Le Migrazioni Interne Biassoni Martina 3D Le migrazioni
Le Migrazioni Interne Biassoni Martina 3°D
Le migrazioni nell’Ottocento • Premessa: chi si spostava da una località all’altra trasferiva la sua residenza e quindi veniva iscritto all’anagrafe in cui avrebbe vissuto. • Nell’Ottocento molti spostamenti sono temporanei per cui non venivano registrati all’anagrafe • Conseguenza : Non si hanno stime ufficiali che ci danno le dimensioni di queste emigrazioni
CAUSE DELL’ EMIGRAZIONE La maggior parte della popolazione tra artigiani, ceti rurali delle campagne e operai non riuscivano a nutrire l’intera famiglia così si diffonde la PLURIATTIVITA’ economia fondata sulla combinazione di lavori diversi Molti dei lavori integrativi però non erano solo nelle immediate vicinanze ma anche in altri posti più lontani, di conseguenza le famiglie dovevano EMIGRARE verso il luogo di lavoro. Le attività svolte dagli uomini delle migrazioni che hanno avuto origine nelle aree alpine e appenniniche sono artigianali e commerciali. La mappa degli spostamenti comprendevano l’intero paese dal Nord al Sud: andavano dalle pianure della valle padana alle Maremme toscane, per la trebbiare, dall’agro romano alle grandi pianure del Mezzogiorno fino alla Sicilia per i lavori del grano.
Migrazioni nel Novecento • Gli emigranti stagionali si aggiravano, in base agli accertamenti degli Uffici del lavoro, tra il 727 mila e gli 859 mila all’anno. • Regioni dove si concentra il maggior numero di emigrazioni stagionali: Puglia, Lazio e Basilicata poi Piemonte, Calabria, Sicilia, Lombardia, Sardegna e poi tutte le altre. • Regioni da dove partono i lavoratori per emigrazioni definitive sono: la Puglia seguita dal Lazio, Abruzzo, Molise e Umbria; dopodichè Basilicata, Piemonte, Emilia e poi tutto il paese.
L’analisi della mobilità interna della popolazione diventa dunque l’analisi dell’andamento nel tempo degli spostamenti delle persone sul territorio nazionale, che per la loro natura sono rilevati dalle anagrafi comunali. Negli anni Venti e Trenta ci fu una forte pressione sui comuni dovuta all’interesse speciale che il fascismo mostrò nei confronti della questione demografica e proprio per questo fu creato l’istituto centrale di statistica nel 1926. Con Mussolini poi furono limitati i movimenti della popolazione verso le grandi aree urbane perché secondo lui bisognava evitare che “l’infezione demografica” (cioè la diminuzione della natalità) si diffondesse dalle città al mondo rurale ma questi tentativi di bloccare la mobilità sostanzialmente fallirono, come dimostra l’andamento demografico in città come Torino, Milano e Roma, che evidenzia un forte aumento dei residenti. . Queste città però non erano una meta fissa poiché la popolazione si spostava non solo verso le città ma anche da queste verso le zone rurali oppure vi passava soltanto per raggiungere altre tappe. Le motivazioni che spingevano le persone a emigrare per esempio verso Torino era che in queste città si sviluppano le industrie e così le persone dalle zone rurali puntavano verso le opportunità di lavoro che si concentravano in queste città, pur non avendo sempre intenzione di abbandonare definitivamente la campagna. .
COME CAMBIA LA GEOGRAFIA UMANA DEL PAESE Tra il censimento del 1936 e quello del 1951 si nota come i movimenti al di fuori della registrazione anagrafica erano centinaia di migliaia (circa un terzo dei movimenti complessivi). L’abrogazione nel 1961 delle norme restrittive della mobilità varate dal fascismo, arrivata quando la ripresa economica era in pieno corso, non a caso determinò una vera e propria esplosione di iscrizioni alle anagrafi delle grandi città. Se consideriamo l’intero periodo 1955 -70, il movimento geografico che ha lasciato tracce nella statistica ufficiale avrebbe coinvolto complessivamente quasi 25 milioni di persone. Miriadi di individui si trasferivano da un capo all’altro dell’Italia in una misura che non si era mai verificata prima. Di tutti i trasferimenti di residenza della seconda metà degli anni cinquanta, il 60 -70 % riguardava spostamenti di breve distanza. Tra la metà degli anni cinquanta e il 1970 molti invece si trasferirono stabilmente dal Sud al Nord con la famiglia o creando un famiglia nella località di arrivo.
Dove si Concentrano le emigrazioni? Gli emigranti si addensarono soprattutto nell’Italia settentrionale e centrale, in particolare nelle grandi aree urbane del triangolo industriale. La provenienza degli emigranti era il Mezzogiorno: da qui le persone partivano verso le zone industriali. Il vero decollo delle aree metropolitane avvenne nel corso del miracolo economico, quando decine di centri intorno a metropoli come Milano e Torino moltiplicarono molto velocemente la loro popolazione trasformandosi da borghi semirurali a cittadine con decine di migliaia di abitanti.
LE DONNE NEI MOVIMENTI MIGRATORI SUD-NORD I movimenti di popolazione del lungo miracolo economico verso le aree urbane e industriali sono stati coniugati pressoché esclusivamente al maschile. Le donne risultano scarsamente visibili e gli studi le hanno relegate in una posizione di marginalità. Vi sono diversi motivi per i quali gli uomini sono al centro dell’attenzione, per esempio uno è che gli uomini sono concentrati nella classe operaia della grande industria e quindi le donne nel periodo dello sviluppo industriale veniva messe quasi da parte. In un’indagine condotta nell’area di Milano, Laura Balbo ha individuato tutta una serie di occupazioni femminili che non affioravano alla superficie delle statistiche ufficiali, concentrate in particolare nei servizi a bassa qualificazione, in attività a domicilio di vario tipo. Differenze significative riguardo alla presenza nel lavoro tra donne con diversa provenienza geografica sono state messe in luce all’epoca da ricerche hanno tenuto in conto la variabile territoriale. La specificità del rapporto con il lavoro della componente femminile delle migrazioni risulta anche più chiara, se teniamo conto del modello migratorio prevalente nei movimenti di popolazione del periodo verso le aree del triangolo industriale. Partivano per primi gli uomini; le donne venivano sempre dopo e, quando non contavano nelle località di emigrazione su relazioni proprie, non avevano relazioni al di fuori della rete sociale maschile del partner. Questo accentuava le loro difficoltà di costruirsi una rete femminile nel nuovo contesto e la situazione di isolamento sociale in cui venivano a trovarsi influiva negativamente anche sulla ricerca di un’occupazione.
VERSO UN NUOVO MODELLO DI MOBILITA’ ? La fase di massicci trasferimenti di persone che hanno mescolato la popolazione italiana finì con la metà degli anni settanta. Il 1973 è un anno importante per i movimenti di popolazione in Europa e per la storia delle migrazioni italiane, a causa della fine della fase di espansione economica. Con la seconda metà degli anni novanta le cose accennano a cambiare: si assiste a una ripresa delle migrazioni dal Sud, che riporta in primo piano le difficoltà di queste regioni tradizionalmente segnalate da saldi migratori negativi. I trasferimenti di residenza in altre aree del paese prendono a crescere con regolarità interessando tutto il meridione, con un picco in Campania. L’aspetto di maggiore interesse è costituito dall’emergere in una misura molto rilevante di forme di mobilità che non sono quelle a cui le statistiche ufficiali ci hanno abituato, e che potrebbero essere indicative di mutamenti in atto. Come notano gli osservatori, i flussi migratori recenti dal Mezzogiorno mostrano caratteristiche decisamente diverse dal passato. L’aspetto nuovo di è il prevalere di una mobilità che non implica un trasferimento di residenza e che quindi segna una netta discontinuità con i grandi movimenti interni di popolazione di quarant’anni fa. Le forme in cui tendenzialmente si sviluppa la nuova mobilità del Mezzogiorno colpiscono se confrontate con quella parte di popolazione che ha dato luogo al grande esodo interno degli anni sessanta. Innanzitutto vi è una composizione interna delle correnti migratorie con una forte presenza di giovani ad elevata scolarizzazione. Ma l’aspetto nuovo di gran lunga di maggior peso è rappresentato dal prevalere di una mobilità che non implica un trasferimento di residenza: i meridionali che oggi hanno un’occupazione in altre regioni, restano residenti con le loro famiglie nelle località di origine. Gli studiosi che hanno analizzato le nuove caratteristiche delle migrazioni dal Sud hanno messo anche in luce che rispetto agli anni del miracolo economico, in cui prevalevano i lavori stabili, i contratti di lavoro offerti ai giovani emigrati oggi sono precari.
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