LEIBNIZ monadologia prof Michele de Pasquale monadologia monade
LEIBNIZ (monadologia) prof. Michele de Pasquale
monadologia monade centro immateriale di forza identificato con la sostanza individuale creata da Dio priva di estensione, di figura, indivisibile ognuna è diversa dalle altre: principio dell’identità degli indiscernibili
autosufficienza ed incomunicabilità delle monadi monade le monadi non hanno porte e finestre: pur non potendo influenzarsi a vicenda, esse sono legate tra loro attività delle monadi (non nel senso di loro relazioni con l’esterno, ma della loro attività interna) percezione: rappresentazione di ciò che è esterno (presente anche in animali e piante) appetizione: passare da una percezione all’altra appercezione: consapevolezza della percezione ogni monade ha una rappresentazione più o meno chiara di tutte le altre: ognuna vede l’intero universo da diversi punti di vista (il diverso grado di appercezione delle monadi spiega la differenza tra le monadi) (propria dell’anima umana) piccole percezioni: percezioni di cui non abbiamo consapevolezza (inconscio) Dio è la monade col più alto grado di chiarezza delle sue rappresentazioni
se le monadi sono mondi chiusi, come concepire il rapporto tra la monade-anima e la monade-corpo? armonia prestabilita: l’accordo tra le varie monadi è stato predisposto da Dio sin dalla eternità (le modificazioni interne di ogni monade corrispondono perfettamente alle modificazioni delle altre monadi) le monadi non ricevendo nulla dall’esterno, debbono trarre da sé tutto ciò che posseggono innatismo totale
fine
“ La sostanza è un essere capace di azione. Essa è semplice o composta. La sostanza semplice è quella che non ha parti. La composta è l'unione delle sostanze semplici o delle monadi. Monás è un termine greco, che significa unità, o ciò che è uno. I composti o i corpi sono moltitudini: le sostanze semplici, le vite, le anime, gli spiriti sono unità. Ed è necessario che ovunque vi siano sostanze semplici, perché senza il semplice non vi sarebbe nulla di composto. Di conseguenza tutta la natura è piena di vita. Le monadi, non avendo parti, non possono essere formate né disfatte: esse non possono cominciare né finire secondo natura, perché durano quanto l'Universo che potrà essere modificato ma non distrutto. Esse non possono avere figure, altrimenti avrebbero parti: una monade, perciò, non può in se stessa e nel momento essere distinta da un'altra che per qualità e azioni interne, le quali non possono essere altro che le sue percezioni (cioè le rappresentazioni, nel semplice, del composto o di ciò che è esterno); e le sue appetizioni (cioè le tendenze da una percezione all'altra), che costituiscono i princípi del cambiamento. La semplicità della sostanza, infatti, non esclude la molteplicità delle modificazioni, che devono trovarsi insieme nella stessa sostanza semplice e che devono consistere nella varietà dei rapporti con le cose che le sono esterne. é come un centro o punto, nel quale, per quanto semplice, si trovano una infinità di angoli, formati dalle rette che vi concorrono. %
Nella natura tutto è pieno; ovunque vi sono sostanze semplici, effettivamente separate le une dalle altre, in forza di azioni proprie che cambiano continuamente i loro rapporti, e ciascuna sostanza semplice o monade separata, che costituisce il centro di una sostanza complessa (come per esempio di un animale), ed il principio della sua unicità, è circondata da una massa composta di una infinità di altre monadi, che costituiscono il suo corpo organico, proprio di quella monade centrale, seguendo le cui modificazioni quella monade si rappresenta, come in una specie di centro, le cose che le sono esterne. Questo corpo, poi, è organico, quando costituisce una specie di automa o una macchina della natura, macchina non solo nel tutto, ma anche nelle parti piú piccole che è possibile osservare. E poiché a causa della pienezza del mondo tutto è connesso, e ciascun corpo agisce su ciascun altro corpo, piú o meno a seconda della distanza, e per reazione ne viene modificato: ne deriva di conseguenza che ogni monade è uno specchio vivente, dotato di una attività interna, che si rappresenta l'Universo secondo il proprio punto di vista, ed è altrettanto regolata che l'Universo stesso. Le percezioni poi all'interno della monade nascono le une dalle altre in virtú delle leggi dell'appetizione o delle cause finali del bene e del male, che consistono nelle percezioni osservabili, regolate o no: cosí come i mutamenti dei corpi e i fenomeni esterni nascono in virtú delle leggi delle cause efficienti, cioè dei movimenti. Vi è cosí un'armonia perfetta tra le percezioni della monade e i movimenti dei corpi, un'armonia prestabilita fin dal principio tra il sistema delle cause efficienti e quello delle cause finali; ed è in essa che consistono l'accordo e l'unione fisica dell'anima e del corpo, senza che l'uno possa
“ È dunque infinitamente piú ragionevole e piú degno di Dio supporre che egli abbia creato, fin da principio, la macchina del mondo in modo che, senza violare ad ogni momento le due grandi leggi della natura, cioè quelle delle forze e della direzione, e seguendole, anzi, in modo perfetto (eccetto che nel caso dei miracoli), accada esattamente che i muscoli del corpo siano pronti a lavorare essi stessi come occorre, nel momento in cui l'anima ha un pensiero o una volizione conveniente, ch'essa ha avuto, del resto, in conformità degli stati precedenti del corpo, e che cosí l'unione dell'anima con la macchina del corpo e con le sue parti e l'azione dell'uno sull'altro consista solo in questa concomitanza che rivela la saggezza ammirabile del Creatore, molto meglio di ogni altra ipotesi. Non si può negare che questa ipotesi sia per lo meno possibile e che Dio sia un artefice cosí abile per poterla attuare; dopo, sarà facile giudicare che questa ipotesi è la piú probabile, perché è la piú semplice, la piú bella e la piú intelligibile e perché taglia di un colpo tutte le difficoltà; senza dir nulla delle azioni malvagie, per le quali sembra piú ragionevole non fare concorrere Dio, se non per la conservazione delle forze create. %
Per servirmi infine di un paragone dirò che, rispetto alla concomitanza che io sostengo, essa è simile a quella che ci sarebbe fra diverse orchestre e cori, che eseguano separatamente le loro parti e siano collocate in modo che non si vedano e neppure si odano e che, nondimeno, possano accordarsi seguendo le loro note, ciascuna le proprie, di modo che chi le ascolta, vi trovi un'armonia meravigliosa e molto piú sorprendente che se vi fosse una connessione fra loro. Potrebbe, anzi, accadere che uno, ponendosi accanto ad uno dei due cori, giudicasse dall'uno quello che l'altro esegue, e prendesse una tale abitudine (specialmente se si suppone che possa ascoltare il proprio, senza vederlo, e vedere l'altro, senza ascoltarlo) che, con l'aiuto dell'immaginazione, egli non pensi piú al coro in cui si trova, ma all'altro, oppure che consideri il proprio come un'eco dell'altro, non attribuendo a quello in cui si trova che taluni intermezzi nei quali non si manifestano talune regole della sinfonia con le quali giudica l'altro; oppure attribuendo al proprio certi movimenti, che fa eseguire dal suo lato, secondo certi motivi che egli crede imitati dagli altri a causa del rapporto con ciò che egli trova nello sviluppo della melodia, non sapendo che coloro che si trovano nell'altro coro svolgono in esso qualcosa di corrispondente, secondo i propri disegni. ”
“ La monade, di cui qui parleremo, non è altro che una sostanza semplice, la quale entra nei composti; semplice, cioè senza parti. È necessario che ci siano sostanze semplici, poiché ci sono dei composti. Il composto, infatti, non è altro che un ammasso, o aggregato di semplici. Dove non ci sono parti non ci sono né estensione, né figura, né divisibilità possibili. Queste monadi sono perciò i veri atomi della natura e, in una parola, gli elementi delle cose. Nemmeno c’è da temere una loro dissoluzione: è assolutamente impensabile che una sostanza semplice possa perire in modo naturale. Per la stessa ragione è impossibile che una sostanza semplice inizi in modo naturale: non può formarsi per composizione. Possiamo così asserire che le monadi non possono iniziare o finire se non in un lampo, cioè non possono iniziare se non attraverso creazione, né finire se non attraverso annichilazione; mentre ciò che è composto inizia o finisce tramite le parti. Non c’è modo di spiegare come una monade possa venir alterata o mutata al suo interno da qualche altra creatura, poiché non vi si può trasporre nulla, né concepire in essa alcun movimento interno che possa essere suscitato, diretto, aumentato o diminuito, come invece è possibile nei composti, nei quali hanno luogo mutamenti tra le parti. Le monadi non hanno finestre attraverso cui qualcosa possa entrare in o uscire da esse. Gli accidenti non possono distaccarsi dalle sostanze né uscirne come, un tempo, le specie sensibili degli scolastici. Così, né sostanze né
È necessario, tuttavia, che le monadi abbiano qualche qualità altrimenti non sarebbero nemmeno degli esseri. E se le sostanze semplici non differissero per nulla quanto alle loro qualità, sarebbe impossibile scorgere un mutamento nelle cose, poiché ciò che è nel composto non può venire che da elementi semplici. Se le monadi fossero senza qualità, sarebbero indistinguibili l’una dall’altra, poiché, parimenti, non differiscono per quanto concerne la quantità. Di conseguenza, supposto il pieno, nessun luogo in moto perpetuo riceverebbe altro che l’equivalente di quanto posseduto precedentemente, e uno stato di cose sarebbe indiscernibile dall’altro. È necessario anche qualsivoglia monade sia differente da qualsiasi altra. Infatti non ci sono mai in natura due esseri perfettamente identici e nei quali non sia possibile trovare una differenza interna o fondata su di una denominazione intrinseca. Considero inoltre concesso che ogni essere creato sia soggetto al mutamento, e di conseguenza anche la monade creata, e anche tale mutamento sia continuo in ognuna. Da quanto detto segue che i cambiamenti naturali delle monadi provengono da un principio interno, poiché una causa esterna non può influire sul loro interno. E in generale è lecito affermare che la forza non è altro che il principio del cambiamento. ” (Leibniz, Monadologia)
“ Lo stato transitorio che implica e rappresenta una moltitudine nell’unità o nella sostanza semplice non è altro che ciò che si chiama percezione, che dobbiamo distinguere dall’appercezione o coscienza… L’azione del principio interno che opera il mutamento o il passaggio da una percezione a un’altra può essere denominato appetizione: è vero che l’appetito non può mai raggiungere interamente ogni percezione a cui tende, ma ne ottiene sempre qualcosa, e giunge a nuove percezioni. Si potrebbero chiamare entelechie tutte le sostanze semplici o monadi create. Esse, infatti, portano in sé una certa perfezione, vi è in esse un’autosufficienza che le rende fonti quasi automatiche delle loro azioni interne e, per così dire, automi incorporei. Se vogliamo chiamare anima tutto ciò che ha percezioni e appetiti nel senso generale che abbiamo appena esplicato, tutte le sostanze semplici o monadi create si possono chiamare anime. Ma, poiché l’appercezione è qualcosa di più di una qualsiasi semplice percezione, consentiamo a che il nome generale di monadi ed entelechie si attribuisca esclusivamente alle sostanze semplici che godano di semplice percezione, e che si chiamino anime solo quelle la cui percezione è più distinta e unita a memoria. Esperiamo infatti in noi stessi uno stato nel quale non ci ricordiamo di nulla e non abbiamo alcuna percezione distinta, come quando perdiamo i sensi o quando siamo colti da un sonno profondo e senza sogni. In questo stato l’anima non si distingue sensibilmente da una semplice monade. Siccome però questo stato non perdura (essa ne esce) è necessario che l’anima sia qualcosa di più. %
Non ne segue affatto, allora, che la sostanza semplice sia priva di percezione. Questo non è possibile, anche per le ragioni suddette. Perché essa non può morire, non può nemmeno sussistere senza qualche affezione, che non è altro che la sua percezione. . Ma la conoscenza delle verità necessarie ed eterne è ciò che ci distingue dai semplici animali e ci porta in possesso della ragione e delle scienze, mentre ci eleva alla conoscenza di noi stessi e di Dio. E questo è ciò che in noi si chiama anima razionale o spirito … ogni corpo è affetto da tutto ciò che accade nell’universo, a tal punto che colui, il quale vede tutto, potrebbe leggere in ognuno, ovunque, ciò che accade e anche ciò che è accaduto o accadrà, osservando nel presente ciò che è lontano tanto secondo il tempo quanto secondo lo spazio… Ma un’anima non può leggere in sé stessa altro da quello che vi è rappresentato distintamente; non può svolgere tutto d’un tratto le sue pieghe, perché esse tendono all’infinito. Così, benché qualsivoglia monade creata rappresenti tutto l’universo, essa rappresenta più distintamente il corpo che le è assegnato in modo peculiare e di cui costituisce l’entelechia. E come questo corpo esprime tutto l’universo attraverso la connessione di tutta la materia nel pieno, così anche l’anima rappresenta tutto l’universo rappresentandosi il corpo che le appartiene in maniera peculiare. ” (Leibniz, Monadologia)
“ … l’ultima ragione delle cose deve essere in una sostanza necessaria, nella quale il dettaglio dei cambiamenti non sia se non in modo eminente, come nella sua sorgente. Ed è questo ente che noi chiamiamo dio. Ora, essendo questa sostanza una ragione sufficiente di tutto questo dettaglio, che è tutto concatenato con tutto, non c’è che un dio, e questo dio è sufficiente … Da ciò segue anche le creature hanno le loro perfezioni dall’influenza di dio, ma le imperfezioni dalla loro propria natura, incapace di essere senza limiti. In questo, infatti, si distinguono da dio. È anche vero che si trova in dio non solo la fonte delle esistenze, ma anche quella delle essenze, in quanto reali, ovvero di ciò che vi è di reale nella possibilità: è perché l’intelletto di dio è la ragione delle verità eterne o delle idee da cui esse dipendono, e che senza di lui non ci sarebbe nulla di reale nelle possibilità, e non solo nulla di esistente, ma nemmeno alcunché di possibile. Perché occorre che, se c’è una realtà nelle essenze o possibilità, ovvero nelle verità eterne, questa realtà sia fondata in qualcosa di esistente e attuale, e di conseguenza nell’esistenza dell’essere necessario, nel quale l’essenza include l’esistenza o nel quale è sufficiente essere possibile
Ma l’abbiamo appena provato anche a posteriori, poiché esistono degli esseri contingenti che non possono avere la loro ragione ultima o sufficiente se non nell’essere necessario, che ha la ragione della sua esistenza in sé stesso…. Così, solo dio è l’unità primitiva o la sostanza semplice originaria, le cui produzioni sono tutte monadi create o derivative, e nascono, per così dire, attraverso delle continue folgorazioni della divinità di momento in momento, limitate dalla ricettività della creatura, cui è essenziale essere limitata. C’è in dio la potenza, che è la sorgente di tutto, e poi la conoscenza, che contiene il dettaglio delle idee, e infine la volontà, che opera i mutamenti o le produzioni secondo il principio del meglio. E questo risponde a ciò che, nelle monadi create, fa il soggetto o la base, la facoltà percettiva e la facoltà appetitiva. Ma in dio questi attributi sono assolutamente infiniti o perfetti, e nelle monadi create o nelle entelechie … non sono altro che imitazioni, secondo il loro grado di perfezione. ” (Leibniz, Monadologia)
“ D'altronde vi sono mille segni che fanno giudicare che vi sono a ogni momento una infinità di percezioni in noi, ma senza appercezione e senza riflessione, cioè cambiamenti nell'anima di cui non ci accorgiamo perché le impressioni sono o troppo piccole o troppo numerose o troppo congiunte, sicché non si riesce a distinguerle se non in parte; ciò nonostante esse non cessano di far sentire i loro effetti e di farsi sentire almeno confusamente nel loro insieme. [. . . ] Così vi sarebbero in noi percezioni delle quali non ci accorgiamo subito, non derivando l'appercezione che dall'avvertimento dopo un qualche intervallo, per piccolo che sia. E per meglio giudicare delle piccole percezioni che non sapremmo distinguere in una folla [di percezioni] sono solito servirmi dell'esempio del muggito o rumore del mare dal quale si è colpiti quando si è sulla riva. Per intendere questo rumore bisogna che se ne percepiscano le parti che lo costituiscono, cioè il rumore di ogni singola onda, benché ciascuno di questi brusii non si faccia conoscere che nell'insieme confuso di tutte le altre onde, cioè dentro questo muggito stesso, e non potrebbe essere notato, se questa onda che lo produce fosse sola. Perciò bisogna che si sia turbati, almeno un poco, dal movimento di ogni singola onda e che si abbia una qualche percezione di ciascuno di questi rumori, per quanto lievi siano, o altrimenti non vi sarebbe neppure quello di centomila onde, perché centomila niente non possono fare qualche cosa. [. . . ] %
Quanto piú, infatti, si è attenti a non trascurare nulla di ciò che possiamo determinare, tanto piú la pratica risponde alla teoria: ma soltanto la Suprema Ragione, a cui non sfugge nulla, è in grado di comprendere distintamente tutto l'infinito, tutte le ragioni e tutte le conseguenze. Il nostro potere sull'infinito si limita a conoscerlo confusamente, e a sapere quanto meno, distintamente, che c'è. Diversamente noi giudicheremmo malissimo della bellezza e della grandezza dell'Universo, né potremmo disporre di una fisica efficace, che spieghi la natura delle cose in generale, e ancor meno di una buona pneumatica, che abbracci la conoscenza di Dio, delle anime e delle sostanze semplici in genere. Tale conoscenza delle percezioni insensibili serve anche a spiegare perché e come due anime umane, o, in generale, di una stessa specie, non escano mai perfettamente simili dalle mani del Creatore, e abbiano ciascuna un rapporto originario con il particolare punto di vista da cui guarderanno l'Universo. Del resto, questo è una conseguenza di quanto ho già osservato degli individui: e, cioè, che la loro differenza non è mai esclusivamente numerica. ” (Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano)
“ Si dice che la creatura agisce al di fuori di sé in quanto ha della perfezione, e patisce da un’altra in quanto è imperfetta. Così attribuiamo l’azione alla monade in quanto essa ha delle percezioni distinte, la passione in quanto ne ha di confuse… Ma nelle sostanze semplici solo un’influenza ideale di una monade sull’altra può avere il suo effetto unicamente attraverso l’intervento divino, in quanto nelle idee di dio una monade chiede, con ragione, che dio, ordinando le altre al principio delle cose, la consideri. Perché, siccome una monade creata non può influenzare fisicamente l’interno dell’altra, è solo per quel medio che l’una può dipendere dall’altra. Ed è per questo che le azioni e le passioni tra le sostanze sono reciproche. Dio infatti, mettendo a confronto due sostanze semplici, trova in ciascuna dei motivi che lo obbligano ad adeguarla all’altra. Di conseguenza ciò che è attivo secondo un certo rispetto, è passivo secondo un altro: attivo in quanto ciò che in esso si conosce distintamente serve a rendere ragione di ciò che accade in un altro, e passivo in quanto la ragione di ciò che accade in esso si trova in ciò che, in un altro, è conosciuto distintamente. Ora, siccome nelle idee divine ci sono infiniti universi possibili e di essi non ne può esistere che uno, occorre che ci sia una ragione sufficiente della scelta di Dio, la quale lo determini verso l’uno piuttosto che verso l’altro. E questa ragione non può che trovarsi nella convenienza, nei gradi di perfezione che quei mondi contengono, poiché ogni possibile ha il diritto di pretendere all’esistenza in ragione della perfezione che
Ora, questo legame o questo adattamento di tutte le cose create a ciascuna, e di ciascuna a tutte le altre, fa sì che ogni sostanza semplice abbia dei rapporti che esprimono tutte le altre e che, di conseguenza, sia uno perpetuo specchio vivente dell’universo. E come una stessa città vista da luoghi differenti sembra del tutto diversa ed è come moltiplicata prospetticamente, così accade che, a causa della moltitudine infinita delle sostanze semplici, ci siano altrettanti differenti universi che non sono perciò che le prospettive di uno solo secondo i diversi punti di vista di ogni monade. E questo è il mezzo di ottenere la più grande varietà possibile, ma con il più grande ordine possibile: è il mezzo di ottenere quanta più perfezione possibile… Questi principi ci hanno dato modo di spiegare naturalmente l’unione ovvero la conformità dell’anima e del corpo organico. L’anima segue le sue proprie leggi e il corpo le sue, e convengono tra sé in virtù dell’armonia prestabilita tra tutte le sostanze, poiché sono tutte delle rappresentazioni di uno stesso universo. Le anime agiscono secondo le leggi delle cause finali attraverso appetizioni, fini e mezzi. I corpi agiscono secondo le leggi delle cause efficienti o dei moti. E due regni, quello delle cause efficienti e quello delle cause finali, sono tra loro armonici. ” (Leibniz, Monadologia)
“ La nostra discordia verte su punti di una certa importanza. Si tratta di sapere se l'anima sia in se stessa del tutto vuota, a guisa di una tavoletta su cui non si sia ancora scritto nulla (tabula rasa), come vogliono Aristotele e l'autore del Saggio [J. Locke], e se tutto ciò che vi è tracciato derivi unicamente dal senso e dall'esperienza, o se, invece, l'anima contenga originariamente i princípi di molte nozioni e dottrine, che gli oggetti esterni non fanno altro che svegliare, come occasioni: come io credo con Platone, e anche con gli Scolastici, e con tutti coloro che danno questo significato al passo di san Paolo (Epistola ai Romani, 2, 15) in cui egli afferma che la legge di Dio è “scritta nei cuori”. [. . . ] Nasce, di qui, un altro problema: e cioè se tutte le verità dipendano dall'esperienza, ossia dall'induzione e dai casi particolari, o se ve ne siano alcune che hanno anche un altro fondamento. Se, infatti, taluni eventi si lasciano prevedere prima di averne fatto un qualsiasi esperimento, è palese che noi vi conferiamo qualcosa da parte nostra. Le sensazioni sebbene necessarie per tutte le nostre conoscenze in atto, non bastano punto a darci tutte le nostre conoscenze in genere: poiché esse non offrono mai altro che casi singoli, vale a dire verità particolari o individuali. Ma tutti gli esempi che confermano una verità generale, per quanto numerosi essi siano, non bastano a stabilire la verità universale di tale proposizione: non ne deriva, infatti, che ciò che è accaduto accadrà sempre allo stesso modo. %
Per esempio, i Greci e i Romani e tutti gli altri popoli della Terra conosciuta dagli antichi, hanno sempre osservato che, prima del decorso di 24 ore, il giorno si cangia in notte e la notte in giorno. Ma ci s'ingannerebbe se si credesse che la medesima regola si osserva ovunque, dopo che si è esperimentato che nella Nuova Zemplia accade il contrario. E, ancora, si ingannerebbe chi considerasse ciò una verità necessaria ed eterna per lo meno nei nostri climi: si deve infatti considerare che neppure la Terra e il Sole esistono necessariamente, e che vi sarà forse un tempo in cui questo astro splendente non sarà piú, almeno nella sua forma attuale, e, con lui, tutto il suo sistema. Si scorge, di qui, che le verità necessarie, quali si trovano nelle matematiche pure, e particolarmente nell'aritmetica e nella geometria, devono avere princípi la cui prova non dipende punto dagli esempi, né, di conseguenza, dall'attestazione dei sensi, anche se, senza i sensi, non si avrebbe mai l'occasione di pensarci. é questa una cosa che occorre distinguere bene; ed Euclide l'ha cosí ben capita che egli dimostra con la ragione anche ciò che si constata a sufficienza con l'esperienza e con le immagini sensibili. Anche la logica, con la metafisica e la morale - che danno luogo, in un caso, alla filosofia naturale, e nell'altro alla giurisprudenza naturale - sono piene di verità siffatte. Di conseguenza la loro prova non può derivare se non da princípi interni, che si chiamano innati. ” (Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano)
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