Manoscritti illuminati Una delle testimonianze artistiche pi importanti

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Manoscritti illuminati

Manoscritti illuminati

Una delle testimonianze artistiche più importanti del Medioevo è la miniatura, ovvero una pittura

Una delle testimonianze artistiche più importanti del Medioevo è la miniatura, ovvero una pittura di piccole dimensioni eseguita su un supporto di pergamena, di carta o d'avorio. L'etimologia deriva da minium, termine che nell’età classica e nei primi secoli del Medioevo indicava il cinabro, pigmento di colore rosso usato già nella pittura antica e adoperato anche per dipingere in rosso iniziali, titoli e rubriche di testi scritti. Quindi miniare o minio describere significò originariamente scrivere con il rosso, analogamente a rubricare

Più tardi la parola miniatura si estese a indicare la decorazione e l’illustrazione di

Più tardi la parola miniatura si estese a indicare la decorazione e l’illustrazione di un testo scritto. Con questo tipo di pittura l'opera definita manoscritto illuminato

I manoscritti illuminati sono documenti in cui il testo è integrato dall’aggiunta di decorazioni

I manoscritti illuminati sono documenti in cui il testo è integrato dall’aggiunta di decorazioni o illustrazioni, come iniziali decorate, bordi o miniature Il termine illuminato deriverebbe dal latino lumen o luce, in quanto la miniatura, luminosa nell’uso dei colori e della foglia d'oro o di argento, dava preziosità e luce al testo scritto Secondo un'altra interpretazione probabilmente più credibile (F. Brunello - De Arte Illuminandi) il termine illuminato discende invece dall'uso di lacche alluminate, cioè con allume come mordente, una pratica comune in questo tipo di pittura Dante nel canto XI del Purgatorio, quando incontra il miniatore Oderisi da Gubbio, scrive: "'Oh' diss’io lui 'non se' tu Oderisi/ L’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte/ Ch’alluminar chiamata è in Parisi? '"

In effetti nella miniatura, tecnica simile all'acquerello, si impiegavano molti colori ricavati da succhi

In effetti nella miniatura, tecnica simile all'acquerello, si impiegavano molti colori ricavati da succhi vegetali, cioè da estratti acquosi di piante come l'arzica, il tornasole, la robbia, ecc. ; il colore di questi succhi poteva essere regolato addizionando un mordente, quindi trasformando il colorante in una lacca in cui lo ione metallico è coordinato ai gruppi leganti del colorante Uno dei mordenti più comuni era proprio l'allume o allume di rocca (sx), il solfato doppio di alluminio e potassio avente formula Al 2(SO 4)3·K 2 SO 4· 24 H 2 O. Questo composto, importantissimo nell'industria tintoria sia come mordente sia per la concia delle pelli, era ricavato anticamente dal minerale allumite

Una caratteristica importante che definisce la miniatura consiste nel suo essere condotta a mano

Una caratteristica importante che definisce la miniatura consiste nel suo essere condotta a mano con mezzi pittorici. Questa definizione si riferisce al periodo compreso tra l’età paleocristiana e gli inizi del XVI secolo; gli eventi che ne delimitano il periodo sono il passaggio dal rotolo al codice, avvenuto gradualmente tra il I e il III secolo d. C. , e l’avvento della stampa tipografica che, sperimentata per la prima volta da Gutenberg a Magonza alla metà del XV secolo, si diffuse poi in tutta l’Europa Il libro aveva anticamente forma di rotolo; era costituito da fogli di papiro o di pergamena incollati lungo i margini e arrotolati e veniva letto svolgendolo. Ad esso nel III secolo d. C. si sostituì il codice, formato da fogli di pergamena ripiegati. Già nella civiltà egiziana i Libri dei Morti, scritti su papiro e deposti nelle tombe, erano decorati con illustrazioni a colori; in questo senso il più antico esempio di manoscritto illuminato potrebbe essere considerato il Libro dei Morti composto per Ani (sopra), risalente al 1250 a. C. e attualmente conservato presso il British Museum di Londra

Anche nelle civiltà greca e romana è probabile che testi scientifici e letterari fossero

Anche nelle civiltà greca e romana è probabile che testi scientifici e letterari fossero accompagnati da illustrazioni (es. sotto, rotolo risalente al II secolo d. C. ) È però solo con l’affermazione del codice che le illustrazioni divengono maggiormente ricche ed elaborate

Molti trattati medievali contengono al loro interno sezioni dedicate alla miniatura, anche se rari

Molti trattati medievali contengono al loro interno sezioni dedicate alla miniatura, anche se rari sono quelli dedicati esclusivamente a questo tipo di tecnica pittorica. Il primo è probabilmente il Manoscritto di Lucca o Compositiones ad tingenda che contiene numerose ricette per la preparazione e applicazione dei colori, alcune derivanti dal Papiro X di Leida. Importanti sono anche il De coloribus et artibus Romanorum, il Mappae Clavicula, il Libro dei Colori, secreti del XV secolo o Manoscritto Bolognese e naturalmente il più celebre testo di arte medievale, il De diversis artibus dell'abate tedesco Teofilo Infine, per quanto non espressamente rivolto alla tecnica della miniatura, è naturalmente di grande importanza anche il Libro dell'arte di Cennino Cennini

Un'altra opera importantissima, che ha la caratteristica unica di trattare esclusivamente di miniatura, è

Un'altra opera importantissima, che ha la caratteristica unica di trattare esclusivamente di miniatura, è il De Arte Illuminandi (XIV secolo), manoscritto anonimo di area napoletana, molto interessante soprattutto nella versione commentata da F. Brunello Si tratta dell'opera più completa sulla descrizione dei metodi medievali necessari per la realizzazione delle miniature su pergamena La versione di F. Brunello, oltre al testo medievale commentato, contiene un compendio sulla tecnica della miniatura medievale e un dizionario dei colori usati, risultando così opera estremamente preziosa per chi si occupa di miniatura

Moltissimi manoscritti sono di ispirazione religiosa, fatto semplice da comprendere se si pensa che

Moltissimi manoscritti sono di ispirazione religiosa, fatto semplice da comprendere se si pensa che nell’alto Medioevo l’arte pittorica era in pratica appannaggio dei soli gruppi ecclesiastici A partire dal XIII secolo, comunque, si registra un numero crescente di testi secolari o laici, di ispirazione profana. Oltre alle scuole claustrali fioriscono le scuole di corte dove pittori laici creano lussuosi codici per esaltare le virtù dei loro signori

Codici, rotoli e fogli singoli Molti manoscritti erano creati come codici, quindi sotto forma

Codici, rotoli e fogli singoli Molti manoscritti erano creati come codici, quindi sotto forma di libri. Esistono esempi di testi in rotolo (es. l'Exultet della Biblioteca Casanatense di Roma, XI secolo, dx)… …o in fogli singoli (Mappamondo di Vercelli, XIII secolo, sx)

Testimonianze del Medioevo I manoscritti illuminati sono il tipo più comune di artefatto che

Testimonianze del Medioevo I manoscritti illuminati sono il tipo più comune di artefatto che ci è giunto dal Medioevo, nonchè le migliori testimonianze della pittura medievale. Relativamente a certe aree geografiche e certi periodi si tratta dei soli esempi sopravvissuti di pittura Si tratta quindi di manufatti di grande valore storico, artistico e religioso, testimonianza delle capacità tecnicoartistiche degli antichi scribi. Le illustrazioni dei manoscritti illuminati sono ancora adesso in grado di rivaleggiare con i manoscritti a stampa dal punto di vista della precisione di tratto e della fantasia delle forme

Scopo dei manoscritti La tecnica di illuminazione era complessa e spesso costosa, dovendo impiegare

Scopo dei manoscritti La tecnica di illuminazione era complessa e spesso costosa, dovendo impiegare materiali pregiati come oro, argento, cinabro o lapislazzuli. Per questo motivo era di solito riservata a libri speciali, per esempio bibbie da altare. Le persone facoltose potevano commissionare la decorazione dei testi chiamati Libri delle ore, in cui erano definite le preghiere più appropriate per i vari momenti della giornata liturgica

Scriptoria e centri d’arte Il laboratorio artistico nel quale si producevano i manoscritti illuminati

Scriptoria e centri d’arte Il laboratorio artistico nel quale si producevano i manoscritti illuminati e, più in generale, i testi medievali, era chiamato scriptorium. Lo scriptorium spesso aveva caratteristiche peculiari e riconoscibili, nel senso che i suoi artisti impiegavano le stesse tecniche e la stessa tavolozza nell’illuminazione dei manoscritti A livello geografico, i centri più importanti nell’illuminazione erano senz’altro la Francia, con Parigi faro culturale e artistico, nel quale si svilupparono stili vari tra cui il Gotico; poi le Isole Britanniche, le Fiandre e i paesi del Vicino Oriente (Siria, Armenia) In Italia noti scriptoria avevano sede presso le abbazie di Bobbio (Piacenza), Nonantola (Modena) e Montecassino (Frosinone)

Lo scriptorium doveva assomigliare più ad un laboratorio di alchimia che allo studio di

Lo scriptorium doveva assomigliare più ad un laboratorio di alchimia che allo studio di un pittore. A causa della limitatezza dei commerci e di un certo isolamento cui si sottoponevano gli artisti, tanto religiosi quanto laici, il miniatore (o i suoi collaboratori) non si limitava a realizzare l'opera artistica ma doveva anche preparare tutto ciò che serviva per l'esecuzione: dai fogli del libro ai colori, alle colle fino a penne e pennelli

La preparazione dei colori era ovviamente l'aspetto tecnico più importante. Nel Medioevo, come nelle

La preparazione dei colori era ovviamente l'aspetto tecnico più importante. Nel Medioevo, come nelle epoche precedenti, i pigmenti dovevano essere preparati appena prima dell'uso; non era prassi conservarli a lungo. Procacciarsi le materie prime e trasformarle in maniera idonea richiedeva un elevato grado di esperienza. Spesso i miniatori disponevano di aiutanti che assolvevano proprio a questa mansione Ecco quindi l'utilità dei ricettari come i già citati De Arte Illuminandi o Compositiones ad tingenda, che forniscono informazioni su ogni aspetto dell'arte della miniatura, indicando ricette e consigliando il modo migliore per impiegare i vari pigmenti e coloranti

Tecnica di composizione del manoscritto illuminato Prima di descrivere i materiali pittorici impiegati nell'illuminazione,

Tecnica di composizione del manoscritto illuminato Prima di descrivere i materiali pittorici impiegati nell'illuminazione, vediamo quali sono le diverse fasi attraverso le quali veniva creato il manoscritto illuminato. Nella composizione potevano intervenire altre persone oltre al miniaturista, quali il calligrafo e colui che preparava la pergamena Si parte dal foglio di pergamena opportunamente sagomato e trattato, ovvero lavorato con un appretto a base inorganica per eliminare la naturale untuosità della pelle animale; eventualmente la pergamena poteva essere tinta con porpora o altri coloranti

Sui fogli di pergamena così preparati comincia l'opera dello scriptor o librarius, cioè del

Sui fogli di pergamena così preparati comincia l'opera dello scriptor o librarius, cioè del calligrafo che redige il testo con inchiostri neri e rossi (più raramente con altri colori). Lo scriba pianificava lo schema generale dell’opera (es. collocazione delle iniziali, bordi, titoli, ecc. ) segnando le varie parti con una punta metallica. Nella figura sono mostrati alcuni attrezzi usati per segnare le linee guida per la calligrafia Quindi si accingeva all’opera con calamaio e penna. Egli eseguiva tutte le scritture lasciando scoperti gli spazi per le iniziali più grandi e decorate e per le figure da miniare. Spesso il calligrafo poteva lasciare delle indicazioni per il miniatore, segnando con tratto leggero il contorno dell'iniziale da decorare o lasciando delle note sul soggetto da dipingere. Così talvolta si può leggere a margine frasi come "Hic pingatur papa genuflexus" oppure "Hic ponatur una mulier in habitu viduali"

La scrittura dipendeva dai costumi locali e dai gusti. I robusti caratteri Romani tipici

La scrittura dipendeva dai costumi locali e dai gusti. I robusti caratteri Romani tipici dell’Alto Medioevo, gradualmente furono sostituiti dai caratteri in corsivo come l’onciale e il semionciale, specialmente nelle Isole Britanniche dove si svilupparono stili distintivi noti come insulari Attorno al XIII secolo fu introdotto il carattere gotico o blackletter, molto popolare nel tardo Medioevo

La miniatura risalente all'XI secolo raffigura un monaco che scrive e un laico miniatore

La miniatura risalente all'XI secolo raffigura un monaco che scrive e un laico miniatore mentre lavorano fianco a fianco nello scriptorium del monastero di Echternach (Germania)

Terminato il lavoro del calligrafo, il miniatore poteva cominciare a disegnare figure e ornamenti

Terminato il lavoro del calligrafo, il miniatore poteva cominciare a disegnare figure e ornamenti con lo stil di piombo. Disegni anche molto complessi erano pianificati in anticipo, probabilmente su tavolette di cera, i bozzetti dell’epoca. Il disegno era infine tracciato sulla pergamena. I tratti erano ripassati con inchiostro nero a base di metallo-gallato per avere linee permanenti e resistenti all'acqua Si creava così il campus da coprire poi con i colori

Quindi i colori erano stesi all'interno delle sagome con pennelli più o meno fini;

Quindi i colori erano stesi all'interno delle sagome con pennelli più o meno fini; i dettagli più minuti erano probabilmente stesi con un solo pelo La sequenza di stesura degli strati era varia e influenzava in certi casi l'aspetto finale della parte colorata. Spesso sui disegni erano stesi strati di coloranti per avere eleganti velature, oppure strati protettivi

I colori erano generalmente tempere acquose, miscelati con albume o rosso d'uovo, oppure gomma

I colori erano generalmente tempere acquose, miscelati con albume o rosso d'uovo, oppure gomma arabica, una tecnica simile all'acquerello

Oltre a figure ed ornamenti, il miniatore doveva realizzare le grandi iniziali decorate, tecnicamente

Oltre a figure ed ornamenti, il miniatore doveva realizzare le grandi iniziali decorate, tecnicamente assimilabili alle figure, le dorature e argentature (che richiedevano una tecnica particolare, diversa da quella degli altri pigmenti), le scritte in oro e argento

Le iniziali Il termine iniziale si riferisce ad ogni lettera ingrandita all'inizio della sezione

Le iniziali Il termine iniziale si riferisce ad ogni lettera ingrandita all'inizio della sezione di un libro. Nei manoscritti illuminati le iniziali erano spesso decorate in maniera elaborata o almeno rubricate, cioè colorate in rosso Mentre nei primi secoli della miniatura l’iniziale era evidenziata per motivi essenzialmente pratici, in seguito si sviluppò l'uso di abbellirla con elementi decorativi di vario tipo: • a intreccio • vegetali • zoomorfi o antropomorfi (iniziale decorata) • contenenti figure (iniziale figurata) o vere e proprie storie (iniziale istoriata)

sopra: ritratto di Geoffrey Chaucer (Canterbury tales)

sopra: ritratto di Geoffrey Chaucer (Canterbury tales)

I colori dei manoscritti La varietà di colori a disposizione del decoratore di manoscritti

I colori dei manoscritti La varietà di colori a disposizione del decoratore di manoscritti medievali era sorprendentemente vasta: la stesura su pergamena e la tecnica a tempera non comportavano alcun limite nella scelta dei composti da utilizzare, cosa che non avviene, per esempio, nella tecnica dell'affresco. Le uniche limitazioni si hanno nei rari casi in cui due colori apposti in zone limitrofe o affacciate potevano reagire chimicamente e dare luogo a prodotti di degradazione indesiderati, come nel caso di pigmenti a base di piombo, es. bianco piombo, 2 Pb. CO 3·Pb(OH)2 e a base di solfuro, es. orpimento, As 2 S 3, la cui interazione può generare precipitati neri Inoltre, la produzione di colori sintetici (quali il vermiglione al posto del cinabro o i pigmenti blu a base di rame) e l’importazione di nuovi colori dai paesi extraeuropei (zafferano, cocciniglia) ebbe un significativo incremento proprio mentre l'arte della miniatura si stava sviluppando

Pigmenti e coloranti I miniatori erano probabilmente consci del fatto che i colori a

Pigmenti e coloranti I miniatori erano probabilmente consci del fatto che i colori a base inorganica erano più stabili nel tempo rispetto a quelli a base organica, che sono facilmente soggetti a processi di fotodegradazione; d'altra parte va considerato che l'esposizione dei colori alla luce era ridotta per il fatto che i manoscritti erano generalmente mantenuti chiusi. Da qui il largo uso di coloranti di origine vegetale o animale, conservati in pezzuole e poi addizionati di mordente Perciò nelle miniature è spesso ancora possibile, per quanto in maniera non semplice, identificare la presenza di alcuni coloranti, come l‘indaco, la porpora di Tiro, la robbia e il kermes

Succhi e pezzuole Molto importanti per la tavolozza dei miniatori erano i succhi vegetali

Succhi e pezzuole Molto importanti per la tavolozza dei miniatori erano i succhi vegetali (succus o jotta) con cui si indicavano genericamente gli estratti vegetali colorati, ricavati direttamente dalle piante senza particolari trattamenti, es. per spremitura. I succhi erano impiegati per preparare le pezzuole per dipingere all'acquarello: veli di questi coloranti rilasciati in soluzione acquosa erano usati per migliorare altri colori, in quanto davano alle miniature un aspetto di trasparenza brillante Ricette per la preparazione di succhi e pezzuole e per il corretto uso dei colori così ottenuti sono presenti in molti trattati di arte medievale: il Cennini ne parla diffusamente sotto il titolo "Dei colori che si adoperano in lavorare su carta" (cap. CLXI) citando come pezzuole non già i pezzetti di tessuto imbevuti, bensì gli stessi colori. Lo stesso Teofilo consigliava di ombreggiare le miniature dipinte in verdigris con succhi vegetali verdi

Come dice il Cennini, con le pezzuole "si fa d'ogni colore" ed effettivamente i

Come dice il Cennini, con le pezzuole "si fa d'ogni colore" ed effettivamente i succhi sfruttati dai miniatori medievali erano moltissimi: • i gialli: jotte luze, dalla Reseda luteola, ovvero l'arzica; crocus dallo zafferano • i bruni: jotte concina, estratto di galle di quercia, ricco di tannini • i verdi: succus gladioli o viride de liliis azurinis dai fiori di ireos (Iris germanica e Iris fiorentina); succus caulae dal cavolo (Brassica oleracea); succus porri dal comune porro coltivato (Allium porrum); succo di prugnameroli dai frutti del Rhamnus catharticus, noti come grani d'Avignone; succus rute o ruvite dalla Ruta graveolens, pianta tossica come la precedente; gatetriu dal succo di caprifoglio • i rossi: un succo rosso sangue estratto dal tronco dell'edera, non meglio identificato • i blu: torna-ad-solem dalla Crozophora tinctoria a p. H basico; succus sambuci dai frutti di Sambucus nigra • i violetto-porpora: folium sempre dalla Crozophora tinctoria a p. H neutro; bisetus, sottoprodotto del folium

La tavolozza In base alle indicazioni dei testi medievali possiamo capire quali pigmenti e

La tavolozza In base alle indicazioni dei testi medievali possiamo capire quali pigmenti e coloranti erano impiegati nell'illuminazione. Secondo l'anonimo autore del De Arte Illuminandi, i colori necessari a miniare sono otto: il nero, il bianco, il rosso, il giallo, l'azzurrino, il violaceo, il rosaceo e il verde Sempre in base alle indicazioni dell'autore, sappiamo che si usavano sostanze naturali e artificiali: • naturali • azzurro d'oltremare (blu oltremare), azzurro d'Alemagna (azzurrite), azzurro d'argento (poco noto, si tratta di argento contenente impurezze di rame) • terra nera (grafite) • terra rossa (ocra rossa) • terra verde (argilla contenente silicato ferroso), verde azzurro o chrysocolla (termine genericamente riferito a pigmenti verdi contenenti rame, tra cui la malachite) • terra gialla (ocra gialla), orpimento, oro e zafferano

 • artificiali • azzurro e violaceo dall'erba nota come tornasole • nero da

• artificiali • azzurro e violaceo dall'erba nota come tornasole • nero da legna bruciata, da nerofumo o dalla seppia • cinabro (in realtà vermiglione) e minio • verde dal rame, dai prugnameroli e dal succo dell'iris • bianco dalla cerussa o da ossa incenerite • giallo dalla radice di curcuma, dalla robbia o erba dei tintori, dalla porporina o oro musivo e dal giallollino o giallorino (nome che indica alcuni pigmenti a base di piombo) • rosaceo dal legno del brasile o verzino

 • rosso: cinabro o vermiglione per i dettagli più importanti, poi minio, ocra

• rosso: cinabro o vermiglione per i dettagli più importanti, poi minio, ocra rossa, e lacche organiche (cocciniglia, verzino) • giallo: ocra gialla, orpimento o lacche gialle vegetali (zafferano) • verde: malachite e verdigris, terra verde • blu: oltremare naturale, azzurrite, smaltino, indaco • porpora: porpora di Tiro • bianco: bianco piombo, gesso • nero: a base di carbone (nero d’ossa, nerofumo), seppia, metallo-gallato • oro: in foglia o polverizzato; oro mosaico come surrogato • argento: in foglia o polverizzato

Significato dei pigmenti Nei manoscritti medievali, come in altre espressioni pittoriche, era prassi utilizzare

Significato dei pigmenti Nei manoscritti medievali, come in altre espressioni pittoriche, era prassi utilizzare i pigmenti più pregiati per colorare i soggetti più sacri, come le figure dei santi o le vesti della Madonna o di cristo. La gerarchia dei pigmenti blu, ad esempio, era in questo senso lapislazzuli > azzurrite > indaco/guado In questa scena, tratta dal Liber Evangeliorum (Archivio Capitolare di Vercelli), l’aureola di Cristo è dipinta in blu oltremare, pur svanito, mentre le aureole dei Discepoli di Emmaus sono in guado

La gerarchia dei rossi era cinabro > minio > ocra. In questa Ultima cena,

La gerarchia dei rossi era cinabro > minio > ocra. In questa Ultima cena, anch’essa tratta dal Liber Evangeliorum , le coppe rosse e le aureole degli apostoli sono dipinte con il cinabro, mentre le vesti (evidentemente meno importanti) sono in minio

Dettagli tecnici Nella lettera O istoriata, tratta da un testo di cori italiano del

Dettagli tecnici Nella lettera O istoriata, tratta da un testo di cori italiano del XIII secolo, è possibile vedere un esempio della tecnica degli strati successivi di pigmento o layering. Le zone blu sono costituite da lapislazzuli su azzurrite; ciò crea un effetto cromatico interessante, dà maggiore stabilità al colore in quanto la superficie esposta è costituita dal pigmento più stabile, il lapislazzuli, e infine ha il vantaggio economico di minimizzare l'uso del minerale più pregiato

Cu layering: blu oltremare azzurite pergamena FORS e Raman: blu oltremare! analisi XRF: Cu

Cu layering: blu oltremare azzurite pergamena FORS e Raman: blu oltremare! analisi XRF: Cu azzurite, 2 Cu. CO 3·Cu(OH)2

Doratura Un aspetto tecnico molto importante nella miniatura, forse più che in altre tecniche

Doratura Un aspetto tecnico molto importante nella miniatura, forse più che in altre tecniche pittoriche, era l'utilizzo di pigmenti a base di metallo puro, come oro, argento e leghe, oppure di succedanei che ne imitassero l'aspetto nobile. L'oro, in particolare, era utilizzato per la doratura Fin dall'antichità l'arricchire con metalli preziosi le pitture era tecnica conosciuta in tutto l'Oriente, da cui poi l'uso passò in Egitto e nel mondo grecoromano. In seguito, con la produzione di libri miniati presso i Bizantini, gli ornamenti in oro e argento diventarono pratica comune, sia per decorare figure ed iniziali, sia per eseguire scritture secondo le tecniche note come crisografia e argirografia

L’oro L’impiego di oro per decorare un manoscritto portava con sé tutto il potere,

L’oro L’impiego di oro per decorare un manoscritto portava con sé tutto il potere, la ricchezza, lo splendore associato a questo metallo nobile, da sempre il più desiderato dall’uomo. L'impiego di oro nella decorazione dei manoscritti è una caratteristica saliente dell'arte della miniatura medievale, in particolare nel periodo 300 -1600 d. C. e relativamente alle culture giudaico-cristiane e islamiche. L'uso di oro nell’arte pittorica è però antecedente di quasi 2000 anni. Le testimonianze bibliografiche permettono di stabilire che in Europa le tecniche di doratura erano già in uso almeno dal V-VI secolo d. C. e probabilmente da qualche secolo prima in Asia Minore; al III secolo a. C. risale una citazione da un documento ebraico dove si dice che le Leggi Ebraiche erano scritte su pelle con lettere in oro

Ma è nell'antico Egitto che dobbiamo trovare, se non l'invenzione della doratura, almeno l'evidenza

Ma è nell'antico Egitto che dobbiamo trovare, se non l'invenzione della doratura, almeno l'evidenza delle prime applicazioni dell'oro in campo pittorico. Il più antico documento egizio su cui sia stata impiegata la foglia d'oro è il Papiro di Neferronpet, un Libro dei Morti databile al 1250 a. C. , attualmente conservato in frammenti presso alcuni musei tra cui il British Museum. Neferronpet è descritto come capo dei laminatori, e ciò rende conto della sua opportunità di provvedere a questo documento funerario così riccamente decorato. La lamina d'oro su questo papiro ha uno spessore di 6 µm e contiene un po’ di argento, come è lecito aspettarsi essendo l’argento sempre associato all’oro in natura. Non è stato possibile capire se l’applicazione fosse ottenuta tramite una colla, ma va considerata l’azione adesiva naturale del papiro. Un altro papiro contenente oro in foglia meglio conservato è il Papiro di Anhai (dx), un Libro dei Morti proveniente da Tebe e databile al 1050 a. C. (XXI Dinastia), conservato presso il British Museum

Si può grossolanamente suddividere le tecniche di doratura in tre gruppi: • le tecniche

Si può grossolanamente suddividere le tecniche di doratura in tre gruppi: • le tecniche rivolte alla decorazione di superfici che utilizzano una lamina sottilissima applicata al supporto, la cosiddetta foglia d'oro • le tecniche rivolte alla decorazione di superfici che utilizzano oro in polvere nella doratura a conchiglia o shell gold in inglese • le tecniche di crisografia che impiegano oro in polvere disperso in un mezzo legante e usato come inchiostro (di cui si parlerà più diffusamente nella lezione dedicata agli inchiostri)

La decorazione con lamine d’oro è sicuramente il tratto più caratteristico nella miniatura e

La decorazione con lamine d’oro è sicuramente il tratto più caratteristico nella miniatura e nella pittura su tavola. L’oro in lamina si ricavava principalmente per martellamento; la più sottile lamina era chiamate, appunto, foglia d’oro. In virtù della grande malleabilità del metallo, già nell’antico Egitto gli artigiani erano in grado di ottenere foglie d’oro dello spessore di pochi micron, più sottili della carta velina e traslucidi La fonte più comune e conveniente era costituita dalle monete. Il Cennini dice che i più bravi artigiani erano in grado di ricavare più di 100 lamine da un solo ducato, una moneta pesante circa 3 grammi. Nel Manoscritto di Lucca, ricetta 64, è descritta la procedura per ricavare ben 1028 lamine da circa 30 grammi di oro Nel bassorilievo in figura (I secolo d. C. ) è mostrato l’aurifex brattiarius, l’artigiano addetto alla battitura dell’oro per la riduzione in lamine sottili

La purezza della foglia era molto variabile, essendo variabile il contenuto dell’oro nelle monete

La purezza della foglia era molto variabile, essendo variabile il contenuto dell’oro nelle monete a seconda del periodo e dello Stato che le emetteva. Generalmente sono presenti impurezze di argento o rame, ma anche ferro e piombo. L'oro utilizzato non era sempre puro (oro fino o oro di Gubbio): ad esempio Cennini cita l'oro di metà o mistà o mittà, costituito da un sottilissimo strato d'oro sovrapposto ad una lamina di stagno o d'argento Nella figura è mostrata una xilografia di Jost Amman (1568) intitolata Der Goltschlager, in cui è rappresentato l’artigiano che prepara la foglia d’oro per martellamento Prima di citare le tecniche e i materiali impiegati nella doratura, è opportuno ricordare che in molti testi di tecnica pittorica medievale, la definizione della parola oro può indurre qualche incertezza a causa dell'influenza su di essi del lessico alchimistico greco, nel quale il termine chrysos indicava sia l'oro vero e proprio, in frammenti, lamine o polvere, sia alcune sostanze che presentano un aspetto dorato, come la pirite, alcune leghe metalliche o lo zafferano

Le tecniche di doratura erano numerosissime, basti pensare che nel solo Manoscritto Bolognese sono

Le tecniche di doratura erano numerosissime, basti pensare che nel solo Manoscritto Bolognese sono citate ben 37 ricette diverse per la doratura e argentatura sia a foglia che a conchiglia. In linea di massima lo schema generale prevedeva la preparazione di un fondo adesivo sul supporto, sul quale si applicava con estrema delicatezza la foglia d’oro; Teofilo nel De diversis artibus avverte: “…stai molto attento ai colpi di vento e trattieni il respiro perché se espiri rischi di perdere la foglia…” In seguito, per aumentarne la lucentezza si poteva usare il brunitoio, strumento costituito da una ghiera metallica su cui erano inseriti denti di vari animali, specialmente carnivori (cane, lupo, leopardo, cinghiale) oppure pietre molto dure come il diaspro rosso o l'agata. Il brunitoio aveva il compito di eliminare le piccole asperità eventualmente presenti sulla foglia, in modo da massimizzare la componente di luce speculare a scapito di quella diffusa

Per quanto riguarda l’adesione della foglia al supporto, le tecniche si differenziano in due

Per quanto riguarda l’adesione della foglia al supporto, le tecniche si differenziano in due modi: • in base allo spessore dello strato adesivo • uno strato sottile, costituito da una colla animale • uno strato spesso, costituito da una miscela a base di gesso • in base alla natura del solvente impiegato per l’adesivo • a base acquosa (tecnica a guazzo), impiegato soprattutto nella miniatura e raramente su tavola o tela • a base oleo-resinosa (tecnica a missione), impiegato su tavola, tela e parete, raramente su miniatura

Nel periodo storico che va dal Tardo Antico al Carolingio fino al Romanico, la

Nel periodo storico che va dal Tardo Antico al Carolingio fino al Romanico, la tecnica principale prevedeva che la superficie da decorare fosse coperta con un adesivo di natura organica, sul quale si applicava la sottile lamina d’oro. Tra le varie sostanze usate allo scopo, le più citate erano latte di fico, albume chiarificato, succo d’aglio (sconsigliato su pergamena perché igroscopico), gomma arabica e gomma ammoniacale, eventualmente addizionate di zucchero per aumentare la natura appiccicosa. Le ricette medievali riportano che alcuni di questi liquidi risultavano più adesivi se lasciati a putrefare per giorni Altri adesivi erano le colle animali, chiamate genericamente bitumina benchè non a base di bitume, il prodotto solido naturale derivato dal petrolio noto anche come pix judaicum: qui il termine va inteso nel senso di sostanze appiccicanti. Sono materiali di natura proteica, in prevalenza collagene: la colla cervona o di caravella, composta da ritagli di pelle; la colla cartarum o di cartapecora, ricavata da frammenti di pergamena e quindi più pura; la colla piscium o ittiocolla, cioè la comune colla di pesce. Tutte queste sostanze producevano un fondo molto sottile e appiccicoso; la foglia d’oro ivi applicata mostrava la conformazione della sottostante pergamena. Questa tecnica è chiamata in inglese flat gilding. Con questo tipo di adesione non era possibile effettuare la brunitura perché il fondo non risultava sufficientemente robusto, quindi la foglia d’oro realizzata in questo modo presenta sempre una bassa lucentezza

Probabilmente a partire dal XII secolo è introdotta una variante nella preparazione del fondo,

Probabilmente a partire dal XII secolo è introdotta una variante nella preparazione del fondo, che prevede un impasto di gesso amalgamato con una colla, in modo da formare uno spesso rialzo adesivo su cui era applicata la foglia d'oro. Per questo in inglese la tecnica è chiamata raised gilding; in italiano il termine corrispondente è doratura a guazzo o a mordente. La tecnica è descritta già da Teofilo nel De diversis artibus ma in relazione alla doratura su tavole in legno, per la quale era già nota prima del XII secolo; diventa poi di uso comune anche nella miniatura. La composizione del mordente, chiamato nel Medioevo asiso o assiso, aveva molte varianti. Gli ingredienti base erano l’acqua, un adesivo (colla animale, gomma o albume chiarificato), un colorante (bolo, terra verde, zafferano, ocre, cinabro o minio), un eccipiente per dare volume e resistenza e un agente igroscopico (miele o zucchero). L’eccipiente più usato, soprattutto in Italia, era il gesso sottile, ovvero gesso lasciato a bagno per diversi giorni; nel Nordeuropa era invece comune l’uso del calcare

Come colorante si impiegava molto spesso il bolo armeno, già citato per l’icona bizantina:

Come colorante si impiegava molto spesso il bolo armeno, già citato per l’icona bizantina: si tratta di un’argilla molto grassa contenente ossido di ferro, più ricca in alluminio rispetto alle ocre e dal tipico sapore allappante. Nonostante l’aggettivo armeno, questa argilla era molto diffusa dappertutto. L’utilità di aggiungere un pigmento al mordente era duplice: da un lato rendere visibile la stesura su cui applicare la foglia, dall’altro arricchire l’aspetto cromatico della foglia stessa (che è parzialmente traslucida) rendendolo più caldo. Un altro additivo, citato per esempio da Cennini, poteva essere la biacca

Dopo aver applicato l’impasto e averne atteso l’essiccamento, il miniatore doveva umidificare leggermente la

Dopo aver applicato l’impasto e averne atteso l’essiccamento, il miniatore doveva umidificare leggermente la superficie con il suo alito oppure con albume chiarificato per poi stendere la foglia. L’uso dell’impasto di gesso aveva il grosso vantaggio di permettere una brunitura marcata della foglia, che diventava così più splendente perché più simile ad una superficie a specchio; inoltre era possibile decorare la foglia per incisione Nella figura si nota la differenza di brillantezza in dorature ad assiso (sx) e a semplice colla (dx)

Dal XV secolo la doratura applicata su manoscritti tende a sparire, sia per la

Dal XV secolo la doratura applicata su manoscritti tende a sparire, sia per la diffusione crescente dei libri a stampa, sia perchè l’oro non si adattava bene ai dettami artistici in voga nell’epoca del Rinascimento Nella miniatura a destra sono state usate le tecniche di doratura a guazzo e a semplice colla

Nelle tecniche pittoriche su legno e su parete, ma non su pergamena, si usava

Nelle tecniche pittoriche su legno e su parete, ma non su pergamena, si usava molto spesso un mordente a base oleosa, costituito da una vernice a olio da applicare sul supporto per poi farvi aderire la foglia d’oro: la doratura a missione. Esempi di questa tecnica si hanno nelle pitture del XIV secolo toscano, in particolare con Duccio da Buoninsegna, Simone Martini e Lorenzo Monaco Nella figura è mostrata una Incoronazione della Vergine di Lorenzo Monaco (ca. 1407) conservata presso la National Gallery di Londra

Siccome spesso all’olio era addizionato ossido di piombo per velocizzarne l’indurimento, l’evidenza di Pb

Siccome spesso all’olio era addizionato ossido di piombo per velocizzarne l’indurimento, l’evidenza di Pb al di sotto di una doratura costituisce un’indicazione dell’uso della tecnica a missione In figura: frammento prelevato da una pittura su pietra (visto dal basso), in cui è stata applicata una doratura a missione su una precedente doratura a guazzo

Se per l’uso di oro in lamina sulle opere pittoriche è possibile andare indietro

Se per l’uso di oro in lamina sulle opere pittoriche è possibile andare indietro fino al 1400 a. C. , relativamente all'uso di oro in polvere le testimonianze sono più incerte. Non ci sono evidenze di questo tipo in papiri egiziani; un documento ebraico del III secolo a. C. che cita le Leggi Ebraiche scritte su pelle con lettere in oro è perciò da ritenere come uno dei più antichi esempi dell'uso di oro in polvere, anche se come inchiostro e non come pigmento. L’oro in polvere è difficile da ottenere per via dell’incredibile malleabilità del metallo, che si comporta come cera quando è sottoposto a martellamento. Perciò gli artigiani erano soliti macinare la fonte di oro (es. una moneta) in presenza di additivi quali miele, sale o sabbia che agivano a sfavore della malleabilità, sia esercitando azione abrasiva, sia intrappolando le particelle d’oro formatesi. In alternativa si poteva addizionare mercurio, metallo che ha notevole affinità per l’oro e i metalli nobili in genere: esso forma una lega chiamata amalgama che risulta più semplice da polverizzare La macinazione si effettuava all'interno di una conchiglia, pratica da cui deriva il nome di shell gold per il pigmento così ottenuto. La polvere, da cui l’additivo era allontanato per dilavamento o mediante riscaldamento nel caso dell’amalgama, era poi mescolata con un mezzo legante e applicata sulle superfici in maniera analoga ad un qualsiasi pigmento

I leganti impiegati potevano essere quelli tipici per la miniatura, cioè gomma arabica o

I leganti impiegati potevano essere quelli tipici per la miniatura, cioè gomma arabica o albume chiarificato. Dopo l’applicazione l’oro steso come pigmento non era trattato con il brunitoio e appariva quindi di un giallo brillante ma con una lucentezza inferiore alla foglia in quanto c’è una maggior componente di luce diffusa rispetto alla luce speculare. Un mirabile esempio di impiego dell’oro a conchiglia come pigmento si ha nella Nascita di Venere di Sandro Botticelli (1486), in particolare nei capelli di Venere e nelle foglie scure a destra, in cui l’oro è miscelato con un pigmento verde L’oro in polvere è più semplice da usare rispetto alla foglia ma risulta più costoso: il consumo di oro per decorare una superficie è molto maggiore nel caso della polvere

L’argento Secondo per nobiltà solo all’oro, ma più difficile da ottenere puro, è l’argento

L’argento Secondo per nobiltà solo all’oro, ma più difficile da ottenere puro, è l’argento che in natura si trova allo stato nativo associato all’oro oppure al piombo ma raramente da solo ed è quindi sempre da raffinare. L’argento si usava in particolare per decorare le armi in scene di battaglia o parate; in certi casi era usato per simulare l’oro nella cosiddetta doratura a mecca in cui la lamina metallica (non d'oro) veniva ricoperta con una vernice oleoresinosa giallo-dorata, la mecca appunto, per simulare il metallo prezioso. In altri casi la lamina d’argento era posta sotto una lamina d’oro. Le tecniche di applicazione in foglia sono analoghe a quelle citate per l’oro

Dal punto di vista conservativo, tuttavia, c’è una grossa differenza: l’aspetto della foglia peggiora

Dal punto di vista conservativo, tuttavia, c’è una grossa differenza: l’aspetto della foglia peggiora nel tempo in quanto l’argento tende ad imbrunirsi per la formazione di solfuro e spesso risulta irriconoscibile se non attraverso l’analisi chimica. Cennino Cennini nel libro XCV de Il libro dell’arte avverte “E nnota, che soprattutto fa' con meno ariento che puoi, perché non dura, e viene negro in muro e in legno”. Stesso problema ha l’oro in lega con l’argento: “Anchora ti ghuarda da oro di metà, ché di subito vien negro”. L’applicazione della mecca oleoresinosa aveva anche lo scopo di proteggere l’argento dall’alterazione

Il rame Per quanto scarsamente citato nei trattati medievali sulla pittura, il rame era

Il rame Per quanto scarsamente citato nei trattati medievali sulla pittura, il rame era impiegato come succedaneo dell’oro, soprattutto in lega con lo zinco a formare l’ottone. In percentuali opportune, una lega rame/zinco assume un colore dorato e costituisce quindi un’alternativa abbastanza verosimile ma più economica alla foglia d’oro Sfortunatamente il rame non ha la stessa resistenza chimica dell’oro e in molti casi si verifica il viraggio al verde-blu per la formazione di composti di varia natura, tra cui cloruri, solfati e acetati, in presenza di agenti inquinanti in fase gassosa

Altri metalli Metallo bianco piuttosto semplice da lavorare, lo stagno era impiegato in pittura

Altri metalli Metallo bianco piuttosto semplice da lavorare, lo stagno era impiegato in pittura per produrre lamine sottilissime, dette stagnole, ad imitazione dell’argento, ma anche dell’oro, oppure come sottofondo per lamine più preziose. Nei testi medievali è più volte descritta la preparazione della foglia di stagno su cui era applicata una miscela oleoresinosa a base di orpimento, zafferano e celidonia, un’erba perenne delle papaveracee, per ottenere una lamina dorata (la già citata doratura a mecca). Lo stagno si usava anche sotto velature verdi o rosse per ottenere effetti particolari e nella preparazione di inchiostri. Rispetto all’argento è meno soggetto a degradazione

Saltuariamente è stato evidenziato l’impiego di altri metalli nella decorazione, tra cui alluminio, antimonio,

Saltuariamente è stato evidenziato l’impiego di altri metalli nella decorazione, tra cui alluminio, antimonio, bismuto, nickel o leghe Tra questi è da citare il bismuto, elemento metallico dall’aspetto simile all’argento. Il suo uso è citato almeno dal XIV secolo e ci sono evidenze su opere pittoriche del XV secolo (es. in Raffaello, Correggio e Fra’ Bartolomeo). Nella miniatura è stato individuato in codici di area francese del XV-XVI secolo, di cui la figura a sx è un esempio: il bismuto è impiegato sia per le aree grigie, sia per il disegno preparatorio Jean Bourdichon, "Fuga in Egitto" citato in L. Burgio et al. , "Spectroscopic Investigations of Bourdichon Miniatures: Masterpieces of Light and Color", Applied Spectroscopy, 2009, vol. 63(6), pagg. 611 -620

I supporti Per quanto riguarda i supporti, l'immagine classica del manoscritto medievale, illuminato o

I supporti Per quanto riguarda i supporti, l'immagine classica del manoscritto medievale, illuminato o no, è legata alla pergamena; esistono pochi resti di manoscritto su papiro (se vogliamo, anche i papiri egizi possono essere considerati illuminati nel senso artistico dell'aggettivo) mentre a partire dal tardo Medioevo si consolida l'uso della carta

La pergamena si ricavava da pelli animali opportunamente trattate. La stesura delle pelli non

La pergamena si ricavava da pelli animali opportunamente trattate. La stesura delle pelli non era opera banale, considerando la naturale asimmetria dei corpi animali, e quindi tutte le operazioni di depilazione, essiccamento e tensionatura su telaio e levigazione richiedevano un'elevata specializzazione. Esse erano eseguite dal pergamenarius

Siccome nel Medioevo la pergamena comune era ricavate dalle pelli ovine, essa aveva il

Siccome nel Medioevo la pergamena comune era ricavate dalle pelli ovine, essa aveva il nome di cartapecora o semplicemente carta, da non confondere con la comune carta di cellulosa che era invece nota come pergamena graeca o carta bambagina. Per i grandi libri liturgici si usava spesso la pelle suina, mentre impiegando pelle di ovini o bovini giovani o nati morti si ricavava una pergamena più pregiata chiamata vellum o pergamenum vituli (velin in francese, da cui l'italiano velina), composta da fogli molto fini e delicati Il trattamento della pelle prevedeva l'impiego di acqua di calce per eliminare i peli e per prevenire l'azione di organismi potenzialmente corrosivi, e di gesso per riempire i pori e le irregolarità della superficie

La pergamena, dopo essere stata depilata e tensionata, subiva alcuni trattamenti prima dell'uso, per

La pergamena, dopo essere stata depilata e tensionata, subiva alcuni trattamenti prima dell'uso, per migliorare l'applicazione degli inchiostri e dei colori Innanzitutto, per eliminare la naturale untuosità del supporto si spargeva una specie di appretto fatto con creta o altra polvere bianca (Cennini consigliava polvere di ossa di gallina calcinate e macinate) mescolata con un collante, come gomma arabica o colla di pesce In secondo luogo si usava talvolta, specialmente nell'alto Medioevo, tingere la pergamena con colori vari. Questo procedimento, in uso almeno dal III secolo d. C. , aveva probabilmente lo scopo di impreziosire il documento ed esaltare cromaticamente il testo e le miniature. La tintura più comune nei primi secoli era senza dubbio quella di color porpora, ottenuta mediante la preziosissima porpora di Tiro a comporre i cosiddetti Codici purpurei, documenti di valore simbolico elevatissimo

Tra i Codici purpurei più noti vi sono • il Codex Argenteus del IV

Tra i Codici purpurei più noti vi sono • il Codex Argenteus del IV secolo, conservato presso la biblioteca universitaria di Uppsala, in Svezia. Esso contiene la traduzione gotica della Bibbia • il già citato Codex Purpureus di Rossano Calabro (provincia di Cosenza), conservato presso il locale Museo Diocesano e risalente al VI secolo

In seguito, a causa del costo troppo elevato della porpora di Tiro, altre sostanze

In seguito, a causa del costo troppo elevato della porpora di Tiro, altre sostanze vennero impiegate nella tintura delle pergamene, tra cui: • il folium, estratto violaceo dalla Crozophora tinctoria • l'oricello, colorante rosso ricavato dal lichene Roccella tinctoria • lo zafferano, colorante giallo dal Crocus sativus • altri coloranti noti da tempo come il kermes e la robbia per tingere in rosso, l'arzica per tingere in giallo I coloranti citati hanno scarsa stabilità alla luce e quindi la tintura delle pergamene con essi era più scadente rispetto a quella con porpora di Tiro; d'altra parte l'esposizione dei fogli alla luce era limitata, essendo i volumi per lo più mantenuti chiusi

La carta Altro supporto usato, anche se meno della pergamena, fu la carta, nota

La carta Altro supporto usato, anche se meno della pergamena, fu la carta, nota come pergamena graeca o carta bambagina. Il suo utilizzo come supporto per manoscritti illuminati è tardo, essendo la carta stata introdotta in Europa non prima del XII secolo d. C. ; intorno al 1400 divenne un mezzo comune per piccoli volumi di sermoni, libri di testo economici, opuscoli popolari e così via, fino a sostituire la pergamena in tutti gli usi (a parte le produzioni più lussuose) dopo l'introduzione della stampa nel XV secolo La carta medievale era fatta da cenci di lino e aveva notevole resistenza e durabilità, anche se minore rispetto alla pergamena; per questo i manoscritti più belli, elaborati o destinati ad una lunga vita, erano prodotti con la pergamena. La carta era però più leggera ed economica e inoltre aveva il vantaggio di venire fornita già nell’esatto formato necessario

Il papiro Molto usato in antichità, il papiro ebbe ancora un certo utilizzo nel

Il papiro Molto usato in antichità, il papiro ebbe ancora un certo utilizzo nel Medioevo fino al VII-VIII secolo per documenti miniati. Esso era impiegato prevalentemente per la produzione di documenti in forma di rotoli; non in forma di libri in quanto, per la sua natura fragile, le pagine in papiro tenderebbero a deteriorarsi se ripetutamente girate e piegate. I rotoli in papiro potevano raggiungere lunghezze notevoli La produzione di papiro era naturalmente monopolio egiziano; anche nel Medioevo continuò ad esservi prodotto fino al X secolo, oltre che in Sicilia dove le piantagioni di papiro sopravvissero sino al XIII secolo

Accessori Talvolta il valore artistico o spirituale del manoscritto era talmente elevato da giustificare

Accessori Talvolta il valore artistico o spirituale del manoscritto era talmente elevato da giustificare la sua conservazione all'interno di una preziosa legatura in legno o metallo, che aveva funzione protettiva e insieme decorativa. Una delle copertine della legatura, o, a volte, entrambe, potevano essere in metallo nobile (oro, argento, rame) impreziosito con pietre preziose e semipreziose, paste vitree e smalti Due esempi sono mostrati in queste figure: la legatura del Codex Aureus di St. Emmeram, conservata presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (IX secolo, sx), e la legatura del Liber Evangeliorum o Codice C, conservata presso il Museo del Tesoro del Duomo di Vercelli (XI secolo, dx)

Gli strumenti più importanti per il miniatore erano le penne (calamus) e i pennelli

Gli strumenti più importanti per il miniatore erano le penne (calamus) e i pennelli (pinzellum o pincellum), questi ultimi di varia forma, grandezza e qualità Il pennello migliore era quello fatto con peli di scoiattolo innestati in un cannello di penna d'avvoltoio, oca o altri volatili; tale pennello, dice il Cennini, "vuole essere piccinin, per certi lavorii e figurette ben piccole". Con esso era possibile disegnare particolari estremamente piccoli Per scrivere o per disegnare contorni si utilizzava la classica penna d'oca, con la punta ben temperata (dx)

L'abbozzo del disegno si faceva invece con lo stil di piombo o piombino, formato

L'abbozzo del disegno si faceva invece con lo stil di piombo o piombino, formato da un'asticciola di legno con una punta metallica in lega di piombo e stagno Altri strumenti meno nobili erano coltelli, lame e raschietti, impiegati per vari scopi tra cui il cancellare scritture e segni errati sulla pergamena; inoltre squadra, riga, compasso e i calamai per contenere gli inchiostri

Per la preparazione dei colori il miniatore doveva disporre di vari strumenti. Molto importanti

Per la preparazione dei colori il miniatore doveva disporre di vari strumenti. Molto importanti erano mortai e pestelli per macinare i pigmenti di natura minerale o per comporre miscele particolari. Questi potevano essere di marmo o di serpentino per i materiali più morbidi; di porfido per le sostanze più dure; di bronzo per i pigmenti durissimi come lapislazzuli, diaspro o giallolino e infine d'oro (mortariolus aureus) per i metalli preziosi Contenitori vari avevano lo scopo di conservare i colori: si usavano corni di bue, gusci di conchiglia o di tartaruga, sacchetti di cuoio e vasi o ampolle di vetro, terracotta o altri materiali. Alla stregua di contenitori possono essere considerate le pezzuole o cimature usate per preparare i colori ad acquerello Altre suppellettili potevano essere i filtri di tessuto impiegati per chiarificare liquidi o per separare i colori da soluzioni depuranti Infine sono da citare i brunitoi (sx), strumenti impiegati per lucidare le dorature e per lisciare i fogli di pergamena. Essi erano costituiti da ghiere metalliche su cui erano inseriti denti di vari animali, specialmente carnivori (cane, lupo, leopardo, cinghiale) oppure pietre molto dure come il diaspro rosso o l'agata

Un po' di storia Come si è detto in precedenza, l'arte dell'illuminazione fiorì nei

Un po' di storia Come si è detto in precedenza, l'arte dell'illuminazione fiorì nei primi secoli dell'Era Cristiana in concomitanza del passaggio dal rotolo al codice, per poi diventare una delle tecniche pittoriche più importanti. Durante il Medioevo e successivamente nel Rinascimento si distinsero numerose scuole di miniatura su codice, tra le quali le più importanti sono le seguenti: Scuola insulare (VII-VIII secolo): l'area cristiana delle Isole Britanniche è uno dei fondamenti della miniatura nell'Europa Occidentale (es. dx). Nell'Irlanda del VII secolo si sviluppò la tecnica di ingrandire l'iniziale di un testo fino ad un'intera pagina, decorata con motivi astratti. Questa tradizione fiorì poi nei periodi Ottoniano e Romanico Scuola bizantina (VI-XV secolo): un'altra scuola di grande tradizione fu quello dell'Impero Bizantino (es. sx). La caratteristica principale della miniatura bizantina è l'uso abbondante di metalli preziosi nell'illuminazione, anche come sfondi per riempire spazi vuoti. I colori sono spesso vivaci. I soggetti principali delle miniature sono storie bibliche

Scuola carolingia (VIII-IX secolo, es. dx): sotto la spinta dell'Imperatore Carlo Magno, gli artisti

Scuola carolingia (VIII-IX secolo, es. dx): sotto la spinta dell'Imperatore Carlo Magno, gli artisti emulavano il naturalismo degli antichi Greci e Romani Scuola ottoniana (X-XI secolo, es. sx): i re tedeschi Ottone I, II e III commissionarono agli artisti numerosi manoscritti che rappresentavano, come per i Carolingi, una manifestazione di potere imperiale. I motivi artistici sono ispirati all'arte bizantina Scuola romanica (XI-XII secolo, es. dx da Winchester Bible): l'arte romanica fu d'ispirazione internazionale, attingendo sia da quella insulare sia da quella bizantina

Scuola gotica (XIII-XV secolo, es. dx): alla fine del XII secolo gli artisti Parigini

Scuola gotica (XIII-XV secolo, es. dx): alla fine del XII secolo gli artisti Parigini avevano sviluppato un nuovo stile di illuminazione caratterizzato da figure sinuose, vivida narrativa e uso smodato di foglia d'oro. Lo stile gotico si diffuse poi in Inghilterra e Germania. Gli illuminatori Francesi si ispirarono ad altre forme artistiche, come la decorazione delle vetrate Scuola in stile internazionale (XV secolo, es. sx): raggiunse il suo apice nelle corti ducali dell'Europa all'inizio del '400. Famoso è il manoscritto Très Riches Heures commissionato da Jean, duca di Berry, ai fratelli Limbourg. Lo stile è caratterizzato da colori vivaci e contorni delicati Scuola rinascimentale (XVXVI secolo, es. dx): l'ultima grande era del libro miniato a mano in Europa prima dell'avvento della stampa. Si producono testi di tutti i tipi, anche secolari

Dopo l'introduzione della stampa da parte di Gutenberg nel 1452, l'arte della miniatura su

Dopo l'introduzione della stampa da parte di Gutenberg nel 1452, l'arte della miniatura su libro continuò ancora per qualche decennio, in cui i miniatori operavano sui testi stampati. Nei cento anni successivi l'uso di engravings metallici o di legno per riprodurre le decorazioni condusse al declino della miniatura e al suo abbandono. Attualmente l'arte della miniatura rivive presso circoli di entusiasti (es. SCA) che riprongono ricette e metodi antichi

Il Vergilius Vaticanus Il manoscritto noto come Vergilius Vaticanus contiene frammenti dall’Eneide e le

Il Vergilius Vaticanus Il manoscritto noto come Vergilius Vaticanus contiene frammenti dall’Eneide e le Georgiche di Virgilio; è stato composto a Roma attorno al 400 d. C. e si tratta quindi del più antico e meglio conservato manoscritto illuminato esistente della letteratura classica, oltre ad essere una delle fonti più antichi del testo dell’Eneide. Si trova attualmente nella Biblioteca Apostolica del Vaticano Il manoscritto è composto da 76 fogli con 50 illustrazioni , ma in origine dovevano essere 440 fogli e 280 illustrazioni. Il testo appare scritto da un singolo scriba in carattere capitales rusticae. Come era pratica comune all’epoca, non c’è separazione tra le parole. Negli spazi lasciati dallo scriba, tre diversi illuminatori hanno decorato il codice. Lo stile delle miniature ricorda molto quello degli affreschi di Pompei Il committente del manoscritto era probabilmente un nobile pagano Nella figura è mostrata la fuga di Enea da Troia

Il Codice di Torino Il manoscritto noto come Le ore di Torino-Milano è conservato

Il Codice di Torino Il manoscritto noto come Le ore di Torino-Milano è conservato presso il Museo Civico di Arte Antica di Torino (Palazzo Madama) ed è considerato un monumento della storia dell’arte europea. In questo lavoro sono rappresentati elementi di due dei più avanzati movimenti artistici del periodo, quello francese e quello fiammingo. Alcune delle miniature sono tra le più belle dello stile gotico. La bellezza di questo codice sta nella modernità delle scene miniate L’autore è il noto pittore fiammingo Jan van Eyck, inventore (o comunque divulgatore) insieme al fratello Hubert della tecnica pittorica ad olio Il manoscritto ha una storia affascinante che si sviluppa lungo un periodo di 70 anni, iniziata intorno al 1380 per volere di Jean de France, Duca di Berry, uno dei più celebri committenti e collezionisti del tardo medioevo. Il manoscritto originariamente era di notevoli dimensioni, 400 fogli in pergamena e all’incirca 280 miniature, ed era organizzato in tre parti: il libro delle ore, con le preghiere della Vergine, dello Spirito Santo, della Passione più l’Officio dei Morti, una raccolta di preghiere e un messale

Ad un certo punto il Duca decise d’interrompere l’esecuzione del codice e il manoscritto

Ad un certo punto il Duca decise d’interrompere l’esecuzione del codice e il manoscritto fu ripartito in due parti: la prima, quasi del tutto completa, rimase in Francia e dopo una serie di vicende travagliate giunse nel 1956 alla Bibliothèque National di Parigi. La seconda parte, invece, fu portata nei Paesi Bassi dove venne completata nel corso della prima metà del XV secolo, probabilmente per opera di Jan Van Eyck e la sua scuola; peraltro il pittore fiammingo non riuscì a completarlo personalmente prima della sua morte nel 1441. Misteriosamente parte di questa seconda sezione del codice, dopo secoli di silenzio in cui non se ne aveva più traccia, comparve nel ‘ 700 tra i beni della biblioteca di Vittorio Amedeo II di Savoia. Questo frammento fu chiamato nel 1884 Heures de Turin. Nel 1904 le Heures de Turin andarono distrutte nell’incendio della Biblioteca Nazionale Un noto ricercatore, Georges Hulin de Loo, negli stessi anni dell’incendio della Biblioteca Nazionale, scoprì nella Biblioteca dei Principi Trivulzio di Milano un secondo frammento, ora noto come Heures de Turin-Milan, che fu ceduto al Museo Civico di Torino nel 1935

Analisi dei manoscritti L'analisi dei manoscritti, dato l'enorme valore delle opere, va ovviamente effettuata

Analisi dei manoscritti L'analisi dei manoscritti, dato l'enorme valore delle opere, va ovviamente effettuata con tecniche non distruttive e che possibilmente non prevedano il prelievo di un campione. In passato una tecnica che dava buoni risultati era la microscopia in luce polarizzata (PLM), che permette di riconoscere le fasi minerali in base alla forma, dimensione e tessitura delle particelle che compongono i pigmenti. Questa tecnica non richiede campionamento e si può effettuare in maniera semplice direttamente sul manoscritto; non permette però di riconoscere tutti i pigmenti Con lo sviluppo degli strumenti portatili sono diventate disponibili tecniche molto più efficienti nell'identificazione di pigmenti e coloranti. In particolare la spettrometria Raman e la spettrometria XRF sono state applicate all'analisi dei manoscritti. I primi studi analitici sui pigmenti mediante Raman risalgono alla metà degli anni '80 da parte di Bernard Guineau, ricercatore francese

smaltino blu oltremare indaco azzurrite

smaltino blu oltremare indaco azzurrite

In seguito numerosi studi sono stati pubblicati sull'analisi di manoscritti, in cui si impiegavano

In seguito numerosi studi sono stati pubblicati sull'analisi di manoscritti, in cui si impiegavano tecniche molecolari come Raman e IR o tecniche atomiche come XRF e PIXE, impiegate in situ o in ogni caso senza prelievo In alternativa l'analisi è eseguita su frammenti di pigmento staccatisi naturalmente dai fogli e intrappolati nella cavità tra due pagine

Mentre in Italia il campionamento di pigmenti dai manoscritti è fuori discussione per questioni

Mentre in Italia il campionamento di pigmenti dai manoscritti è fuori discussione per questioni antropologiche, all’estero è pratica accettata da alcuni enti museali, tra cui il Louvre, una tecnica di campionamento nota come Q-tip: essa consiste nell'impiego di un tampone, il Q-tip appunto (sx), la cui punta è in grado di asportare per sfregamento quantità irrisorie (meno di 100 ng) di pigmento dal manoscritto, a cui il campionamento non comporta alcun danno visibile Dopo il campionamento, il Q-tip è stoccato in un contenitore di plastica e portato all’analisi con tecniche microscopiche quali Raman o micro. XRF

A Bible laid open Uno dei primi studi di caratterizzazione di manoscritti illuminati è

A Bible laid open Uno dei primi studi di caratterizzazione di manoscritti illuminati è stato pubblicato da R. Clark (University College London) nel 1993 sulla rivista Chemistry in Britain, con il titolo "A Bible laid open". In questo lavoro è stata definita la tavolozza utilizzata per illustrare la cosiddetta Paris Bible o Lucka Bible, una Bibbia risalente al 1270 creata a Parigi, poi passata nelle mani di una Santa Maria Vergine presso l'abbazia di Lucka in Znojmo, attuale Repubblica Ceca, il cui nome è leggibile in luce ultravioletta. Il testo del manoscritto è in latino, i caratteri sono in stile gotico

Utilizzando la spettroscopia Raman direttamente sul manoscritto, quindi con uno strumento portatile, Clark ha

Utilizzando la spettroscopia Raman direttamente sul manoscritto, quindi con uno strumento portatile, Clark ha identificato i pigmenti impiegati nella decorazione dell'opera Nella figura a sinistra è mostrata la lettera I iniziale del Libro della Genesi (In principio. . . ). La lettera è alta 83 mm e mostra ben sette scene rappresentanti i sette giorni della creazione

In questa lettera i pigmenti identificati sono otto: azzurrite, lapislazzuli (per gli sfondi di

In questa lettera i pigmenti identificati sono otto: azzurrite, lapislazzuli (per gli sfondi di quattro scene), bianco piombo, cinabro, orpimento e rosso piombo (per le cornici gialle e arancioni e per la tunica di Dio nella quarta e settima scena), realgar, malachite, questi ultimi due probabilmente presenti come impurezze o prodotti di degradazione di orpimento e azzurrite Gli spettri Raman sono mostrati nella figura a destra

Book of Kells Il più famoso tra i manoscritti illuminati è senza dubbio il

Book of Kells Il più famoso tra i manoscritti illuminati è senza dubbio il Book of Kells. Si tratta di un'edizione del testo latino dei quattro Vangeli, attualmente in possesso del Trinity College di Dublino. Le sue origini si perdono tra il VI e l'VIII secolo d. C. , mentre il luogo in cui è stato creato è dibattuto tra l'isola di Iona (al largo dell'isola di Mull, Scozia Occidentale) e Kells, nella contea di Meath (Irlanda) Le decorazioni del Book of Kells sono incredibilmente ricche e fantasiose: Umberto Eco ha definito l'opera "il prodotto di un'allucinazione a sangue freddo“

La tavolozza del Book of Kells fu caratterizzata con tecniche tradizionali (PLM, analisi visuale)

La tavolozza del Book of Kells fu caratterizzata con tecniche tradizionali (PLM, analisi visuale) negli anni '60 -'70; secondo questi studi, essa comprenderebbe numerosi pigmenti (orpimento, minio, verdigris, indaco, blu oltremare) e coloranti (kermes), oltre che oro e argento. In particolare sarebbe sorprendente l'uso del blu oltremare, a quei tempi accessibile solo a caro prezzo importandolo da Oriente Il legante utilizzato sarebbe bianco d'uovo

Nel 2005 i conservatori della biblioteca del Trinity College, Susan Bioletti e Bernard Meehan,

Nel 2005 i conservatori della biblioteca del Trinity College, Susan Bioletti e Bernard Meehan, in collaborazione con il Dipartimento di Fisica dell’Università di Dublino, hanno intrapreso un progetto di caratterizzazione sul Book of Kells che prevede l'impiego di tecniche in situ

I risultati delle analisi strumentali smentiscono in parte gli studi precedenti, in particolare nell’identificazione

I risultati delle analisi strumentali smentiscono in parte gli studi precedenti, in particolare nell’identificazione del blu oltremare che risulta sistematicamente assente, cosa peraltro in accordo con gli studi che collocano al IX secolo l’introduzione del prezioso pigmento nelle tavolozze dei miniatori europei. La tavolozza, tipica dell'Alto Medioevo, mostra l’uso estensivo di cinque pigmenti: minio, orpimento, indaco, gesso e nero di carbone, più diverse miscele (vergaut, gesso/indaco, gesso /lacca porpora). Si tratta quindi di una tavolozza creata con materiali facilmente reperibili a livello locale Particolare è l’impiego dell’orceina (dx spettro Raman), colorante estratto dalla Roccella tinctoria, come velatura sopra strati blu e verdi Sono previste in seguito analisi FT-IR e XRF

Lindisfarne Gospels Un altro importantissimo manoscritto di area britannica è il Lindisfarne Gospels, attribuito

Lindisfarne Gospels Un altro importantissimo manoscritto di area britannica è il Lindisfarne Gospels, attribuito alla fine del VIII secolo d. C. e al monastero di Lindisfarne, nell'Inghilterra del Nord; attualmente appartiene alla British Library di Londra Una caratteristica tecnica rilevante di questo manoscritto è il fatto che il testo è estremamente scuro e consistente: l'inchiostro impiegato dallo scriba, probabilmente del tipo metallo-gallato, doveva essere stato prodotto con una ricetta eccezionalmente stabile e in quantità copiose

Spettri Raman dai Lindisfarne Gospels L'analisi Raman, effettuata su questo manoscritto dal Prof. R.

Spettri Raman dai Lindisfarne Gospels L'analisi Raman, effettuata su questo manoscritto dal Prof. R. Clark, ha evidenziato l'utilizzo di indaco come unico prodotto blu; questo colorante era disponibile nell'Inghilterra dell'VIII secolo in quanto estratto dalla pianta Isatis tinctoria o guado Nonostante l'evidente valore simbolico del manoscritto, che fa pensare alla necessità di utilizzare pigmenti nobili, non si rileva la presenza di blu oltremare, il cui impiego è effettivamente noto in Inghilterra a partire dal X secolo

Liber Evangeliorum In questo esempio è mostrato lo studio di caratterizzazione effettuato dall'Università del

Liber Evangeliorum In questo esempio è mostrato lo studio di caratterizzazione effettuato dall'Università del Piemonte Orientale sul manoscritto noto come Liber Evangeliorum o Codice C, conservato a Vercelli presso l'Archivio Capitolare Questo documento, databile fra il 1190 e il 1200, è una raccolta di letture evangeliche per le feste solenni dell'anno liturgico. Si tratta di un manoscritto pergamenaceo composto da circa 50 fogli, contenente non meno di quindici tavole miniate a tutta pagina lussuosamente decorate con materiali nobili quali oro e argento Dato l'enorme valore artistico e simbolico dell'opera, è interessante verificare quali materiali siano stati usati e in che modo

L'identificazione dei pigmenti è stata effettuata mediante l'impiego combinato della spettrometria Raman (sx) e

L'identificazione dei pigmenti è stata effettuata mediante l'impiego combinato della spettrometria Raman (sx) e della spettrometria XRF (dx) I fogli che compongono il Codice C sono separati e ciò rende agevole l’analisi; inoltre, la superficie piana della pergamena permette di sfruttare al massimo le potenzialità del microscopio Raman e impiegare gli obiettivi più magnificanti (80 x, 100 x) per studiare a fondo le caratteristiche cromatiche delle miniature

Precauzioni nell’analisi Nell’esecuzione dell’analisi Raman sul manoscritto va presa ogni precauzione nel dosare la

Precauzioni nell’analisi Nell’esecuzione dell’analisi Raman sul manoscritto va presa ogni precauzione nel dosare la potenza dei laser, per evitare un riscaldamento locale che sarebbe fatale per il manoscritto (nonchè per l’operatore. . . ) L’analisi XRF non comporta precauzioni particolari

Dai risultati ottenuti con l'analisi Raman ed XRF, la tavolozza del Codice C risulta

Dai risultati ottenuti con l'analisi Raman ed XRF, la tavolozza del Codice C risulta essere quella riportata in tabella Colore Blu Rosso Pigmento Raman XRF lapislazzuli spettro caratteristico - indaco spettro caratteristico - azzurrite spettro caratteristico Cu cinabro spettro caratteristico Hg Minio spettro caratteristico Pb rosso di Marte spettro caratteristico Fe non identificato - colorante organico Rosa minio + bianco piombo spettri caratteristici Pb Verde malachite o verdigris - Cu Marrone ossidi di ferro spettro caratteristico Fe Bianco bianco piombo spettro caratteristico Pb Nero carbone spettro caratteristico - carbone + lapislazzuli spettri caratteristici - non attivo al Raman Au non attivo al Raman Ag Oro oro Argento argento

Alcuni esempi - blu Il blu oltremare, pigmento molto pregiato, è diffusamente impiegato in

Alcuni esempi - blu Il blu oltremare, pigmento molto pregiato, è diffusamente impiegato in alternativa all’indaco, tranne che in alcune iniziali che sono dipinte in azzurrite, pigmento meno pregiato; essendo queste iniziali evidentemente postume (dx), esse sono frutto di un ritocco per riprodurre la tinta originale con un pigmento meno costoso

Alcuni esempi - rosso C Mi C C C Mi Mi RM C C

Alcuni esempi - rosso C Mi C C C Mi Mi RM C C Il cinabro è utilizzato come pigmento rosso per colorare i particolari di maggior pregio o significato (aureole, coppe) mentre il minio, meno pregiato, è utilizzato per particolari meno importanti (cornici, visi) L'uso dei vari pigmenti rossi è esemplificato nella figura RM Mi C C = cinabro Mi = minio RM = rosso di Marte

Un ritocco moderno In alcune aureole rosse è stato identificato il pigmento rosso di

Un ritocco moderno In alcune aureole rosse è stato identificato il pigmento rosso di Marte, un pigmento sintetico a base di ossido di ferro il cui impiego è noto a partire dal XIX secolo: si tratta evidentemente di un ritocco in epoca moderna, effettuato nel tentativo di ripristinare aree di colore degradate

Alcuni esempi – rosso sangue Tra i rossi è presente un quarto composto, impiegato

Alcuni esempi – rosso sangue Tra i rossi è presente un quarto composto, impiegato dal miniatore solamente per decorare alcune aureole e iniziali color sangue; in esso è evidente la presenza di mercurio, ma l'analisi Raman non evidenzia la presenza del cinabro Si tratta probabilmente di una lacca, non identificata dalle analisi, stesa forse sopra uno strato di cinabro, che diventa così invisibile al Raman ma non all'analisi XRF L'utilizzo esclusivo di questo composto potrebbe avere un significato particolare, forse mistico

Alcuni esempi – oro e argento Sono presenti vaste aree pigmentate con oro e

Alcuni esempi – oro e argento Sono presenti vaste aree pigmentate con oro e argento puri, identificati mediante la spettrometria XRF. Notare la presenza di ferro, proveniente dal bolo armeno usato come adesivo per il metallo nobile) Au Fe Ag Fe

Lo strato preparatorio Pb pigmento blu lapislazzuli, Na 8 -10 Al 6 Si 6

Lo strato preparatorio Pb pigmento blu lapislazzuli, Na 8 -10 Al 6 Si 6 O 24 S 2 -4 pigmento rosso cinabro, Hg. S pigmento dorato oro, Au Hg Au Pb Pb Il bianco e le tonalità chiare sono ottenuti con il pigmento bianco piombo che è presente probabilmente anche sotto tutte le miniature come strato preparatorio: ciò si deduce dal fatto che il segnale del piombo si trova in tutti i pigmenti analizzati, compresi quelli non contenenti piombo

Un’iniziale preziosa In definitiva, il Codice C fu decorato con ricchezza di mezzi, scegliendo

Un’iniziale preziosa In definitiva, il Codice C fu decorato con ricchezza di mezzi, scegliendo i pigmenti più costosi tra quelli disponibili all'epoca. Un esempio di questa ricchezza è mostrato nell'iniziale riportata in figura che è stata dipinta con oro, lapislazzuli e cinabro oro (XRF) cinabro (Raman) lapislazzuli (Raman)

Libro d’Ore all’uso di Chalon-sur-Saône, miniato da Antoine de Lonhy, metà XV secolo Attualmente

Libro d’Ore all’uso di Chalon-sur-Saône, miniato da Antoine de Lonhy, metà XV secolo Attualmente di proprietà del Museo Civico d’Arte Antica di Torino Palazzo Madama l Dieci miniature a tutta pagina, decorazioni floreali, iniziali miniate l Probabili interventi di restauro, manca documentazione

l l l creazione di un database di spettri FORS e Raman di materiali

l l l creazione di un database di spettri FORS e Raman di materiali pittorici in uso nel Medioevo nella tecnica della miniatura scelta di colori e ricette in base a testi medievali l De Arte Illuminandi l Manoscritto di Lucca l Il libro dell’arte stesure di pigmenti, coloranti e lacche su pergamena con tecnica pittorica analoga l l acquerello (acqua gomma arabica) + tempera a uovo (albume)

Protocollo analitico Analisi FORS di tutte le campiture; ove possibile, identificazione dei pigmenti “colorati”

Protocollo analitico Analisi FORS di tutte le campiture; ove possibile, identificazione dei pigmenti “colorati” (cioè tutti tranne neri, bianchi e grigi) in base alle caratteristiche spettrali: massimi in riflettanza per pigmenti blu, verdi e viola, punti di flesso per gialli, arancioni e rossi massimo in riflettanza spettro in derivata prima 50 massimo in assorbanza 45 40 35 Counts 1. 30 25 flesso spettro FORS 20 15 10 5 350 400 450 500 550 Wavelength (nm) 600 650 700 750

2. Analisi multivariata (cluster analysis, PCA) sugli spettri FORS per identificare le campiture ottenute

2. Analisi multivariata (cluster analysis, PCA) sugli spettri FORS per identificare le campiture ottenute con pigmenti simili azzurite indaco (guado) blu oltremare

minio cinnbro

minio cinnbro

3. Analisi visuale delle campiture mediante una telecamera digitale con zoom 10 x-80 x

3. Analisi visuale delle campiture mediante una telecamera digitale con zoom 10 x-80 x a) identificazione di miscele, utile per orientare l’interpretazione degli spettri FORS b) identificazione alterate di zone c) identificazione di caratteristiche particolari

standard azzurite Risultato: iniziale blu dipinta con una miscela di azzurite e cinabro, forse

standard azzurite Risultato: iniziale blu dipinta con una miscela di azzurite e cinabro, forse dovuta ad un pennello sporco! azzurite manoscritto XII secolo

Particelle residue di blu oltremare affetto da ultramarine sickness

Particelle residue di blu oltremare affetto da ultramarine sickness

Strato di preparazione sotto la foglia d’oro del tipoflat gilding, cioè con colla e

Strato di preparazione sotto la foglia d’oro del tipoflat gilding, cioè con colla e senza gesso (manoscritto Italiano del XII secolo)

Foglie d’oro e d’argento sovrapposte (oro di mistà)

Foglie d’oro e d’argento sovrapposte (oro di mistà)

Strato traslucido di pigmento a base di inchiostro metallo-gallico

Strato traslucido di pigmento a base di inchiostro metallo-gallico

4. Analisi XRF per valutare i seguenti aspetti: a) caratterizzazione dei pigmenti metallici (Au,

4. Analisi XRF per valutare i seguenti aspetti: a) caratterizzazione dei pigmenti metallici (Au, Ag, Sn, leghe, ecc. ) b) caratterizzazione dei pigmenti “non colorati” (bianchi, neri e grigi) c) verifica presenza di sovrapposti della strati d) identificazione di mordenti per coloranti e lacche e) identificazione di contaminanti nei pigmenti (utile per avere informazioni sulla provenienza dei pigmenti)

Campiture blu colorate con azzurrite Buona correlazione tra Cu (cromoforo) e Ba (impurezza) idem

Campiture blu colorate con azzurrite Buona correlazione tra Cu (cromoforo) e Ba (impurezza) idem per Cu e Zn nella malachite per campiture verdi Indicazione su origine del pigmento impiegato

At this stage almost 90% of colorants are identified 5. Analisi Raman nei casi

At this stage almost 90% of colorants are identified 5. Analisi Raman nei casi dubbi, sulla base dei gruppi identificati dall’analisi FORS e dall’amalisi multivariata Il potere di risoluzione spaziale consente un’identificazione più fine

Esempio: tavolozza di un manoscritto italiano del XV secolo Colore Pigmento FORS XRF Raman

Esempio: tavolozza di un manoscritto italiano del XV secolo Colore Pigmento FORS XRF Raman Bianco Piombo (biacca) - Pb X Blu oltremare su azzurrite X Cu X Azzurrite X Cu, Ba X Blu di ftalocianina su bianco titanio X Cu, Ti X Oro in foglia - Au - Oro in polvere - Au - Oro musivo (porporina) - Sn, S X Giallolino tipo I X Pb, Sn X Grigio Argento su oro - Ag, Au - Nero Carbone - - X Rosso Cinabro X Hg, S X Minio X Pb X Verde Malachite X Cu, Zn X Viola Lacca (? ) con biacca - Pb - Giallo

oro mosaico foglia d’oro giallolino tipo I oro a conchiglia

oro mosaico foglia d’oro giallolino tipo I oro a conchiglia

I RITOCCHI Doratura originale sostituita da un’argentatura XRF: conteggi di Au e Ag Il

I RITOCCHI Doratura originale sostituita da un’argentatura XRF: conteggi di Au e Ag Il ritocco interessa il cielo e l’argentatura dietro la croce XRF: conteggi di Impossibile stabilire quando sono stati fatti Ag e Cu

XRF: conteggi di Cu e Ti XRF: conteggi di Cu Raman: spettro del blu

XRF: conteggi di Cu e Ti XRF: conteggi di Cu Raman: spettro del blu oltremare e del Raman: spettro del blu di ftalocianina Lapislazzuli Ritocco posteriore al 1935!

Identificazione delle unità codicologiche Una unità codicologica è un qualsiasi manoscritto, rilegato con altri

Identificazione delle unità codicologiche Una unità codicologica è un qualsiasi manoscritto, rilegato con altri in forma di volume, che abbia avuto origine indipendente Una differenza una probabile codicologiche XII secolo nelle tavolozze differenza di ? indica unità

Codice F IV 12, conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, proveniente dall’abbazia

Codice F IV 12, conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, proveniente dall’abbazia di San Colombano a Bobbio (PC) Unità IX secolo rosso minio postume (XIV secolo? ) cinabro, minio originale IX secolo giallo verde orpimento malachite lacca postuma 1 malachite blu oro oltremare rame/zinco azzurite - postuma 2

Manoscritto J II 17, conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria Composto nel XIV secolo

Manoscritto J II 17, conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria Composto nel XIV secolo in area siciliana

Doratura a colla Au

Doratura a colla Au

Doratura a colla con biacca Pb Au

Doratura a colla con biacca Pb Au

Doratura a colla e bolo Au Fe

Doratura a colla e bolo Au Fe

Doratura a guazzo e bolo Ca Fe Au

Doratura a guazzo e bolo Ca Fe Au

Doratura a guazzo con bolo e biacca Pb Au Fe Ca

Doratura a guazzo con bolo e biacca Pb Au Fe Ca

Oro di mistà: oro su lamina d’argento Ag Ca Au Fe

Oro di mistà: oro su lamina d’argento Ag Ca Au Fe