Le tombe dei giganti della Sardegna Is concias
Le tombe dei giganti della Sardegna Is concias, Quartucciu (CA) Progetto realizzato da Rita Spiga Docente di Lettere presso il Liceo Scientifico Pitagora di Selargius, Cagliari Anno Scolastico 2018/2019
IL MEGALITISMO NURAGICO DELLA SARDEGNA Etimologia Conclusioni Tipologie Sacralità Cuaddu ‘e Nixias, Lunamatrona (M. C) Cronologia Rituali Ubicazione Orientamento
L’ORIGINE DEL NOME Il nome di questi monumenti è dovuto ad antiche credenze popolari, nate anticamente presso popolazioni che, prima del fiorire delle scienze archeologiche, si trovarono davanti queste enormi costruzioni. Le sepolture sono state chiamate Tombe dei Giganti perché, secondo la leggenda, prima dell’arrivo della civiltà nuragica, questi sepolcri ospitavano i resti di giganti che abitarono la Terra in un passato lontano. Questa idea è sicuramente dovuta alle dimensioni delle pietre utilizzate, che raggiungono altezze notevoli e che, sempre secondo la leggenda, sarebbero i resti del leggendario continente perduto di Atlantide. Nelle tombe non sono mai state ritrovate ossa gigantesche (almeno così è ufficialmente), ma esse ospitavano molti corpi di inumati di corporatura normale. Un’altra leggenda vede le tombe come dimora di enormi orchi, che banchettavano con carne umana e vi lasciavano i resti di pasto. Infatti, la tradizione popolare sarda ha definito questa costruzione col nome «domu ‘e s’orcu» , ossia «casa dell’orco» , poi italianizzato e al plurale «tomba dei giganti» , con la specifica definizione di sepoltura. Li Mizzani, Palau (O. T. ) Li Longhi, Arzachena (SS)
LE PROVE AVANZATE SULL’ESISTENZA DEI GIGANTI L’esistenza di uomini giganti nel nostro pianeta è uno degli enigmi di cui spesso i media si sono occupati. Il gigantismo esiste, così come il nanismo, ma sono casi rari. La Bibbia parla di giganti (Antico Testamento, Genesi – 2 Samuele) e di giganti parlano anche le leggende greche, orientali, africane, americane. Sarà esistita una specie molto più alta di quella attuale? Nei secoli scorsi e anche recentemente in diverse parti del mondo sono stati rinvenuti scheletri o parti di essi appartenenti indubbiamente a uomini giganteschi. Pare però esserci una sorta di cover-up sulla questione: spesso questi reperti sono scomparsi nel nulla o sono stati distrutti. I ricercatori, che ne avevano dato notizia, talora hanno ritrattato e i giornali, che avevano pubblicato la notizia, si sono scusati con i lettori per aver divulgato una bufala. In Sardegna, nel territorio di Pauli Arbarei, si trova una tomba dei giganti, lunga più di 4 metri. Un abitante del paese, il signor Luigi Muscas, pittore e scultore, nato a Villamar nel 1962 e residente a Pauli Arbarei dall’età di 9 anni, racconta che, mentre portava al pascolo le pecore, un temporale lo sorprese e fu costretto a cercare riparo in una grotta vicina. Fu allora che vide uno scheletro mummificato, dal colore caffelatte, molto grande, le cui dimensioni erano superiori alla norma, con la testa enorme e gli arti lunghi quanto lui, che allora era alto circa 1, 20 m. La tomba dei giganti ospitava tale scheletro. Secondo il signor Muscas, le tombe sono state utilizzate e riutilizzate nel tempo e per questo motivo non è da escludere la loro costruzione per l’inumazione di uomini di grosse dimensioni. Lo stesso Muscas afferma che negli anni nelle campagne intorno al paese sono stati rinvenuti moltissimi grossi scheletri, che venivano fatti vedere alle autorità e agli esperti, ma che in un modo o in un altro sono stati fatti scomparire. Il motivo appare inspiegabile. Forse perché la loro presenza avrebbe costretto gli studiosi a riscrivere la storia della Sardegna? L’ipotesi è che qualcuno abbia guadagnato parecchio con il commercio illegale dei reperti, finiti in musei privati. Anche la Chiesa avrebbe contribuito all’occultamento degli scheletri: ogni volta che un ecclesiastico aveva avuto modo di visionare i reperti, essi erano misteriosamente scomparsi il giorno dopo. Secondo altre testimonianze degli abitanti della zona, durante la costruzione delle case del paese erano stati rinvenute diversi corredi funebri che accompagnavano molti scheletri giganteschi (con i crani di almeno 60 cm di larghezza), che venivano segati e gettati nella discarica oppure bruciati, per paura da parte dei proprietari delle terre, di vedersele sequestrare, e assicurano che ancora, in caso di forti piogge, dal terreno emergono molte grosse ossa. Tomba dei Giganti di Pauli Arbarei (CA)
LE NURAGICHE DIMORE DEI MORTI Nella Preistoria le popolazioni che vivevano in Sardegna, come tutte le popolazioni coeve, usavano seppellire i propri morti dapprima nella nuda terra e successivamente in strutture sepolcrali costruite ad hoc. Quando si abbandonò la sepoltura nella nuda terra si iniziò a scavare strutture funerarie come le domus de janas, costruire i dolmen e, a partire dall’epoca nuragica, le tombe dei giganti. Tra l’età del Bronzo e quella del Ferro (dal 1800 al 1000 a. C. ) si colloca il lungo periodo che vede protagonista la misteriosa Civiltà Nuragica, con i suoi 8000 nuraghi, i suoi 400 pozzi sacri e le sue 321 tombe dei giganti (91 nella provincia di Cagliari, 187 nella provincia di Nuoro e 43 nella provincia di Sassari). I bronzetti nuragici che rappresentano delle navicelle e le raffigurazioni del popolo Shardana nel tempio egizio di Medinet Abu dimostrano che il popolo nuragico dominava l’intero Mediterraneo; e forse la Sardegna era l’isola di Atlante, diventata mitica con il nome di Atlantide. Molte delle tombe dei giganti censite non si presentano in buono stato di conservazione. Il residuo strutturale spesso è assai scarso e talvolta è solo qualche masso in posizione originale che ne fa intuire la presenza. Come è avvenuto per i nuraghi, anche le tombe dei giganti hanno subito l’opera di demolizione, con lo scopo di ricavarne materiale da costruzione e i tombaroli hanno trafugato reperti importanti e causato danni alla stratigrafia. Normalmente le tombe dei giganti sono ubicate nelle immediate vicinanze dei nuraghi. Talvolta ce ne sono due o più, ma vi sono anche casi in cui esiste una sola tomba di giganti in vicinanza di più nuraghi e ciò fa presupporre che la tomba fosse utilizzata dagli abitanti di più villaggi dell’area circostante. Dall’inizio dell’età del Ferro (IX sec. a. C. ) l’utilizzo di queste sepolture andò lentamente scemando: da tale periodo si incominciò a seppellire i defunti in tombe singole. A differenza dei nuraghi, che mantengono l’aspetto architettonico esterno pressoché uguale (pianta circolare, forma troncoconica, parametri murari esterni fatti con filari di pietre sovrapposte) nelle tombe dei giganti l’aspetto architettonico non segue una sola linea di tendenza. La parte strutturale presente in tutte le tombe è il corridoio interno adibito a camera funeraria. Per quanto riguarda la parte esterna, gli antichi costruttori hanno seguito in prevalenza due aspetti architettonici. Il primo presenta una lastra litica centrale, chiamata stele, con piccola porta e tutto intorno due serie di altrettanti lastroni laterali di minore grandezza. Il secondo presenta una struttura muraria con al centro una piccola apertura. Ogni tomba ha delle variabili architettoniche, che sono frutto dell’inventiva e dell’estro delle maestranze dell’epoca. Probabilmente mano che si costruivano nuove tombe venivano effettuate modifiche architettoniche, seppur lievi, che le rendevano originali. Le due tipologie sono: le tombe dolmeniche e le tombe a filari. Esistono anche le tombe a prospetto architettonico. Is concias, Quartucciu (CA) Interno della camera funeraria
LE TOMBE DOLMENICHE Le Tombe di Giganti, che si trovano in Sardegna e che non esistono in nessuna altra parte del mondo, sono l’evoluzione del dolmen, che, allungato, ha dato origine allées couvertes, con l’aggiunta di un’area sacra delimitata da una serie simmetrica di lastre ortostatiche. Esse, a partire dalla stele centrale, alta anche 4 m, si espandono a semicerchio con altezze discendenti, delimitando una sorta di piazza davanti alla tomba (esedra). Alla base delle lastre vi è un sedile che corre lungo tutta l’area, sulla quale gli officianti tenevano i riti funerari. Si trovano anche dei betili, chiaro richiamo alla presenza di Dio. Nella parte bassa della stele più alta, accuratamente scolpita, si apre una porticina, che dovrebbe collegare l’interno con l’esterno della tomba e, alla base di essa, si trova un bancone dove venivano lasciate le offerte. La cosiddetta «falsa porta» si trova spesso disegnata o incisa nelle domus de janas, con lo stesso significato: il contatto fra il mondo di vivi e quello dei morti. Questa porticina (probabilmente tenuta chiusa da un masso), che si apre nella stele centrale, è talmente stretta che ad un adulto è quasi impossibile passarvi attraverso, per cui essa doveva avere un ruolo solamente simbolico e, poiché sembra impossibile che ad ogni inumazione potessero rimuovere la grossa stele, i defunti venivano calati dall’alto all’interno del corpo funerario. Quest’ultimo è composto da un corridoio, absidato nella parte posteriore, lungo anche 30 m e alto fino a 3 m, (metafora del cammino nell’oltretomba), alla fine del quale si trovano delle lastre su cui venivano deposti oggetti di vita quotidiana, che i defunti avrebbero potuto utilizzare nell’altra vita. Le tombe, ricoperte da un tumulo di terra e pietre, ospitavano molti corpi: le ossa ritrovate all’interno appartengono a decine di persone e talvolta anche centinaia.
LE TOMBE A FILARI E’ facile notare che la tecnica costruttiva delle tombe a filari, pur mantenendo inalterata la pianta, ma con il corpo tombale di dimensioni ridotte rispetto alle altre sepolture, ha molte similitudini con quella dei nuraghi. Il corridoio della camera sepolcrale è realizzato sovrapponendo filari di grossi blocchi di pietra isodomi (= conci regolari) o poligonali (= conci non squadrati). Come nei nuraghi le pareti del corridoio sono aggettanti oppure la parte alta si completa con lastre litiche poste in orizzontale. Il prospetto subisce dei cambiamenti rispetto al tipo dolmenico: la stele scompare per essere sostituita da filari di pietre sovrapposte, conci levigati e perfettamente squadrati, messi in opera con un sottile gioco di incastri o in opera subquadrata, con filari di pietre ben dirozzate e con scaglie e zeppe nelle connessure. Nella costruzione delle tombe sono state progressivamente applicate le tecniche architettoniche impiegate nello sviluppo dei pozzi sacri e dei nuraghi. A questa tipologia appartengono due sottotipi: la tomba con portello centrale architravato e la tomba con portello ricavato in una lastra trapezoidale. San Cosimo, Gonnosfanadiga (CA) Iloi 2, Sedilo (CA)
LE TOMBE A PROSPETTO ARCHITETTONICO Lo studio delle tombe dei giganti interamente scolpite nella roccia è abbastanza recente. L’area di diffusione delle tombe, che imitano le sepolture megalitiche dell’età nuragica, sono circa 90. L’area di diffusione è circoscritta alla Sardegna Nord-Occidentale, in particolare nel Sassarese e nel Logudoro settentrionale. Tale limitazione geografica coincide, con una buona approssimazione, con la formazione dei sedimenti miocenici del Sassarese, quei tavolati calcarei nei quali, due millenni prima, si era sviluppato l’ipogeismo funerario. L’origine delle tombe ipogeiche a prospetto architettonico deve quindi essere ricercata, da un lato, nella tradizione ipogeica eneolitica, dall’altro nelle limitazioni oggettive determinate dal particolare tipo di roccia, assai tenera e lavorabile e la presenza di ampie pareti verticali adatte alla realizzazione dei prospetti architettonici. Si possono distinguere due tipi principali: le domus de janas riutilizzate e gli ipogei scavati exnovo nell’Età del Bronzo. Questo secondo tipo è il più diffuso. Fra le domus de janas riutilizzate vi sono quelle la cui planimetria è rimasta sostanzialmente immutata e quelle che hanno subito trasformazioni in fase di riuso. Molafà, Sassari Domus de janas riutilizzata Sas puntas, Tissi (SS) Ipogeo nuragico
LA CRONOLOGIA Alla fase del Primo Bronzo (1800 -1500 a. C. ) vengono riferite le tombe dei giganti di struttura ortostatica (= in posizione eretta), dolmenica con la camera funeraria a sezione trilitica (= a tre pietre) e rettangolare (come i dolmen dai quali derivano), la stele arcuata, monolitica o bilitica, generalmente scorniciata (centinata), dal. taglio perfetto e la muratura perimetrale edificata con pietre di grandi dimensioni disposte a coltello, che decrescono in altezza verso le estremità delle ali, rinforzate alla base da altre pietre disposte di piatto con funzione di bancone-sedile. Al Bronzo Medio (1500 -1200 a. C. ), quando mutano le condizioni sociali ed economiche, vengono riferite le sepolture senza stele, con l’apertura al centro dei filari in opera isodoma o poligonale. La maggior parte degli studiosi concorda sulla tesi che le tombe dolmeniche siano più arcaiche di quelle a filari, ma qualcuno ha avanzato l’ipotesi che le due tipologie di tombe si siano iniziate ad edificare contemporaneamente. La scelta dell’una o dell’altra tipologia potrebbe essere stata fatta di volta in volta, in funzione di un ragionamento puramente stilistico. Quindi le due costruzioni potrebbero essere state realizzate a partire dallo stesso periodo storico. Altro discorso va fatto per le tombe a prospetto architettonico, coeve alle tombe a stele, di cui ne imitano il prospetto con la stele e spesso anche il bancone-sedile nell’intero arco dell’esedra. Imbertighe, Borore (NU) (a filari con stele) Madau Gremanu, Fonni (NU) (a tecnica isodoma) Is concias, Quartucciu (CA) (a facciata megalitica poligonale) Sa figu, Ittiri (SS) (a prospetto architettonico)
LA SCELTA DEL LUOGO Sotto la crosta terrestre scorrono energie telluriche e forze magnetiche. Esse sono più intense in certi luoghi piuttosto che in altri. I nostri antenati costruivano i loro luoghi sacri proprio lungo questi canali energetici. Come avveniva la scelta del luogo? Sappiamo che i Romani, facevano pascolare le pecore in un campo, e, dopo averle uccise, ne controllavano il fegato; se era in buone condizioni, iniziano la costruzione. I nostri antenati probabilmente sceglievano il luogo dove di preferenza riposavano gli animali, considerati più in stretto legame con la Terra, molto più degli uomini. E’ possibile che venissero consultati i cosiddetti «sensitivi» , persone con innate capacità sensoriali, che percepivano queste particolari energie. Poi, il tempio che veniva costruito si arricchiva a sua volta dell’energia di chi si recava a pregare. Spesso vicino vi era una fonte d’acqua, elemento fondamentale per i rituali. In Sardegna i siti sacri nuragici e prenuragici per la maggior parte si trovano proprio sui luoghi con intense forze telluriche. Le tombe di giganti ne sono un esempio. Coddu Vecchiu, Arzachena (SS) S’Ena e Thomes, Dorgali (NU)
L’ORIENTAMENTO Nell’area mediterranea compresa fra l’Africa del Nord e la Spagna, durante l’Età del Bronzo, era frequente la costruzione di monumenti funerari orientati verso i punti della volta celeste dove sorge o tramonta il sole. Anche il popolo sardo nuragico, come già quello prenuragico, aveva un’elevata conoscenza dei cicli celesti. Le aperture presenti nell’esedra semicircolare sono rivolte generalmente verso sud-est, cioè la direzione dell’alba durante il solstizio d’inverno (21 dicembre) ma anche verso sud-ovest, dove tramonta il sole. L’unica tomba ad essere orientata verso il nord è Sa Domu e s’Orcu di Quartucciu. Dentro le tombe Li Mezzani di Palau e di Coddu Vecchiu di Arzachena nei giorni degli equinozi di marzo (21) e di settembre (22) la luce dell’alba entra perfettamente nel corridoio tombale, attraverso la piccola apertura della stele che domina l’esedra. Altre tombe (S’Ena e Thomes di Dorgali, Goronna di Paulilatino e Baddu Pirastru di Thiesi) sono orientate a Sud, in direzione del tramonto del sole a giugno, nel solstizio d’estate, e sembrano essere anche orientate verso la stella Aldebaran, della costellazione del Toro. Sa domu ‘e s’orcu, Quartucciu (CA)
I RITUALI DI SEPOLTURA I culti legati alle tombe dei giganti sono da collegarsi al Dio Toro e alla Dea Madre. Infatti la costruzione richiama sia la testa bovina sia una partoriente (la morte era considerata una rinascita). Fino ad oggi non abbiamo elementi sicuri per individuare i rituali funebri in uso e neppure per capire se venissero sepolti i corpi oppure solo le ossa. Probabilmente le ossa venivano scarnificate prima della sepoltura, considerate le tracce di tale pratica in alcune di esse. L’ipotesi avanzata è queste tombe fossero degli ossari, nei quali depositare le spoglie dei defunti una volta che esse erano diventate degli scheletri, magari seppelliti quando diventavano un numero consistente. I membri delle tribù, del clan o del villaggio andavano a rendere omaggio ai morti della comunità, sepolti nelle tombe dei giganti senza distinzione di rango, come hanno ipotizzato gli archeologi Lilliu e Contu. Invece Spano, archeologo dell’Ottocento, le aveva considerate mausolei di famiglia e altri studiosi le hanno ritenute sepolture destinate ai capi nuragici. S’Ena e Thomes, Dorgali (NU) Interni delle camere funerarie Santu Cosumu, Gonnosfanadiga (M. C)
I LUOGHI DI GUARIGIONE E DI RINASCITA Secondo le credenze antiche, le tombe emanavano energia al punto tale da avere la facoltà di permettere la guarigione a chiunque vi si recasse o si stendesse al loro interno. La disposizione a semicerchio seguirebbe le linee energetiche telluriche catturandone il flusso (di cui si impregnerebbero le stesse pietre) che, come in un filo elettrico, verrebbe spinto verso la stele più alta, facendola diventare un vero accumulatore di energia. Il massimo punto di intensità è presente, appunto, nella stele litica e il punto di minore intensità dovrebbe trovarsi intorno all’abside tombale. Infatti, per guarire, era necessario distendersi sulle pietre. Si presume che presso l’esedra, dove sono presenti dei sedili, si svolgessero dei rituali. Si cadeva in un sonno-trance per entrare in contatto con le divinità e le pietre-menhir, slanciate verso l’alto, sembrano un trampolino di lancio verso il cielo. Anche il corpo del defunto, posizionato all’interno della tomba, una volta tornato alla Madre Terra, riceveva una tale energia da riuscire ad essere separato dalla sua anima, ritornata alla sua origine. Viste dall’alto, le tombe ricordano anche la stilizzazione di un utero o del bacino e delle gambe di una partoriente, con al centro un’apertura verso il mondo dell’aldilà. Questa interpretazione confermerebbe quanto il megalitismo fosse legato strettamente al culto della fecondazione. Le tombe di Giganti, viste dall’alto potevano sembrare anche teste stilizzate di toro, figura molto diffusa nella simbologia sarda, anche prenuragica, rappresentante la forza maschile in unione con la Dea Madre. Morte e vita per i nuragici erano rappresentate alla stessa maniera, come un’entrata verso un mondo e un’uscita verso un altro. Parto e morte ci rendono protagonisti di uno stesso destino.
LA PRATICA DELL’INCUBAZIONE Gli antichi sardi guarivano col sonno e soprattutto con i sogni. Prima e durante la civiltà dei nuraghi non esistevano molti sistemi di cura, almeno come oggi li intendiamo. I Sardi si curavano con l’acqua e soprattutto con il sonno. Il rito dell’incubazione, diffuso in tutto il Mediterraneo, consisteva nel dormire nelle vicinanze di un santuario in attesa di qualche sonno rivelatore, un sonno a scopo terapeutico, durante il quale ricevere indicazioni sulla propria guarigione, attraverso i sogni, interpretati, al risveglio, dal sacerdote e dalla sacerdotessa del villaggio. La notizia che i Sardi praticavano questo rito ce la dà Aristotele (384322 a. C. ), che parla dell’usanza degli abitanti della Sardegna di «dormire presso gli eroi» e Giovanni Filipono (490 -570), filosofo commentatore di Aristotele, ci ha tramandato la notizia che il sonno incubatorio presso gli eroi durava cinque giorni e che al momento del risveglio le persone non si rendevano conto del tempo trascorso a dormire. E Simplicio (490 -560), altro commentatore di Aristotele, conferma il fatto che i Sardi si recavano presso le tombe degli eroi per dormirvi sonni indisturbati e venire liberati dalle visioni. Era un sonno indotto dal sacerdote o dalla sacerdotessa officiante e protratto per giorni, durante i quali il corpo dell’infermo (soprattutto con problemi psichici) veniva posto nei pressi di un edificio in pietra: i nuraghi complessi secondo alcuni o le tombe dei giganti secondo altri. Nel corso di questo lungo sonno molto debilitante, provocato mediante somministrazione continua di funghi e piante soporifere (di facile reperimento in Sardegna) oppure tramite ipnosi, il malato entrava in uno spazio sacro, a metà strada fra il terreno e l’ultraterreno, all’interno del quale avrebbe mutato la propria condizione e avrebbe potuto guarire dai mali del corpo e dello spirito, grazie al contatto spirituale con i propri antenati. I luoghi scelti per ubicare questi siti erano punti della terra dove le emanazioni magnetiche naturali raggiugevano livelli altissimi, tali da attraversare il corpo con effetti benefici. Oggi si parla tanto di magnetoterapia per gli effetti positivi e rigenerativi a favore delle cellule del nostro organismo e della sua capacità straordinaria di interagire con il tessuto osseo, in caso di frattura, e come potente antinfiammatorio. E’ sorprendente che i nostri antenati già conoscessero e praticassero questa tecnica di guarigione, nonostante le poche conoscenze scientifiche, a noi oggi rivelate solo con l’ausilio di sofisticate apparecchiature scientifiche. Imbertighe, Borore (NU) Goronna, Paulilatino (OR)
IL FASCINO DELLE TOMBE DEI GIGANTI Incontriamo le tombe isolate, più raramente in piccoli gruppi, in luoghi oggi completamente disabitati, ma carichi di grande fascino e suggestione. Esse si presentano maestose, con grandi lastroni di pietra, soprattutto basaltica o granitica, che ci fanno pensare ai loro costruttori come individui massicci e forti, giganti insomma, considerato che costruivano anche i grandi e possenti nuraghi. Queste tombe sono costruzioni megalitiche, certo, ma realizzate da uomini normali, ma sicuramente con una grande forza fisica, che, circa 3500 anni fa, non avevano difficoltà a reperire le pietre in una Sardegna fatta di pietra. Molti di questi monumenti oggi appaiono in rovina, ma basta fermarsi a guardare una qualsiasi di queste tombe all’ora del tramonto, all’imbrunire o al crepuscolo per rendersi conto che le ombre che la luce proietta sulla piccola corte antistante l’ingresso della tomba, sembrano ricreare la vita del passato in questo sacro luogo di culto. Ombre in movimento che ci fanno rivivere il via vai di uomini e donne, che certamente animavano questi luoghi sacri, dove i vivi incontravano i loro antenati. Coddu Vecchiu, Arzachena (SS)
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