Le vicende costituzionali dello stato italiano Gli obiettivi
Le vicende costituzionali dello stato italiano Gli obiettivi della presente relazione sono: • 1. Riconoscere i principali caratteri dello Statuto albertino; • 2. Conoscere la trasformazione dello stato liberale nello stato fascista; • 3. Illustrare i valori delle principali correnti politiche presenti nell’Assemblea Costituente; • 4. Analizzare, le finalità, i valori portanti, la struttura della Costituzione e le tappe che hanno portato oggi ad una sua controversa revisione (relativamente alla II parte); • 5. Contestualizzare storicamente le vicende costituzionali dello Stato italiano.
La piemontesizzazione Questa soluzione, che gli storici hanno definito come “piemontesizzazione” dell’Italia, fu l’esito del predominio che le correnti liberali moderate riuscirono a ottenere, nel corso del Risorgimento, rispetto alle correnti democratiche (rappresentate soprattutto da Mazzini). Queste ultime avevano sostenuto che subito dopo l’unificazione sarebbe dovuta essere convocata un’assemblea costituente con il compito di stabilire l’ordinamento del nuovo stato. Prevalse invece la linea della continuità rispetto allo stato sabaudo che assicurava un assetto più conservatore e tradizionalista.
Lo Statuto albertino: una costituzione ottriata La carta costituzionale che il regno d’Italia ereditò dallo stato piemontese era stata emanata (per «i nostri amatissimi sudditi» ) dal re Carlo Alberto, il 4 marzo 1848, per far fronte ai moti insurrezionali che si stavano diffondendo in tutta Europa. Era quindi una costituzione concessa dall’alto, senza alcuna consultazione democratica. Lo stesso termine” statuto” fu preferito a quello di “costituzione”, che ricordava le idee radicali della rivoluzione francese.
Il potere esecutivo Lo Statuto albertino contiene un’apertura molto limitata ai principi liberali: il ruolo centrale all’interno dello stato è ancora assegnato al re. Egli detiene il potere esecutivo e lo esercita attraverso i suoi” ministri che ha il potere di nominare e di revocare. I ministri sono responsabili del loro operato solo dì fronte a lui e non di fronte al parlamento. Il re conserva, inoltre, una notevole influenza nel potere legislativo.
Il potere legislativo Esso è affidato a un parlamento bicamerale: ma soltanto la camera dei deputati è elettiva, sia pure a suffragio limitato per censo, mentre il senato è formato da membri nominati a vita da parte del re. Le camere si riuniscono esclusivamente su convocazioni del re (non hanno il potere di autoconvocarsi) e al re è riconosciuto il potere di sciogliere la camera dei deputati e di indire nuove elezioni.
La libertà Lo Statuto riconosce le principali libertà dei cittadini, ma lo fa in modo generico (a questo argomento sono dedicati solo nove articoli) e lascia alla legge ampie possibilità di limitarne la portata. Per esempio per stabilire il principio della libertà di manifestazione del pensiero lo Statuto si limita ad affermare: «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi» (art. 28).
Lo Stato confessionale Lo Statuto prefigura uno stato confessionale: «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana» dice l’art. 1 «è la sola Religione dello stato» , mentre gli altri culti sono semplicemente «tollerati conformernente alla legge» .
Le riforme costituzionali: una costituzione flessibile Lo Statuto non prevede nessuna particolare procedura per modificare le proprie norme e lascia, implicitamente, questa funzione al parlamento mediante l’adozione di leggi ordinarie. È dunque una costituzione flessibile.
3. Il periodo liberale La traduzione estensiva dello statuto albertino Malgrado le enunciazioni conservatrici dello Statuto albertino, il regime che si instaurò concretamente nel regno d’Italia fu, fin dall’inizio, di tipo liberale parlamentare. Gli effettivi rapporti di forza tra la borghesia e la corona risultarono essere nei fatti più avanzati di quello che prevedevano le timide concessioni di Carlo Alberto e questo fece sì che le norme dello Statuto venissero interpretate in senso estensivo.
Autonomia del Parlamento Già nei primi anni di applicazione dello Statuto si affermò un maggiore potere del parlamento e soprattutto della camera dei deputati che, essendo elettiva e quindi rappresentativa, finì per assumere un ruolo politico più importante del senato che era di nomina regia. Il governo venne infatti ritenuto responsabile non di fronte al re ma al parlamento che poteva pertanto provocarne le dimissioni con il voto di sfiducia
Autonomia del Governo Rimase in vigore la norma secondo cui il presidente del consiglio e i ministri venivano nominati dal re, ma essi dovevano successivamente ottenere la fiducia delle camere. In questo modo essi cessarono di essere gli “esecutori” della volontà del sovrano, per divenire l’espressione della maggioranza politica che si costituiva in seno al parlamento. Il governo acquistò così una posizione di relativa autonomia rispetto al sovrano.
Tentativi di ripristino della supremazia della corona sul parlamento Il rafforzamento del parlamento e la riduzione del re a una funzione prevalentemente formale non avvennero senza contrasti: il re pretese, spesso con successo, di ingerirsi nelle scelte politiche del paese tentando di imporre la sua volontà; negli ultimi anni del secolo le forze conservatrici non si rassegnarono facilmente al progressivo esautoramento della corona e giunsero a minacciare seriamente lo stesso regime liberale.
Il contrappeso politico delle organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio Ma nello stesso periodo cominciarono a svilupparsi forze politiche e sociali di segno opposto: i sindacati operai e il Partito socialista (che fu fondato nel 1892). Nei primi 15 anni del Novecento, sotto la direzione politica di Giolitti, la classe politica liberale rinunciò allo scontro aperto con il movimento operaio e avviò lo stato italiano verso un processo di lenta democratizzazione.
IL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE Si può seguire questo cammino esaminando la progressiva estensione del diritto di voto. Nel 1861 esso era riconosciuto soltanto in base a limiti di cen so molto ristretti: il corpo elettorale era composto dal 2% della popolazione e di conseguenza lo stato italia no rappresentava esclusivamente l’aristocrazia, l’alta borghesia del nord e i grandi proprietari terrieri del sud. Nel 1882 vennero eliminati i limiti di ricchezza, ma vennero ancora esclusi dal diritto di voto gli anal fabeti (il che equivaleva, in quel periodo, a escludere la maggior parte degli operai e dei contadini).
Le riforme del 1912 e del 1919: il suffragio universale maschile e il proporzionale Nel 1912 il diritto di voto venne esteso agli analfabeti che avessero compiuto i trent’anni. Nel 1919, infine, venne tolto anche questo limite: il diritto di voto fu riconosciuto a tutti i maschi con almeno 21 anni di età (suffragio universale maschile). Sempre nel 1919 venne abbandonato il sistema elettorale a collegio uninominale e venne adottato il sistema proporzionale che assicurava a tutti i gruppi politici una rappresentanza in parlamento proporzionale al numero di voti ottenuti.
Trasformazione della rappresentanza parlamentare entrano i partiti di massa In conseguenza di queste due riforme (il suffragio universale e il sistema proporzionale) la composizione del parlamento subì una completa trasformazione: mentre fino ad allora esso era dominato da esponenti liberali, ora la maggioranza dei deputati proveniva da due partiti di estrazione popolare: il Partito socialista (da cui nel 1921 si separò il Partito comunista) e il Partito popolare, di ispirazione cattolica.
1860 suffragio maschile limitato per censo. 1882 suffragio universale maschile ad esclusione degli analfabeti. 1912 suffragio universale maschi le inclusi gli analfabeti dopo i 30 anni. 1919 suffragio universale maschile e abolizione delcollegio uninominale a vantaggio del proporzionale del ma. 1946 suffragio universale esteso alle donne. Votano tutti i cittadini che hanno compiuto i 21 anni. 1975 sono ammessi al voto anche i diciottenni.
4. Il periodo fascista Il passaggio dal regime liberale al regime fascista si realizzò tra il 1922 e il 1925. Nel 1922 il capo del partito fascista, Mussolini, ricevette dal re, Vittorio Emanuele III, l’incarico di formare il nuovo governo: la scelta del re, avvenuta in seguito alla “marcia su Roma” organizzata dai fascisti, fu determinata dalla volontà di mettere alla guida dello stato un “uomo forte” che fosse in grado di sbarrare la strada alle conquiste del movimento operaio e al processo di democratizzazione.
I meriti del movimento fascista durante il biennio rosso Nei due anni precedenti il movimento fascista si era caratterizzato per le sanguinose aggressioni squadriste contro i sindacalisti e i socialisti, ottenendo l’appoggio dei grandi proprietari terrieri (gli “agrari”), di gruppi industriali e di una buona parte della piccola borghesia che si sentiva minacciata dai “disordini” provocati dai conflitti sociali.
La scarsa consistenza parlamentare dei fascisti nel 1922 In quel momento i fascisti avevano una posizione minoritaria in parlamento (solo 35 deputati su 535) e Mussolini formò un governo di coalizione che era sostenuto da esponenti liberali, conservatori e anche cattolici. Nel 1923 il parlamento accettò di legalizzare le squadre armate fasciste che vennero organizzate come Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (1. 24 gennaio 1923).
La legge elettorale del 1923 Nello stesso anno introdusse un nuovo sistema elettorale, maggioritario e antidemocratico, che consentiva di assegnare i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti (1. 18 novembre 1923). Grazie a questo meccanismo, nelle elezioni del 1924, il “listone” formato dal Partito fascista e da esponenti liberali riuscì a ottenere il controllo della camera dei deputati, relegando i partiti di opposizione (popolare, socialista e comunista) in una posizione minoritaria.
Il consolidamento del regime dopo l’assassinio Matteotti Alla fine del 1924, Mussolini riuscì a superare la crisi che era seguita all’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti e poté così sbarazzarsi dei suoi precedenti alleati e avviare l’instaurazione del regime fascista.
L’ORGANIZZAZIONE DEL REGIME L’instaurazione del regime fascista venne attuata attraverso una serie di leggi, emanate a partire dal 1925, che mutarono radicalmente il sistema costituzionale dello stato. Lo Statuto albertino non venne formalmente abrogato ma perse ogni efficacia: l’unico aspetto che rimase in vita fu l’istituto della monarchia.
1925 Le leggi fascistissime I lineamenti del nuovo regime introdotti dalle leggi “fascistissime” del 1925 e degli anni seguenti. Al centro dello stato venne posta la figura del capo del governo, responsabile unicamente di fronte al re e non di fronte al parlamento e dotato di una netta posizione di supremazia rispetto ai ministri che egli stesso provvedeva a nominare e revocare (anche se il potere di revoca e di nomina continuava a spettare formalmente al re). Al governo e, in pratica, al suo capo, venne attribuito di fatto il potere legislativo, mentre al parlamento rimase una funzione di pura ratifica.
Dalla lista unica 1928 alla soppressione del parlamento 1939 Per assicurare la fedeltà della camera dei deputati al regime, nel 1928 venne introdotta l’elezione dei deputati su un unica lista bloccata predisposta dal Partito fascista. Nel 1939 la camera dei deputati venne, anche formalmente, soppressa e sostituita con la camera dei fasci e delle corporazioni, i cui membri venivano - direttamente o indirettamente - nominati dal governo o dal Partito fascista. Anche gli organi dei comuni e delle province cessarono di essere elettivi e vennero designati direttamente dal governo. Nei comuni i sindaci eletti dal basso furono sostituiti con i podestà nominati dall’alto.
I partiti e vengono messi fuori legge I partiti diversi da quello fascista vennero vietati e quest’ultimo assunse anche formalmente la funzione di struttura portante dello stato: il suo massimo organo, il gran consiglio del fascismo, divenne un organo costituzionale con importanti compiti consultivi.
SOPPRESSIONE DELLE LIBERTÀ SINDACALI Particolarmente drastiche furono le misure contro il movimento operaio: fu vietato lo sciopero e abolita la libertà sindacale. i lavoratori furono organizzati in un unico sindacato fascista obbligatorio. Nella seconda metà degli anni Trenta il regime tentò di dare vita all’ordinamento corporativo, organizzando il mondo del lavoro e dell’economia in corporazioni di categoria che raggruppavano sia i datori di lavoro sia i lavoratori. Lo scopo era quello di impedire la contrapposizione tra le classi sociali e di imporre la collaborazione. Ma tale sistema non riuscì mai a funzionare compiutamente anche a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Soppresione delle libertà civili Le libertà civili vennero progressivamente eliminate. Furono introdotti controlli statali sulla stampa, sulla radio, sul cinema e sugli spettacoli. Il dissenso poli tico venne perseguito penalmente. Fu reintrodotta la pena di morte per i reati contro lo stato. Nel 1926 fu istituito il tribunale speciale per la difesa dello stato composto da giudici legati al regime, con il compito di giudicare i reati politici, allo scopo di sottrarre questa delicata materia ai giudici ordinari che non davano sufficienti garanzie di fedeltà al regime.
La legislazione razzista e l’entrata in guerra a fianco della Germania nazista Nel 1938, sull’esempio della Germania hitleriana, venne ro introdotte anche in Italia le leggi razziali contro gli ebrei. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania nazista.
La caduta del fascismo e la resistenza Con lo sbarco delle truppe anglo-americane in Sicilia, nel luglio del 1943, In Italia l’opposizione alla guerra diventò più Forte anche all’interno dello stesso partito fascista. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il gran consiglio del fascismo votò a maggioranza un ordine del giorno contro Mussolini e l’indomani il re Vittorio Emanuele III, richiamandosi ai poteri che lo Statuto albertino gli attribuiva (ma che non aveva più esercitato per 20 anni), destituì Mussolini e nominò il generale Badoglio a capo del governo.
Il ripristino dello stato liberale nell’agosto del 1943 Con decreto del 2 agosto, Badoglio mise fuori legge il partito fascista e si impegnò a convocare le elezioni della camera dei deputati entro 4 mesi dalla fine della guerra. Il disegno del re e di Badoglio era quello di far tornare in vita lo Statuto albertino e di ripristinare quindi il regime liberal-monarchico che esisteva prima del fascismo. Ma tale intenzione si scontrò rapidamente con l’incalzare degli eventi.
Il disastro dei 45 giorni di Badoglio: la fuga del re, lo sbandamento dell’esercito, l’otto settembre e il paese occupato dai nazisti L’ 8 settembre 1943 il governo concluse l’armistizio con gli anglo-americani, senza peraltro riuscire a organizzare la minima difesa contro la prevedibile reazione dei tedeschi (che da alleati erano diventati improvvisamente nemici). In pochi giorni l’Italia fu occupata dalle truppe tedesche, l’esercito italiano si sfasciò, il re e Badoglio abbandonarono Roma per rifugiarsi, sotto la protezione degli anglo-americani, prima a Brindisi e poi a Salerno.
La repubblica di salò, il Regno del Sud e la nacita della lotta di liberazone nazionale Dal momento dell’armistizio alla liberazione (25 aprile 1945), l’Italia resto divisa in due parti: il nord occupato dai tedeschi e il sud dagli anglo-americani. Le regioni del Centro-Italia furono tenute dai tedeschi fino a metà del 1944. Nell’italia settentrionale i tedeschi restaurarono uno stato fascista, sotto la guida di Mussolini, che assunse la denominazione di repubblica sociale italiana. Contro i tedeschi e i fascisti si organizzò la resistenza armata condotta dalle formazioni partigiane, coordinate clandestinamente dai partiti antifascisti.
La collaborazione tra la monarchia e le forze antifasciste nella lotta contro i nazifascisti Nell’Italia meridionale il potere politico rimase formalmente nelle mani del re e del governo Bado glio, ma un ruolo determinante venne svolto dai sei partiti antifascisti (Pd’a, Pci, Psi, Pli, Dc, Dl) che avevano costituito i Cln in tutto il territorio naziona le, coordinati dal Cln centrale e, per l’Italia del nord, dal Clnai. Benché tra i partiti antifascisti prevalesse una posizione ostile alla monarchia, in quanto aveva favorito e appoggiato per oltre vent’anni il regime fascista, essi decisero di giungere a un accordo con il re per unire le forze contro il comune nemico.
IL PERIODO TRANSITORIO e la questione istituzionale Con il patto di Salerno stipulato tra il Cln e la monarchia si decise di dare vita a un regime politico transitorio in attesa della fine della guerra. In base a tale accordo che fu reso esecutivo dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944): a) venne deciso di rinviare la scelta tra la monarchia e la repubblica alla fine della guerra (tregua istituzio nale) e di affidare tale scelta a un’Assemblea costitu ente eletta a suffragio universale che avesse anche il compito di elaborare la costituzione del nuovo stato;
b) il re Vittorio Emanuele III si ritiro a vita privata e la funzione di capo dello stato venne assunta dal figlio Umberto con il titolo di luogotenente del regno (in omaggio al principio della tregua istituzionale Umberto non assunse quindi il titolo di re); c) venne formato un nuovo governo di cui facevano parte i sei partiti antifascisti del Cln. La presidenza del consiglio fu affidata allo stesso presidente del Cln Ivanoe Bonomi.
Col decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944 il governo rese ufficiale il nuovo assetto provvisorio dello stato: dopo la fine della guerra si sarebbero svolte le elezioni per l’Assemblea costituente. Fino all’entrata in vigore del nuovo parlamento, il governo avrebbe esercitato, eccezionalmente, il potere legislativo mediante l’emanazione di propri decreti.
La soluzione della questione istituzionale: la scelta spetterà al popolo attraverso un referendum Dopo la liberazione (25 aprile 1945) il governo decise, con decreto del 16 marzo 1946, di affidare la scelta tra la monarchia e la repubblica direttamente al popolo attraverso un referendum, invece che all’Assemblea costituente. Il 9 maggio 1 946, un mese prima della data fissata per il referendum, il re abdicò a favore del figlio che assunse perciò il titolo di re d’Italia con il nome di Umberto II.
6. La proclamazone della repubblica e l’Assemblea costituente Il 2 giugno 1946 i cittadini furono chiamati a votare contemporaneamente per il referendum tra monar chia e repubblica e per l’Assemblea costituente. Queste furono le prime elezioni della storia d’Italia svolte a suffragio effettivamente universale. Il decreto del 1° febbraio 1945 aveva infatti esteso il diritto di voto anche alle donne. Il referendum diede il seguente risultato: 12 milioni e 700. 000 voti alla repubblica e 10 milioni e 700. 000 alla monarchia. Lo stato italiano diventava uno stato repubblicano e il nuovo re Umberto II era costretto a lasciare il paese.
Gli equilibri politici della costituente Nelle elezioni per l’Assemblea costituente, svolte con il sistema proporzionale, prevalsero i tre partiti di massa che, già prima del fascismo, avevano un peso determinante in parlamento: la Democrazia cristiana con il 35, 2% e 207 seggi (che sostituiva il Partito popolare), il Partito socialista con il 20, 7% e 115 seggi e il Partito comunista con il 18, 9% e 104 seggi; mentre i liberali, che avevano dominato la vita politica italiana fino alla prima guerra mondiale, furono ridotti a una posizione marginale con il 6, 8% e 41 seggi.
La Commissione dei 75 Appena insediata, l’Assemblea costituente elesse il capo provvisorio dello stato nella persona di Enrico De Nicola e si mise al lavoro per l’elaborazione del testo della Costituzione. Il compito di redigerne una prima stesura fu affidato a una commissione di 75 deputati eletti in seno all’Assemblea costituente. Tale commissione lavorò per sei mesi e il 31 gennaio 1947 presentò un progetto di costituzione all’Assemblea.
La promulgazione (27 -12 -1947) e l’entrata in vi gore (1 -01 -1948) della Costituzione repubblicana Nei mesi successivi l’Assemblea costituente discusse, corresse e integrò tale proposta, articolo per articolo, e il 22 dicembre 1947 approvò il testo definitivo della Costituzione. Essa fu poi promulgata dal capo provvisorio dello stato il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il l gennaio 1948. Il 31 gennaio 1948 l’Assemblea costituente si sciolse. Tre mesi dopo, il 18 aprile 1948, si svolsero le elezioni per la camera dei deputati e per il senato e il 12 maggio fu eletto, dal parlamento in seduta comune, il primo presidente della repubblica italiana, Luigi Einaudi.
Origine caratteri e struttura della Costituzione : una costituzione di fondazione La Costituzione non è nata dall’imposizione di una forza sulle altre. Essa è stata invece un contratto politico in cui ciascuna è riuscita a ottenere qualcosa, rinunciando ad altro. Sarebbe perciò erroneo pensare che vi si trovi una sola concezione politica, sviluppata con coerenza e completezza. Per questo, già dai tempi dell’Assemblea costituente, si è parlato di compromesso costituzionale.
Il compromesso costituzionale Ad es. , le forze di sinistra rinunciarono alla socializzazione dei mezzi di produzione e si accon tentarono della promessa di future riforme sociali; i liberali a loro volta accettarono controlli e program mi nella economia; le sinistre accettarono le Regioni, volute dalla Democrazia Cristiana; le forze laiche ammisero i Patti lateranensi nella Costituzio ne; la Democrazia cristiana rinunciò all’idea, osteggiata dalle sinistre di fare del Senato una camera rappresen tativa delle forze economiche. Il compromesso fu la condizione dell’approvazione unitaria della Costitu zione: nel voto finale all’Assemblea costituente, si contarono 455 favorevoli e solo 62 contrari.
I tre significati del compromesso Il mercanteggiamento Il compromesso costituzionale, peraltro, venne fin da subito interpretato in modo diverso, e non sempre benevolmente. Gli esponenti della tradizione liberale vedevano nella Costituzione il prodotto di un mercanteggiamento tra DC, PCI e PSI e perciò parlavano spregiativamente di “Costituzione tripartita”. Essi temevano che le promesse di giustizia sociale contenute nella Costituzione potessero servire da pretesto per limitare la libertà economica.
Interpretazione riduttiva e di parte del compromesso costituzionale Altri vedevano nel compromesso costituzionale una parziale temporanea rinuncia ai loro ideali, necessaria per trovare l’accordo. La Costituzione appariva un compromesso transitorio, basato su questa riserva: alla prima occasione favorevole per qualcuna delle grandi forze politiche, l’accordo sarebbe stato rotto e se ne sarebbe scritta una nuova.
La vera interpretazione del compromesso Altri ancora parlarono di compromesso nel senso più elevato del termine, come ricerca di unità per costru ire un regime nuovo, uno Stato di tutti e non di uno o di un altro partito, di una o di un’altra ideologia. Oggi, dopo quasi mezzo secolo, si può dire che la storia ha convalidato la terza interpretazione del compromesso costituzionale. Se la Costituzione fosse stata solo mercanteggiamento o solo rinuncia, non avrebbe retto per così tanto tempo. Essa non avrebbe svolto il suo compito di unificazione della vita politica e di pacificazione dei contrasti. Per molti anni le più intense controversie politiche si placarono davanti alle norme costituzionali, dimostrandone la vitalità.
LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Principi fondamentali (artt. 1 -12) Parte I. Diritti e doveri dei cittadini (artt. 13 -54) Titolo I: Rapporti civili Titolo II: Rapporti etico-sociali Titolo III: Rapporti economici Titolo IV: Rapporti politici Parte II Ordinamento della repubblica Titolo I: Il Parlamento Ø Sez. I: Le Camere Ø Sez. II: La formazione delle leggi Titolo II: Il Presidente della Repubblica Titolo III: Il Governo Ø Sez. I: Il Consiglio dei Ministri Ø Sez. II: La pubblica amministrazione Ø Sez. III: Gli organi ausiliari Titolo IV: La Magistratura Ø Sez. I: Ordinamento giurisdizionale Ø Sez. II: Norme della giurisdizione Titolo V Le regioni, le Provincie, i Comuni Titolo VI Garanzie costituzionali Ø Sez I: La Corte costituzionale Ø Sez. II: revisione della Costituzione. Leggi costituzionali Disposizioni transitorie e finali (I-XVIII)
La condizione del successo dell’Assemblea costituente: l’Assemblea presbite Se consideriamo quanto oggi sono difficili gli accor di tra i partiti politici sulle questioni importanti dobbiamo stupirci della riuscita del compromesso costituzionale. La ragione di quel successo è che i singoli partiti non concepirono la Costituzione secondo il loro immediato vantaggio particolare. Ciò avrebbe reso impossibile ogni accordo. L’Assemblea costituente lavorò invece con lo sguardo rivolto al futuro: fu - secondo l’espressione di Piero Calamandrei, esponente del Partito d’azione e uno dei maggiori artefici della Costituzione - un Assemblea “presbite”.
Il velo dell’ignoranza Ciò fu possibile a causa di quello che si denomina il “velo dell’ignoranza”, cioè il fatto che nessuna parte politica allora, all’inizio della esperienza costituzionale, era in grado di sapere se, nel futuro, sarebbe stato danneggiato o favorito da questa o quella norma costituzionale. Il problema costituzionale non dipendeva dagli interessi di partito e perciò si poteva ragionare in generale. Le considerazioni che precedono spiegano non solo perché allora fu possibile giungere ad un accordo sulla Costituzione, ma anche perché oggi è così difficile trovarne un altro per cambiarla.
Tentativi di riforma costituzionale: Il fallimento delle Bicamerali fa. A partire dalla fine degli anni ’ 70 sono state messe in cantiere riforme di molte parti della Costituzione. Nel corso degli anni ‘ 90 Si Sono addirittura istituite per due volte, con legge costituzionale, apposite “commissioni bicamerali” col compito di predisporre progetti organici di riforma, da sottoporre al Parlamento, La seconda di tali commissioni, nel 1998, ha elaborato un esteso progetto di riforma della seconda parte della Costituzione, toccando temi come il federalismo, il presidenzialismo, il bicameralismo l’organizzazione della funzione giudiziaria e la posizione del pubblico ministero, i poteri e la composizione della Corte costituzionale.
La riforma costituzionale del 23 -03 -05 e l’allarme che ha suscitato presso ampi settori degli intellettuali moderati Il Parlamento, peraltro, ha lasciato cadere tale disegno riformatore. Tuttavia il 23 -03 -05 questo ha approvato a maggioranza una legge di riforma costituzionale che riguarda: il capo dello stato; il premier; il parlamento; il federalismo; l’iter delle leggi; la corte costituzionale. Comunque prima che diventi legge, visto che non c’è il consenso dell’opposizione, deve essere sottoposta a referendum confermativo. Una legge che ha suscitato un vasto allarme come testimonia un articolo di Galli Della Loggia apparso sul Corriere del 24 -03 -05 che la considera: “Il più grave pericolo che l’unità italiana corre dopo quello dell’ 8 settembre”
3. Gli Orientamenti generali del compromesso costituzionale: a) il valore della persona Il più importante punto d’incontro tra le forze costituenti fu la persona umana come fine e valore fondamentale. Per comprendere il significato di questa formula, si deve pensare che il totalitarismo fascista si fondava, come abbiamo già visto, su un’impostazione opposta: le singole persone come semplici strumenti dello Stato. Proclamando il valore centrale della persona umana, si rovesciavano dunque le concezioni costituzionali precedenti, mettendo lo Stato al servizio dei diritti delle persone. In questo rovesciamento c’è il nucleo del carattere antifascista della Costiluzioue.
Il personalismo Oggi, dopo tanti anni, si tende a dimenticare ciò che il fascismo è stato e spesso non si è più consapevoli della radicale differenza, anzi della contraddizione, tra quel regime e il nostro. La valorizzazione della persona umana era, all’epoca della Assemblea costituente, il programma di un movimento appartenente al mondo cattolico, molto attivo in Francia e diffuso anche tra gli uomini della Democrazia cristiana che si ispiravano al sociale, Tale movimento si denominava personalismo.
La funzione mediatrice del personalismo Il movimento personalista era, per certi aspetti, con trario sia alle dottrine liberali che a quelle marxiste: a) contro le prime, sosteneva che non basta proclamare a parole la dignità e la libertà dell’uomo, come idea astratta, e disinteressarsi delle condizioni materiali in cui gli uomini vivono. Occorre invece promuovere la giustizia sociale e l’uguaglianza in modo che la dignità e la libertà umana siano per tutti una realtà e non vuote parole; b) contro le seconde, sosteneva che la persona non è riducibile alla sua sola dimensione economicomateriale ma è un essere eminentemente spirituale. Per questo, occorre garantire la libertà, che è l’alimento dello spirito.
La funzione mediatrice del personalismo Questa dottrina, sebbene polemica sui due fronti, serviva egregiamente a gettare un ponte tra le forze socialiste e quelle liberali. Con le prime consentiva circa la necessità di una politica di riforma e giustizia sociale; alle seconde, dava assicurazioni che la difesa dei diritti fondamentali non sarebbe stata attenuata. Così, il “cattolicesimo sociale” fu il punto d’incontro (o del compromesso) tra i diversi orientamenti dell‘Assemblea costituente. Le implicazioni di questa impostazione erano numerose.
Funzione mediatrice del personalismo a) In primo luogo, i diritti fondamentali della persona, che si richiamano alla tradizione liberale iniziata con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. b) In secondo luogo, la democrazia, in quanto unico sistema politico conforme alla dignità delle persone, poiché non le riduce a oggetti nelle mani altrui. c) In terzo luogo, l’impegno per una politica a favore delle classi più deboli e contro le ingiustizie sociali, da cui deriva la concezione dello Stato interventista, autore delle riforme sociali necessarie (attraverso gli interventi nell’economia, la programmazione, la sicurezza sociale, la politica per la piena occupazione e la tutela dei lavoratori, ecc. ).
Funzione mediatrice del personalismo d) Infine, la subordinazione dei diritti economici (la proprietà e l’iniziativa economica) agli interessi di tutta la collettività. Tali diritti furono ancora riconosciuti ma vennero, per così dire, “affievoliti” di fronte all’interesse generale. e) Da ultimo, lo Stato che governa i processi economici e limita e indirizza i diritti economici dei privati (la proprietà e l’iniziativa economica), ciò che si esprime in una formula di sintesi; lo Stato interventista.
tutti uguali tra loro. Ogni cittadino, infatti, è anche operaio, contadino, padre, madre, figlio, credente, studente, ammalato, militare, ecc. Ogni persona è in una particolare situazione sociale, in speciale rapporto con altre persone. L’operaio sta in un’organizzazione produttiva e in un sindacato, il contadino in un’impresa agricola. il padre in una famiglia, il credente in una Chiesa, lo studente in una scuola, l’ammalato in un ospedale, il militare in una caserma, ecc.
Ogni cittadino, inoltre, fa parte di un Comune di una Regione, ecc. , oltre che dello Stato). A molte di que ste unioni di persone, che si denominano “comunità, la Costituzioue (art. 5) assicura protezione ricono scendo loro autonomia, cioè la capacità di perseguire i propri interessi in piena libertà, con i limiti che deri vano dal fatto che ciascuna di esse non è sovrana ma deve armonizzarsi nella vita nazionale. Quando si parla di pluralismo si intende questa autonomia dei gruppi sociali. Si pensi alle “formazioni sociali” di cui parla l’art. 2, alle “confessioni religiose” dell’art. 8, alla famiglia come “comunità naturale” dell’art, 29. al “mondo del lavoro” degli artt, . 35 e ss. , al sindacato dell’art, . 39, al partito politico dell’art, 49,
Il principio di sussidiarietà Dal pluralismo deriva un’importantissima indicazione circa la costruzione dello Stato nel senso di Stato-ordinamento: il decentramento del potere pubblico. Esso è distribuito ai diversi livelli secondo il principio di sussidiarietà per cui i livelli superiori possono intervenire solo quando quelli inferiori sono insufficienti. Perciò, lo Stato non dovrebbe avere alcun potere che non possa essere soddisfacentemen te svolto dalle Regioni; la stessa cosa, per la Regione rispetto ai Comuni e le Province. Lo Stato non dovrebbe sostituirsi alle famiglie nello svolgimento dei loro compiti rispetto ai figli; al sindacato, rispetto alla tutela dei lavoratori, ecc.
Lo Stato sociale Il principio anzidetto vale a condizione che ciascun gruppo sociale svolga soddisfacentemente il suo com pito. In caso contrario, l’autonomia della comunità (ad es. della famiglia, del Comune, ecc. ) è sostituita dall’intervento diretto dello Stato (che, ad es. , si occupa dei figli che i genitori abbiano abbandonato, scioglie gli organi dei Comuni quando questi non funzionano, ecc. ). Con una formula di sintesi, si dice che la Costituzione delinea uno Stato sociale. Questa forma di Stato si pone nel grande solco dello Stato di diritto. Si basa infatti sui diritti dei cittadini (come lo Stato liberale) ed è uno Stato aperto a tutte le componenti della società (come lo Stato democratico). Fa però due passi in più, in quanto:
Lo stato sociale - riconosce l’importanza delle organizzazioni sociali in cui i singoli sviluppano la propria personalità e si organizzano per far valere le proprie aspirazioni; assegna allo Stato il compito di operare per la giustizia sociale, intervenendo nella società a favore dei più deboli (al contrario dello Stato astensionista liberale). Lo Stato sociale è questo: lo Stato liberaldemocratico integrato dal riconoscimento dei gruppi sociali e dal compito di giustizia assegnato allo Stato.
Struttura della Costituzione La Costituzione vigente è composta di 139 articoli e suddivisa in Parti. Queste a loro volta sono suddivise in Titoli, taluni dei quali suddivisi in Sezioni, tutti preceduti dai Principi fondamentali. I “Principi fondamentali” (articoli da 1 a 12) contengono le decisioni essenziali sul tipo di Stato e sul tipo di società voluti dalla Costituzione. :
Struttura della Costituzione In particolare, si stabiliscono le regole essenziali relative allo Stato in quanto tale: il suo carattere repubblicano e democratico; i rapporti essenziali tra lo Stato e i singoli, col riconoscimento dei diritti inviolabili e dell’uguaglianza tra gli uomini; i principi più importanti che riguardano i rapporti tra lo Stato e gli altri ordinamenti, in particolare con la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, e con l’ordinamento internazionale.
La parte prima della Costituzione La Parte prima della Costituzione è intitolata “Diritti e doveri dei cittadini” (articoli da 13 a 54) ed è divisa in quattro Titoli, che trattano delle posizioni soggettive dapprima considerando le persone in quanto tali e poi allargando la prospettiva alle diverse strutture in cui esse sono inserite, dalla famiglia, alla scuola, all’organizzazione economica e a quella politica. Si tratta - come è stato notato - di una organizzazione della materia costituzionale strutturata come una piramide rovesciata: in basso la persona umana - base e fondamento di tutto l’edificio - e in alto le organizzazioni via più vaste, fino a quella statale, disciplinata poi nella Parte seconda della Costituzione.
La parte seconda La Parte seconda è intitolata “Ordinamento della Repubblica” (articoli da 55 a 139) e contiene le rego le sull’organizzazione dello Stato. In coda alla Costi tuzione sono state collocate 18 “Disposizioni transito rie e finali” (che vengono indicate con il numero romano: I disp. , VIII disp. , ecc. ). Esse hanno la mede sima efficacia delle altre norme della Costituzione, cioè sono fonti costituzionali. Le si è tuttavia volute collocare a parte per due ragioni: a) le norme transito rie sono quelle che prevedono vari adempimenti, con le relative scadenze temporali, richiesti per la messa in opera delle previsioni costituzionali (disp. da I a XI) b) per “saldare” l’ordinamento precedente con il nuovo (disp. da XVIII).
Norme transitorie e finali Tali norme, una volta attuata la Costituzione, hanno perso la loro ragion d’essere. h) le disposizioni finali (dsp. da XII a XIV) contengono norme che fanno eccezione ai generali diritti civili e politici, dettate per la particolare situazione storica dell’Italia, al termine del ventennio fascista e alla fine del periodo monarchico (il divieto di riorganizzazione del partito fascista, le restrizioni ai membri e ai discendenti di Casa Savoia, l’abolizione dei titoli nobiliari, ecc. ).
I principi fondamentali della Costituzione La democrazia Democrazia è una parola di cui tutti i regimi politici vogliono fregiarsi. Non c’è regime politico che non si dichiari democratico. Ciò è reso possibile perché con democrazia si può intendere: a) il potere del popolo; b) il potere per il popolo (cioè esercitato da altri - perfino da un dittatore - ma a vantaggio del popolo); c) il potere con il popolo cioè esercitato - non importa da chi - d’accordo col popolo, senza che esso possa far sentire la sua voce. Se la stessa parola può essere usata in modo così diverso, è ovvio che occorre chiarire che cosa intendiamo quando diciamo che l’Italia è una Repubblica democratica (art. 1 Cost. ).
La sovranità popolare e la democrazia competitiva: il pluralismo Senza dubbio, nella nostra Costituzione, democrazia significa governo del popolo. Ciò è detto a chiare lettere dall’art. 1, secondo comma Cost. : “la sovranità appartiene al popolo”. Ci si deve però intendere su che cosa sia il popolo, al quale la Costituzione attribuisce la sovranità. La Costituzione italiana è pluralista. Il popolo, perciò, è l’insieme di numerosi soggetti e gruppi sociali, con ideologie, programmi e interessi differenziati e in competizione tra loro. Dire che la sovranità appartiene al popolo significa che il potere politico deriva da una libera competizione tra tutte le componenti sociali.
; Pluralismo e democrazia competitiva La democrazia prevista dalla Costituzione è una democrazia competitiva. Questo tipo di democrazia comporta alcune condizioni. In particolare: - libere elezioni, con diritto di voto garantito a tutti; - pluralità di partiti politici e possibilità di crearne di nuovi; - protezione delle minoranze dal potere della maggioranza; - possibilità per le minoranze di diventare maggioranza; - libertà delle opinioni e di dibattito politico.
La dittatura democratica La democrazia competitiva non è l’unico tipo di democrazia basata sul potere del popolo. Essa si contrappone alla dittatura democratica che è il regime della democrazia senza limiti, ove il potere popolare può tutto, anche combattere ferocemente le minoranze. La dittatura democratica può dunque definirsi il regime dell’oppressione delle minoranze ad opera della maggioranza.
Le dittature democratiche si basano sci una concezione del popolo non pluralista ma monolitica: il popolo come insieme di individui con gli stessi interessi, la stessa cultura, le stesse idee politiche, ecc. Coloro che ne hanno di diversi sono fuori dal popolo, sono considerati nemici, e quindi possono (e devono) essere eliminati. Pertanto, non ci possono essere nè pluralità di partiti, né libere elezioni tra candidati di orientamento diverso, né libertà di discussione politica.
Le garanzie della Costituzione: la rigidità e la giustizia costituzionale Per difendere le regole della democrazia competitiva, sono state previste due “garanzie della Costituzione”. Questa formula (posta in testa al Titolo VI della II parte della Costituzione) comprende due cose: a) la rigidità della Costituzione e b) la giustizia costituzionale. a) Ricordiamo, dalla teoria delle fonti del diritto, che una Costituzione si dice rigida quando non può essere modificata con una legge ordinaria ma richiede procedure più complesse e maggioranze più ampie.
Il Procedimento legislativo aggravato contro la dittatura della maggioranza Il contrario della Costituzione rigida è la Costituzione flessibile che si può modificare, come nel caso dello statuto albertino, con semplice legge ordinaria. Il procedimento legislativo aggravato previsto per le modifiche alla Costituzione dall’art. 138 Cost. costituisce una garanzia per le minoranze perché, senza il loro accordo, la Costituzione non può esser cambiata.
La Corte Costituzionale b) La giustizia costituzionale consiste in un insieme di poteri della Corte costituzionale che servono a reagire contro gli atti giuridici e i comportamenti contrari alla Costituzione. Tra questi poteri, spicca il controllo sulle leggi ordinarie, posto a garanzia del principio di costituzionalità nel sistema delle fonti del diritto e che serve contemporaneamente a impedire gli abusi della maggioranza parlamentare. Sono rivolti a garantire la Costituzione come regola del gioco anche gli altri poteri della Corte costituzionale: la risoluzione dei conflitti di attribuzioni il giudizio sui reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione e il controllo sulla ammissibilità del referendum abrogativo.
Rigidità della Costituzione: garanzia di libertà La rigidità della Costituzione e la giustizia costituzionale sono due limiti all’onnipotenza del Parlamento. Se la democrazia consistesse nell’onni potenza del popolo e della maggioranza dei suoi rappresentanti, la rigidità della Costituzione e la giustizia costituzionale rappresenterebbero due limi tazioni della democrazia. Invece, per la democrazia competitiva prevista dalla Costituzione, questi due limiti all’onnipotenza della maggioranza sono ele menti irrinunciabili. Presupposto della democrazia è la libertà dei singoli. Se essi dipendessero da altri, la democrazia si ridurrebbe a semplice facciata, come uno spettacolo di burattini manovrati dal burattinaio.
Libertà come diritto alla diversità Per libertà, quindi, possiamo intendere la possibilità di essere se stessi e di differenziarsi dagli altri. La Costituzione (dallart. 13 in poi) si preoccupa di stabilire un ricco catalogo di diritti di libertà e di circondarli di molte garanzie. Essi hanno il comune significato di un generale diritto di essere lasciati in pace nelle fondamentali attività umane: il pensiero, la pratica religiosa, i contatti con gli altri uomini, il lavoro, ecc.
Libertà come possibilità Naturalmente, il fatto che la Costituzione riconosca questi diritti di libertà non significa che gli uomini ne facciano uso, cioè coltivino le proprie attività intellettuali, sociali. lavorative, ecc. ). I diritti di libertà sono semplici possibilità. In altre parole, la Costituzione può soltanto stabilire le condizioni giuridiche di una società libera, ma non può assicurare che essa lo sia effettivamente e non prevalgano l’apatìa. il conformismo, il servilismo, il carrierismo ecc.
I doveri di solidarietà politica, economica e sociale La Costituzione, tuttavia, a fianco del riconoscimento dei diritti, richiede l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost. ). Si tratta di quei doveri, previsti dalla Costituzione stessa (il dovere di pagare le imposte, di prestare il servizio militare) o dalle leggi (come assumere nelle imprese i portatori di handicap, dare la propria opera o prestare i propri beni nei casi di calamità pubblica, ecc. ) che fanno sì che la libertà non si trasformi in egoismo dei più forti a danno dei più deboli.
La dimensione sociale della libertà La libertà di cui parla la Costituzione assume quindi un significato sociale. Non deve servire agli interessi egoistici dell’individuo e non deve nuocere alla società. Anzi, deve essere indirizzata a favore del benessere di tutti. Occorre però fare una distinzione fondamentale tra due tipi di diritti di libertà: quelli che riguardano l’aspetto fisico (la libertà personale) e l’aspetto spirituale dell’uomo (libertà di coscienza, di fede religiosa, di pensiero, di ricerca scientifica e artistica, ecc. ), e quelli che riguardano) l’aspetto materiale della sua vita (soprattutto le libertà economiche: di proprietà e di iniziativa economica).
Libertà assolute a) Solo le libertà personali e spirituali sono riconosciute in modo assoluto. Interessa infatti alla società che ciascun individuo possa esprimere il massimo delle proprie energie personali e spirituali. Se non fosse così, si cadrebbe in un nuovo totalitarismo. b) Le libertà materiali o economiche, invece, non sono riconosciute in assoluto (cioè sono libertà relative). Esse possono infatti avere conseguenze nocive per la società se i singoli ne fanno un uso egoistico. Esse, perciò, posono e devono essere subordinate all’interesse generale, in vista dei compiti di giustizia che la Costituzione mette a base dell’azione dello Stato.
Giustizia : i diritti sociali La Costituzione italiana non si accontenta della società così com’è ma richiede allo Stato una politica di riforme per renderla più giusta. Per questo essa contiene molte norme programmatiche, che indicano in quale direzione gli organi dello Stato devono esercitare i loro poteri. Non si parla di giustizia in senso generico e retorico. Si indica invece il compito preciso di abolire quelle differenze tra categorie di cittadini (tra poveri e ricchi, ignoranti e istruiti, malati e sani, ecc. ) che impediscono di fatto ai meno favoriti una vita dignitosa.
Giustizia: Lo stato sociale Art. 3 È quanto dice il secondo comma dell’art. 3, vero e proprio architrave della Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. In questo articolo è scritto il superamento dello Stato liberale, spettatore estraneo, incaricato soltanto di mantenere l’ordine tra le classi sociali. Lo Stato delineato dalla Costituzione è uno Stato sociale perché deve combattere gli squilibri della società attraverso politiche di riforma.
Diritti sociali: diritto alla salute al lavoro all’istruzione. La tutela dell’ambiente L’art. 3, secondo comma, è il quadro generale entro cui si collocano altre, più specifiche norme programmatiche. Ad es. , l’art. 4, che riconosce il diritto al lavoro, indica un programma di politica economica rivolto al “pieno impiego”. L’art. 9 prevede politiche a difesa dell’ambiente. L’art. 32, che riconosce la salute come diritto di tutti e non solo dei più facoltosi, indica una politica sanitaria. L’art. 33, che riconosce a tutti l’istruzione di base (dell’obbligo) e l’art. 34 che garantisce a tutti i capaci e meritevoli (e non ai più facoltosi) l’accesso all’istruzione superiore, prevedono una politica scolastica.
Diritti sociali: la tutela dei lavoratori e dei diversabili Gli artt. 35 e seguenti, che dettano numerosi programmi per ha tutela dei lavoratori, prevedono una politica del lavoro. La Corte Costituzionale ha ricavato dagli artt. 3 e 32 anche un diritto dei portatori cli hanchicap a particolari agevolazioni, come l’eliminazione delle barriere architettoniche e il conseguimento di un lavoro adeguato.
I diritti sociali Le norme programmatiche sono indicazioni per la politica dello Stato, ma fondano anche dei diritti dei singoli, diversi da quelli di libertà. Questi diritti consistono nella pretesa di prestazioni positive da parte dello Stato (prestazioni sanitarie, scolastiche, previdenziali, ecc. ) e si denominano “diritti sociali”. Il loro nome indica la stretta correlazione che essi hanno con i caratteri della società nel suo complesso. Essi costituiscono un aspetto sconosciuto allo Stato liberale e tipico invece dello Stato contemporaneo.
Uguaglianza Il primo comma dell’art. 3 proclama il principio di uguaglianza di fronte alla legge e quindi il divieto di discriminazioni tra i cittadini. In particolare, si fa divieto di discriminare i cittadini a causa di alcuni fattori (il sesso, la religione, la razza, ecc. ) che per secoli hanno costituito motivo di disuguaglianza se non, addirittura, di persecuzione. Qui importa notare due aspetti generali dell’uguaglianza.
1 Uguaglianza e diversità fra le persone Uguaglianza non vuol dire affatto che tutti siano o debbano essere uguali. Questa sarebbe, nel primo caso, un’affermazione evidentemente sbagliata, poiché non c’è nulla di così vario come la natura umana; nel secondo caso, un’affermazione molto pericolosa, poiché sarebbe un’autorizzazione allo Stato per il livellamento forzato degli individui e la massificazione della società. Uguaglianza significa invece che le differenze che esistono tra gli individui (differenze di ogni tipo): culturali, fisiche, etniche, ecc. non possono essere assunte per giustificare trattamenti differenziati.
Uguaglianza come uguaglianza di opportunità Si potrebbe dire che l’uglianza di cui parla la Costituzione significa uguaglianza nella possibilità di manifestare le proprie diversità, come si addice a una società che voglia valorizzare le forze creative che ha in sé.
2 Uguaglianza e giustizia Il secondo aspetto generale dell’uguaglianza si col lega all’esigenza di giustizia sociale. Promuovere le condizioni dei meno abbienti e dei più deboli richie de spesso leggi che trattino diversamente, e in modo più favorevole, coloro che hanno meno possibilità. Ecco la necessità di leggi differenziate. Le leggi disu guali ad es. , che si applicano solo ai lavoratori e non ai datori di lavoro, agli inquilini e non ai proprietari, ecc. possono apparire contrarie all’uguaglianza di fronte alla legge. Esse però sono necessarie tutte le volte in cui lo Stato voglia mettere in opera politiche per ridurre le distanze sociali. Queste riforme richie dono leggi che distinguono tra le categorie sociali per trattare alcune in un modo e altre in un altro.
Giustizia formale e sostanziale Se la Costituzione prevedesse solo l’uguaglianza di fronte alla legge, questo genere di leggi dovrebbe ritenersi vietato. Se ne ammette invece l’esistenza, in quanto esse siano indirizzate a raggiungere quegli scopi di giustizia sociale verso i quali la Costituzione vuole orientare l’azione dei pubblici poteri. Anche in questo si può cogliere la distanza rispetto allo Stato liberale quando uguaglianza significava uguale tratta mento da parte della legge valida per tutti (ricchi e poveri, forti e deboli, ecc. ). Si trattava allora di un concetto formale di uguaglianza, mentre oggi l’esigenza di giustizia ha fatto nascere un concetto sostanziale: l’uguaglianza come garanzia di pari opportunità di fatto nell’esercizio dei propri diritti.
Internazionalismo La Costituzione respinge nettamente il nazionalismo, che era stato uno dei cardini della politica fascista. L’Italia è uno Stato nazionale, non nazionalistico. Essa riconosce e difende la propria identità rispetto agli altri Stati, ma adotta, con questi, atteggiamenti aperti, di collaborazione e perfino di integrazione. La sua sovranità, per così dire, è un punto di partenza che non le impedisce di collaborare con gli altri Stati e, addirittura, di riconoscere l’autorità di istituzioni sovranazionali.
Le limitazioni di sovranità L’art. 11 della Costituzione afferma che la sovranità può essere Limitata in condizioni di parità con gli altri Stati, per creare un ordinamento internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni. Inoltre, impegna l’Italia a promuovere le organizzazioni rivolte a tale scopo. L’art. 11 fu approvato dall’Assemblea costituente per consentire la partecipazione italiana all’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), istituita nel 1945 con il compito di salvaguardare la pace, promuovere la cooperazione internazionale e diffondere i diritti umani.
Verso gli Stati Uniti d’Europa Successivamente, questo articolo ha costituito la base per l’adesione italiana alle comunità europee (nel 1952 e nel 1957). Su di esso ci si basa ancora nella lunga strada che dovrebbe condurre alla costruzione dell’Unione europea come vera e propria federazione di Stati.
La protezione internazionale dei diritti dell’uomo Sempre l’art. 11 Cost. è la base della partecipazione italiana al sistema internazionale di protezione dei diritti dell’uomo. Di particolare importanza sono la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” votata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale dell’ONU e la “Convenzione europea dei diritti dell’uomo” (del 1950, ratificata dall’Italia nel 1955).
La Commissione e la Corte europea dei diritti dell’uomo La Convenzione europea ha questo di caratteristico: non solo contiene una lunga e dettagliata lista di diritti, ma sottopone gli Stati aderenti al potere di due organi. la Commissione e la Corte europea per i diritti dell’uomo, istituiti a Strasburgo. Tali organi, ai quali possono rivolgersi i cittadini degli Stati europei aderenti, quando siano stati violati i loro diritti fondamentali, hanno il potere di condannare gli Stati per violazione degli obblighi che essi stessi si sono assunti, aderendo alla Convenzione.
Il ripudio della guerra Molto importante è anche un altro principio contenuto nell’art. 11, il ripudio della guerra come strumento di offesa della libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Esso non equivale al pacifismo, che è ripudio della guerra come tale. Significa invece una concezione della guerra come male, ma necessario alla propria difesa. Ciò giustifica il “sacro dovere” di difesa della patria e l’obbligo di prestare il servizio militare previsti nell’art. 52 della Costituzione. Oggi i cittadini, con l’istituzione della ferma volontaria, possono svolgere in alternativa ad essa il servizio civile.
La riforma del 23 -03 -05 Capo dello Stato: oggi. È eletto dalle Camere riunite in seduta comune, integrate con i rappresentanti delle regioni. Rappresenta l’unità nazionale. Per essere eletto deve avere compiuto i 50 anni. Ha il potere di sciogliere il Parlamento. In caso di crisi, può affidare l’incarico di formare un nuovo governo a una personalità diversa dal presidente del Consiglio dimissionario. Presiede il Csm. Può rinviare una legge alle camere. Domani. Scioglie la Camera ma solo su richiesta del premier: questo potere di fatto gli viene tolto. Rappresenta l’unità federale della Repubblica. L’età per essere eletto scende a 40 anni. Nomina il presidenti delle Autority, presiede il Csm
Premier. Oggi Rieve l’incarico dal Capo dello Stato, la cui scelta è formalmente libera. Per insediarsi, il Premier deve ottenere la fiducia delle Camere. Può rimanere in carica anche sostenuto da una maggioranza diversa da quella che gli ha dato la fiducia. Domani Diventa Premier di diritto il candidato della coalizione che vince le elezioni. Per l’insediamento non c’è più bisogno del voto di fiducia. Il premier determina e non più dirige la politica del Governo. Nomina e revoca i ministri. Ha il potere di chiedere al Capo dello Stato di sciogliere la Camera. La maggioranza uscita dalle elezioni non può cambiare Premier con i voti determinanti dell’opposizione.
Parlamento. Oggi. La Camera ha 630 deputati. per esere eletti occorre avere 25 anni. Il senato ha 315 senatori: per essere eletti occorre avere 40 anni. Ai senatori di diritto si aggiungono quelli a vita (ex presidenti della repubblica, più quelli nominati dal capo dello Stato). Domani. I componenti della Camera scendono a 518, dei quali 18 eletti dagli italiani all’estero. Ad essi si aggiungono i deputati a vita, in numero massimo di tre. I senatori diminuiscono a 252, eletti in ciascuna Regione contestualmente ai rispettivi Consigli. Ai lavori del Senato partecipano, senza poter votare, rappresentanti delle Regioni.
Federalismo. Oggi. Le Regioni in base alla riforma del 2001 hanno potestà legislativa in ogni materia non espressamente riservata alo Stato. Esistono poi le materie di legislazione concorrente in cui lo. Stato detta i principi fondamentali e le Regioni legiferano ( ad es. : sicurezza del lavoro, Sanità). Domani. Alle Regioni passa la legislazione esclusiva per: sanità, organizzazione scolastica e definizione dei programmi di interesse regionale, polizia amministrativa regionale e locale. È la devolution. Se il Governo ritiene che una legge regionale pregiudichi l’interesse nazionale, ne può promuovere l’annullamento tramite voto parlamentare.
Iter delle leggi. Oggi. Il bicameralismo perfetto attribuisce a Camera e Senato identiche competenze. Per essere approvata ogni legge deve ottenere il sì da entrambi i rami del Parlamento nella medesima formulazione. Domani. La Camera discute e approva le leggi sulle materie riservate allo Stato ( ad es. la politica estera, immigrazione, sicurezza, politica monetaria). Il Senato ha 30 giorni per proporre modifiche, ma è la Camera che decide in via definitiva. Al Senato spetta la competenza primaria sulle materie concorrenti, cioè riservate sia alo Stato sia alle Regioni.
Corte Costituzionale. Oggi. I 15 componenti sono nominati per un terzo dal parlamento, per un terzo dal presidente della repubblica e per un terzo dai magistrati. Domani. I giudici sono sempre 15 ma cambia la fonte di nomina: 7 sono eletti dal Parlamento ( 4 dal Senato federale e 3 dalla Camera). 4 sono scelti dal presidente della Repubblica. 4 sono eletti dai magistrati
Il referendum del 25 -26/06/06 boccia senza appello questa progetto di riforma costituzionale • Come è noto la Costituzione stessa prevede che in sede parlamentare le leggi che la modificano devono essere approvate a maggioranza qualificata (almeno 2/3 del parlamento) per essere recepite. Questo in rispetto al principio democratico che le regole del gioco vanno scritte da tutti i partecipanti e non da una sola parte. Insomma da maggioranza e opposizione.
Tuttavia, come è avvenuto in questo caso -e con la riforma del titolo V della costituzione voluto dal Centrosinistra nel 2001 - è possibile che la sola maggioranza approvi in doppia lettura una legge di modifica costituzionale; ma questa, per entrare in vigore va sottoposta a referendum, dove non è previsto quorum. Ma, mentre la riforma del centrosinistra ha superato la prova referendaria ed è quindi tuttora in vigore, quella voluta dal centrodestra, essendo stata bocciata ampiamente dal referendum costituzionale del 25 -26/06/2006 non è mai entrata in vigore.
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