seguaci e de gli amanti. Noto a più segni, egli è da lei mirato con occhi d'ira e di desio tremanti: ei si tramuta in volto un cotal poco, ella si fa di gel, divien poi foco. Sorse amor contra l'ira, e fe' palese che vive il foco suo ch'ascoso tenne. La man tre volte a saettar distese, tre volte essa inchinolla e si ritenne. Pur vinse al fin lo sdegno, e l'arco tese e fe' volar del suo quadrel le penne. Lo stral volò, ma con lo strale un voto sùbito uscì, che vada il colpo a vòto. Torria ben ella che il quadrel pungente tornasse indietro, e le tornasse al core; tanto poteva in lei, benché perdente (or che potria vittorioso? ), Amore. Ma di tal suo pensier poi si ripente, e nel discorde sen cresce il furore. Così or paventa ed or desia che tocchi a pieno il colpo, e 'l segue pur con gli occhi.
Ger. lib. XX 67 -68 “Or qual arte novella e qual m'avanza nova forma in cui possa anco mutarmi? Misera! e nulla aver degg'io speranza ne' cavalieri miei, ché veder parmi, anzi pur veggio, a la costui possanza tutte le forze frali e tutte l'armi”. E ben vedea de' suoi campioni estinti altri giacerne, altri abbattuti e vinti. Soletta a sua difesa ella non basta, e già le pare esser prigiona e serva; né s'assecura (e presso l'arco ha l'asta) ne l'arme di Diana o di Minerva. Qual è il timido cigno a cui sovrasta co 'l fero artiglio l'aquila proterva, ch'a terra si rannicchia e china l'ali, i suoi timidi moti eran cotali.
Ger. lib. XX 131 -133 – O sempre, e quando parti e quando torni egualmente crudele, or chi ti guida? Gran meraviglia che 'l morir distorni e di vita cagion sia l'omicida. Tu di salvarmi cerchi? a quali scorni, a quali pene è riservata Armida? Conosco l'arti del fellone ignote, ma ben può nulla chi morir non pote. Tempo fu ch'io ti chiesi e pace e vita, dolce or saria con morte uscir de' pianti; ma non la chiedo a te, ché non è cosa ch'essendo dono tuo non mi sia odiosa. Per me stessa, crudel, spero sottrarmi a la tua feritade in alcun modo. E, s'a l'incatenata il tòsco e l'armi pur mancheranno e i precipizi e 'l nodo, Certo è scorno al tuo onor, se non s'addita veggio secure vie che tu vietarmi incatenata al tuo trionfo inanti il morir non potresti, e 'l Ciel ne lodo. femina or presa a forza e pria tradita: Cessa omai da' tuoi vezzi. Ah! par ch'ei finga: quest'è 'l maggior de' titoli e de' vanti. deh, come le speranze egre lusinga! –
Ger. lib. XX 134 -136 Così doleasi, e con le flebil onde, ch'amor e sdegno da' begli occhi stilla, l'affettuoso pianto egli confonde in cui pudica la pietà sfavilla; e con modi dolcissimi risponde: – Armida, il cor turbato omai tranquilla: non a gli scherni, al regno io ti riservo; nemico no, ma tuo campione e servo. Mira ne gli occhi miei, s'al dir non vuoi fede prestar, de la mia fede il zelo. Nel soglio, ove regnàr gli avoli tuoi, riporti giuro; ed oh piacesse al Cielo ch'a la tua mente alcun de' raggi suoi del paganesmo dissolvesse il velo, com'io farei che 'n Oriente alcuna non t'agguagliasse di regal fortuna. – Sì parla e prega, e i preghi bagna e scalda or di lagrime rare, or di sospiri; onde sì come suol nevosa falda dov'arda il sole o tepid'aura spiri, così l'ira che 'n lei parea sì salda solvesi e restan sol gli atri desiri. – Ecco l'ancilla tua; d'essa a tuo senno dispon, – gli disse – e le fia legge il cenno. –
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