SAN BENEDETTO DA NORCIA Lucia Pierangeli Matilde Vitaletti
SAN BENEDETTO DA NORCIA Lucia Pierangeli, Matilde Vitaletti, Giada Paolucci
San Benedetto da Norcia nacque a Norcia nel 480 circa e fu fondatore dell’ordine dei Benedettini e morì nel 547. Nel 1964 fu proclamato patrono d’Europa. . Egli fu mandato a studiare a Roma, ma abbandonò il tutto per fare parte della vita monastica. Visse da eremita per circa tre anni, fino alla Pasqua dell’anno 500; poi fece da guida ad altri monaci in un ritiro cenobitico. Diventò sempre più conosciuto e con i suoi numerosi discepoli, creò una vasta comunità di tredici monasteri, ognuno con dodici monaci e un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale.
Successivamente si trasferì a Cassino dove fondò il monastero di Monte Cassino in cui nel 540 scrisse la sua Regola, prendendo spunto da Regole precedenti, che organizzavano la vita dei monaci all’interno della comunità. I due cardini della vita comunitaria sono il concetto di “stabilitas loci”, ovvero l'obbligo di risiedere per tutta la vita nello stesso monastero contro il vagabondaggio allora piuttosto diffuso e la “conversatio”, cioè la buona condotta morale, la pietà reciproca e l'obbedienza all'abate. Quest’ultimo scandiva il tempo nelle varie occupazioni della giornata durante la quale la preghiera e il lavoro si alternavano nel segno del motto “Ora et labora” ("prega e lavora").
LA REGOLA BENEDETTINA La “Regola benedettina” è costituita da un prologo e da 73 capitoli, che possono essere letti immaginandoli organizzati in quattro parti: Il Prologo, invece, definisce i principi della vita religiosa (soprattutto la rinuncia alla propria volontà ed il proprio completo affidamento a Cristo) e paragona il monastero ad una “scuola”, nella quale insegna la scienza della salvezza, cosicché perseverando nel monastero fino alla morte, i discepoli possono “meritare di divenire parte del regno di Cristo“.
Le tre virtù principali fissate dalla “Regola” per il processo di miglioramento – che devono essere prima riconosciute, assimilate e poi esercitate – sono: • l’obbedienza, che è un mettersi in ascolto (ob-audire), in piedi e pronti ad agire secondo saggezza e conoscenza (cioè, le competenze) • il silenzio, che non è un vuoto mentale o l’assenza di proposte, ma il momento e il modo che le fa maturare. Collegate al silenzio, e funzionale ad esso, ci sono la sobrietà e la proprietà di linguaggio • l’umiltà, che è un sentirsi permanentemente vicini alla terra (humus) – cioè vicini ai problemi ed attenti alle realtà quotidiane. L’acquisizione di questa virtù consente di avere la reale percezione della propria fallibilità e della propria fragilità in ogni situazione. Le suddette tre “virtù” vanno, comunque, declinate alla luce di un quarto concetto unificante, quello di persona, come essere razionale, libero e autocosciente
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