THOMAS HOBBES 1588 1679 1 La vita i
THOMAS HOBBES (1588 – 1679) 1
La vita: i primi anni Thomas Hobbes nasce a Malmesbury in Inghilterra nel 1588. Dopo gli studi filosofici a Oxford diventa precettore del figlio dei conti Cavendish del Devonshire. Seguire la formazione del giovane nobiluomo costituisce per il nostro filosofo l’occasione di diversi viaggi: in uno di questi in Italia, conosce i galileiani di Venezia, mentre, tornato in Inghilterra, ha la possibilità di entrare in contatto con Bacone e, successivamente con Galileo stesso nel 1634, ad Arcetri. 2
Hobbes in Francia Allo scoppio dei disordini nel 1640 (1642 -1649 l’Inghilterra è attraversata dalla guerra civile tra re e parlamento) Hobbes che ha già manifestato in privato e in pubblico le sue simpatie monarchiche, decide di rifugiarsi a Parigi. Egli peraltro ha pensato un grande progetto di studi filosofico-politici, gli Elementa philosophiae, un testo articolato in tre parti, che avrebbe dovuto passare dai fondamenti corporei della natura (De corpore completato nel 1655) ad un’accurata analisi antropologica (De homine, completato nel 1658), per arrivare ai fondamenti della filosofia politica e del governo (De cive, il primo che, data l’urgenza politica del pensiero hobbesiano, ha visto la luce a Parigi nel 1642). A Parigi, mentre insegna matematica al futuro Carlo II Stuart, entra in contatto con l’ambiente cartesiano, che lo stimolerà ad approfondire ulteriormente i fondamenti ontologici e gnoseologici della sua filosofia. 3
Il ritorno in Inghilterra Quando, nel 1651, la situazione inglese si stabilizza, Hobbes torna in patria. Egli può convivere con il governo cromwelliano poiché, più che partigiano della monarchia in sé, si mostra – e ciò è ben visibile nella sua maggiore opera di filosofia politica, il Leviatano, pubblicata non a caso in inglese nel 1651 – fautore di un governo assoluto, quale, malgrado la retorica parlamentare, si confermava essere quello del generale repubblicano. 4
Gli ultimi anni Dopo il 1660, Carlo II, tornato sul trono londinese, concede ad Hobbes numerosi riconoscimenti pubblici e una lauta pensione. Quindi egli può dedicarsi agli studi, non mancando di entrare in polemica con le gerarchie ecclesiastiche, che a più riprese lo accusano di ateismo ed eresia, probabilmente a causa del suo deciso statalismo che auspicava la sottomissione del potere religioso a quello statale. Dopo avere affrontato in due scritti temi relativi al diritto consuetudinario inglese (1666) e alla storia della guerra civile (1668) e dopo aver tradotto in inglese i poemi omerici, muore a 91 anni ad Hardwicke, ospitato dai conti Cavendish, nel 1679. 5
La nuova immagine della filosofia Hobbes è influenzato: Ø dagli Elementi di Euclide per il loro impianto rigorosamente deduttivo (che considera un modello per il metodo di filosofare) Ø Dal razionalismo cartesiano, con le relative istanze derivanti dalla rivoluzione scientifica Ø Dalla concezione utilitaristica del sapere di Bacone Ø Dalla Fisica di Galilei, tanto che Hobbes si propone come il Galilei della scienza politica. Hobbes critica: Ø la vacuità e l’inconsistenza della filosofia greca (è particolarmente avverso ad Aristotele) Ø la filosofia medioevale e, in particolare, la scolastica Ø la metafisica, sottolineando la necessità di distinguere la filosofia dalla religione e dalle Scritture. 6
La partizione della filosofia La nuova filosofia hobbesiana ha come oggetto i CORPI, le loro cause e le loro proprietà (non si occupa di Dio e della teologia, di cui si occupa la fede, non si occupa della storia, né di tutto ciò che non sia ben fondato, basandosi solo su congetture). I CORPI sono: Ø naturali inanimati Ø naturali animati (uomo) Ø artificiali (Stato) La filosofia, di conseguenza, dovrà essere tripartita, ovvero dova trattare: Ø del corpo in generale (De corpore – 1655) Ø dell’uomo (De homine – 1658) Ø dello Stato (De cive – 1642) 7
La partizione della filosofia Corpi fisici Corpi naturali: filosofia della natura Corpo umano Filosofia: Scienza dei corpi Corpo artificiale o Stato: filosofia civile o politica 8
Concezione filosofica di Hobbes L’idea di filosofia in Hobbes è dominata da: Ø un concetto matematico di ragione Ø un approccio empiristico-sensistico alla dottrina della conoscenza Ø un’ontologia radicalmente materialistica che fa da base ad entrambi. 9
Ciò che distingue l’uomo: il linguaggio L’uomo si distingue dagli animali per il possesso del linguaggio di cui Hobbes dà un’interpretazione radicalmente nominalistica. Dal momento che i pensieri sono fluidi vanno fissati con segni sensibili, capaci di ricondurre alla mente pensieri passati, di registrarli, sistemarli e comunicarli agli altri. Così sono nati i nomi che sono, quindi, frutto dell’arbitrio umano, sono segni convenzionali come dimostra il continuo nascere di parole nuove. I nomi comuni non indicano concetti universali, ma sono nomi di nomi, che non hanno riferimento a realtà (che sono sempre individuali) e significano non la natura della cosa, ma 10 solo ciò che noi pensiamo di essa.
Il linguaggio Inteso in senso nominalistico, cioè come produzione di nomi ad indicare classi arbitrarie di immagini, il linguaggio ci serve per evitare che i nostri pensieri-immagini ci sfuggano dalla memoria, per registrare le connessioni tra le immagini, per comunicare con gli altri e per generalizzare e prevedere a lunga scadenza la condotta nostra e del mondo. Se non generalizzassi infatti potrei capire che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due angoli retti, ma non potrei applicare tale conoscenza a tutti i triangoli. Insomma il linguaggio, nato dalla libera convenzione dei parlanti, ci libera dalla nostra dipendenza dalla singola immagine sensibile della cosa. 11
La ragione matematica La ragione corrisponde per Hobbes ad una razionalistica capacità di calcolare e prevedere gli effetti di una qualsiasi cosa pensata. Essa è presente, pur in misura depotenziata, anche negli animali. Il ragionare si caratterizza formalmente come un’operazione matematica, tanto che i giudizi possono essere pensati come delle operazioni: dire X è Y significa aggiungere Y a X, mentre dire X non è Y significa sottrarre Y da X. 12
La ragione matematica Ø Il ragionare è un connettere o disgiungere nomi, definizioni e proposizioni conformemente alle regole fissate per convenzione. Ø Ragionare è sommare o sottrarre. Per esempio: Uomo= animale + razionale Animale = animale – razionale Ø Questa concezione del ragionare come calcolare, come comporre e ricomporre si ispira a Cartesio, con la differenza che Cartesio partiva da verità prime che, per la loro evidenza intuitiva, avevano una precisa garanzia di oggettività. Ø Hobbes, invece, si sposta sul piano del convenzionalismo, senza però cadere nello scetticismo. Ø Il suo nominalismo, infatti, si fonda su basi empiristiche, sensistiche e fenomenistiche. 13
Empirismo hobbesiano Ø I nostri pensieri, per Hobbes, sono «rappresentazioni o apparenze» degli oggetti che sono fuori di noi e sono prodotti in noi tramite l’esperienza dei sensi. Il filosofo inglese afferma che: «Riguardo ai pensieri dell'uomo, io li considererò prima singolarmente e poi nelle loro relazioni gli uni con gli altri. Considerato singolarmente, ciascuno di essi è una rappresentazione o manifestazione di una certa qualità o altro attributo di un corpo esterno a noi, ciò che comunemente viene definito come un oggetto. L'oggetto agisce sugli occhi, sulle orecchie e sulle altre parti del corpo umano e, a seconda della diversità della sua azione, produce diverse rappresentazioni. Il punto di partenza di tutte le nostre rappresentazioni è ciò che noi chiamiamo senso, poiché non esiste nella mente umana un'idea che non abbia la sua prima origine, in tutto o in parte, negli organi di senso. Il resto deriva da questa fonte» (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pp. 438 -440) Ø Inoltre quando Hobbes sostiene che la definizione non esprime l’essenza della cosa, non enuncia una negazione scettica, ma opera una riduzione fenomenistica, ovvero sostiene che dell’essenza conosciamo ciò che 14 appare.
Il corpo, la cosa animata, l’essere pensante Hobbes nel De corpore riporta il seguente esempio: qualcuno vede una cosa da lontano oscuramente, essa gli appare come semplice corpo, avvicinandosi egli acquisisce una nuova idea della cosa, ora gli appare come una cosa animata; recandosi ancor più vicino, la cosa animata si manifesterà come essere pensante. Nel soggetto che via si avvicina all’idea di corpo si aggiungerà quella di animazione e poi il pensiero, così egli aggiungerà avvicinandosi via idea ad idea e si farà un concetto completo della cosa vista. Allo stesso modo, allontanandosi, potrà constatare che via le idee si sottraggono dal totale, per arrivare nuovamente alla nozione iniziale di corpo. 15
Il materialismo Tutto ciò che è, è capace di agire o di subire. Questa definizione del Sofista platonico, viene da Hobbes giocata in senso materialistico, così come avevano già fatto anticamente gli stoici. Solo i corpi materiali, infatti, hanno la capacità di agire o di subire un’azione, dunque solo i corpi materiali sono. Quindi tutto ciò che è, è materia, corpo. 16
Il corporeismo meccanicistico Ø Anche l’uomo è essenzialmente un essere corporeo. Egli è caratterizzato da un movimento vitale finalizzato all’autoconservazione. Ø Corpo e movimento, che identificano l’essere dell’intera natura, costituiscono i due concetti-base per interpretare l’intera realtà, compreso l’uomo, la cui struttura interna e i cui rapporti con l’esterno sono riconducibili a meccanismi di interazione tra le parti del proprio corpo o tra i corpi naturali e il proprio. Ø Il moto, (inteso in senso galileiano come moto matematicamente e geometricamente misurato) infatti, è la causa principale delle cose naturali che 17 da esso nascono.
Causa ed effetto La causa non è l’essenza di un fenomeno o la sua forma, bensì coincide con le condizioni, poste le quali, un determinato fenomeno può essere pensato come esistente e in assenza delle quali un determinato fenomeno non può essere pensato come esistente. 18
Geometria, logica e fisica Ovviamente se abbiamo a che fare connessioni di nomi di cui si valuta esclusivamente la non contraddittorietà, la disciplina così costruita sarà certissima e vera come accade nella geometria e nella logica. Qui infatti da assiomi posti da noi deduciamo conseguenze, come se avessimo noi determinato la causa e poi dedotto l’effetto. Nella fisica si tratta invece di risalire dagli effetti dei corpi su di noi alle cause, per poi costruire un sistema deduttivo con un grado di attendibilità quindi minore. 19
La scienza Quindi scienza come calcolo significa poter comporre tramite nomi delle proposizioni, e poter comporre tramite proposizioni dei ragionamenti che ci permettano di stabilire delle relazioni di causa effetto. Questo ci deve permettere di prevedere l’andamento della realtà al fine di dominarla cioè di influire su di essa: “Il fine della scienza è la potenza; il fine dei teoremi sono i problemi, cioè l’arte del costruire: ogni speculazione, insomma, è stata istituita per l’azione o per un lavoro concreto” (De corpore I, 6). In sostanza la nostra mente costruisce una scienza in quanto il movimento-connessione dei suoi nomi appaia in grado di diventare un modello che riproduca i movimenti-connessioni reali per poter influire sui movimenti reali. 20
Sensazione e conoscenza Ø Dunque la conoscenza e il pensiero si spiegano in base a movimenti corporei. Ø Noi conosciamo perché stimolati da un moto generato dall’oggetto sul soggetto senziente, il quale reagisce a sua volta con un altro moto, da cui sorge appunto l’immagine o rappresentazione. Ø Moti sono anche i sentimenti di piacere, dolore, l’appetito, il desiderio, l’amore, l’odio e lo stesso volere. Ø Di conseguenza, la libertà viene negata perché i moti e i nessi necessari che ne conseguono sono rigorosamente necessari. Ø Dato un moto come causa antecedente, ne deve scaturire necessariamente un moto conseguente. 21
Beni e mali Ø Nell’orizzonte del materialismo oltre a non esserci spazio per la libertà non c’è spazio neppure per il bene (e il male) oggettivo e, quindi, per i valori morali. Ø Bene= ciò a cui si tende Ø Male= ciò da cui si rifugge Ø Ma poiché alcuni uomini desiderano alcune cose ed altri no, alcuni rifuggono da alcune cose ed altri no, allora ne segue che i beni ed i mali sono relativi. Ø Il bene è relativo alla persona, al luogo, al tempo, alle circostanze (come per Protagora) Ø Ma se il bene è relativo e non ci sono valori assoluti, com’è possibile costruire una morale ed una vita associata? Com’è possibile la convivenza degli uomini in una società? 22
Etica descrittiva e non prescrittiva L’etica, cioè la scienza del comportamento umano è per Hobbes eminentemente descrittiva, cioè stabilisce qual è il comportamento umano e non quale dovrebbe essere, il lato prescrittivo è affidato principalmente alla politica. 23
Conservare la vita Ciò che fa l’uomo, il suo comportamento fondamentale, è preservare la propria vita. Bene e male per l’uomo non sono altro che nomi per i comportamenti che nella nostra mente sono reazioni a stimoli che sono in contrasto o in accordo con il movimento di autoconservazione dell’organismo. Se lo stimolo percepito è in accordo, la reazione sarà di desiderio, in caso contrario sarà di fuga, l’oggetto che provoca lo stimolo sarà di conseguenza considerato rispettivamente bene o male. 24
La libertà La volontà umana risulta necessitata da moventi corporei, dunque strutturalmente non è libera. Tuttavia in senso lato si può chiamare libero tutto ciò che non è ostacolato da elementi esterni. L’uomo, per esempio, non è libero di volere o non volere del cibo se ha fame, ma è libero di accedere o meno al cibo. In questo secondo senso ci può essere libertà, se vi è assenza di costrizioni esterne. 25
Relativismo Siccome ognuno cerca ciò che soddisfa il proprio istinto vitale, e l’oggetto varia a seconda degli individui e delle circostanze in cui sono inseriti, l’etica di Hobbes si caratterizza come radicalmente individualista e relativista. Tale impostazione ha importanti conseguenze politiche. 26
Concezione politica di Hobbes Ø T. Hobbes costruisce una filosofia politica tutta centrata sul conflitto mortale, da evitare e sull’ordine, da costruire. Ø Il fine della politica non è più il summum bonum, la destinazione dell’uomo e della città alla vita migliore, ma la fuga dal summum malum, dalla morte violenta e quindi la salvaguardia della vita. Ø L’opera in cui affronta in modo più completo questo tema è il Leviatano (1651); Hobbes fa qui riferimento al mostro di cui parla la Bibbia nel libro di Giobbe, di cui lo interessa non tanto la mostruosità quanto altre su caratteristiche: il Levitano è il potere più alto che esista, è stato creato in modo tale da non avere paura e di incuterla, signoreggia e tiene a freno i superbi e con lui non si possono stringere patti. Queste sono esattamente le caratteristiche dello Stato di Hobbes, rappresentato, nel frontespizio del testo, come un gigantesco uomo il cui corpo è costituito da piccoli uomini, che ha in capo una corona e che è in atteggiamento di protezione verso il paese che egli domina e sovrasta, reca in mano una spada (potere politico) e nell’altra il pastorale (potere spirituale).
Leviatano
Concezione politica di Hobbes Ø Per Hobbes il conflitto avviene fra individui e si configura come un dato naturale. Ø Sulla base della sua fisica materialistica Hobbes ritiene che la natura sia priva di un ordine, morale o politico, presente o finalistico. Ø In particolare gli uomini sono tutti ugualmente animati da un’energia vitale che si può anche definire libertà e che coincide con l’insieme dei mezzi che ciascuno ha per soddisfare i propri desideri e si estende a tutte le cose di cui l’uomo ha bisogno per rimanere in vita. Ø Ciò spinge l’uomo a cercare sempre di esercitare il proprio diritto, ovvero ad appagare il desiderio di «ricchezze, onore e comando» (cap. XI); egli, inoltre è affamato non solo nel presente, ma si immagina anche la propria fame futura, per cui è «inclinazione generale di tutta l’umanità un desiderio perpetuo e senza tregua di un potere dopo l’altro, che cessa solo nella morte» . Ø L’uomo è naturalmente conflittuale.
Concezione politica di Hobbes Ø Hobbes nel De cive (Lettera dedicatoria) riprendendo una frase di Plauto (Asinaria, v. 495) afferma che l’uomo è lupo per l’altro uomo (homo homini lupus), rovesciando la concezione aristotelica secondo la quale l’uomo è un animale razionale e sociale. Per Hobbes la natura umana è animale, ma, a differenza di quella di alcuni animali, non è sociale. «È vero che certe creature viventi, come le api e le formiche, vivono in società fra loro, e per questo sono da Aristotele annoverate fra le creature politiche, e tuttavia non hanno altra guida che quella del loro particolare giudizio o desiderio, non hanno la parola con la quale ognuna di esse possa indicare a un'altra ciò che ritiene di utilità comune per loro; di conseguenza qualcuno forse desidererà sapere perché l'umanità non possa fare allo stesso modo. Al che io rispondo: in primo luogo gli uomini sono in continua competizione per l'onore e la dignità, cose che quelle creature non conoscono nemmeno, e di conseguenza fra loro sorgono per questa ragione invidia e odio e infine guerre: fra quelle creature invece niente di tutto questo; in secondo luogo fra quelle creature il bene comune non differisce da quello privato, per cui essendo esse per natura spinte a cercare il loro bene privato procurano per ciò stesso il bene di tutti.
Ma l'uomo la cui gioia consiste nel confrontarsi con gli altri uomini, non può apprezzare se non ciò che lo distingue dagli altri; in terzo luogo queste creature non avendo come gli uomini l'uso della ragione non vedono e non pensano di trovare errori nell'amministrazione delle loro faccende comuni; fra gli uomini invece ce ne sono alcuni che si ritengono piú saggi, piú abili a governare le cose pubbliche, in confronto con gli altri, e allora cercano di riformare e di innovare, ora in un modo, ora in un altro, e cosí producono confusione e guerra civile; in quarto luogo queste creature sebbene abbiano un certo uso della voce in modo da riuscire a comunicarsi reciprocamente i loro desideri e le loro affezioni, tuttavia mancano dell'arte della parola, con la quale alcuni uomini rappresentano agli altri ciò che è bene sotto l'apparenza del male e ciò che è male sotto l'apparenza del bene, e aumentano o riducono l'apparente grandezza del bene e del male, provocando scontento fra gli uomini e turbando la loro pace e la loro gioia; in quinto luogo le creature irragionevoli non fanno distinzione fra ingiuria e danno, e di conseguenza quando stanno a loro agio non si sentono mai offese dalle creature loro compagne; invece l'uomo è piú turbolento quando sta piú a suo agio, perché è proprio allora che egli ama di fare sfoggio della sua saggezza, e di controllare le azioni di coloro che governano lo stato; infine l'accordo che si produce fra quelle creature è naturale mentre quello degli uomini è solo per convenzione, cioè artificiale; per questo non fa meraviglia che qui si richieda qualche altra cosa, oltre al patto convenuto, per rendere l'accordo costante e duraturo, cioè un comune potere capace di tenere gli uomini in soggezione e di dirigere le loro azioni verso il bene comune.
«La sola via per erigere un potere comune che possa essere in grado di difendere gli uomini dall'aggressione straniera e dalle ingiurie reciproche, e con ciò di assicurarli in modo tale che con la propria industria e con i frutti della terra possano nutrirsi e vivere soddisfatti, è quella di conferire tutti i loro poteri e tutta la loro forza ad un uomo o ad un'assemblea di uomini che possa ridurre tutte le loro volontà, per mezzo della pluralità delle voci, ad una volontà sola; ciò è come dire designare un uomo o un'assemblea di uomini a sostenere la parte della loro persona, e ognuno accettare e riconoscere sé stesso come autore di tutto ciò che colui che sostiene la parte della loro persona, farà o di cui egli sarà causa, in quelle cose che concernono la pace e la sicurezza comuni, e sottomettere in ciò ogni loro volontà alla volontà di lui, ed ogni loro giudizio al giudizio di lui. Questo è più del consenso o della concordia; è un'unità reale di tutti loro in una sola e medesima persona fatta con il patto di ogni uomo con ogni altro, in maniera tale che, se ogni uomo dicesse ad ogni altro, io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso, a quest'uomo, o a questa assemblea di uomini a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno STATO in latino CIVITAS. Questa è la generazione di quel grande LEVIATANO o piuttosto (per parlare con più riverenza) di quel dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale la nostra pace e la nostra difesa.
«Infatti, per mezzo di questa autorità datagli da ogni particolare nello stato, è tanta la potenza e tanta la forza che gli sono state conferite e di cui ha l'uso, che con il terrore dì esse è in grado di uniformare le volontà di tutti alla pace interna e all'aiuto reciproco contro i nemici esterni. In esso consiste l'essenza dello stato che (se si vuole definirlo) è una persona dei cui atti ogni membro di una grande moltitudine, con patti reciproci, l'uno nei confronti dell'altro e viceversa, si è fatto autore, affinché essa possa usare la forza e i mezzi di tutti, come penserà sia vantaggioso per la loro pace e la comune difesa. Chi regge la parte di questa persona viene chiamato SOVRANO e si dice che ha il potere sovrano; ogni altro è suo SUDDITO» . (T. Hobbes, Leviatano, cap. XVII)
Hobbes e Aristotele Ø Per Aristotele l’uomo è un animale politico, per sua natura fatto per vivere con altri uomini in una società politicamente strutturata e, per questo, paragonabile ad altri animali come le api e le formiche che, desiderando e fuggendo le stesse cose, dirigono le loro azioni a fini comuni e si aggregano spontaneamente. Ø Per Hobbes, invece, ogni uomo è diverso da ogni altro e staccato dagli altri; ogni uomo è un atomo di egoismo. 1) Fra gli uomini vi sono diversi motivi di odio, contesa ed invidia; 2) Fra gli animali il bene privato non differisce da quello pubblico, mentre fra gli uomini sì; 3)Gli animali non scorgono difetti nelle loro società, mentre gli uomini desiderano sempre introdurre novità per eliminarli alimentando il conflitto 4) Gli animali non sono dotati di parola, arma di discordia fra gli uomini; 5) Gli animali non si biasimano fra loro come noi; 6) Fra gli animali il consenso è naturale e fra gli uomini non lo è. Ø Lo Stato non è naturale, ma artificiale.
Focus sul lessico STATO DI NATURA: ipotetica condizione in cui gli uomini, non essendo ancora associati fra di loro e disciplinati da una serie di leggi positive comuni sono spinti dal proprio egoismo a perseguire il proprio bene a scapito di quello degli altri. LEGGE NATURALE: «Una legge di natura è un precetto o una regola generale scoperta dalla ragione, che vieta ad un uomo di fare ciò che è lesivo della sua vita o che gli toglie i mezzi per preservarla e di omettere ciò con cui egli pensa possa essere meglio preservarla» (Leviatano, I, XIV) STATO: nasce in virtù di un contratto mediante cui gli individui conferiscono il proprio ius in omnia ad un sovrano (a assemblea) in grado di salvaguardare il rispetto delle parti e la pace della comunità. Senza un potere coercitivo esterno i patti sarebbero inevitabilmente violati e si tornerebbe allo stato di natura. Lo Stato è quella condizione in cui ciascuno, rinunciando ai propri diritti naturali (eccetto che a quello della sopravvivenza) conferisce tutto il proprio potere e la propria forza ad un sovrano, capace 35 di tutelare il cittadino dalle aggressioni interne ed esterne.
L’uomo nello stato di natura Ø In tale situazione l’uomo sarebbe un lupo per l’uomo (homo homini lupus) perché l’essere posto nell’assoluto diritto su tutto, lo condurrebbe a ricercare liberamente la soddisfazione delle proprie inclinazioni, senza alcun riguardo per l’altro. Così si arriverebbe a un conflitto generalizzato, perché nessuno potrebbe negare ad un altro la prerogativa di cercare il proprio bene, anche qualora tale bene fosse stato già acquisito da un soggetto che ne vuole godere in modo esclusivo. Ø Infatti nello stato di natura vige una condizione di generale uguaglianza fra gli uomini: nessuno può fare qualcosa che qualcun altro non abbia il diritto di fare. Ø Mettendo insieme detta uguaglianza e la volontà di godere in modo esclusivo di beni di cui altri intenderebbero pure godere allo stesso modo, si produce una conflittualità insanabile: un bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti). 36
Le leggi di natura Ø Ciò malgrado esiste anche nello stato di natura ciò che può essere indicata come una sorta di legge, anche se il termine non è pienamente corretto, giacché si tratta di una legge che non ha coattività, non essendo riconosciuta alcuna autorità in grado di farla rispettare. Ø Tale legge è data dal fatto che, pur nello stato di natura, l’uomo possiede la ragione e comprende che la condizione di conflitto generalizzato rende il suo diritto su tutto assolutamente aleatorio, giacché, avendo altri il medesimo diritto, nessuno può godere in sicurezza dei beni cui legittimamente aspira. 37
Il contenuto delle leggi di natura Le leggi di natura indicano agli individui quel comportamento razionale che presuppone la valutazione dei propri atti in relazione alle conseguenza vantaggiose o svantaggiose cui possono dare luogo. Ø Il primo di tali precetti indica la necessità di ricercare la pace ove possibile: "Per conseguenza è un precetto o regola generale della ragione, che ogni uomo debba sforzarsi alla pace, per quanto abbia speranza di ottenerla, e quando non possa ottenerla, cerchi e usi tutti gli aiuti e i vantaggi della guerra. La prima parte di questa regola contiene la prima e fondamentale legge di natura, che è cercare la pace e conseguirla. La seconda, la somma del diritto di natura, che è difendersi con tutti i mezzi possibili. " Ø In seconda istanza, se non è possibile evitare una guerra, è necessario vincerla. 38
Il secondo precetto: la rinuncia al diritto su tutto Ø Se la pace è da ricercare ogni uomo deve lasciare cadere il proprio diritto su tutte le cose in misura pari a tutti gli altri uomini (seconda legge di natura). Ø Tale mutua cooperazione si configurerà come un patto che va rispettato. Ø Di qui la terza legge di natura: pacta sunt servanda (i patti vanno rispettati). 39
Le prime tre leggi di natura In questo modo si determinano le prime tre leggi di natura: - Ricerca la pace - Rinuncia al diritto su tutto - Rispetta i patti A siffatte indicazioni, Hobbes, per deduzione aggiunge altre sedici regole razionali, che garantirebbero, attraverso una pacifica convivenza, la possibilità, pur limitata, di godere di alcuni beni fondamentali e che sono riassumibili nella massima «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te» . Ø Le leggi di natura sono il frutto della razionalizzazione dell’egoismo, le norme che permettono di realizzare l’istinto di autoconservazione. "Una legge di natura, lex naturalis, è un precetto, una regola generale, scoperta dalla ragione, in base alla quale viene vietato all'uomo di fare ciò che è dannoso per la sua la vita o che lo priva dei mezzi per conservarla; e gli viene inoltre vietato di omettere ciò che egli considera il mezzo piú adatto per conservarla. " (T. Hobbes, Leviatano, I, cap. XIV)
Non coattività delle leggi di natura Il problema però rimane, poiché non essendovi un’autorità che garantisca l’osservanza delle leggi, chiunque, per ottenere un vantaggio immediato, puo’ decidere di trasgredirle, riportando la situazione indietro alla condizione di generale conflitto. Infatti la trasgressione di un individuo comporterebbe un effetto domino e genererebbe ulteriori reciproci atti di trasgressione in un processo inarrestabile. 41
L’uscita dallo stato di natura Ø La scarsità dei beni, il dinamismo dei soggetti naturali, l’assenza di cooperazione fra di loro, il troppo alto tasso di conflitto che vi si genera, rendono quindi necessaria l’USCITA DALLO STATO DI NATURA, che avviene per considerazioni non di giustizia o di verità, ma per l’UTILITÀ di ciascuno, ossia per una passione soggettiva, la PAURA DELLA MORTE, e per un calcolo razionale che ci fa comprendere che il nostro vero interesse individuale è LA PACE. Ø Questa razionalità è LEGGE NATURALE, è un comando della ragione che «vieta ad un uomo di fare ciò che è lesivo della sua vita (Leviatano, cap. XIV). Ø Nonostante le significative differenze Hobbes (filosofo dell’ordine) e Machiavelli (filosofo del conflitto) hanno in comune l’abbandono del tradizionale terreno della morale cristiana quale fondamento e legittimazione della politica. 42
Lo Stato Ø Obiettivo della politica: ricondurre ad unità la moltitudine degli uomini dispersi nello stati di natura e costruire così un’UNITÀ POLITICA ARTIFICIALE, dando vita ad un potere irresistibile e capace di conferire stabilmente sicurezza agli uomini (costringendoli a rispettare i patti). Ø Questo potere irresistibile è il potere del sovrano, ovvero un solo uomo (o una sola istituzione) che rappresenti ed impersoni i molti autori (sudditi) e agisca per loro, da loro autorizzato. Ø La RAPPRESENTANZA si realizza, quindi, attraverso un PATTO DI TUTTI CON TUTTI, il cui contenuto è la cessione del diritto naturale di ciascuno (eccetto il diritto all’autoconservazione) a un terzo, esterno al patto, che si trova così ad essere l’unico depositario del diritto naturale di ciascuno, ovvero il rappresentante sovrano di tutti.
Lo Stato Ø Il prodotto del patto è il Leviatano, il Dio mortale, che rappresenta tutti, che è il più alto potere concepibile sulla terra, «il cui fine è di procurare la sicurezza del popolo» (cap. XXX). Ø Hobbes chiama il reciproco accordo di cessione dei diritti al sovrano, PACTUM UNIONIS, secondo il quale l’irresistibilità del potere del sovrano non deriva da una superiorità, naturale o metafisica, sui sudditi, ma dal fatto che ubbidendo al sovrano si ubbidisce in realtà a colui che noi stessi abbiamo creato per poter esistere come CORPO POLITICO (senza il Leviatano i sudditi non avrebbero esistenza politica). Ø La politica è l’unica via attraverso cui i «lupi» vengono trasformati in uomini civili, gli uomini naturali in cittadini. Ø Padre del razionalismo politico moderno Hobbes fa della politica una scienza applicata, una tecnica che ha come fine la costruzione della sovranità ed esclude che la politica possa legittimarsi altrimenti che con la ragione e che possa fondarsi sulla trascendenza o sulla tradizione.
La sovranità decide Ø Il sovrano deve mantenere la pace permettere ai cittadini della società civile di vivere e prosperare. Ø I cittadini tuttavia non hanno alcun diritto di fronte allo Stato, il cui potere è assoluto. Infatti il potere sta propriamente nella facoltà di decidere su ogni argomento. Ogni concetto, ogni questione che può divenire motivo di contrasto deve essere risolta dallo Stato. Ø Quindi se i cittadini devono avere proprietà, lo Stato non solo determina in quale misura e secondo quali regole, ma esso stabilisce anche cosa vada inteso per proprietà. Ø Allo stesso modo vale per le leggi, il diritto, la guerra, la religione. Solo infatti se la decisione è del sovrano l’ordine può essere garantito. Ø Ogni diritto a decidere tolto al sovrano rappresenta una limitazione e cessione della sua sovranità, dunque una contro sovranità che degenera in conflitto, distruggendo il corpo sociale e riproponendo la condizione di guerra civile. 45
La sovranità Ø Essendo il sovrano al di fuori del patto egli è anche al di sopra di questo e il diritto di resistenza non sussiste. Ø Dal momento che il sovrano non ha preso parte al patto, ma del patto è semplicemente il risultato, non lo si può accusare di non aver tenuto fede al patto. Non ci si può, quindi, appellare ai patti, che non ci sono mai stati tra Stato e cittadini, per rifiutare di obbedire allo Stato. Ø Nello Stato di Hobbes la disubbidienza e la resistenza non sono un diritto a cui un popolo oppresso possa appellarsi (differenza fondamentale della concezione dello Stato di Hobbes rispetto a quella di Locke). Ø La pace ordinata, la salvezza della vita, la fine delle guerre civili si «pagano» al prezzo della alienazione irreversibile, per costruire la sovranità rappresentativa, del diritto naturale, della piena libertà che in natura è di ciascuno. 46
Il sovrano Ø Il sovrano di Hobbes è titolare di un potere indivisibile (se ci fossero diversi poteri questi potrebbero essere discordi e compromettere la pace) incondizionato e irresistibile. Ø Hobbes esclude ogni possibilità di divisione dei poteri. Il sovrano ha diritto di scegliere i ministri, di dichiarare guerra, di comandare l’esercito e, soprattutto, non deve rispondere a nessuno del proprio operato e non deve cedere a nessuno il potere di punire e premiare. Ø La proprietà privata non è un diritto naturale, ma un’istituzione resa possibile dalla politica, rispetto alla quale la decisione spetta al sovrano. Ø Il sovrano è legislatore e le leggi che elabora non traggono legittimità dal loro contenuto, ma solo dal fatto di essere prodotte dall’unico che ha titolo a legiferare. Le leggi sono espressione della volontà della persona artificiale che rappresenta la razionalità di tutti.
Il sovrano Ø Questa sovranità legislativa è certo assoluta, ovvero sciolta da ogni vincolo e da ogni controllo, ma non è arbitraria, se non per la «concupiscenza e le altre irregolari passioni di colui o di coloro che hanno nelle mani un potere così illimitato» (cap. XVIII, cap. XX). Ø Secondo Hobbes, il più illimitato potere politico presenta controindicazioni di gran lunga meno gravi di quelle generate da un potere inefficace, dal quale nascono guerre civili. Ø D’altra parte, poiché nasce per difendere la vita dei cittadini, il Leviatano non solo non può comandare ad un cittadino di uccidersi (il diritto naturale all’autodifesa non è alienabile) ma non può nemmeno metterlo a morte legalmente. Solo nel caso in cui dalla morte di quell’uomo dipenda la vita del Leviatano, è possibile che quello venga messo a morte.
Obbedienza e libertà Ø La legge è propriamente «restrizione della libertà naturale, senza la quale non si può avere alcuna possibilità di pace» . Ø Mentre, dunque, lo Stato nel suo complesso può essere libero, cioè indipendente verso l’esterno, dentro lo Stato per i sudditi non c’è libertà naturale tranne che «in quelle cose in cui il diritto non può essere trasferito per patto» , come l’autodifesa: all’interno dello Stato c’è piuttosto la libertà privata, cioè quello spazio d’azione che resta dopo l’obbedienza alle leggi, oppure in quegli ambiti in cui il Leviatano non legiferi, cioè nel «silenzio della legge» . Ø Lo Stato e le sue leggi però si rivolgono solo ai comportamenti esteriori dei cittadini, e lasciano libera l’interiorità dell’uomo, che in cuor suo può credere o non credere a ciò che il sovrano ordina. Ø La distinzione fra interiorità ed esteriorità, ovvero fra pubblico e privato è uno dei grandi contributi che Hobbes ha dato alla teoria politica moderna.
La forma di governo Ø Per Hobbes a governare può essere un singolo o un assemblea. L’importante è che gli organi dello Stato mantengano intatta la sovranità. Ø Tuttavia nel De cive, citando Aristotele, Hobbes dice che comunque è meglio che uno solo governi. Il governo di uno solo prende decisioni più in fretta e in modo più efficiente, inoltre, ammettendo un certo livello di clientelismo e corruzione, data la fallibilità della natura umana, la corte dell’unico sovrano è certamente più ristretta che le molteplici corti dei numerosi membri dell’assemblea, grazie ai quali le clientele aumentano smisuratamente a detrimento del funzionamento generale dello Stato. 50
La guerra Ø Data la pluralità dei Leviatani, la guerra è tra di loro sempre possibile, come avveniva tra gli uomini nello stato di natura. Infatti i rapporti fra gli stati, in assenza di leggi positive sovranazionali, sono regolati dalla legge di natura. Ø La guerra si configura, quindi, come un atto di sovranità (non come un atto di giustizia e neppure come un crimine); viene superata l’idea che esista una disuguaglianza morale o giuridica fra i belligeranti, disuguaglianza che fra stati, tutti ugualmente sovrani, non ha senso. Ø Lo Stato è un dio mortale, un artificio costruito dagli uomini che errori e casualità possono distruggere. Fra le cause di dissoluzione dello stato la principale è l’incomprensione della necessità dell’assolutezza del potere sovrano e dell’obbedienza che gli è dovuta. Ø Essendo, inoltre, lo stato uno strumento merita obbedienza finché funziona, finché è in grado di garantire l’ordine: una sconfitta in guerra del sovrano libera i sudditi dalla lealtà verso di lui.
Il potere religioso Lo Stato è una sorta di Dio mortale, che sopra di sé ha solo il Dio immortale. Lo Stato ben formato è lo Stato cristiano. È vero che in fondo la signoria di Cristo è esempio e modello di ogni signoria e la religione cristiana è il fondamento di ogni convivenza civile, col suo precetto della carità. Nondimeno la domanda che si pone è “Chi interpreta il messaggio di Cristo tramandatoci dalle Scritture? ” 52
Quis judicabit ? Quis interpretabitur ? Chi giudicherà? Chi interpreterà? È chiaro che se l’assemblea dei cristiani, intesa come Chiesa distinta dal potere politico, si arroga il diritto di interpretare le Scritture e di guidare i cristiani decidendo che cosa sia giusto per loro, si genera una sfera in cui la sovranità dello Stato viene limitata. Una sfera molto vasta, data la religiosità del popolo. Al suo interno sarà inoltre possibile il disaccordo e il conflitto, come dimostrano le guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa e l’Inghilterra nel XVII secolo. Quindi la pace non potrà essere preservata. www. arete-consulenzafilosofica. it 53
La soluzione … lo Stato Dati i rischi della presenza di un contropotere che possa impedire allo Stato di svolgere il suo compito, ogni potestà religiosa va affidata al potere politico, che decide che cosa debba essere inteso per religione, per devozione, e come debbano essere interpretati tutti i concetti religiosi e morali. La gerarchia ecclesiastica deve essere, come tutto il resto, sottomessa allo Stato e mantiene una funzione importante soltanto per quanto riguarda l’insegnamento. www. arete-consulenzafilosofica. it 54
Un contrattualismo assolutista La dottrina politica di Hobbes, a differenza di quelle classiche di derivazione aristotelica, ritengono l’ambito della politica una sfera artificiale: l’uomo non è per natura animale politico, per natura l’uomo è un animale non socievole e portato alla sopraffazione. Lo Stato, quindi, risulta essere un artificio, un prodotto della volontà umana che in ogni individuo genera la possibilità di un accordo, cioè di un contratto. Lo Stato è il prodotto di un contratto, ma non solo lo Stato, anche la società. Senza sovranità vi è conflitto e non è possibile convivenza sociale. Dunque senza Stato non vi è società, ma solo un accostamento di individui in conflitto fra loro. Tutto ciò ha il presupposto dell’intoccabilità e pienezza della sovranità statale (plenitudo potestatis): qualunque elemento che la limiti, perciò stesso la distrugge. 55
L’assolutismo di Hobbes prevede: Ø Irreversibilità e unilateralità del patto Ø Indivisibilità del potere sovrano Ø Legge civile come unica regola del bene e del male Ø Obbedienza assoluta al sovrano Ø Negazione del diritto di ribellione e del tirannicidio Ø Conglobamento dell’autorità religiosa in quella statale 56 (come nella chiesa anglicana)
Lo stato di natura internazionale Se nello Stato la questione della pace e della sovranità è definitivamente risolta, che cosa avviene fra gli Stati? Nei rapporti internazionali non si può evidentemente pretendere che vi siano delle leggi che regolino l’azione dei vari Stati, infatti la presenza di tali leggi, limiterebbe la libera sovranità di ciascuno. Quindi il rapporto fra gli Stati è lasciato nella condizione dello stato di natura, in cui il conflitto è sempre possibile. 57
La pace fra le nazioni? Non vi si può sperare se non in virtù dell’obbedienza al proprio Stato “Non potete sperare in una pace di questo tipo fra due nazioni, poiché non esiste in questo mondo un’autorità comune, capace di punire le ingiustizie che quelle commettono. Il timore reciproco potrà per un certo periodo di tempo tenere tranquille le nazioni, ma appena una di esse si sentirà più forte aggredirà l’altra; evidentemente il momento più favorevole per aggredire è quello in cui una obbedisce al proprio re e l’altra no. E allora è lecito ritenere che la pace interna sia durevole, quando l’uomo comune viene persuaso dell’utilità di obbedire e di seguire il suo sovrano e del danno che gliene verrà se ascolterà coloro i quali lo ingannano con le loro promesse di riforme o di mutazioni di governo” (T. Hobbes, Dialogo fra un filosofo e una studioso del diritto comune d’Inghilterra, in Opere politiche di Thomas Hobbes, tr. it. di N. Bobbio, Utet, Torino, 1971, pp. 403 -404). 58
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