Lo stoicismo Lantica sto di Zenone Cleante e

  • Slides: 30
Download presentation
Lo stoicismo L’antica stoà di Zenone, Cleante e Crisippo 1

Lo stoicismo L’antica stoà di Zenone, Cleante e Crisippo 1

Zenone di Cizio (333/2 -264/3) • Zenone giunse ad Atene, dall’isola di Cipro, nel

Zenone di Cizio (333/2 -264/3) • Zenone giunse ad Atene, dall’isola di Cipro, nel 311/312 a. C. e, non essendo ateniese, non poteva acquistare un edificio. Per questo motivo tenne le sue lezioni in un Portico che era stato dipinto dal celebre pittore Polignoto. In greco portico si dice Stoà e, di conseguenza i seguaci di Zenone verranno chiamati «quelli della Stoa» o «quelli del portico» o più semplicemente STOICI. • Nel Portico di Zenone, a differenza che nel Giardino di Epicuro, fu ammessa la discussione critica intorno ai dogmi del fondatore della scuola e, per questo, essi furono soggetti ad approfondimenti, revisioni e ripensamenti.

I tre periodi della storia della Stoa • La vitalità nel tempo della scuola

I tre periodi della storia della Stoa • La vitalità nel tempo della scuola stoica ci permette di costruire la seguente periodizzazione: • Antica Stoà: dalla fine del IV secolo a tutto il secolo III a. C. : la filosofia del Portico viene via sviluppata da Zenone, Cleante e Crisippo, che sono gli iniziatori della corrente filosofica e scrivono in greco, anche se gran parte della loro opera è andata perduta (le principali testimonianze del loro pensiero ci vengono fornite da Crisippo); • Media Stoà: tra il II e I secolo a. C. e che è caratterizzata da infiltrazioni ecclettiche nella dottrina originaria per opera di Panezio e Posidonio; scrivono in greco, attingendo anche da fonti filosofiche estranee allo stoicismo allo scopo di mitigarne alcune asperità; aggiungono alla tradizionale sapienza stoica importanti e cospicui approfondimenti scientifici e storico-geografici; • Nuova Stoà: Stoa romana, che si situa ormai in epoca cristiana, in cui la dottrina si fa essenzialmente meditazione morale e assume forti toni religiosi per opera di Seneca (Cordoba, 4 a. C. – Roma, 65), Epitteto (50– 120), Marco Aurelio (121– 180)

Formazione di Zenone • Zenone si spinse fino ad Atene mosso dal desiderio di

Formazione di Zenone • Zenone si spinse fino ad Atene mosso dal desiderio di prendere contatto con le fonti della grande cultura ellenica e di dedicarsi interamente alla filosofia di cui si innamorò grazie al fatto che il padre, Mnasea, essendo un commerciante gli aveva portato, di ritorno da uno dei suoi viaggi ad Atena, alcuni testi di matrice socratica. Zenone, quindi, prima di lasciare Cipro, aveva già una cultura filosofica. • Egli fu influenzato, in particolare da Cratete, discepolo di Diogene il cinico. Ø Diogene il cinico (dal greco κυνικός, der. di κύων κυνός «cane» ; propr. «canino, simile al cane, che imita il cane» , per il dispregio che i cinici professavano per le istituzioni) divenne il simbolo del CINISMO, fondato da Antistene. Il suo programma è sintetizzato nella celebre affermazione: «Cerco l’uomo» , che egli pronunciava camminando con la lanterna accesa in pieno giorno, nei luoghi più affollati per sottolineare, con provocatoria ironia, che stava cercando l’uomo che vive secondo la sua autentica essenza, al di là di tutte le esteriorità, di tutte le convinzioni della società, del capriccio della sorte e che per questo sa essere felice, in quanto perfettamente consapevole delle effettive esigenze della sua natura. Ø Con il cinismo di Diogene alla mediazione concettuale viene sostituito il comportamento, l’esempio, l’azione. Ø Teofrasto racconta che Diogene «una volta vide un topo correre qua e là senza meta e così escogitò il rimedio alle sue difficoltà» .

L’influenza del CINISMO Ø Diogene decise di vivere in una botte, ritenendo che l’uomo

L’influenza del CINISMO Ø Diogene decise di vivere in una botte, ritenendo che l’uomo non abbia bisogno né di una casa né di una fissa dimora, che possa vivere senza meta e senza il conforto delle comodità offerte dal progresso. Ø Più si limitano i bisogni superflui, più si è liberi: è questa la cifra dell’insegnamento cinico. Ø Diogene ed i suoi seguaci nella libertà di parola toccarono i limiti della sfrontatezza e dell’arroganza, nella libertà di azione si spinsero fino alla licenza. Ø L’obiettivo perseguito era quello di dimostrare la «non naturalità» dei costumi greci, ma la caduta negli eccessi che spesso accompagnò questo tentativo spiega quella carica di significato negativo con cui il termine «cinico» è passato alla storia. Ø Diogene riteneva che l’uomo dovesse condurre una pratica di vita che lo temprasse nel corpo e nello spirito, in modo da abituarsi al disprezzo dei piaceri. Ø Punti di arrivo della vita cinica: autarchia, apatia e indifferenza di fronte a tutto.

Ripudio della seconda navigazione • Zenone volle ascoltare anche gli accademici e fu discepolo

Ripudio della seconda navigazione • Zenone volle ascoltare anche gli accademici e fu discepolo dei platonici Senocrate e Polemone. • Nonostante ciò assunse una posizione di netto rifiuto della metafisica platonica e, come Epicuro, assunse posizioni decisamente materialistiche. • Negò la trascendenza delle IDEE e le concepì come semplici PENSIERI DELLA MENTE UMANA. • Negò l’esistenza di un’anima spirituale per sua natura diversa dal corpo e anche di intelligenze immateriali e trascendenti, quali il platonico Demiurgo o l’aristotelico Primo motore immobile. • L’anima, per Zenone, è di natura corporea e materiale, in quanto altrimenti non sarebbe possibile rendere ragione dei molteplici rapporti che essa intrattiene con il corpo. “Alterazioni e affezioni non si comunicano da cose corporee a incorporee e viceversa; ma ecco che l’anima soffre insieme al corpo, partecipando al suo dolore se esso è battuto, ferito, piagato; e il corpo con l’anima, partecipando alla sua tristezza, se essa è afflitta da preoccupazioni, da angosce, dall’amore, come sentendo venir meno una forza a lui associata, di cui col suo rossore e il suo pallore attesta la vergogna e la paura. Dunque l’anima è corpo” [Nemesio, De nat. hom. , p. 32 (S. V. F. , fr. 518)]

Ripudio della seconda navigazione e influenza di Eraclito • L’ANIMA È PNEUMA (SOFFIO) E

Ripudio della seconda navigazione e influenza di Eraclito • L’ANIMA È PNEUMA (SOFFIO) E FUOCO; essa sopravvive per un certo periodo alla morte del nostro corpo, ma poi si dissolve nel tutto: “Zenone di Cizio definisce l’anima (psychè) un soffio caldo (pnèuma ènthermon), che ci consente di respirare e di muoverci” [Diog. Laer. , VII, 157]. • Anche DIO È CORPOREO, coincide con il principio attivo dell’universo ed è, quindi, immanente all’universo stesso; è concepito come FUOCO ETERNO. • Per gli stoici, infatti QUALSIASI COSA, SE È ESSERE, È CORPO. • Zenone lesse Eraclito, da cui riprese l’idea del FUOCO concepito come LOGOS, PHISYS, DIO, idea centrale dell’ontologia della Stoa. • Zenone trasse dal principio eracliteo, a cui si era ispirato, l’idea che tutto nella natura sia vivo (ILOZOISMO), che tutto sia un organismo vivente (ORGANICISMO), che tutto sia Dio e che Dio coincida con il cosmo (PANTEISMO). • Gli Stoici sono i primi veri PANTEISTI della storia della filosofia, ovvero i primi che hanno identificato Dio e natura in modo pienamente consapevole, a differenza dei filosofi presocratici (naturalisti).

La partizione della filosofia • Gli stoici adottano per spiegare come vada in generale

La partizione della filosofia • Gli stoici adottano per spiegare come vada in generale concepita la ricerca filosofica, la seguente metafora: La filosofia è come un giardino cintato in cui a) le mura di cinta corrispondono alla logica, infatti la logica permette di difendere l’argomentazione filosofica, mediante discorsi più forti e convincenti dal punto di vista razionale; b) gli alberi sono la fisica, la ricerca sulla realtà è la struttura portante, ovvero ciò senza cui non ci sarebbe il frutteto; c) i frutti sono l’etica, come infatti l’opera dell’albero è quella di fornire frutti commestibili e godibili dall’uomo, allo stesso modo l’etica è il fine della produzione filosofica, che è orientata a indicare all’uomo la strada per vivere degnamente in questa vita, comportandosi secondo giustizia. Dunque, come anche nella riflessione epicurea, le parti più teoretiche della filosofia sono concepite come introduzioni e sostegni alla sua dimensione più autentica e importante, quella etico-pratica. Ø Il fondamento che lega queste tre parti è il LOGOS: Il Logos, infatti è principio di verità in LOGICA, è il principio che dà origine al cosmo in FISICA ed è il principio normativo in ETICA.

La fisica • Dopo avere indicato le modalità di conoscenza della realtà e le

La fisica • Dopo avere indicato le modalità di conoscenza della realtà e le forme corrette di ragionamento, gli stoici procedettero ad una ricerca sulle questioni ontologiche più importanti e sulle caratteristiche fondamentali del reale. • La FISICA Stoica, infatti, è una «metafisica dell’immanenza» visto che è intesa, presocraticamente, come dottrina che pretende di conoscere la totalità della realtà.

Confronto Epicuro - Stoici • La fisica epicurea e la fisica stoica rappresentano le

Confronto Epicuro - Stoici • La fisica epicurea e la fisica stoica rappresentano le due forme tra loro più distanti del materialismo antico. Epicuro Pluralismo atomistico Assoluta mancanza di finalismo Infinitudine dei mondi Esistenza dell’atomo e impossibilità di divisione all’infinito Esistenza del vuoto Gli dei vivono fuori dal mondo Negazione di qualsiasi forma di Provvidenza Negazione del fato Stoici Monismo Visione teleologica Ilozoismo Il mondo è unico e finito Possibilità della divisione all’infinito Negazione dell’esistenza del vuoto nel mondo Dio coincide con il mondo Provvidenza Fatalismo

Il materialismo e il corporeismo • Platone nel sofista aveva detto che ha titolo

Il materialismo e il corporeismo • Platone nel sofista aveva detto che ha titolo per essere considerato reale solo ciò che «è capace di agire e di patire e che tale è l’essere ideale» • Gli stoici si appropriano di tale affermazione e sostengono che la capacità di agire e di patire appartiene solamente a ciò che è corporeo e materiale. Ø Dunque l’essere è corpo Ø Corpo è Dio, corpo è l’anima, corpo è il bene, corpo è il sapere, corpi sono le passioni, corpi sono i vizi e corpi sono le virtù. • CORPO è per gli stoici MATERIA e QUALITA’ (FORMA), unite fra loro in modo tale da essere l’una strutturalmente inscindibile dall’altra. • La qualità (forma) è PRINCIPIO ATTIVO, mentre la materia è PRINCIPIO PASSIVO. La prima è sempre e solo immanente alla seconda.

Il materialismo e il corporeismo • Questo principio che pervade la materia, la informa

Il materialismo e il corporeismo • Questo principio che pervade la materia, la informa e plasma, al di là dei vari nomi che assume (mente, anima, natura) è Dio. • Diogene Laerzio ci dice che «Secondo gli stoici i principi dell’universo sono due, l’attivo e il passivo. Il principio passivo è la sostanza senza qualità, la materia; il principio attivo è la ragione nella materia, cioè dio. E dio, che è eterno, è demiurgo creatore di ogni cosa nel processo della materia» . • La penetrazione di Dio (che è corporeo) attraverso la materia tutta (che è pure corporea) è possibile in virtù del dogma della «commistione totale dei corpi» ; gli stoici ammettono, infatti la divisibilità all’infinito dei corpi, e, quindi, la possibilità che le parti si possano intimamente unire, sì che due corpi possano perfettamente fondersi in uno (tesi della penetrabilità dei corpi).

Il materialismo e il corporeismo • Principio attivo e principio passivo, materia e Dio

Il materialismo e il corporeismo • Principio attivo e principio passivo, materia e Dio coincidono, sono una realtà unica. • Poiché una è la materia e uno è il principio attivo, uno è il cosmo, che tutto in sé abbraccia (monismo). • Dio è in tutto e tutto è Dio (panteismo). • L’incorporeo è privo di essere in quanto non può né agire né patire. • Gli stoici ammettono solo quattro specie di cose incorporee: il significato (in ambito logico), il vuoto (che è concepito come «assenza di un corpo» ed è collocato fuori dal cosmo), il luogo (che è inteso come «ciò che è occupato interamente da un corpo» ) e il tempo (che è «l’intervallo del movimento» ed è per giunta infinito, mentre nessun corpo, per gli stoici, è infinito).

Concezione stoica del divino • Il principio attivo che dà e diventa forma di

Concezione stoica del divino • Il principio attivo che dà e diventa forma di tutte le cose, che tutto fa nascere, crescere ed essere è Dio. Gli stoici lo chiamano anche «ragione seminale del mondo» in quanto contiene in sé le ragioni seminali secondo le quali, appunto, tutte le cose si generano. • Dio è Physis ed è un essere corporeo che è altresì Logos, ovvero principio di intelligenza e razionalità. • Questo Dio-physis-logos viene identificato con il FUOCO ARTEFICE o PNEUMA, che tutto trasforma e penetra all’interno della materia costituendone un principio immanente di ordine e razionalità. • Questa concezione panteistico-materialistica non esclude il politeismo dal momento che gli stoici considerano divini anche gli astri, intesi come parti privilegiate del cosmo e concepiti come viventi ed intelligenti. • Solo il Logos, però, è veramente eterno, mentre gli altri sono dei di lunga vita, ma nascono e muoiono insieme alle vicende cicliche del cosmo. • Il Dio stoico, inoltre, è un Dio impersonale per cui non ha senso la preghiera e l’uomo per realizzarsi non ha nessun bisogno di Dio.

Concezione stoica del divino • Il principio attivo che dà e diventa forma di

Concezione stoica del divino • Il principio attivo che dà e diventa forma di tutte le cose, che tutto fa nascere, crescere ed essere è Dio. Gli stoici lo chiamano anche «ragione seminale del mondo» in quanto contiene in sé le ragioni seminali secondo le quali, appunto, tutte le cose si generano. • Le ragioni seminali possono mescolarsi, ma poi sviluppandosi si separano e danno luogo ciascuna ad un ente differente (non ci sono al mondo due cose identiche). • Dio è Physis ed è un essere corporeo che è altresì Logos, ovvero principio di intelligenza e razionalità. • Questo Dio-physis-logos viene identificato con il FUOCO ARTEFICE o PNEUMA, che tutto trasforma e penetra all’interno della materia costituendone un principio immanente di ordine e razionalità. • Questa concezione panteistico-materialistica non esclude il politeismo dal momento che gli stoici considerano divini anche gli astri, intesi come parti privilegiate del cosmo e concepiti come viventi ed intelligenti. • Solo il Logos, però, è veramente eterno, mentre gli altri sono dei di lunga vita, ma nascono e muoiono insieme alle vicende cicliche del cosmo. • Il Dio stoico, inoltre, è un Dio impersonale per cui non ha senso la preghiera e l’uomo per realizzarsi non ha nessun bisogno di Dio.

Il finalismo e la provvidenza • Se tutte le cose sono prodotte dall’immanente principio

Il finalismo e la provvidenza • Se tutte le cose sono prodotte dall’immanente principio divino che è Logos e, quindi, razionale, tutto è come la ragione vuole che sia e come non può non volere che sia, tutto è esattamente come deve essere e l’insieme di tutte le cose è perfetto. Pur essendo le singole cose imperfette, hanno la loro perfezione nel disegno del tutto. • La PROVVIDENZA STOICA non è altro che questo finalismo universale e non ha nulla a che vedere con la provvidenza di un Dio personale. È, inoltre, una Provvidenza immanente e non trascendente, che coincide con l’anima del mondo, con il mondo panteisticamente inteso. • La Provvidenza, vista sotto un’altra prospettiva, si rivelerà come FATO e come DESTINO (heimarméne), ossia come INELUTTABILE NECESSITA’. • Il fato si configura come la serie irreversibile delle cause, come l’ORDINE NATURALE E NECESSARIO DI TUTTE LE COSE, come l’indissolubile intreccio che lega tutti gli esseri, come il Logos secondo cui le cose sono avvenute, avvengono ed avverranno. Poiché tutto dipende dal Logos, infatti, tutto è necessario, anche l’evento apparentemente più insignificante. «Il fato è una concatenazione di cause di ciò che è oppure la ragione (logos) che dirige e governa il cosmo» (Diogene Laerzio)

Il cosmo e la conflagrazione universale • • • L’universo è sferiforme, alla periferia

Il cosmo e la conflagrazione universale • • • L’universo è sferiforme, alla periferia stanno gli astri che sono fatti di fuoco e sono esseri animati, viventi e divini e al centro sta la terra. L’universo è poi finito, ma circondato dal vuoto infinito. Piante e animali sono in funzione dell’uomo. L’universo è il sistema costituito dagli Dei e dagli uomini e dalle cose create per loro (antropocentrismo). Il mondo è generato e , quindi, corruttibile: al fatidico compimento dei tempi avverrà una CONFRAGRAZIONE UNIVERSALE, ossia una generale combustione del cosmo e ci sarà solo FUOCO. Seguirà una nuova RINASCITA (PALINGENESI) e tutto si ricostituirà esattamente come prima (APOCATASTASI). Rinascerà il cosmo, questo medesimo cosmo, il quale per l’eternità continuerà ad essere distrutto e a rigenerarsi non solo nella sua struttura generale, ma anche negli accadimenti particolari (ETERNO RITORNO), dal momento che identico è il logos ed identiche sono le ragioni seminali da cui tutto trae la propria origine.

L’antropologia • L'anima è per gli stoici il soffio divino presente nell'uomo: partecipa del

L’antropologia • L'anima è per gli stoici il soffio divino presente nell'uomo: partecipa del lógos, vivifica il corpo ed è immortale. L'essere che maggiormente partecipa del lógos divino è l'uomo, pertanto a lui spetta la posizione centrale nell'universo stoico (antropocentrismo). L'uomo, infatti, oltre al corpo è dotato dell'anima, che altro non è che parte del soffio vitale che pervade l'universo ed è, comunque, corpo, seppure corpo privilegiato, ossia pneuma. • L'anima pervade interamente il corpo umano, vivificandolo e presiedendo alle funzioni vitali. Essa è divisa in otto parti: • la parte centrale è detta egemonica, ha il compito di guida ed è identificabile con la ragione; • altre cinque parti corrispondono invece ai cinque sensi; • le ultime due sono preposte alla fonazione e alla generazione, cioè il linguaggio e il seme. • L'anima seppure così divisa è una e viene raffigurata come un polipo in cui la testa, cioè la ragione, unifica e controlla i tentacoli delle altre parti. • Alla morte del corpo l'anima, pur essendo anch'essa corruttibile, si separa dal corpo e gli sopravvive, fino al compimento della prossima conflagrazione universale. Con la successiva palingenesi, comunque, ogni anima torna a esistere all'infinito come ogni altra cosa.

Problema della libertà • • Ma nel contesto di questo fatalismo come si salva

Problema della libertà • • Ma nel contesto di questo fatalismo come si salva la libertà dell’uomo? Pur nell'affermazione di un ordine divino necessario che pervade la realtà, per gli stoici l'uomo è libero. • La sua libertà coincide infatti con l'essere causa di sé e delle proprie azioni, è cioè autodeterminazione. • Tuttavia, la LIBERTÀ non consiste nella possibilità di scegliere fra più alternative: è piuttosto il riconoscimento dell'ordine naturale, divino, razionale che governa il cosmo; grazie alla guida della ragione, l'uomo può conformare o meno a esso il proprio agire. Ne consegue che solo il SAPIENTE, che conosce l'ordine razionale dell'universo, cioè il destino e la provvidenza, è libero. • La vera libertà del saggio sta nell’uniformare i propri voleri a quelli del Destino, sta nel volere insieme al Fato ciò che il Fato vuole. E questa è “libertà” in quanto razionale accettazione del Fato, che è razionalità: infatti il Destino è il Logos, e perciò volere i voleri del Destino è volere i voleri del Logos. Scriveva Cleante: «Guidami, o Giove, e tu, Destino, al termine, / qual esso sia, che d’assegnarmi piacquevi. / Seguirò pronto, ché se poi m’indugio, per esser vile, pur dovrò raggiungervi» . • Ma è comunque una libertà praticabile entro un ordine necessario, al quale possiamo dare o negare il nostro assenso: è quindi una LIBERTÀ che si colloca in uno spazio puramente INTERIORE. Naturalmente il nostro assenso non modifica

Problema della libertà • Ma è comunque una libertà praticabile entro un ordine necessario,

Problema della libertà • Ma è comunque una libertà praticabile entro un ordine necessario, al quale possiamo dare o negare il nostro assenso: è quindi una LIBERTÀ che si colloca in uno spazio puramente INTERIORE. Naturalmente il nostro assenso non modifica l'ordine delle cose, ma solo il modo in cui noi lo viviamo. • Ecco un passo riferitoci da una fonte antica, che esemplifica molto bene il concetto sopra espresso: «Anche gli stoici affermarono con certezza che tutte le cose sono per fato, e si servirono dell’esempio seguente. Quando un cane sia legato a un carro, se voglia seguirlo, è trascinato e lo segue, facendo con necessità anche ciò che fa di propria volontà; se invece non voglia [pag. 328] seguirlo, sarà costretto in ogni caso a farlo. La stessa cosa invero capita anche agli uomini. Anche se non vogliano seguire, saranno in ogni caso costretti a pervenire dove è stato stabilito dal fato» . • Seneca dirà, traducendo un verso di Cleante, con lapidaria sentenza: Ducunt volentem fata, nolentem trahunt ( «I fati guidano chi li accetta, trascinano chi li rifiuta» ).

L’etica dell’Antica Stoà • Anche per gli stoici, così come per gli epicurei, lo

L’etica dell’Antica Stoà • Anche per gli stoici, così come per gli epicurei, lo scopo del vivere è il raggiungimento della felicità che si persegue vivendo “secondo natura”. Se osserviamo l’essere vivente, noi constatiamo, in generale, che esso è caratterizzato dalla costante tendenza a conservare se medesimo, ad “appropriarsi” del proprio essere e di tutto quanto è atto a conservarlo e a evitare ciò che gli è contrario, a “conciliarsi” con se medesimo e con le cose che sono conformi alla propria essenza. • Questa fondamentale caratteristica degli esseri viene indicata dagli stoici con il termine OIKÉIOSIS (APPROPRIAZIONE, attrazione = conciliatio). Nelle piante e nei vegetali in genere questa tendenza è inconsapevole, negli animali essa è consegnata a un preciso istinto o impulso primigenio, mentre nell’uomo questo impulso è ulteriormente specificato e sorretto dall’intervento della ragione. Vivere “conformemente a natura” significa dunque vivere realizzando pienamente questa appropriazione o conciliazione del proprio essere e di ciò che lo conserva e attua, e, in particolare, poiché l’uomo non è semplicemente essere vivente, ma è essere razionale, il vivere secondo natura sarà un vivere “conciliandosi” con il proprio essere razionale, conservandolo e attuandolo pienamente.

I concetti di bene e male • • Dal momento che primo e originario

I concetti di bene e male • • Dal momento che primo e originario è l’istinto della conservazione e la tendenza all’incremento dell’essere, allora “bene” è ciò che conserva e incrementa il nostro essere, “male” è, invece, ciò che lo danneggia e lo diminuisce. Al primo istinto è dunque strutturalmente connessa la tendenza a valutare: infatti, tutte le cose vengono considerate beni oppure mali solo in riferimento al primo istinto, a seconda che risultino giovevoli o dannose. • Il bene è dunque il giovevole o l’utile; il male è il nocivo. • Il principio delle valutazioni sopra stabilito assumerà due differenti valenze, a seconda che venga riferito alla physis razionale (uomo) o a quella biologica (animale). Altro, infatti, risulta essere ciò che giova alla conservazione e all’incremento della vita animale e altro risulta essere ciò che giova alla conservazione e all’incremento della vita della ragione e del logos. • Ebbene, secondo gli stoici il bene morale è appunto ciò che incrementa il logos, il male ciò che lo danneggia. Il vero bene per l’uomo è solo la virtù, il vero male è solo il vizio.

Gli indifferenti • • Ciò che giova al corpo e alla nostra natura biologica

Gli indifferenti • • Ciò che giova al corpo e alla nostra natura biologica come lo considereremo? E il contrario di questo come lo denomineremo? La tendenza di fondo dello Stoicismo è quella di negare a tutte queste cose la qualifica di beni e di mali, appunto perché bene e male sono solo ciò che giova e ciò che nuoce al logos, e dunque solo il bene e il male morali. Pertanto, tutte quelle cose che sono relative al corpo, sia che nuocciano sia che non nuocciano, sono considerate moralmente indifferenti (adiáphora). Fra le cose moralmente indifferenti vengono conseguentemente collocate sia le cose fisicamente e biologicamente positive (vita, salute, bellezza, ricchezza, ecc. ), sia quelle fisicamente e biologicamente negative (morte, malattia, bruttezza, povertà, ecc. ). In effetti, proprio con questa radicale scissione gli stoici potevano mettere l’uomo al riparo dai mali dell’epoca in cui vivevano: tutti i mali derivanti dal crollo dell’antica polis e tutti i pericoli, le insicurezze e le avversità provenienti dagli sconvolgimenti politici e sociali che avevano fatto seguito a quel crollo venivano semplicemente negati come mali e confinati fra gli indifferenti. Era, questo, un modo assai audace per dare nuova sicurezza all’uomo, insegnandogli che beni e mali derivano sempre e solo dall’interno del proprio io e mai dall’esterno, e dunque per convincerlo che la felicità poteva essere perfettamente conseguita in modo assolutamente indipendente dagli eventi esterni, e che si poteva essere felici perfino in mezzo ai tormenti fisici, come diceva anche Epicuro.

Gli indifferenti • La legge generale della oikéiosis, ossia il principio della conservazione di

Gli indifferenti • La legge generale della oikéiosis, ossia il principio della conservazione di se medesimi, implicava che si dovesse riconoscere come positivo tutto ciò che conserva e incrementa il proprio essere, anche al semplice livello fisico e biologico. • E così non solo per gli animali, ma altresì per gli uomini, si doveva riconoscere come positivo tutto ciò che è conforme alla natura fisica e che garantisce, conserva e incrementa la vita, come ad esempio la salute, la forza, la vigoria del corpo e delle membra, e così di seguito. Ø Questo positivo secondo natura, gli stoici lo chiamarono valore o stima, mentre l’opposto negativo lo chiamarono mancanza di valore o mancanza di stima. Ø Pertanto quegli “intermedi” che stanno fra i beni e i mali cessano di essere del tutto “indifferenti”; o meglio: pure restando moralmente indifferenti, diventano, dal punto di vista fisico, “valori” e “disvalori”. Ø Ne viene, di conseguenza, che da parte della nostra natura animale i primi saranno oggetto di “preferenza”, i secondi saranno invece oggetto di “avversione”. Nasce così una seconda distinzione, strettamente dipendente dalla prima, degli indifferenti “preferiti” e di quelli “non preferiti” o “respinti”. Queste distinzioni corrispondevano non solo a un’esigenza di attenuare realisticamente la troppo netta dicotomia fra “beni e mali” e “indifferenti”, di per sé paradossale, ma trovavano nei presupposti del sistema una giustificazione addirittura maggiore che non la sopraddetta dicotomia, per le ragioni illustrate.

Le azioni perfette e i doveri • • Le azioni umane compiute in tutto

Le azioni perfette e i doveri • • Le azioni umane compiute in tutto e per tutto secondo il logos si chiamano “azioni moralmente perfette”, quelle contrarie sono “azioni viziose o errori morali”. Ma fra le prime e le seconde c’è tutta una fascia di azioni che concernono gli “indifferenti”. Quando queste azioni siano compiute “conformemente a natura”, vale a dire in modo razionalmente corretto, esse hanno una piena giustificazione morale e si chiamano quindi azioni convenienti o doveri. La maggior parte degli uomini, che è incapace di azioni “moralmente perfette” (perché, per compiere queste, occorre acquistare la scienza perfetta del filosofo, giacché la virtù come perfezionamento della razionalità umana non può essere che scienza, come voleva Socrate), è invece capace di “azioni convenienti”, ossia è capace di assolvere dei “doveri”. Ciò che le leggi comandano (che, per gli stoici, lungi dall’essere convenzioni, sono espressioni della Legge eterna che proviene dal logos eterno) sono dei “doveri”, che nel saggio, grazie alla perfetta disposizione del suo spirito, diventano vere e proprie azioni morali perfette, mentre nell’uomo comune restano appunto a livello di “azioni convenienti”(kathekon).

L’uomo come animale comunitario • • L ’uomo è spinto dalla natura a conservare

L’uomo come animale comunitario • • L ’uomo è spinto dalla natura a conservare il proprio essere e ad amare se stesso. Ma questo istinto primordiale non è finalizzato solo alla conservazione dell’individuo: l’uomo estende immediatamente l’oikéiosis ai suoi figli e ai suoi parenti e mediatamente a tutti i suoi simili. • La natura come impone di amare se medesimi, così impone di amare chi abbiamo generato e chi ci ha generati; ed è la natura che ci spinge a unirci agli altri e anche a giovare agli altri. «Poiché nessuno vuole condurre la vita nella più deserta solitudine, neppure con infinita abbondanza di piaceri, è facile intendere che noi siamo nati per la congiunzione ed associazione degli uomini e per la naturale comunità” (Cicerone, De finibus, 20, 65 -67). • Da essere che vive nel chiuso della sua individualità, come voleva l’ideale etico epicureo, l’uomo torna a essere “animale comunitario” e la formula nuova dimostra che non si tratta di una semplice ripresa del pensiero aristotelico, che definiva l’uomo come “animale politico”: l’uomo, più ancora che per associarsi in una polis – da cui appunto viene il termine “politico” –, è fatto per consociarsi con tutti gli uomini. • Su queste basi, gli stoici non potevano essere se non fautori di un ideale fortemente cosmopolitico. “L’uomo che si conforma alla legge è francamente cittadino del mondo (cosmopolita) e dirige le azioni secondo il volere della natura, conformemente alla quale tutto quanto il mondo si governa” (Filone, De opificio mundi, III).

Superamento del concetto di schiavitù • • Sempre sulla base del loro concetto di

Superamento del concetto di schiavitù • • Sempre sulla base del loro concetto di physis e di logos, gli stoici riuscirono a mettere in crisi, più di quanto non seppero fare gli altri filosofi, gli antichi miti della nobiltà del sangue e della superiorità della razza, nonché l’istituto della schiavitù. Tutti i popoli sono dichiarati capaci di giungere alla virtù. L’uomo viene proclamato strutturalmente libero: infatti nessun uomo è per natura schiavo. I nuovi concetti di nobiltà, di libertà e di schiavitù vengono interiorizzati collegandoli alla saggezza e all’ignoranza: vero libero è il saggio, vero schiavo è lo stolto. I presupposti della politica aristotelica sono, in tal modo, completamente infranti: il logos ha ristabilito, almeno a livello di pensiero filosofico, la fondamentale e strutturale uguaglianza degli uomini.

 La concezione stoica dell’apatia • • • Le passioni, da cui dipende l’infelicità

La concezione stoica dell’apatia • • • Le passioni, da cui dipende l’infelicità dell’uomo, sono, per gli stoici, errori della ragione o comunque conseguenze di essi. In quanto tali, ossia in quanto errori del logos, è chiaro che non ha senso, per gli stoici, il moderare o il circoscrivere le PASSIONI: esse devono essere distrutte, estirpate, sradicate totalmente. Il saggio, curando il suo logos, e facendolo essere il più possibile retto, non lascerà neppure nascere nel suo cuore le passioni o le annienterà nel loro stesso nascere. È, questa, la celebre APATIA STOICA, cioè l’assenza di ogni passione, la quale è sempre e solo turbamento dell’animo. La FELICITÀ è, dunque, apatia, IMPASSIBILITÀ. L’apatia che cinge lo stoico è estrema, e finisce per essere veramente raggelante e, al limite, inumana. Infatti, dal momento che pietà, compassione e misericordia sono passioni, lo stoico le estirperà da sé, come si legge in queste testimonianze: «La misericordia fa parte dei difetti e vizi dell’anima: misericordioso è l’uomo stolto e leggero» ; «Il sapiente non si commuove a favore di chicchessia; non condona a nessuno una colpa commessa. Non è da uomo forte il lasciarsi vincere dalle preghiere e distogliere dalla giusta severità» . L’aiuto che lo stoico darà agli altri uomini non potrà quindi essere improntato a compassione, ma sarà asettico, lontano da qualsiasi umana “simpatia”, appunto come il freddo logos è lontano dal calore del sentimento.

 La concezione stoica dell’apatia • • E così il saggio si muoverà fra

La concezione stoica dell’apatia • • E così il saggio si muoverà fra i suoi simili in atteggiamento di totale distacco: sia quando farà politica, sia quando si sposerà, sia quando si curerà dei figli, sia quando contrarrà amicizie, e finirà così per estraniarsi alla vita stessa. Lo stoico infatti non è un entusiasta della vita, né un amante di essa, come invece lo è l’epicureo. Mentre Epicuro gustava anche gli ultimi istanti della vita e li godeva, beato pure fra i tormenti del male, Zenone, in un paradigmatico atteggiamento, in seguito a una caduta in cui ravvisava un segno del Destino, si gettava, quasi felice di concludere la sua vita, in braccio alla morte, esclamando: «Vengo, perché mi chiami? » . IL SUICIDIO STOICO Quando le circostanze impediscono l’esercizio della virtù, il saggio può decidere di rinunciare a quell’indifferente che è la vita suicidandosi. «Imperare sibi maximum imperium est” (Seneca) (Comandare se stessi è il massimo imperio)

MAPPA 3. L’ETICA STOICA Piante (tendenza inconsapevole) Animali (istinto) Uomo (ragione) Ogni essere vivente

MAPPA 3. L’ETICA STOICA Piante (tendenza inconsapevole) Animali (istinto) Uomo (ragione) Ogni essere vivente è dotato del principio di conservazione (oikèiosis) Il bene è l’utile, il male è il nocivo per l’uomo Vero bene è la virtù (ciò che giova alla ragione) Vero male è il vizio (ciò che nuove alla ragione) cose biologicamente e fisicamente positive cose biologicamente e fisicamente negative Bene e male morali Valori e disvalori fisici Le altre cose sono moralmente indifferenti Apatia (impassibilità) di fronte alle passioni Azioni moralmente perfette Azioni convenienti (doveri) Compiute dai saggi (veri uomini liberi e felici) L’uomo è un animale comunitario Azioni viziose o errori morali Compiute dagli uomini comuni (veri schiavi) Cosmopolitismo Uguaglianza tra gli uomini