Trucco e maschera teatrale Tutto ci che profondo

  • Slides: 49
Download presentation
Trucco e maschera teatrale « Tutto ciò che è profondo ama la maschera »

Trucco e maschera teatrale « Tutto ciò che è profondo ama la maschera » Friedrich Nietzsche a. a. 2018/2019 Accademia Belle Arti Roma Prof. Andrea Montani

ARGOMENTI � Storia del trucco e della maschera. � Analisi di peculiari tipi di

ARGOMENTI � Storia del trucco e della maschera. � Analisi di peculiari tipi di maschera: tecniche di realizzazione e funzione. � Relazione tra luce e Trucco/Maschera. � Ideazione e progettazione di un Trucco Teatrale (caratterizzazione, invecchiamento) e/o di una Maschera. � Approfondimento teorico e pratico di una delle tecniche analizzate. � Realizzazione di una Maschera e di un Trucco Teatrale, mediante tecniche tradizionali ed innovative, quali: cartapesta, gesso, alginato, lattice.

 MODALITA' DELLA DIDATTICA � Lezioni frontali introduttive del processo di lavoro. � Lezioni

MODALITA' DELLA DIDATTICA � Lezioni frontali introduttive del processo di lavoro. � Lezioni teoriche di approfondimento sulla storia e funzioni della maschera teatrale. Particolare attenzione a scultori/scenografi contemporanei. � Proiezioni di immagini o video. Discussione. � Lezioni pratico-laboratoriali con applicazione di tecnologie tradizionali e sperimentali. Progetti individuali e collettivi a tema o liberi. � Colloqui individuali permanenti durante le ore di lezione.

BIBLIOGRAFIA � Vernant Jean-Pierre “Figure, Idoli, Maschere”, edito da SE, 2014; � Fabrizio Paladin

BIBLIOGRAFIA � Vernant Jean-Pierre “Figure, Idoli, Maschere”, edito da SE, 2014; � Fabrizio Paladin “Il Teatro e la maschera”, L’autore libri Firenze, 2008; � Caterina Ortu “Maschere dal Mondo”, ristampa 2012, (obbligatorio); � Ran Nomura “Demoni di carta. Dal disegno alla maschera. ” Catalogo della mostra (Torino), Yoshin Ryu, 2009; � Stefano Anselmo “Fare Maschere”, M-DD, 2005; � Leo Valeriano “La tradizione delle maschere”, RAI-ERI, 2004; � Dispense e filmografia del docente.

�Maschera: L’ etimologia non è certa. Tra le ipotesi avanzate, v’è quella di una

�Maschera: L’ etimologia non è certa. Tra le ipotesi avanzate, v’è quella di una derivazione da masca, denominazione della strega in alcune aree geografiche del Nord Italia (piemonte e Ligiria). Masca a sua volta riprende il latino tardo măsca (m). Maschera è attestato nell’italiano scritto a partire del XIII secolo.

FUNZIONE MAGICO-RITUALE DELLA MASCHERA In origine la maschera ha funzione di vera e propria

FUNZIONE MAGICO-RITUALE DELLA MASCHERA In origine la maschera ha funzione di vera e propria trasformazione dell’individuo, e non di camuffamento. E’ la raffigurazione di un volto umano o animalesco, che un individuo impone al suo volto, cancellandolo e assumendone i caratteri. Questa trasformazione vuole essere interiore ed esteriore, e originariamente ha carattere religioso: rende possibile la metamorfosi e conferisce dei “poteri” all’individuo.

Tribù Mudman, Isola di Papua, Nuova Giunea. I Mudman sono gli uomini dalla maschera

Tribù Mudman, Isola di Papua, Nuova Giunea. I Mudman sono gli uomini dalla maschera di fango. I guerrieri di questi clan indossano grandi maschere di argilla per terrorizzare gli avversari e, uomini e donne della tribù, ricoprono il corpo di fango.

L’ uso della maschera fu inizialmente zoomorfo, e si fa risalire alla preistoria, Sulle

L’ uso della maschera fu inizialmente zoomorfo, e si fa risalire alla preistoria, Sulle pareti della grotta dei Trois frères, sui Pirenei francesi, un dipinto rappresenta un cacciatore mascherato da capra, durante la caccia. La tradizione di travestirsi con pelli e maschere di animali e di imitarne le movenze è presente in tutte le culture umane. Lo stregone o sciamano preistorico, nella grotta dell'Ariege, risalente al 13. 000 a. C.

Appare perciò probabile l’ipotesi di un’origine simbolicorituale, secondo la quale la maschera costituiva un

Appare perciò probabile l’ipotesi di un’origine simbolicorituale, secondo la quale la maschera costituiva un mezzo di identificazione primaria dell’uomo con le forze soprannaturali. Operando negli stati di labilità dell’ego, veicolava una modificazione della personalità dell’individuo che poteva così evadere dalla propria condizione umana ed accrescere le proprie facoltà entrando in contatto con le forze soprannaturali. L’uomo, indossando la maschera, non soltanto si impadroniva di un segno di potere, ma diventava egli stesso emanazione, personificazione di quel potere. L’uomo con la maschera divina non era una rappresentazione del Dio ma il Dio stesso.

Parlando però dei significati della maschera è bene non procedere ad eccessive generalizzazioni in

Parlando però dei significati della maschera è bene non procedere ad eccessive generalizzazioni in quanto questo elemento, seppur presente in tutte le culture, non è riconducibile ad una categoria unitaria. Estremamente diverse sono le forme che questo oggetto ha assunto, e altrettanto varie sono le funzioni ad esso attribuite. Se abitualmente, nella nostra cultura, il termine maschera indica un finto volto, altre civiltà estendono il significato di maschere anche a particolari travestimenti che ricoprono solo parte del corpo e a fantocci, o altri oggetti che possono non essere indossati dalla persona.

Caratteristica che però accomuna le diverse configurazioni della maschera è quella di essere un

Caratteristica che però accomuna le diverse configurazioni della maschera è quella di essere un oggetto d’uso, uno strumento legato alle necessità della vita individuale e comunitaria, laddove con uso non si intendono solo finalità eminentemente pratiche. In alcuni casi la maschera può anche presentare delle forme puramente geometriche ed essere pur sempre considerata volto di una divinità, anche se l’oggetto di culto non ha caratteristiche antropomorfiche. Un esempio di questa sono i dischi solari e lunari dello Egitto, dell’Asia o dell’antica civiltà Inca. La maschera assume invece fattezze specificatamente umane nel rito funebre, dove la maschera mortuaria, largamente diffusa sia nella cultura egizia e micenea, rappresenta un mezzo per conservare attraverso le fattezze dell’individuo, le sue doti morali, oltre la consumazione della materia.

Anubi, Dio Egizio della Morte in una scena del Giudizio, capitolo 125, Libro dei

Anubi, Dio Egizio della Morte in una scena del Giudizio, capitolo 125, Libro dei Morti, Egitto circa 1500 a. C.

Maschera ghignante, VII-VI sec. A. C. , terracotta policroma, Parigi, musée du Louvre Maschera

Maschera ghignante, VII-VI sec. A. C. , terracotta policroma, Parigi, musée du Louvre Maschera di Agamennone, maschera funeraria, lamina d’oro, 1500 -1000 a. C. , Museo nazionale archeologico di Atene

La maschera, antica come moderna, è caratterizzata dalla sua complessità semantica. Maschera di teatro,

La maschera, antica come moderna, è caratterizzata dalla sua complessità semantica. Maschera di teatro, eminentemente rituale come nella società antica, o più profana nella sua versione moderna, può anche diventare maschera funeraria, persino maschera mortuaria, quando è modellata sul volto del defunto. Può rivelare una faccia diversa che testimonia il passaggio da un mondo all'altro. Nei tempi antichi, Dioniso (il Bacco romano) è uno dei pochi dei, con il suo culto misterioso, può promettere l'eternità. La figurazione di maschere tragiche o comiche su vari supporti (figure come sarcofagi) può essere letta come un'allegoria di questa trasformazione che è anche quella consentita dal teatro. La maschera funeraria fu, a sua volta, onorata dalla Roma repubblicana con il culto degli antenati delle famiglie aristocratiche (ius imaginum maiorum). L'immagine del defunto è stata preservata grazie alla maschera di cera, che non deve essere vista come la volontà di perpetuare i suoi tratti, ma come un indicatore sociale della famiglia. Dalla fine del Medioevo, troviamo, in connessione con le pratiche religiose e la nascita del realismo, maschere di defunti in vari materiali. Simbolica e funerea, la maschera è ricostruita come un ritratto.

Il mondo classico � Nell’antica Grecia la maschera o “il mascheramento” costituiva un elemento

Il mondo classico � Nell’antica Grecia la maschera o “il mascheramento” costituiva un elemento ci culto fondamentale nei riti dionisiaci, durante i quali si volgevano quelle processioni che, col tempo, avrebbero raccolto in sé quegli elementi rappresentativi dai quali doveva prendere vita la tragedia. � I seguaci di Dioniso solevano camuffarsi coprendosi il capo con foglie e imbrattandosi il viso con mosto, fuliggine o terra. (Dioniso divine il signore della maschera). � Il travestimento e la maschera permettevano al dio di prendere vita nel corpo dei suoi seguaci.

La nascita della Tragedia �Con la nascita della Tragedia la maschera conserva la sua

La nascita della Tragedia �Con la nascita della Tragedia la maschera conserva la sua funzione di culto; inoltre non è da escludere che l’attore che portava la maschera fosse determinato e percepito come il personaggio che interpretava.

� Dioniso, il dio della maschera Dioniso è un dio a parte. Cresciuto da

� Dioniso, il dio della maschera Dioniso è un dio a parte. Cresciuto da un vecchio Sileno (Papposilene), si circonda con la processione di satiri, a cui si uniscono le donne del suo culto, le Menadi (o Baccanti). La sua sfera religiosa è estesa. Dio della vite e del vino, di cui solo lui controlla il potere ambivalente (il vino può far impazzire gli uomini), è il dio del teatro e quindi della trasformazione. Solo divinità rappresentata sulla ceramica greca (con la Gorgone per il lato mostruoso), si è infatti spesso raffigurato con una semplice maschera con barba, permettendo reciprocità eccezionale di sguardi tra il dio e i suoi fedeli. Non è quindi un caso che il dio maschera sia il dio delle maschere, che, in Grecia, hanno sempre uno scopo religioso, essenzialmente teatrale. Ad Atene, le rappresentazioni teatrali durano quattro giorni nei festival sotto il patronato di Dioniso. La prima giornata vede la processione della statua del dio dal tempio al teatro, in cui dà una tetralogia composta da tre tragedie e un dramma satiresco (interpretato da attori travestiti da satiri). L'ultimo giorno è dedicato alle commedie. Pochi attori svolgono più ruoli, comprese le donne. Il costume, ma soprattutto la maschera scenica, permette di identificare il personaggio: quindi la maschera non nasconde, incarna. Il nome, in greco, maschera, significa volto, prosopon ( "faccia") è notevole e si distingue dal termine usato dai Romani, che contraddistinguono la maschera (persona) della faccia (vultus). Realizzati in materiali deperibili, queste maschere ci sono pervenute solo da simulacri in argilla o pietra o dipinti su vasi. L'estensione dei poteri di Dioniso (Bacco nel mondo romano) rimane importante fino alla fine del periodo romano, specialmente a causa del suo culto misterioso (rivelato agli iniziati) che promette la vita al di là della morte.

� La Gorgone. Creatura alata dal volto mostruoso e capelli serpentiformi, la Medusa condivide

� La Gorgone. Creatura alata dal volto mostruoso e capelli serpentiformi, la Medusa condivide con Dioniso un'eccezionale bellezza facciale, espressa nella ceramica che privilegia i profili; La maschera del dio e il Gorgô sono talvolta associati allo stesso taglio, in modo che il bevitore finisca per scoprire una volta che il vino è stato bevuto. Così rappresentati dal fronte, hanno una faccia schiacciata, con barba leonina, orecchie bovine, zanne di cinghiale da cui emerge una lingua gigantesca e occhi sporgenti. Un'ibridazione per esprimere ciò che non può essere rappresentato: guardarli è di fatto rimanere interdetti. Gold Medusa o Gorgô, l'unico mortale delle tre Gorgoni, è decapitato dall'eroe ateniese Perseo che, su consiglio di Atena, usa il suo scudo come uno specchio per evitare di attraversare lo sguardo mortale. La sua testa termina come ornamento sull'egida di Atena, usata come corazza e decorata con scaglie di serpenti, o sul suo scudo, il primo motivo ornamentale del mascaron. Una figura mostruosa che è umanizzata per finire come una semplice testa femminile nel corso del V secolo a. C. D. C. è dappertutto nel mondo greco, a volte integrale, la testa più spesso isolata, in gorgonion, con il frontone dei templi, sul cratere dei crateri, sul fondo dei tagli o sui mobili, in gioielli � o sulle valute. È attribuito un valore apotropaico. Dal Rinascimento, la Gorgone trova, nel registro dell'ornamento, la maggior parte dei suoi personaggi originali

Vari esempi di gorgone utilizzata come antefissa nei templi classici

Vari esempi di gorgone utilizzata come antefissa nei templi classici

� Mascheroni. Mascarons. Il motivo della maschera è stato oggetto di una particolare interpretazione

� Mascheroni. Mascarons. Il motivo della maschera è stato oggetto di una particolare interpretazione nell’ornamentazione in cui è stato progressivamente designato, dal XVII secolo, il nome di mascherone. Il mascherone non è una semplice rappresentazione decorativa della maschera, ma una figura di uomo, donna o immaginario, ridotta alla parte anteriore della testa e vista frontalmente. Sebbene questa testa sia spesso modellata sulla forma e sull'espressione della maschera antica, non la riproduce. Con uno sguardo completo , il grottesco, piuttosto appare come un volto, che, a differenza della maschera, non ha un corpo antropomorfo ma un'espressione o una mente sveglia, una supporto astratto. Almeno dal XV secolo, architetti e scultori lo diffondono nelle loro creazioni sulla sommità di archi, staffe, mensole, capitelli e fontane (dove si manifesta essenzialmente come bocca): il mascaron interviene dove viene esercitata una forza, dove è necessario un supporto (valenza apotropaica), dove si apre un passaggio. Il suo aspetto non è sempre strettamente umano, e volentieri prende una forma ibrida in cui l'immagine di un uomo e le sue espressioni facciali, spesso iperbolicamente accentati, può essere miscelato con notevoli attributi del mondo animale o vegetale. Nonostante questa vitalità dell'abbigliamento, il mascaron non perde mai completamente una strana fissità, ben fatta per fermare lo sguardo e provocare stupore.

� Perino del Vaga Trois mascarons vus de face, une tête d’aigle et une

� Perino del Vaga Trois mascarons vus de face, une tête d’aigle et une tête de lion ornementales vues de profil ; un homme nu vu de dos , Plume et encre brune, lavis gris, papier filigrané lavé gris-beige. , Paris, musée du Louvre, département des Arts graphiques.

� Simulazione e occultamento Nei secoli XVI e XVII (e questo sarà ancora vero

� Simulazione e occultamento Nei secoli XVI e XVII (e questo sarà ancora vero fino al diciannovesimo secolo), la maschera un attributo molto ricercato nel vocabolario delle allegorie. A volte, in queste immagini che di solito rappresentano idee sotto forma di personaggi, la maschera appare per i suoi poteri di illusione e dissimulazione. Nel 1593, un autore italiano, Cesare Ripa, compilò il linguaggio allegorico sviluppato dalle arti visive e dalla letteratura e così definì, nella sua Iconologia, nuove regole per la personificazione dei concetti. Almeno ventitre delle allegorie che codifica integrano una maschera. Così sono le allegorie di Lie, Fraud, Tradition. . . e tutti i Vizi che non mostrano i loro veri volti. L'artista rimuove dalla maschera la sua facoltà di far apparire, per artificio, un dato aspetto, fittizio e suscettibile di ingannare. Questo carattere fallace della maschera, che nasconde e trasforma chi lo indossa, si prestava anche all'espressione di tutte le forme di doppiezza. L'occultamento è anche la parola chiave nella rappresentazione seducente della maschera mondana. È lì, forse sotto la copertura dell'eleganza, anche della discrezione, soprattutto nella ricerca erotica, per coltivare l'incognito, non per avanzare con il volto scoperto, per non essere trafitto al giorno o per donarsi, per la piccantezza e la bellezza della fantasia, le melodie del vizio. Quella maschera, cade, scopre un altro. .

Esempi di allegorie secondo Cesare Ripa

Esempi di allegorie secondo Cesare Ripa

La Commedia dell’Arte

La Commedia dell’Arte

Arlecchino È la maschera più nota della Commedia dell'Arte. Di probabile origine francese (Herlequin

Arlecchino È la maschera più nota della Commedia dell'Arte. Di probabile origine francese (Herlequin o Hallequin era il personaggio del demone nella tradizione delle favole francesi medievali), nel Cinque-Seicento divenne maschera dei Comici dell'Arte, con il ruolo del "secondo Zani" (in bergamasco è il diminutivo di Giovanni) il servo furbo e sciocco, ladro, bugiardo e imbroglione, in perenne conflitto col padrone e costantemente preoccupato di racimolare il denaro per placare il suo insaziabile appetito. Col passare del tempo il carattere del personaggio andò raffinandosi: l'aspro dialetto bergamasco lasciò il posto al più dolce veneziano, l'originaria calzamaglia rattoppata divenne via un abito multicolore col caratteristico e ricercato motivo a losanghe, ingentilirono gli originari lineamenti demonici della maschera nera, così come la mimica e la gestualità. Nel corso del Settecento Arlecchino divenne oggetto di svariate interpretazioni ad opera di diversi autori, fra cui Carlo Goldoni, che rivestì il personaggio di un carattere sempre più realistico. I più grandi interpreti che vestirono l'abito multicolore, furono Tristano Martinelli (m. 1630), Domenico Biancolelli (16461688), Angelo Costantini (1654 -1729), Evaristo Gherardi (1663 -1700) e ai nostri giorni gli indimenticabili Marcello Moretti (1910 -1962) e Ferruccio Soleri.

Balanzone Il Dottor Balanzone appartiene alla schiera dei vecchi della Commedia dell'Arte. Personaggio serio,

Balanzone Il Dottor Balanzone appartiene alla schiera dei vecchi della Commedia dell'Arte. Personaggio serio, tende però alla presunzione. Il Dottore è solitamente un uomo di legge o un medico, che si intende di tutto ed esprime opinioni su ogni cosa. Caratterizzato da una certa verbosità, tende ad infarcire di citazioni latine e ragionamenti rigorosi quanto strampalati i suoi discorsi, che riguardano la filosofia, le scienze, la medicina, la legge. L'aspetto è imponente, le guance rubizze. Indossa una piccola maschera che ricopre soltanto le sopracciglia e il naso, appoggiandosi su un gran paio di baffi. L'abito, piuttosto serio ed elegante, è completamente nero con colletto e polsini bianchi, un gran cappello, una giubba e un mantello. Fra i più noti interpreti di questo ruolo il più famoso fu Domenico Lelli, che lo caratterizzò come un erudito avvocato bolognese, pignolo e cavilloso. In epoca più recente invece si ricordano Bruno Lanzarini e Andrea Matteuzzi.

Beltrame è una maschera milanese nata nel Cinquecento. Al nome accompagna spesso il soprannome

Beltrame è una maschera milanese nata nel Cinquecento. Al nome accompagna spesso il soprannome "de Gaggian", da Gaggiano, una borgata della bassa milanese di cui è originario, o anche "de la Gippa", per via dell'ampia casacca che era solito indossare. Rappresenta il tipo del contadino stolto e arruffone, capace solo di commettere grandi spropositi, volendosi mostrare più signore di quanto sia. Nel corso del Seicento Beltrame impersonava tutte le parti di marito e veniva caratterizzato come un "compare furbo e astuto". Secondo la tradizione il personaggio deve la sua nascita al comico Nicolò Barbieri (Vercelli, 1576), illustre attore che fece parte delle Compagnie dei Gelosi e dei Confidenti.

Brighella L'origine di questa maschera è probabilmente bergamasca, ma la sua fama si deve

Brighella L'origine di questa maschera è probabilmente bergamasca, ma la sua fama si deve all'attore Carlo Cantù (1609 -1676 ca), che ne vestì i panni per molti anni. Nella Commedia dell'Arte Brighella ricopriva il ruolo di "primo Zani", ovvero il servo furbo, autore di intrighi architettati con sottile malizia, ai danni di Pantalone o per favorire i giovani innamorati contrastati. Nel corso del Seicento e del Settecento precisò i suoi caratteri in contrasto con quelli del "secondo Zani" (ruolo del servo sciocco, spesso impersonato da Arlecchino) e, soprattutto con Goldoni, divenne servo fedele e saggio, tutore a volte di padroncini scapestrati, oppure albergatore avveduto o buon padre di famiglia. Il costume di scena, che andò precisandosi nel corso del tempo, comprende la maschera e una livrea bianca, costituita di un'ampia casacca ornata di alamari verdi, con strisce dello stesso colore lungo le braccia e le gambe. Tra i maggiori interpreti di questo ruolo, oltre a Carlo Cantù, si ricorda Atanasio Zannoni nel 1700.

Capitan Spaventa La storia e la fortuna del personaggio di Capitan Spaventa di Vall'Inferna

Capitan Spaventa La storia e la fortuna del personaggio di Capitan Spaventa di Vall'Inferna è indissolubilmente legata alla figura del suo creatore e interprete Francesco Andreini (1548 -1624). Andreini entrò nella Compagnia dei Gelosi già sul finire del Cinquecento, sposò Isabella e con lei recitò per diversi anni in Italia e in Francia riscuotendo ovunque un grandissimo successo. Ci lasciò anche una raccolta di generici, "Le bravure di Capitan Spaventa", contenente alcune scene dalle quali emerge il carattere del suo personaggio. Di lui egli dice "io mi compiacqui di rappresentare nelle commedie la parte del milite superbo, ambizioso e vantatore". In realtà il personaggio da lui ideato è un uomo colto e raffinato, per nulla vanaglorioso come Capitan Matamoros, ma piuttosto poeta e sognatore, che fatica a mantenere la distinzione fra fantasia e realtà. Il suo aspetto è composto ed elegante, così come nobili e curati sono i suoi abiti. Solitamente indossa un vestito a strisce colorate, completato da un cappello ad ampie tese adorno di piume. Completano l'abbigliamento lunghi baffi e un grande naso, mentre la lunga spada, con la quale sa essere temerario, gli pende smisurata su un fianco.

Colombina è di sicuro la più famosa fra le servette e forse anche una

Colombina è di sicuro la più famosa fra le servette e forse anche una delle maschere più antiche. Già dal 1530 abbiamo notizia di un personaggio con questo nome nella Compagnia degli Intronati, una delle più importanti fra quelle dei Comici dell'Arte. Solitamente Colombina viene caratterizzata come una giovane arguta, dalla parola facile e maliziosa. Spesso non ricopre un ruolo di protagonista nella commedia, ma, abile a risolvere con destrezza le situazioni più intricate, ha una parte importante nell'economia dello spettacolo. Colombina veste un semplice abito cittadino di colore chiaro, con un grembiule colorato e una cuffietta portata di traverso sul capo. Fra le attrici che la impersonarono si ricordano Isabella Biancolelli Franchini e Caterina Biancolelli, entrambe vissute nel 1600 e, ai giorni nostri Narcisa Bonardi, interprete di molte colombine strehleriane.

Pierrot La maschera di Pierrot nasce in Italia verso la fine del Cinquecento, ad

Pierrot La maschera di Pierrot nasce in Italia verso la fine del Cinquecento, ad opera di Giovanni Pellesini, attore della Compagnia dei Gelosi. Il suo personaggio di nome Pedrolino era una variazione sul tema dello Zanni, il servo, di cui indossava l'abito bianco e ampio. Servo accorto e fidato, pronto a intessere imbrogli che poi districava con grande abilità, per trarre d'impaccio il proprio padrone, Pedrolino era un personaggio forte, di primaria importanza nell'economia della commedia. Il personaggio seguì i Gelosi in Francia, dove ebbe immediato successo, entrando a far parte degli scenari delle Compagnie francesi con il nome di Pierrot. Nella versione francese Pierrot perde gran parte della sua astuzia, conservando solo l'onestà e l'amore per la verità, spinto a volte fino all'eccesso. Dopo un periodo di declino il personaggio tornò in primo piano grazie all'interpretazione del mimo Jean-Gaspard Debureau (17961846), che gli infuse nuova energia, impersonandolo dal 1826 al Théâtre des Funanbules. Debureau definì il costume che dopo di lui fu tipico di Pierrot: un ampio abito bianco formato da casacca e pantaloni, ornato da bottoni neri, una piccola coppolina nera sul capo e il viso imbiancato. Con Debureau Pierrot assunse un carattere molto più forte e vitale, che il mimo trasmetteva attraverso le sue capacità espressive, le sue doti acrobatiche e interpretative straordinarie, a detta dei testimoni dell'epoca.

Polichinelle è la derivazione francese del tipo di Pulcinella. Diffuso negli scenari delle Commedie

Polichinelle è la derivazione francese del tipo di Pulcinella. Diffuso negli scenari delle Commedie a partire dal Seicento, Polichinelle ci appare caratterizzato da una grande gobba e da una maschera con un enorme naso adunco che gli conferiva la caratteristica voce stridula. Il costume è colorato, costituito da una casacca e un paio di pantaloni, stretti da una cintura che metteva in evidenza il suo enorme ventre. Il suo carattere appare più simile a quello del Capitano piuttosto che del servo: irascibile, fanfarone e bugiardo, Polichinelle spesso compie azioni riprovevoli. Nel 1685 l'attore italiano Michelangelo Fracanzani giunto a Parigi creò un personaggio nuovo con lo stesso nome, mediando le caratteristiche del Pulcinella italiano con quelle francesi. Accentuò la dimensione della gobba, ponendone in aggiunta una sul petto, conservò la maschera originaria e pose sulla testa un cappello a cono ornato di piume di gallo. Con l'allontanamento dei comici Italiani da Parigi, Polichinelle restò in auge nei teatri della Foire e nei teatri delle marionette, assumendo caratteristiche sempre più stravaganti: l'abito sgargiante, il cappello a bicorno ornato di sonagli, mentre il carattere andò via diventando quello di uno scioperato pigro e attaccabrighe, sempre in fuga dai creditori.

Pulcinella è una delle maschere più note della tradizione italiana meridionale. La sua origine

Pulcinella è una delle maschere più note della tradizione italiana meridionale. La sua origine risale al Seicento, essendo la sua presenza documentata da diverse raffigurazioni dell'epoca. Alcuni tuttavia rintracciano le sue origini nei personaggi delle "fabulae atellanae" come Macco e Dosseno, di cui conserva alcuni caratteri esteriori e interiori, come la gobba e il ventre sporgente, unite ad una certa malizia. L'abito di scena richiama quello dello Zanni, con l'ampio camicione bianco serrato dalla cintura nera tenuta bassa sopra i calzoni cadenti. La sua maschera è nera, glabra, con gli occhi piccoli e il naso adunco, che dava alla voce degli attori una caratteristica tonalità stridula e chioccia. Alcuni attori e burattinai utilizzavano un particolare strumento detto "sgherlo" o "pivetta", per accentuare questa caratteristica della voce. Alla voce e al naso a becco sembra essere legato anche il nome pulcinella, da "pulcino". Il carattere del personaggio richiama quello dello Zanni, pur essendo più complesso e articolato. Servo sciocco e insensato, non manca spesso di arguzia e buon senso popolare. In lui si mescolano un'intensa vitalità ed un'indole inquieta, triste e sempre pronta a stupirsi delle cose del mondo. Secondo la tradizione primo interprete e principale inventore del personaggio di Pulcinella fu l'attore Silvio Fiorillo, vissuto nella seconda metà del Cinquecento, che lo condusse alla notorietà insieme alla Compagnia degli Accesi. In seguito il più grande e noto Pulcinella fu l'attore Antonio Petito (182276), che lo slegò da un ruolo particolare, conferendogli maggiore spessore psicologico.

Macco è una delle maschere tipiche della farsa atellana di origine latina. Il suo

Macco è una delle maschere tipiche della farsa atellana di origine latina. Il suo tipo è quello del contadino rozzo e grossolano, crapulone e goloso, che spesso finisce per essere bastonato e menato per il naso. Nelle raffigurazioni che possediamo egli ci appare calvo, con una maschera dotata di un enorme naso adunco, di un paio di orecchie spropositate e di una larga bocca con pochi denti radi, che gli conferiscono un'espressione fissa ed inebetita. Dotato di una duplice gobba, sulle spalle e sul petto, Macco indossa un abito ampio e bianco, da cui gli deriva il nome di "mimus albus". L'origine del nome è controversa: per alcuni significa semplicemente "sciocco, stupido", per altri allude invece al "maco", pietanza di fave maciullate, il cui colore livido somiglia a quello dovuto alle botte spesso ricevute dal personaggio.

Rugantino Maschera romanesca del teatro dei burattini; il suo nome deriva da "ruganza", arroganza.

Rugantino Maschera romanesca del teatro dei burattini; il suo nome deriva da "ruganza", arroganza. Ennesima variazione del Capitano, visto nella sua forma più popolare, impersona il tipo del litigioso inconcludente sempre sopraffatto dalle brighe che provoca. Gli inizi della sua carriera lo vedono vestito come un gendarme, o capo delle guardie del Bangello, sempre pronto ad arrestare qualche innocente per dimostrare la propria forza. Con il tempo smetterà l'abbigliamento militare e, vestiti panni civili, smusserà il suo carattere negativo per assumere un carattere più pigro e bonario che ne farà l'interprete di una Roma popolare ricca di sentimenti di solidarietà e giustizia. Vestito in foggia bizzarra indossa un gilè di colore rosso e un imponente cappello di identico colore. Numerosi furono gli interpreti, tra questi: Tacconi, Nino Tamburri, Nino Slari e il popolare cantastorie detto il Sor Capanna.

La maschera veneziana nel XVIII sec. � Prodotti dell’artigianato locale, ma note in tutto

La maschera veneziana nel XVIII sec. � Prodotti dell’artigianato locale, ma note in tutto il mondo, sono le famose maschere carnevalizie di cartapesta. Le maschere veneziane erano quelle tipiche della Commedia dell'Arte; esse venivano usate durante il carnevale, ma non solo. Le maschere veneziane furono indossate in altri periodi dell'anno e in altre circostanze. La Serenissima fu sempre abbastanza permissiva al riguardo, anche se istituì un Magistrato alle Pompe per poterne frenare gli eccessi. Tale istituzione venne fondata nel 1514 per controllare inoltre lo sfarzo eccessivo ed i costumi delle prostitute. Il magistrato fu retto da tre Provveditori che imposero, tra le altre misure, il colore nero alle gondole. Le maschere veneziane furono usate soprattutto nel '700 ma anche nei secoli precedenti. Alcune maschere veneziane si possono ancora vedere nelle edizioni attuali del carnevale. L'abitudine di mascherarsi a Venezia veniva dalla voglia di trasgressione o semplicemente per non farsi riconoscere. Naturalmente le maschere veneziane si usavano nelle rappresentazioni teatrali, marcatamente nelle commedie di Carlo Goldoni che ha in grande parte contribuito a renderle famose non solo in Italia ma nel mondo intero. � Chi fabbricava le maschere veneziane ai tempi della Serenissima erano i "Mascareri", consociati nell'Arte dei Maschereri fin dal 1436. Attualmente in città sono presenti centinaia di negozi che vendono maschere veneziane, ma poche botteghe possono vantare dei maschereri che lavorino all'antica, con la cartapesta. � Tra le maschere veneziane più conosciute possiamo annoverare sicuramente la Baùta. Queste maschere venivano indossate sia dagli uomini che dalle donne, ed erano così composte: maschera bianca per il volto, mantello nero (detto anche "tabarro") ed il tipico copricapo del '700, il tricorno di colore nero. Le maschere veneziane più usate dal popolo erano il Bernardone o Bernardon e la Gnaga: la prima fingeva di essere malata e si sosteneva con le grucce, la seconda era un uomo travestito da donna. Il Mattaccino era il pagliaccio del carnevale che, ripetendo un'antica usanza, gettava uova ripiene di profumi verso gli amici affacciati sui balconi. La Moretta era tra le maschere veneziane quella preferita tra le donne. Di colore nero e di forma ovale, stava aderente al viso perché sostenuta da un bottoncino attaccato alla maschera e trattenuto con la bocca dalle veneziane. Tra le maschere veneziane più bizzarre, il Medico della Peste è quella riconoscibile dal lungo naso simile al becco di una cicogna. In origine questa non era una maschera ma bensì doveva servire da protezione ai cosiddetti Medici della Peste, che venivano a contatto con gli ammalati di questo terribile morbo. Altro costume tipico delle maschere veneziane è quello a righe bianche e verdi di Zanni, conosciuto anche con il nome di Brighella. Fra le maschere veneziane per eccellenza si può annoverare quella di Arlecchino, che ha origini bergamasche. Essa è facilmente riconoscibile per il suo costume multicolore e per i suoi continui movimenti alternati a salti e a capriole. Fu il protagonista di una delle più celebri commedie di Carlo Goldoni, "Arlecchino Servitore di Due Padroni". Tipica tra le maschere veneziane della Commedia dell'Arte, la figura di Pantalone rappresenta in forma farsesca il carattere del mercante di Venezia che tanto ha contribuito con i suoi commerci alla ricchezza della sua città. Spesso sopraffatto dall'avvenenza femminile delle maschere veneziane di Colombina e Franceschina, egli veniva anche chiamato Pantalon de' Bisognosi. � Le maschere veneziane vengono tutte costruite e decorate interamente a mano.

Bauta veneziana Gnaga veneziana Maschera del dottore della peste Pietro Longhi, Il rinoceronte, ,

Bauta veneziana Gnaga veneziana Maschera del dottore della peste Pietro Longhi, Il rinoceronte, , olio su tela, 1751, Venezia. Moretta

LA MASCHERA NEUTRA NEL XX sec. � "La Maschera Neutra ci porta nel mondo

LA MASCHERA NEUTRA NEL XX sec. � "La Maschera Neutra ci porta nel mondo dell’equilibrio e del silenzio precedendo il movimento e la parola. Dall’impressione all’espressione, è il supporto di una esplorazione mimodinamica dello spazio corporale e delle passioni umane attraverso i ritmi e le forme della natura e del vivente. . . " J. Lecoq � Elemento didattico di basilare importanza, è lo strumento cardine di questo percorso, sia per la formazione dell’attore, sia per la consapevolezza individuale nella comunicazione, . � Già usata nei secoli scorsi dai Capocomici della Commedia dell’Arte per evidenziare l’espressività del proprio corpo, è stata sperimentata dal grande Maestro francese di teatro Jacques Lecoq nella sua scuola parigina, facendone uno dei punti fondamentali della propria pedagogia. � Da uno stato neutro, uno stato di calma e di curiosità, inizia il viaggio verso la riscoperta delle dinamiche della natura. Elementi, materie, musica, suoni e parole vengono re-interpretati nel corpo mimante attraverso l'improvvisazione e l'analisi del movimento.

La famiglia Sartori e la maschera nel XX sec. � "Io sono uno dei

La famiglia Sartori e la maschera nel XX sec. � "Io sono uno dei pochi fortunati ad aver vissuto un'avventura possibile normalmente nel rinascimento, la bottega teatrale; oltre agli studi artistici io ero il ragazzino di bottega di mio padre, imparavo a pulire la creta, a pulire gli strumenti, a disegnare, a capire un pochino questa scultura che stava diventando una scultura vivente". (Donato Sartori) � D. Sartori-intervista � Parlare della maschera secondo me è molto difficile perché è un elemento, una struttura, uno strumento di comunicazione che appartiene un po' a tutte le culture del mondo da sempre. La maschera è nata con l'uomo. Noi abbiamo visitato moltissimi dei paesi, delle culture che utilizzano ancora maschere, cioè mascheramenti rituali o meno, religiosi o meno, e ancora in qualche punto del mondo la maschera è in auge in maniera incredibile. Noi l'abbiamo persa un po', abbiamo perso la maschera da festa, la maschera da carnevale, in Europa abbiamo pochissimi esempi di maschere e mascheramenti realmente veri, realmente popolari. Non consideriamo maschera le maschere del carnevale di Venezia, per esempio; sono delle strutture estetiche, hanno perso completamente il valore di strumento comunicativo e sono maschere morte. Maschera vivente esiste ancora in Europa nella fascia delle Alpi, abbiamo dei fenomeni in alcune isole, in Sardegna e in Sicilia, per il resto abbiamo perduto questo patrimonio culturale, che invece è mantenuto addirittura sacralizzato in oriente. Abbiamo il teatro del Nô che da mille anni perpetua una struttura teatrale che viene protetta dallo Stato, dalla struttura pubblica. � In oriente la maschera esiste ancora, esistono situazioni tribali in alcune isole come la Nuova Guinea dove ancora adesso alcune popolazioni usano in maniera rituale maschere che secondo me sono fantastiche, viventi e ancora estremamente vivaci. Praticamente in quasi tutta l'America Latina, la maschera è ancora oggi in uso; pare ci sia un’unica struttura religiosa in tutto il circolo polare artico e un uso di maschere antichissime, poco conosciute dalla Russia all'America al nord dell'Europa, e il nostro centro sarà in grado, probabilmente entro qualche anno, di verificare' quest’ipotesi e di raccogliere materiali estremamente rari. La maschera in Europa nasce con la struttura dei teatro greco e poi latino, e queste maschere non esistono più, questi oggetti non esistono più, abbiamo la morfologia che è arrivata fino a noi attraverso gli artisti, attraverso le pitture vascolari, attraverso le sculture, attraverso dei detti, degli scritti, dei documenti. La tarda maschera latina crea un tipo, un personaggio o una serie di personaggi, che pare abbia influenzato in qualche modo la commedia dell'arte, quindi la nascita di un teatro popolare in contrapposizione al teatro colto, un teatro che agiva per le strade, per le piazze. � Marcus, Pappus, Dossenus, il Miles Gloriosus, questi personaggi sono stati traslati successivamente nei fantastici miti ormai del teatro d’Arlecchino, Brighella, Pantalone, i vecchi, i servi, gli amorosi. La commedia dell'arte nasce ufficialmente in Italia verso il 1545 proprio a Padova (secondo un documento che abbiamo reperito presso un museo). � A Padova nasce anche un personaggio famoso, Angelo Beoleo detto Ruzante; Ruzante non usa la maschera ma ha influenzato tantissimo la commedia dell'arte con la creazione di personaggi popolari. La commedia dell'arte si sviluppa per due secoli e mezzo dapprima in Italia con molta difficoltà, poi in Francia e in tutta Europa. In pratica abbiamo accenni di commedia dell'arte in Russia, in Spagna, in Inghilterra, nei paesi del Nord. Muore, la commedia, attraverso una serie d’eventi quale la situazione teatrale creata da Goldoni in pratica segna la morte della commedia e quindi della sua maschera. Nell'800 queste figure si mantengono vive attraverso un teatro per fanciulli, attraverso marionette, burattini. Nel primo '900 c'è stato un primo tentativo dì recuperare questo fenomeno teatrale che ha invaso l'Europa per oltre due secoli e mezzo.

� Escono i primi libri, le prime documentazioni, ma il problema politico, le guerre,

� Escono i primi libri, le prime documentazioni, ma il problema politico, le guerre, il problema del fascismo impediscono la dilatazione di questo fenomeno. Il tutto si libera concretamente nel secondo dopoguerra; il teatro della commedia dell'arte nasce a Padova, con il teatro dell'università diretto da Gianfranco De Bosio comincia a recuperare queste tematiche sociali e politiche della compagnia dell'arte e comincia ad aprire il teatro contemporaneo alla maschera. A questo punto chiama a sé il primo mimo in Europa che si occupava di commedia dell'arte e di maschere e uno scultore figurativo valentissimo, mio padre Amleto Sartori, che è stato coinvolto nel gioco e si è proiettato nel mondo della maschera; dapprima faceva esperimenti intuitivi e successivamente, indagando presso Santa Giustina dove i frati lavorano il cuoio da moltissimo tempo, ha imparato i primi elementi per utilizzare il cuoio. Parigi gli offre la possibilità di vedere alcuni oggetti della commedia dell'arte, i modelli in legno, il cuoio battuto in una certa maniera; nascono le prime maschere in cuoio, se ne accorge Strehier, che lo chiama a sé per compiere un indagine sulle maschere della commedia dell'arte nell'Arlecchino servitore di due padroni. Ecco, qui nasce l'epopea delle maschere dei Sartori, nel senso che immediatamente dopo il Barrault chiama a Parigi Amleto Sartori e vengono create delle maschere per l'Orestiade di Eschilo. � Allievo giovanissimo di mio padre oltre che figlio, cominciai così ad addentrarmi nel mondo del teatro. Ecco, io sono uno dei pochi fortunati ad aver vissuto un’avventura possibile normalmente nel rinascimento, la bottega teatrale; oltre agli studi artistici io ero il ragazzino di bottega di mio padre, imparavo a pulire la creta, a pulire gli strumenti, a disegnare, a capire un pochino questa scultura che stava diventando scultura vivente. � Mio padre muore molto giovane e mi lascia una grande eredità raccolta e distribuita come meglio poteva. L'avventura è nata lì, come uomo del mio tempo sentivo l'esistenza sì di mantenere la struttura della commedia dell'arte e di continuare il lavoro di ricerca di mio padre, però anche di aprire alla maschera una soluzione di contemporaneità. Arrivano gli anni '60 -'70, arriva l'epopea del teatro, questa ricerca teatrale contemporanea quale il teatro americano politico, conosciamo e collaboriamo con i gruppi più interessanti di ricerca, lavoriamo a Parigi, in Spagna e cominciamo a capire che la maschera può essere anche quella dell'oggi, abbinata non soltanto al teatro ma anche alla ricerca nelle arti visive. Si crea il primo nucleo nel '75, quello che poi diventerà il "Centro maschere e strutture gestuali", piano questo nucleo si amplia con la collaborazione di architetti, di ricercatori, uomini di teatro. Cominciamo a produrre le prime pubblicazioni, cominciamo a creare ì primi esperimenti di Teatro totale con la collaborazione di questi grossi gruppi allora esistenti. Strutture gestuali, cosa sono? Sono una sorta di maschera inventata per un tipo di teatro all'aperto, in performance pluridisciplinari, intendendo con ciò la danza, la musica, il teatro; utilizzando gli strumenti che la società di oggi ci fornisce cerchiamo di dilatare la maschera creando una maschera totale. Però non vogliamo fare di questa maschera un elemento arcaico ma la creiamo al di fuori del corpo, non la indossiamo, la usiamo quale presenza urbana, quale situazione teatrale, quale elemento da gestire, elemento da muovere, quindi strutture di gesto, gestuali. Nasce un’esigenza ulteriore, quella di creare anche lo spazio teatrale contemporaneo, e nascono le prime performance che utilizzano appunto questo metodo collettivo di coinvolgimento del pubblico. Questo è stato l'inizio di questa ricerca costante, che ci ha portato alla situazione di oggi. Oggi esiste questa struttura, il "Centro maschere", che è chiamato in tutte le situazioni culturali, dall'America al Giappone e in tutta Europa per stimolare, creare, sia nel campo della maschera storica, arcaica, sia nel campo della ricerca contemporanea, della maschera di oggi

Le maschere nel teatro orientale Vari tipi di maschere del teatro Noh

Le maschere nel teatro orientale Vari tipi di maschere del teatro Noh

Il trucco nel Teatro Kabuki

Il trucco nel Teatro Kabuki

Il trucco e la maschera nell’Opera di Pechino

Il trucco e la maschera nell’Opera di Pechino

Trucco Teatrale

Trucco Teatrale

Trucco teatrale Pensiamo ad una rappresentazione nello spazio teatrale tradizionale, con un palcoscenico, proiettori

Trucco teatrale Pensiamo ad una rappresentazione nello spazio teatrale tradizionale, con un palcoscenico, proiettori e un pubblico disposto più in basso e ad una certa distanza. Il trucco dovrà necessariamente esserci, anche quando dare una impressione di naturalezza. Questo perchè la luce dei proiettori tende a sbiadire il colore dell'incarnato, e la distanza del pubblico rende meno leggibile i tratti del volto. Inoltre, luci e ombre del palcoscenico producono delle falsificazioni dalle quali bisogna proteggere la propria personalità e l'interpretazione. L'interpretazione del personaggio può richiedere un transfert anche dei lineamenti fisici. Il viso e il collo avranno bisogno di un trucco base per dare colorito alla pelle, e occorrerà studiare le ombreggiature da dare al volto per restituirgli profondità, in base alla morfologia di ognuno. Le ombreggiature terranno conto del fatto che il punto di vista del pubblico è in basso. Poi gli occhi andranno evidenziati e ingranditi, per accentuarne l'espressione, e se occorre andrà marcato anche l'arco sopraciliare, per evidenziarlo o spostarne la distanza rispetto all'occhio. In alcuni casi si rende necessario l'invecchiamento, che si ottiene facilmente applicando il trucco base e poi accentuando le linee di espressione con una matita.

Trucco Teatrale � Nel teatro dell'ottocento, caratterizzato da una illuminazione a gas e più

Trucco Teatrale � Nel teatro dell'ottocento, caratterizzato da una illuminazione a gas e più tardi dalla luce elettrica, sono presenti anche le luci della ribalta. Questo tipo di illuminazione anteriore e dal basso tende ad appiattire, e l'attore aveva necessità di restituire profondità al volto. Per questo motivo veniva evidenziata, attraverso il trucco, la maschera facciale (occhi, naso e zigomi, bocca, mento) rispetto al resto del viso. � Nel primo novecento gli effetti illuministici vengono ampiamente sperimentati, e anche il trucco viene impiegato in modo inedito. Un forte esempio è dato dal teatro espressionista, che accentua e deforma non solo i tratti somatici, ma anche il resto del corpo, come gambe e braccia, disegnando sulla pelle le linee dei muscoli. Pirandello dà un nuovo risalto al trucco del personaggio in chiave psicologica, per supportare l'interpretazione dell'attore. Nelle sue note di regia degli anni venti, Pirandello descrive minuziosamente l'aspetto fisico del personaggio, precisandone l'acconciatura e la costruzione del volto, assimilato mediante il trucco ad una vera e propria maschera che rispecchia un malessere esistenziale. In Sei personaggi in cerca d'autore, infine, i suoi personaggi indosseranno vere e proprie maschere, distinguendosi così nettamente dagli attori della compagnia. La funzione di quelle maschere sarà quella di contrapporre la loro fissità alla volubile naturalità degli attori, portando impresso il loro sentimento fondamentale sul volto (rimorso, vendetta, sdegno. . . ).