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L’Analisi Transazionale
L’Analisi Transazionale di Eric Berne è una teoria psicologica della personalità e delle relazioni interpersonali, che fonda e costruisce i suoi principi basilari su una originale analisi della comunicazione verbale. Nata in ambito clinico, grazie ad alcune caratteristiche peculiari, si è dimostrata facilmente e produttivamente adattabile anche a contesti non clinici: progressiva diffusione e affermazione in ambiti quali l’organizzazione e la formazione aziendale (Jongeward 1973, Ferrari 1989, Wagner 1990), i campi sociali (Pitman 1985), la scuola etc. (Ernst 1972, De Martino et al. 1990). Il nucleo del suo apparato teorico considera lo sviluppo della persona, a livello sia intrapsichico che dei comportamenti interpersonali, come un processo che si definisce all’interno delle relazioni sociali e attraverso esse. Tanto dal punto di vista dell’elaborazione teorica, quanto da quello della definizione delle prassi terapeutiche, l’Analisi Transazionale (AT) si caratterizza, essenzialmente e in modo costitutivo, per l’attenzione rivolta allo studio della comunicazione interpersonale. Proposta di rilettura dell’AT soprattutto come teoria della comunicazione interpersonale, collocando sullo sfondo la dimensione più strettamente psicologico -psicoterapeutica, 2
L’Analisi Transazionale: contesto storico-teorico e caratteri generali L’AT nasce tra la fine degli anni ‘ 50 e l’inizio degli anni ‘ 60 in California, inserendosi nella temperie che, nel medesimo contesto storico-cultuale e geografico, vedeva svilupparsi movimenti innovatori quali, tra gli altri -la Scuola di Palo Alto di Gregory Bateson, Paul Watzlawick e collaboratori, -la Gestalttherapy di Fritz Perls e, ancor prima, -la psicoterapia rogersiana. Il suo ideatore e padre fondatore è Eric Berne (1910 -1970), psichiatra canadese di formazione psicoanalitica, autore degli scritti maggiori e basilari per la definizione e la sistematizzazione della teoria. Berne elabora i concetti fondamentali dell’AT (stati dell’Io, transazioni, copione di vita, giochi psicologici) e il suo caratteristico ed originale orientamento, che tende a privilegiare l’analisi dei comportamenti manifesti (della comunicazione interpersonale in particolare) rispetto alle interpretazioni di strutture e dinamiche intrapsichiche, proprie della tradizionale impostazione psicoanalitica. Tra gli scritti più noti e importanti ricordiamo Transactional Analysis in Psychotherapy (1961), The Structure and Dynamics of Organizations and Group (1963), Games People Play (1964 a), Principles of Group Treatment (1966), What do You Say after You Say Hello? (1972). 3
Dopo la morte di Berne alcuni suoi collaboratori hanno approfondito l’AT, sotto l’aspetto sia dell’impianto concettuale che della prassi terapeutica, facendo emergere diverse tendenze e Scuole, pur senza mai abbandonare il comune riferimento alla teoria originaria. Ricordiamo, tra le altre, la Scuola di San Francisco (J. Dusay e S. Karpman); la Scuola della Ridecisione (B. Goulding e M. Goulding); la Scuola degli Schiff (A. Schiff e J. Schiff). A partire dagli anni ‘ 70 l’AT inizia a diffondersi al di fuori degli Stati Uniti, in Europa soprattutto. I motivi all’origine del suo successo sono da ricercare nell’originalità dell’impostazione, concepita e divulgata attraverso un linguaggio concreto e accessibile, vicino alla quotidianità. Un linguaggio che riflette il carattere essenzialmente pragmatico dell’AT come teoria e come terapia, un modello fondato sull’osservazione e su principi quali: -la consapevolezza, -l’autonomia psicologica e -la possibilità di un reale cambiamento per l’individuo. 4
I disturbi emotivi e i problemi relazionali, di cui si occupa l’AT come psicoterapia, hanno origine e si esprimono attraverso modelli interazionali di tipo “patologico” (aggettivo da intendere nel senso di “disfunzionale”, “non produttivo”). Tali comportamenti, infatti, appartengono alla cosiddetta “normalità”: sono, anzi, estremamente comuni e ricorrenti nel contesto delle relazioni umane, in quelle significative soprattutto, e, in quanto tali, suscettibili di osservazione e studio da parte dell’analista. La comunicazione interpersonale viene assunta dall’AT come: -fondamentale oggetto d’indagine, ma anche come un -importante strumento operativo: il cambiamento della persona, come obiettivo della terapia o della formazione, passa necessariamente attraverso un cambiamento da adottare e concretizzare nelle modalità comunicative e negli atteggiamenti relazionali, nei confronti di se stessi e degli altri. 5
L’Analisi Transazionale come teoria della personalità Berne (1972; trad. it. 1998, p. 26) definisce l’AT come “una teoria della personalità e del rapporto sociale, e un metodo clinico di psicoterapia, basata sull’analisi di tutte le transazioni possibili fra due o più persone, che si fonda su una specifica definizione degli stati dell’Io”. La centralità assunta dalla comunicazione interpersonale appare chiaramente nella teoria della personalità elaborata da Berne (e, in seguito, dai suoi collaboratori ed allievi): così come sono stati formulati e illustrati, i concetti di stati dell’Io e di copione non possono essere letti se non attraverso una prospettiva interazionale. Concetti fondamentali dell’AT come teoria psicologica della personalità: - Stati dell’Io - Copione di vita 6
Gli stati dell’Io sono le componenti della struttura di personalità di ogni individuo. Secondo Berne, ciascun individuo, a livello intrapsichico, intrapsichico comprende in sé tre “parti” che, sulla base delle rispettive caratteristiche, vengono denominati Genitore, Adulto e Bambino. Tali “etichette” non esprimono concetti teorici o astratti, né, tanto meno, entità separate, disgiunte dalla persona concreta; si tratta, bensì, di denominazioni assegnate per descrivere e spiegare fenomeni osservabili (sia “dall’interno”, attraverso un’autosservazione, che “dall’esterno”, esaminando il comportamento altrui), come un insieme di: emozioni, pensieri e comportamenti che appaiono tra loro coerenti e collegati. 7
La triade, almeno a livello superficiale, ricorda le tre istanze freudiane, Super-io, Io, Es: in realtà, le differenze tra il modello di Berne e quello di Freud risultano piuttosto significative. La somiglianza non sorprende, considerando la formazione psicoanalitica di Berne; tuttavia, dove Super-io, Io e Es rappresentano dei costrutti puramente teorici e generalizzabili, Genitore, Adulto e Bambino, Bambino non solo sono definiti in termini di comportamenti osservabili, ma risultano strettamente legati al singolo individuo: - quando, cioè, un soggetto si trova, ad esempio, nello stato dell’Io Genitore, non agisce semplicemente in modo genericamente “genitoriale”, ma ripropone sentimenti, pensieri e comportamenti dei suoi genitori; - allo stesso modo, quando il soggetto è nel Bambino non si comporta, genericamente, “da bambino”, ma ripropone nel qui e ora comportamenti messi in atto durante la sua infanzia, che si accompagnano ad emozioni e pensieri sperimentati là e allora. 8
Gli stati dell’Io Genitore, Adulto e Bambino includono ciascuno delle influenze provenienti da quelli che Freud chiama Super-io, Io e Es: ad esempio, una persona che si trova nel Genitore riprodurrà sia le inibizioni (Super-io), sia i ragionamenti (Io), sia gli impulsi (Es) dei suoi genitori. Gli stati dell’Io vengono considerati sotto gli aspetti: - strutturale - funzionale 9
Analisi strutturale di primo ordine Ad ogni stato dell’Io corrisponde un insieme strutturato di pensieri, sentimenti e comportamenti coerenti. In ciascun individuo troviamo: a) un Genitore, che pensa, prova sentimenti e mette in atto comportamenti tipici di un genitore e, nello specifico, dei propri genitori o, più in generale, di altre figure genitoriali significative: è la parte che impone regole, valuta e giudica, ma anche quella che si prende cura ed offre protezione; b) un Adulto: la parte razionale, logica, diretta ad organizzare ed elaborare le informazioni, a risolvere i problemi nel qui e ora ( paragone con il computer); c) un Bambino, che riattualizza sentimenti, pensieri e comportamenti agiti dal soggetto nell’infanzia: quando siamo nello stato dell’Io Bambino non siamo semplicemente “infantili”, ma diamo voce alla parte di noi più legata alle emozioni, spontanea, intuitiva e creativa, ma anche soggetta ad adattamenti. 10
Stato dell’Io Genitore G Stato dell’Io Adulto A Stato dell’Io Bambino B Diagramma strutturale di primo ordine 11
Gli stati dell’Io sono costantemente in azione negli individui, sia a livello intrapsichico (dialogo interno), sia a livello interpersonale (nelle relazioni sociali e comunicative). Tutti e tre gli aspetti costituitivi della personalità sono ugualmente importanti per l’esistenza e il sano equilibrio di un individuo. Quando una di queste componenti tende a travalicare i suoi confini, a prevalere nettamente sulle altre o a venirne esclusa parliamo di patologie degli stati dell’Io. Si parla di patologie degli stati dell’Io quando un individuo mostra di non riuscire ad utilizzare in modo equilibrato e produttivo, alternativamente, tutte e tre le componenti della sua personalità. Le fondamentali patologie degli stati dell’Io sono: - la contaminazione e - l’esclusione. In caso di patologie degli stati dell’Io, la terapia AT interviene per riorganizzare e ristabilire l’equilibrio interiore dell’individuo. In realtà, la strutturazione interna degli stati dell’Io proposta dall’AT è molto più articolata e complessa: Berne ipotizza, infatti, ulteriori componenti all’interno di ciascuno di essi, considerando sia l’aspetto del contenuto e della costituzione storica (analisi strutturale di secondo ordine), sia l’aspetto del funzionamento (analisi funzionale). 12
Analisi strutturale di secondo ordine Oggetto dell’analisi strutturale di secondo ordine sono: 1) il contenuto di ciascun stato dell’Io 2) il modo in cui, “storicamente”, esso è andato costituendosi nell’individuo a partire dalla primissima infanzia. G G G… G 2 A A A… B B B… A 2 G 1 B 2 A 1 B 1 Diagramma strutturale di secondo ordine 13
Nello stato dell’Io Genitore, a livello strutturale (G 2), troviamo archiviati i messaggi inviati dalle figure genitoriali autorevoli (genitori, in primo luogo, ma anche nonni, fratelli maggiori, educatori etc. ) a partire dai loro tre stati dell’Io, dunque, in generale, le “registrazioni” dei loro comportamenti. Lo stato dell’Io Adulto, a livello strutturale (A 2), non risulta ulteriormente suddiviso. Esso è definito come quell’insieme di pensieri, emozioni e comportamenti che l’individuo mette in atto come risposta appropriata al qui e ora. Nell’Adulto risultano archiviate le strategie funzionali all’esame della realtà e al problem-solving che l’individuo ha a disposizione in quanto persona adulta e razionale. L’A 2, inoltre, consente di esaminare e valutare i messaggi genitoriali. 14
Lo stato dell’Io Bambino (B 2) contiene una serie di esperienze e vissuti sperimentati dall’individuo durante l’infanzia. Nello specifico: - il Genitore nel Bambino (G 1) contiene le regole e i modelli di comportamento assunti dal bambino in risposta ai messaggi e alle attese genitoriali. I comportamenti che “funzionano” vengono archiviati, riproposti e rinforzati fino a divenire routines automatizzate. Parte strutturale del Bambino chiamata anche l’Elettrodo, per evidenziare l’automaticità delle sue risposte a determinati stimoli ambientali; - l’Adulto nel Bambino (A 1) è un’etichetta che si applica a tutto l’insieme di strategie di cui dispone il bambino per risolvere i problemi: strategie basate non sulla logica e la razionalità, ma sul pensiero intuitivo, creativo, pre-logico; strategie che si esprimono in pensieri, sentimenti e comportamenti, che l’individuo adulto ha immagazzinato e a cui può ancora accedere. Parte strutturale del Bambino anche denominata Piccolo Professore; - il Bambino nel Bambino (B 1), detto anche Bambino Somatico, raccoglie le emozioni, i bisogni, gli impulsi e i desideri corporei: rimane presente lungo tutto l’arco della vita dell’individuo e opera come motivazione primaria per il comportamento. 15
Analisi funzionale degli stati dell’Io Oggetto dell’analisi funzionale è il modo in cui gli stati dell’Io funzionano e si manifestano in un dato momento. In altri termini, essa descrive, sulla base di comportamenti osservabili, come un individuo, concretamente, nel qui e ora, utilizza i suoi stati dell’Io. Il modello strutturale si applica agli aspetti intrapsichici della personalità, il modello funzionale agli aspetti interpersonali. L’osservazione delle interazioni umane, cioè, ci consente di considerare e descrivere il livello funzionale, ma non quello strutturale. Come mostra il successivo diagramma, gli stati dell’Io Genitore e Bambino vengono ulteriormente divisi al loro interno in parti funzionali: in relazione al primo parliamo di Genitore Normativo (GN) e Genitore Affettivo (GA), per il secondo di Bambino Adattato (BA) e Bambino Libero (BN). 16
Genitore Normativo GN GA A Adulto Bambino Adattato BA BL Genitore Affettivo Adulto Bambino Libero Diagramma funzionale degli stati dell’Io 17
Lo stato dell’Io Genitore Normativo (o Genitore Critico), in generale, dà conto di quegli atteggiamenti e comportamenti, riscontrabili in ciascun individuo, che risultano legati ad un sistema di regole attraverso cui percepiamo, interpretiamo e valutiamo il mondo che ci circonda. Lo stato dell’Io Genitore Affettivo si manifesta, invece, attraverso atteggiamenti e comportamenti benevoli e rassicuranti, come il prendersi cura, l’offrire protezione, il dimostrare sollecitudine, premura e affetto. Importante sottolineare che gli aggettivi Normativo e Affettivo non hanno di per sé una connotazione negativa o positiva (a volte è di fondamentale importanza, per la salute psico-fisica e per la vita sociale, attenersi a delle regole di comportamento; allo stesso modo, il permissivismo o l’eccesso di cure e protezione possono rivelarsi estremamente dannosi o, addirittura, pericolosi per l’individuo e le relazioni). L’AT distingue, infatti, gli aspetti positivi e negativi degli stati dell’Io funzionali parlando di: -Genitore normativo positivo -Genitore normativo negativo -Genitore affettivo positivo -Genitore affettivo negativo Lo stato dell’io Genitore, dal punto di vista funzionale, può agire secondo due modalità: esternamente e internamente (Edwards 1966): nel primo caso parliamo di 18 Genitore Attivo, nel secondo di Genitore Influenzante.
Nel modello funzionale lo stato dell’Io Adulto, come mostra il diagramma, non presenta suddivisioni interne. Si tende, infatti, a considerare come espressione dell’Adulto quei comportamenti (compresa la manifestazione di pensieri e sentimenti) che costituiscano una risposta appropriata alla situazione “qui e ora” e che utilizzino le risorse cognitive e emotive della persona adulta. Lo stato dell’Io Bambino, invece, funziona secondo due modalità fondamentali. L’individuo adulto può üriproporre atteggiamenti e comportamenti che da bambino utilizzava per adeguarsi alle attese dei propri genitori o delle figure parentali significative (Bambino Adattato); oppure può semplicemente ümettere in atto comportamenti, agiti durante l’infanzia, non censurati, spontanei e autonomi rispetto alle regole e alle aspettative altrui (Bambino Libero). Il Bambino Adattato si comporta come se ci fosse un genitore che lo osserva e lo controlla. Da adulti possiamo riproporre un analogo adattamento anche nei confronti di figure che viviamo come genitoriali, significative o di potere (il partner, il capoufficio, il medico etc. ). Questo conformarsi alle attese altrui può essere dettato dalla volontà di compiacere e può esprimersi attraverso un atteggiamento disponibile, servizievole, accondiscendente o arrendevole: gli analisti transazionali parlano in proposito di Bambino Adattato Compiacente. 19
L’adattamento alle attese genitoriali può operare anche con modalità molto diverse e, piuttosto che dalla volontà di compiacere, può essere determinato dalla volontà di contestare le regole e di ribellarsi ad esse: entra, allora, in funzione il Bambino Adattato Ribelle. In altri casi gli individui possono comportarsi in modo spontaneo, senza adattarsi alle aspettative altrui, né compiacendo né contestando. In tali casi siamo a contatto con i nostri autentici sentimenti e desideri ed agiamo sulla base di essi, senza dar troppo peso alle reazioni altrui. Le nostre reazioni sono sincere, autonome, dirette e non finalizzate ad ottenere approvazione o vantaggi: stiamo rivivendo e riproponendo sentimenti, pensieri e comportamenti spontanei agiti durante l’infanzia. In tali casi si dice che siamo nello stato dell’Io Bambino Libero. Naturalmente, anche i comportamenti del BL possono essere classificati come positivi (produttivi e finalizzati alla crescita e al benessere della persona e delle relazioni) o negativi (anche se spontanei, non produttivi e lesivi nei confronti della persona e delle relazioni). 20
Diagnosi degli stati dell’Io Berne (1961) ha indicato quattro vie per diagnosticare gli stati dell’Io in azione in un dato momento: 1. la diagnosi comportamentale: si effettua osservando il comportamento di una persona e, in particolare, un insieme di elementi quali le parole usate, il tono della voce, i gesti, gli atteggiamenti corporei e le espressioni facciali. I segnali di cui tiene conto la diagnosi comportamentale sono dei semplici indizi da suffragare, sia verificando la congruenza tra i segnali, sia attraverso gli altri tre tipi di diagnosi. 2. la diagnosi sociale: si effettua osservando il genere di transazioni che una persona instaura con gli altri. Il concetto alla base di questo tipo di diagnosi è che spesso gli altri si rapportano a noi a partire da uno stato dell’Io complementare a quello da noi attivato: pertanto, notando lo stato dell’Io da cui gli altri si rivolgono ad un individuo, possiamo avere una verifica dello stato dell’Io in cui si trova l’individuo stesso. Possiamo usare anche le nostre stesse risposte per identificare lo stato dell’Io attivato dal nostro interlocutore (ad es. , se tendiamo ad assumere atteggiamenti genitoriali, probabilmente l’altro si sta rivolgendo a noi dal suo Bambino Adattato). 21
3. la diagnosi storica: viene effettuata dal terapeuta attraverso delle domande dirette ad indagare la storia passata del cliente, proprio al fine di confermare impressioni derivanti dalle diagnosi comportamentale e storica. Generalmente le domande si focalizzano su come era la persona da bambino, su come si comportavano i suoi genitori etc. Attraverso tale procedura l’analista ricava informazioni per ciò che concerne il livello sia funzionale, sia strutturale degli stati dell’Io dell’individuo. 4. la diagnosi fenomenologica: è effettuata, sempre all’interno del contesto clinico, mediante un auto-esame da parte del cliente, che non si limita solo a ricordare eventi del suo passato, ma li riesperisce nel “qui e ora”, in tutta la loro intensità. Il terapeuta può invitare il cliente a ritornare ad una scena infantile e a riviverla per entrare in contatto con i suoi sentimenti e con ciò che può essere all’origine di un disturbo comportamentale e/o relazionale. A tale scopo il terapeuta può utilizzare tecniche specifiche (ad es. , la doppia sedia), miranti ad intensificare l’esperienza stessa, al fine di far emergere emozioni e vissuti celati nelle pieghe della memoria o censurati dal Genitore. 22
La formazione del copione e il modello decisionale Le interazioni comunicative hanno una rilevanza e un impatto notevoli anche nella formazione del copione. Secondo l’AT ogni individuo, già dalla prima infanzia, attraverso le interazioni familiari (verbali e non verbali), impara ad agire comportamenti specifici e decide un piano di vita (con un inizio, uno svolgimento e una fine stabiliti) che determinerà il suo modo di pensare, sentire ed agire da adulto. Tali decisioni, fortemente influenzate dai messaggi genitoriali e rinforzate tanto da chi invia i messaggi quanto dagli avvenimenti esterni, si traducono in un repertorio di risposte modello che vanno ad integrarsi in un copione di vita globale. C. Steiner (1974) ha elaborato in proposito il concetto di matrice del copione, un diagramma che individua e classifica i diversi messaggi (verbali e non verbali, espliciti e impliciti) che le figure genitoriali inviano ai bambini fin dai primi giorni di vita e che hanno un’influenza determinante rispetto a quelle che saranno le decisioni di copione: 23
Matrice del copione (Steiner) • I genitori inviano messaggi dal loro GAB madre Io padre G spint/ord G A progr B ingiunz A B progr A ingiunz B 24
- spinte o ordini: messaggi che si originano dallo stato dell’Io Genitore dei genitori e diretti verso lo stato dell’Io Genitore dei figli; consistono in comandi su cosa fare e non fare, implicando definizioni degli altri e del mondo. Kahler (1974) li suddivide in cinque categorie: Sii forte, Sii perfetto, Compiaci, Sbrigati e Sforzati. - programma: messaggi provenienti dall’Adulto del genitore e diretti all’Adulto del bambino, che contegno istruzioni pratiche su “come fare le cose” e, nello specifico, su come attuare il copione. - ingiunzioni: messaggi, verbali e non verbali, trasmessi spesso inconsapevolmente, provenienti dallo stato dell’Io Bambino dei genitori e diretti verso lo stato dell’Io Bambino dei figli. Sono messaggi formulati in negativo e caratterizzati come una serie di divieti che possono essere diretti all’essere, al fare, al pensare e al sentire della persona (Goulding e Goulding 1976 individuano tredici ingiunzioni fondamentali, tra cui Non esistere – ingiunzione primaria – , Non essere te stesso, Non stare in intimità, Non appartenere, 25 Non godere, Non pensare, Non sentire).
Spinte, programmi e ingiunzioni vengono definiti messaggi di copione: essi contribuiscono, infatti, alla formazione e al consolidamento del copione. Accanto ai messaggi di copione, però, troviamo altri messaggi genitoriali che si caratterizzano come antitetici ed antidoti rispetto alle ingiunzioni e allo stesso copione: sono i permessi, che possono provenire da uno qualsiasi degli stati dell’Io e che assumono l’aspetto di autorizzazioni (ancora, ad essere, a fare, a pensare e a sentire) e inviti alla scelta autonoma. 26
Il bambino, che riceve la gran parte delle informazioni e delle definizioni della realtà dai suoi genitori, seleziona questi messaggi ed elabora una sua risposta, risposta cercando di individuare quali comportamenti verranno accolti favorevolmente. In tal modo si determinano le decisioni di copione, che restano al di fuori della consapevolezza, e si stabiliscono i presupposti di quelli che potranno divenire disturbi emotivi, come un compromesso tra il desiderio del bambino di soddisfare i propri bisogni e quello di mantenere l’accordo con le figure genitoriali, il tutto unito all’esigenza di dare una spiegazione coerente al proprio mondo. Il concetto di copione risulta intimamente legato a quello di posizione di vita (o esistenziale o di base). Berne (1972) afferma che il bambino piccolo, agli inizi del processo di formazione del copione, ha già assunto certe convinzioni – su se stesso, sulle persone che lo circondano, sul mondo e sulla vita in generale – che possono essere riassunte nelle quattro seguenti asserzioni: 27
1) Io sono OK, tu sei Ok: la cosiddetta posizione sana: l’individuo ha un atteggiamento positivo verso se stesso, gli altri e la vita. 2) Io sono OK, tu non sei Ok: la cosiddetta posizione paranoide: l’individuo dimostra di non aver fiducia negli altri, mostra atteggiamenti accusatori ed è soggetto a reazioni di rabbia. 3) Io non sono OK, tu sei Ok: è la posizione depressiva: accompagnata da depressione, senso di colpa, paura e sfiducia in se stessi. 4) Io non sono OK, tu non sei Ok: è la posizione di rinuncia o di inutilità: è assunta da persone che sono state così infelici da decidere che né loro stessi, né nessun altro valgono qualcosa. L’atteggiamento è di totale sfiducia in se stessi, negli altri e nella vita. 28
Una volta adottata, in modo preferenziale, una di queste posizioni, il bambino tenderà a costruire il proprio copione in modo che sia coerente con essa. La posizione di vita è solitamente decisa nella prima infanzia come risposta al modo in cui le figure genitoriali reagiscono alle espressioni di bisogni e sentimenti. Una volta decisa la propria posizione di base, la persona sarà anche portata a selezionare gli stimoli che riceve in modo da mantenere la posizione e confermare la decisione originaria. “Il fatto che una persona abbia assunto una posizione esistenziale non significa che si rapporterà alle altre persone del suo ambiente sempre da quella posizione. Significa solo che passerà la maggior parte del tempo in quella posizione e manipolerà o interpreterà la maggior parte delle esperienze in modo che quella decisione di base venga confermata. Osservandolo di minuto in minuto, sembrerà passare da una posizione all’altra, a seconda dell’umore, delle finalità che si propone e della situazione. E’ importante non confondere questi stati emotivi con cambiamenti della posizione esistenziale, che rimane costante nel tempo” (Wollams, Brown 1978; trad. 19984, p. 171). 29
Il copione di vita possiede la caratteristica di dover essere sempre e costantemente confermato: l’individuo, secondo Berne, ricerca tali conferme proprio attraverso modelli di comunicazione disfunzionali (giochi), agiti in modo spesso inconsapevole, che, pur determinando sofferenza e infelicità, permettono all’individuo stesso di ottenere un “tornaconto”, vale a dire il rafforzamento delle proprie convinzioni di copione e della posizione esistenziale prescelta. Da un lato, Berne e gli analisti transazionali hanno, da sempre, rimarcato l’impatto poderoso e gli effetti a lungo termine dei fenomeni di comunicazione (dei messaggi genitoriali in particolare) in ordine alla formazione del copione così come alla genesi e allo sviluppo dei disturbi emotivi; dall’altro, tuttavia, si sono fatti recisamente sostenitori di un modello “decisionale”, in base al quale sia il piano di vita individuale, sia la posizione di vita, sia, in generale, i comportamenti, i pensieri e i sentimenti sono frutto di una scelta personale ed autonoma e non di un adeguamento passivo alle istanze provenienti dall’esterno. Tale concezione implica – e si tratta di un principio cardine della terapia AT che così come gli individui nell’infanzia hanno preso delle decisioni, una volta adulti e divenuti consapevoli dei propri problemi, possono ridecidere (Goulding, Goulding 1976) ed attuare, in qualsiasi momento, quei cambiamenti necessari per uscire dalle impasses e dalla spirale dei comportamenti di copione. 30
L’Analisi transazionale come teoria psicologica della comunicazione interpersonale L’attenzione e la centralità che l’AT riserva all’osservazione e allo studio delle interazioni umane e, in particolare, della comunicazione verbale si riflettono chiaramente nella formulazione di alcuni dei suoi principi basilari. Il fatto che la stessa teoria di Berne prenda il nome e si definisca primariamente come “analisi delle transazioni” appare quanto mai sintomatico di tale centralità. Nozioni cardine dell’AT come teoria della comunicazione interpersonale: - transazione: l’unità fondamentale di analisi. - strutturazione del tempo: le modalità secondo cui gli individui organizzano le interazioni sociali. Descrive alcuni modelli dialogici tipici e generali che riproducono le attività comunicative che è possibile porre concretamente in atto. Particolare attenzione per il gioco psicologico. 31
Le transazioni e le regole della comunicazione L’AT “propriamente detta” si basa sull’analisi rigorosa di singole transazioni prodotte da due (o più) interlocutori a partire da specifici stati dell’Io (Berne 1972). E’, dunque, tale metodologia di analisi che dà il nome all’intero e complesso impianto teorico elaborato da Berne e collaboratori. La transazione viene definita da Berne come l’unità del rapporto sociale (1964 a, 1972). Essa consiste nella coppia rappresentata da uno “stimolo” e da una “risposta” tra stati dell’Io specifici di due interlocutori. “La si definisce transazione perché ognuna delle due parti in causa ne ricava qualcosa che è poi la ragione per cui vi si impegna” (Berne 1972, trad. it. 1997, p. 26). L’AT, nella sua espressione più semplice, si occupa di identificare quale stato dell’Io ha provocato lo “stimolo transazionale” e quale ha messo in moto la “reazione transazionale”. 32
Berne identifica tre tipi fondamentali di transazioni, a cui vengono rispettivamente correlate ad altrettante regole con valore predittivo sull’esito delle transazioni stesse: 1) le transazioni parallele o complementari, caratterizzate dal fatto che la risposta transazionale parte dallo stato dell’Io (dell’interlocutore Y) a cui era diretto lo stimolo transazionale e ritorna allo stato dell’Io (dell’interlocutore X) che aveva prodotto lo stimolo stesso. Es. G G A A B B X: “Che ore sono? ” Y: “Sono le tre. ” 33
Es. G G A A B B X: “Sei sempre in ritardo!” Y: “Scusami!” La 1 a regola della comunicazione, correlata alle transazioni parallele o complementari, prescrive che, di norma, tali transazioni potrebbero proseguire per un tempo indefinito senza che si verifichino “intoppi” nella comunicazione. 34
2) le transazioni incrociate, caratterizzate dal fatto che la risposta transazionale parte da uno stato dell’Io (dell’interlocutore Y) diverso da quello cui era diretto lo stimolo transazionale e ritorna ad uno stato dell’Io (dell’interlocutore X) diverso da quello che aveva prodotto lo stimolo stesso. Es. G G A A B B X: “Che ore sono? ” Y: “Hai di nuovo dimenticato l’orologio, vero? ” La 2 a regola della comunicazione, associata alle transazioni incrociate, prescrive che, di norma, quando tali transazioni si verificano la comunicazione si interrompe o subisce un brusco cambiamento di argomento. 35
3) le transazioni ulteriori, caratterizzate da due strutture di transazioni complementari simultanee che veicolano messaggi su un duplice livello, uno sociale o superficiale e uno psicologico, nascosto o ulteriore; gli stati dell’io coinvolti sono quattro (due per ciascun interlocutore) nelle transazioni ulteriori duplici o tre (due per uno degli interlocutori e uno per l’altro) nelle transazioni ulteriori angolari. Livello sociale Livello psicologico G G A A B B X: “Ti è piaciuto il mio discorso? Y: “Sì, non era male” X: “Non era un granché, vero? ” Y: “Non mi è piaciuto” 36
Livello sociale Livello psicologico G G A A B B X: “I saldi terminano domani” Y: “Allora lo compro!” X: “Compralo ora, non starci a pensare!” La 3 a regola della comunicazione, associata alle transazioni ulteriori, prescrive che l’esito delle transazioni sarà determinato dal livello psicologico della comunicazione e non da quello sociale. 37
Fame di stimolo, di riconoscimento, di struttura. Le carezze Berne nell’introduzione di “Games People Play” (1964) parla di tre bisogni fondamentali per la salute psicofisica umana, che spingono le persone ad entrare in relazione le une con le altre, guidandole nella strutturazione dei rapporti sociali. Tali bisogni, ordinati secondo una scala crescente sia dal punto di vista della complessità, sia in relazione alle fondamentali tappe evolutive dell’individuo, vengono rispettivamente denominati: (1) fame di stimolo (2) fame di riconoscimento (3) fame di struttura. (1) Gli individui, sin dai primi giorni di vita, avvertono il bisogno primario di stimolazioni. “Dal punto di vista biologico, è probabile che la privazione emotiva e sensoria tenda ad instaurare o almeno a favorire dei mutamenti organici. (…) Si può dunque postulare l’esistenza di una catena biologica che va dalla privazione emotiva e sensoria all’apatia e di qui alle modifiche generative e alla morte. In questo senso la fame di stimolo ha con la sopravvivenza dell’organismo umano lo stesso rapporto della fame di cibo. ” (Berne 1964 a; trad. it. 19973, p. 14, corsivo nostro). 38
(2) La fame di stimolo infantile subisce una sorta di processo di sublimazione e si trasforma nell’individuo adulto in fame di riconoscimento sociale: gli esseri umani, per salvaguardare la loro salute fisica e mentale, hanno bisogno di essere riconosciuti dagli altri. Berne utilizza il termine carezza (stroke), per estensione, per designare “ogni atto che implichi il riconoscimento di un’altra persona” (Berne 1964 a; trad. it. 19973, p. 16). La carezza rappresenta, dunque, l’unità fondamentale dell’azione sociale: una transazione, unità del rapporto sociale, può essere definita anche come uno scambio reciproco di carezze. Le carezze possono essere: -verbali e non verbali (spesso, in realtà, comprendono entrambi gli aspetti) -positive (cioè vissute da chi le riceve come piacevoli; il messaggio che veicolano è “tu sei OK”) e negative (cioè esperite come spiacevoli; il messaggio che veicolano è “tu non sei OK”). A tal proposito, Berne sottolinea come la naturale tendenza degli individui a ricercarezze non sia tanto vincolata dalla valutazione della loro positività: il principio che ci guida è “qualsiasi tipo di carezza è meglio di nessuna carezza”. -esterne e interne. Le prime sono quelle che riceviamo dalle altre persone e che soddisfano la fame di riconoscimento sociale. Le seconde sono rappresentate dagli stimoli che partono sia da fonti esterne inanimate (ad es. la natura, la musica etc. ), sia da fonti interne quali ricordi, fantasie o altre forme di autostimolazione (ad es. il movimento, il cibo etc. ). 39
-condizionate e incondizionate. Nel primo caso si tratta di un riconoscimento della persona correlato ad un fare; carezze di questo tipo spesso possono essere utilizzate sia per fornire un feedback, sia per ratificare, sanzionare o cercare di influenzare un comportamento altrui (il messaggio che possono veicolare è “tu sei OK se…”). Le carezze incondizionate sono invece rivolte all’essere della persona (ad es. a caratteristiche fisiche o interiori) e non richiedono, dunque, alcun impegno particolare da parte di chi le riceve. Naturalmente il valore delle carezze e, dunque, il loro “potere” variano sensibilmente in considerazione della fonte da cui provengono ( più le persone sono significative, maggiore sarà l’impatto dei medesimi gesti, atteggiamenti o parole). Inoltre, il modo in cui percepiamo le carezze può non corrispondere alla loro reale valenza o alle intenzioni della persona da cui provengono. Ogni individuo ha un suo particolare filtro di carezze che funziona selettivamente, in modo tale da lasciarne entrare alcune e lasciarne fuori altre. Questo processo di filtraggio è influenzato dalle propensioni, dagli interessi e dalle convinzioni individuali. Le carezze possono, dunque, essere accettate, respinte, o modificate proprio per superare il filtro. 40
Il filtro delle carezze può essere usato per mantenere le decisioni di copione, lasciando entrare informazioni che confermano tali decisioni e lasciando fuori informazioni che le contraddicono. In questo senso il filtro delle carezze funzionerebbe come meccanismo per la conservazione del quadro di riferimento della persona, inteso come l’insieme di convinzioni su se stesso, sugli altri e sul mondo. (3) La terza fame di cui parla Berne, la fame di struttura, si può concepire come un’estensione della fame di stimolo e di riconoscimento, in quanto per il soddisfacimento di tali bisogni è necessario che si stabiliscano delle situazioni, strutturate in modo più o meno complesso, in cui gli individui possano scambiarsi carezze. Con la nozione di strutturazione del tempo Berne intende riferirsi all’insieme delle modalità che gli individui hanno a disposizione e mettono in atto sia “per riempire le ore di veglia” ed evitare la noia, sia, appunto, per dare e ricevere carezze. 41
Strutturazione del tempo strutturazione della comunicazione Gli individui avvertono il bisogno di strutturare il proprio tempo attraverso il loro comportamento sociale. Esso si esplica attraverso la comunicazione e, dunque, attraverso le transazioni. In questo senso, la strutturazione del tempo, introdotta da Berne come categoria generale entro cui ricadono tutte le possibili serie di transazioni, può essere vista come una forma di “strutturazione della comunicazione” (Zuczkowski 1999). Infatti, ad eccezione del caso limite dell’isolamento, le altre possibili modalità per strutturare il tempo, vale a dire, rituali, passatempi, attività, giochi e intimità, rappresentano, secondo Berne, l’intero spettro di opzioni comunicative di cui gli individui dispongono quando decidono di entrare in relazione gli uni con gli altri. Si tratta di strutture interazionali, cioè modelli definiti e ricorsivi, individuati osservando il modo in cui le persone comunicano concretamente nella vita quotidiana. Secondo Berne, quando i parlanti danno vita ad una serie di transazioni, devono necessariamente ricorrere ad almeno uno di tali modelli: qualsiasi tipo di interazione verbale avviene all’interno di una di queste strutture. 42
Isolamento, rituali, attività e passatempi (1) L’isolamento rappresenta un “caso limite” all’interno delle modalità di strutturazione del tempo. Gli individui possono strutturare il proprio tempo nell’isolamento, sia allontanandosi fisicamente dagli altri, sia restando accanto a qualcuno o all’interno di un gruppo di persone ma ritirandosi mentalmente: il denominatore comune è dato dalla sospensione delle transazioni con altri individui. Le transazioni, nel caso dell’isolamento, avvengono solo internamente alla persona, esplicandosi attraverso un dialogo interiore. Tale forma di strutturazione del tempo, almeno dal punto di vista interpersonale, è solitamente “sicura” e richiede uno scarso investimento emotivo. In una certa misura l’isolamento è un comportamento sano, normale e spesso arricchente in quanto funzionale alla riflessione e alla conoscenza di sé. Ovviamente, strutturare il proprio tempo prevalentemente isolati dagli altri può risultare disfunzionale per la vita sociale e salute psicofisica degli individui fino a sconfinare, nei casi più gravi, in una vera e propria patologia (depressione, pensiero autistico, fantasie paranoiche etc. ). 43
(2) I rituali sono scambi fortemente schematizzati, solitamente prevedibili: le persone coinvolte in un rituale danno come l’impressione di leggere le proprie battute da un copione. I rituali possono essere sia informali (ad es. i saluti), sia formali e rispondenti a precisi cerimoniali (ad es. una funzione civile o religiosa). I rituali informali si compongono di una serie limitata di transazioni complementari, brevi e semplici, comunicano poche informazioni e sono sostanzialmente segnali di reciproco riconoscimento sociale. I rituali formali possono anche essere molto lunghi e complessi e coinvolgere un gran numero di persone. In ogni caso si tratta di scambi fortemente stereotipati, pre-programmati a livello sociale, di breve durata e a bassa “intensità emotiva”, che forniscono agli individui una limitata, ma significativa, dose di familiari carezze positive. Le altre modalità di strutturazione del tempo rappresentano, per usare un’espressione di Berne, “ciò che gli individui fanno dopo essersi salutati” (Berne 1972). 44
(3) Le attività sono ciò che viene comunemente chiamato “lavoro”: l’energia è rivolta verso fonti esterne (oggetti o pensieri), in vista di un obiettivo concreto. Si tratta di forme di rapporto sociale ancora piuttosto “sicure”, “poco rischiose” e con un carico emotivo variabile a seconda della persona o della situazione, ma comunque non molto elevato. Le transazioni tipiche di questa modalità di strutturazione del tempo sono complementari, orientate verso la realtà esterna e sono programmate sulla base del materiale (fisico o intellettuale) trattato. Lo stato dell’Io coinvolto è prevalentemente l’Adulto, che cerca di risolvere concretamente e razionalmente un problema sulla base delle proprie competenze. Le attività procurano carezze condizionate esterne, che possono essere sia positive (riconoscimenti e lodi per un lavoro ben svolto) che negative (critiche, richiami, rimproveri etc. ), ma anche carezze condizionate interne (come autocompiacimento o autocritica). Le attività, inoltre, possono fornire un contesto in cui attivare altre forme di strutturazione del tempo: ad esempio, due persone che passano una gran quantità di tempo lavorando insieme ad un progetto possono iniziare a conoscersi e a dar vita facilmente a passatempi, ma anche ad entrare nei giochi o nell’intimità. 45
(4) I passatempi rappresentano una categoria molto vasta e, anche per questo, un modo di strutturare il tempo estremamente diffuso. Sono scambi tipici e caratterizzati da una certa ripetitività, ma non schematici e prevedibili come i rituali. Sono costituiti da una serie di transazioni complementari semi-ritualistiche ruotano attorno ad un singolo argomento o ad una classe di argomenti. Non sono rigidamente codificati come i rituali, ma esiste un tacito accordo tra le persone coinvolte nel seguire una certa linea di condotta nella discussione, come se ci fosse uno schema o canovaccio generale I passatempi sono tipici dei vari trattenimenti e dei periodi di attesa ed hanno come obiettivo principale e riconosciuto quello di strutturare, di riempire un intervallo di tempo sottraendo spazio ad un silenzio, spesso, socialmente poco accettato. Possono assumere la forma delle “quattro chiacchiere”, del “parlare del più e del meno” o diventare più seri e prendere, ad esempio, un carattere polemico. Le persone si scambiano opinioni, pensieri e sentimenti su argomenti di solito relativamente innocui. Esistono tipi di passatempi vari e piuttosto eterogenei, considerando tanto le persone coinvolte, quanto i temi in discussione. Le determinanti esterne sono sociologiche (ad es. , sesso, età, ambiente socio-culturale etc. ). 46
La lista degli argomenti, poi, può essere allargata in modo indefinito e include l’intero spettro degli interessi personali: Berne (1964 a) cita, tra gli altri, i “discorsi da uomini” e i “discorsi da donne”, con tutte le possibili declinazioni specifiche (ad esempio, “Auto e Motori” e “Campionato di calcio”, nel primo caso, e “Vestiti” e “Cucina”, nel secondo), i “discorsi da genitori” (ad esempio “Delinquenza giovanile” e “Non è terribile? ”) e i “discorsi da adolescenti” (ad esempio “Come ti regoli con i genitori che non ne vogliono sapere? ”) In base ad una classificazione transazionale, considerando gli stati dell’Io coinvolti, si possono avere passatempi a livello di Bambino-Bambino, Genitore-Genitore, Genitore-Bambino; anche se più raramente, possono darsi anche dei passatempi Adulto-Adulto. Oltre a fornire una strutturazione del tempo e a procurare un piacevole riconoscimento reciproco, i passatempi hanno una funzione ulteriore come processi di selezione sociale per dar vita a rapporti più complessi. Essi, infatti, permettono di raccogliere informazioni sulle idee e gli interessi dell’altra persona; servono a scegliere conoscenti e possono portare alle amicizie. Un passatempo, normalmente, può anche combinarsi con un’attività, così come può sfociare in un gioco o gettare le basi per l’intimità. Questa modalità di strutturazione del tempo comporta anche un altro importante vantaggio: grazie ai passatempi gli individui confermano le proprie opinioni e convinzioni e consolidano i ruoli interazionali assunti di preferenza, gli atteggiamenti mentali, le posizioni esistenziali etc. 47
(5) I giochi psicologici L’interesse di Berne e degli analisti transazionali si è concentrato soprattutto su quella modalità di strutturazione del tempo denominata gioco psicologico. I giochi sono fenomeni comunicativi “patologici”, vale a dire disfunzionali, ma estremamente diffusi, in particolare nel contesto delle relazioni significative. l’AT nasce e si sviluppa in un contesto clinico, dunque non stupisce il focus posto sulla comunicazione “problematica”, che diviene terreno privilegiato dell’osservazione e dell’intervento terapeutico. Ma al di là delle specifiche finalità dell’AT, le accurate ed incisive analisi dei giochi che Berne fornisce risultano tuttora estremamente originali e interessanti per il ricercatore che si occupa, soprattutto da una prospettiva psicologica, in generale di interazioni verbali e, in special modo, dello studio del conflitto comunicativo o di quella che viene genericamente definita comunicazione “obliqua” (Mizzau 1984, 1998, 2002) o “discomunicazione” (Anolli 2002). I giochi individuati, descritti e analizzati da Berne sono, infatti, strettamente correlabili con il concetto di conflitto: essi, da un lato e in gran parte, rappresentano degli esempi tipici di conflitto comunicativo, aperto o coperto (Mizzau 2002), dall’altro vengono espressamente riconosciuti quali fonte e alimento dei conflitti relazionali. 48
I giochi hanno una struttura tipica, costituita da una serie di mosse in sequenza, stabilite e ricorrenti: la denominazione “gioco” si riferisce proprio a tale struttura, fatta di manovre “strategiche”. I giochi vengono definiti come dei modelli ricorsivi di transazioni dall’esito prevedibilmente infelice che conducono le persone che vi ricorrono a provare sentimenti spiacevoli e a sperimentare un tornaconto, vale a dire, la conferma di quella certa visione del mondo, di sé e degli altri che si è scelto di adottare. I giochi sono anche, essenzialmente, dei comportamenti appresi fin dalla prima infanzia, attraverso le esperienze quotidiane più significative, una forma di adattamento all’ambiente per risolvere problemi e soddisfare bisogni inappagati. La ripetitività dei giochi si esplica fondamentalmente in due sensi: - da un lato, in prospettiva trasversale, in quanto è possibile individuare delle strutture comunicative tipiche individui diversi possono mettere in atto rivestendole di contenuti personali; - dall’altro, in prospettiva longitudinale o personale, in quanto gli stessi individui tendono ad effettuare dei giochi preferenziali che ripropongono nel corso del tempo, cercando dei “compagni di gioco” disposti ad assumere ruoli complementari. 49
Da un punto di vista formale-strutturale, dunque, i giochi sono costituiti da una serie di transazioni ulteriori di tipo ripetitivo, volte ad un risultato ben definito e prevedibile. La presenza di transazioni ulteriori, quindi di un duplice livello di comunicazione, implica quella di uno scopo o motivazione nascosta, non verbalizzata, di cui gli individui non sono consapevoli. Considerando gli stati dell’Io coinvolti, infatti, i giochi vengono attuati dal Genitore e dal Bambino, al di fuori della consapevolezza dell’Adulto. Gli interlocutori che partecipano ad un gioco assumono dei ruoli complementari che portano avanti finché uno dei due non attua uno scambio: questo improvviso cambiamento è seguito da un momento di smarrimento e confusione e, infine, dall’insorgenza in entrambi i giocatori di un sentimento spiacevole. L’esito è, normalmente, infelice: il tornaconto che si riscuote con i giochi è un sentimento che implica una svalutazione o di sé, o dell’interlocutore o di entrambi, e che agisce come conferma e rafforzamento del copione. In Games People Play (1964 a) Berne descrive le caratteristiche generali dei giochi attraverso l’analisi di alcuni dei più frequenti, fornendone un’ampia antologia. Nel classificare i giochi, distingue tre stadi o gradi, a seconda della gravità delle conseguenze che essi comportano (si va dal battibecco socialmente accettabile all’omicidio). 50
Ai giochi che identifica e analizza Berne assegna un nome, un titolo: una serie di espressioni tratte dal linguaggio quotidiano, a volte colorite, ma sempre estremamente icastiche e incisive nella loro vena ironica. Per citare solo alcuni nomi dei giochi più frequentemente attuati e studiati: “Perché non…? Sì, ma” (il primo ad essere isolato e analizzato, tanto da dare spunto al concetto stesso di gioco, il più approfondito e forse uno dei più socialmente diffusi), “Tutta colpa tua”, “Ti ho beccato, figlio di puttana”, “Sto solo cercando di aiutarti”, “Il goffo pasticcione”, “Gamba di legno”, “Burrasca”, “Violenza carnale”, “Tribunale”. Berne raggruppa i giochi in “famiglie”, sulla base del contesto sociale e relazionale di riferimento (ad es. giochi di vita, coniugali, di società, sessuali, professionali, della malavita etc. ) e ad essi riconosce, quali funzioni primarie, quella di fornire una soddisfacente strutturazione del tempo e, insieme, di contribuire tanto alla stabilità psichica individuale quanto all’equilibrio relazionale (come conferma delle reciproche posizioni), benché, spesso, questi ultimi risultino di natura “patologica” e disfunzionale. L’AT ha elaborato diversi modelli per comprendere e spiegare i giochi: alcuni si muovono su un livello analitico-descrittivo, focalizzandosi sui comportamenti osservabili; altri si concentrano, prevalentemente, su un livello interpretativo delle dinamiche e delle manovre psicologiche sottostanti. 51
Tra i modelli di analisi più rappresentativi e legati ad un approccio descrittivo, ne ricordiamo due fondamentali per la loro semplicità e incisività: la cosiddetta Formula G di Berne (1972) e il Triangolo drammatico di S. Karpman (1968). La Formula G analizza lo sviluppo dei giochi, individuando una sequenza ordinata di mosse fisse, che permette di stabilire se realmente si è in presenza di un gioco: 1) un gancio (o provocazione) lanciato da uno degli interlocutori, che va, appunto, ad agganciare; 2) un anello (cioè, un punto debole dell’altro interlocutore, che rispondendo alla provocazione segnala la propria disponibilità ad entrare nel gioco). 3) una risposta (cioè, una serie di transazioni ulteriori, solitamente, a livello superficiale del tipo Adulto-Adulto, a livello psicologico del tipo Genitore. Bambino o Bambino-Bambino); 4) uno scambio (cioè, un momento in cui entrambi gli interlocutori modificano i propri stati dell’Io e ruoli nel dialogo); 5) un incrocio (che rappresenta un momento di confusione in cui gli interlocutori, quasi presi alla sprovvista da tale scambio e dalla piega presa dalla conversazione, “si chiedono cosa stia succedendo”); 6) un tornaconto (vale a dire, uno o più sentimenti spiacevoli, solitamente di tipo copionale, che gli interlocutori sperimentano). 52
La formula G viene così rappresentata da Berne: G + A = R S X T Il modello proposto da Karpman (1968) è strettamente correlato al primo e si focalizza sulle posizioni o ruoli assunti dagli interlocutori nei giochi. Sulla base delle azioni linguistiche, quindi di ciò che gli interlocutori effettivamente dicono, vengono identificati tre ruoli che, analogamente alle maschere teatrali, riproducono personaggi dalle caratteristiche standardizzate (da qui l’immagine del “triangolo drammatico”): - il Salvatore, che rappresenta un Genitore protettivo e svalutante, che considera gli altri non OK e bisognosi del suo aiuto, che dispensa da una posizione one-up (io sono OK); - la Vittima, che incarna un Bambino Adattato piagnucoloso che svaluta se stesso (io non sono OK); - il Persecutore, vale a dire, un Genitore critico autoritario e svalutante, che considera gli altri inferiori a sé (io sono OK, tu non sei OK). 53
Ognuno dei tre ruoli, dunque, comporta una svalutazione, di se stessi o degli altri. Ogni volta che assumiamo uno di questi ruoli, entriamo inevitabilmente in una comunicazione disfunzionale, sia perché abbandoniamo la cosiddetta posizione “sana” (io sono OK, tu sei OK), sia perché restiamo incagliati nelle secche di una relazione di dipendenza (sia essa benevola, vittimistica o tirannica). Secondo Steiner (1997) ciascuna di queste posizioni implica la volontà di dar vita ad un gioco di potere: se nel Persecutore ciò appare più evidente grazie agli espliciti tentativi di controllare e dominare gli altri, in realtà anche il Salvatore e la Vittima si prefiggono analoghi obiettivi di controllo e dominio sugli altri, sebbene con modalità più sottili e indirette, attraverso la manipolazione. I ruoli che compongono il triangolo drammatico sono complementari nel senso che ciascuno di essi ha bisogno degli altri per dar vita ad un gioco: la Vittima cercherà o un Persecutore che la metta in posizione d’inferiorità e la maltratti o un Salvatore che le offra aiuto e confermi la sua convinzione di non farcela da solo; allo stesso modo, tanto il Salvatore che il Persecutore non possono fare a meno di una Vittima per poter giocare il proprio ruolo e per veder confermata la propria convinzione. Così come esistono giochi preferenziali, allo stesso modo è facile riscontrare come le persone, solitamente, tendano ad entrare nei giochi a partire da una posizione preferenziale. 54
Integrando i due modelli presentati possiamo dire che all’inizio dei giochi, nelle fasi del “gancio” e dell’ “anello”, i due interlocutori scelgono le rispettive posizioni (ad esempio, Vittima e Salvatore) e le mantengono durante tutta la fase della “risposta”, fino al momento dello “scambio”, in cui, appunto, ruoli e rapporti si modificano (ad es. la Vittima si trasforma in Persecutore e il Salvatore in Vittima). P S V 55
L’AT del dopo Berne, tuttavia, si è trovata ad analizzare una categoria di sequenze comunicative che sembra non rientrare appieno né nella struttura del semplice passatempo, né in quella del gioco, pur mostrandone alcune caratteristiche sostanziali. Si tratta di un modello di interazioni, frequentemente osservabile nella comunicazione quotidiana, che sembra riprodurre integralmente sia le prime mosse della formula G (gancio + anello + risposta), sia l’assunzione di ruoli complementari all’interno del Triangolo drammatico (Vittima-Salvatore o Vittima. Persecutore), pur senza mai arrivare alla fase dello scambio. Dunque non si è né in presenza di un passatempo, dato il carattere ulteriore delle transazioni, né in presenza di un vero e proprio gioco. F. English (1976) ha analizzato sequenze dialogiche di questo tipo coniando per riferirsi ad esse il termine racketeering. Il racketeering è un modo per ottenere carezze e un tornaconto di emozioni (definite emozioni parassite) che vanno a confermare convinzioni e copione attraverso la manipolazione degli altri e l’uso di messaggi ulteriori. In questo il racketeering è molto simile al gioco; ciò che differenzia i due schemi interazionali è l’assenza dello scambio di ruoli all’interno del Triangolo drammatico: nel racketeering le due parti possono continuare a scambiarsi transazioni ulteriori finché ne hanno voglia o energia e poi semplicemente fermarsi o passare a fare qualcosa di diverso. Se, invece, ad un certo punto uno dei due interlocutori (solitamente la persona che ha agganciato l’altra nel racketeering, avvertendone l’imminente ritiro dalla conversazione) pur di non rinunciare alla propria fonte di carezze aziona lo scambio, il racketeering si trasforma in un vero e proprio gioco. 56
Una delle questioni centrali in AT è quella che riguarda la discriminazione tra rackets (sentimenti-ricatto o sentimenti parassiti) e sentimenti “reali”. Questa prima distinzione si deve a Berne (1972) che definisce i rackets come quei sentimenti non genuini che gli individui imparano a sfruttare sin dalla prima infanzia (perché accettati e rinforzati dai genitori) e usano abitualmente per soddisfare i propri bisogni “ricattandosi”, gli uni con gli altri. La teoria dei rackets è stata, in seguito, ampiamente sviluppata da altri autori. In modo particolare, il merito di aver posto ed elaborato il problema del rapporto tra rackets e sentimenti “reali” va a F. English (1971; 1972). La principale caratteristica che English attribuisce ai rackets è quella di essere dei sentimenti sostitutivi: dietro ognuno di essi si celerebbe un sentimento “reale”, di cui l’individuo non permette a se stesso di essere consapevole nel presente, dal momento che esso era proibito nel passato. I rackets consistono, dunque, in ripetizioni di sentimenti permessi, per i quali, già dalla prima infanzia, gli individui ricevevano consenso e approvazione nel contesto familiare. In AT i sentimenti genuini vengono considerati propri del Bambino Naturale, mentre i sentimenti ricatto vengono descritti come appartenenti al Bambino Adattato. 57
Il racket è, infatti, un sentimento appreso, modellato e incoraggiato da parte delle figure genitoriali a discapito di altri, che sono stati svalutati o proibiti. In questo modo, un bambino che ha dovuto sopprimere la consapevolezza di certe emozioni “vietate”, trova compenso nell’esprimere con enfasi altri sentimenti che gli è permesso esternare, nel tentativo di ottenere, in modo manipolativo, sostegno dal proprio ambiente. Più il comportamento sostitutivo riceve rinforzi, più si radica nella personalità e diviene automatico, sopprimendo la consapevolezza del sentimento autentico e portando l’individuo, oltre che ad esprimere in modo diverso il sentimento “proibito”, anche a sperimentare sentimenti diversi. A volte, può sembrare difficile individuare un racket dal momento che ogni sentimento può diventare un sentimento parassita ed essere usato per occultare un sentimento autentico: in realtà, ciò che li differenzia è il fatto che il primo, che si presenta in modo ricorrente, sembra essere non congruo alla situazione, inappropriato e disfunzionale rispetto alla risoluzione dei problemi. I sentimenti parassiti oltre ad essere all’origine di quella serie di transazioni prevedibili che è stata denominata racketeering (English 1976), sarebbero determinanti nel mantenimento delle convinzioni di copione, grazie ad un sistema (racket system) che mette in correlazione dinamiche intrapsichiche e interazionali (Erskine, Zalcman 1979). 58
Perché, dunque, le persone mettono in atto giochi o comportamenti ricattatori, nonostante l’esito prevedibilmente infelice di tali strutture transazionali? Berne (1964 a) individua in proposito una serie di vantaggi fondamentali che si ottengono con i giochi: 1) Vantaggio psicologico interno: i giochi servono a mantenere stabile l’insieme di credenze di copione; 2) Vantaggio psicologico esterno: i giochi servono ad evitare quelle situazioni che potrebbero mettere in crisi il sistema di riferimento dell’individuo; 3) Vantaggio sociale interno: i giochi offrono un contesto per una pseudosocializzazione, permettendo di strutturare il tempo nei modi preferenziali, in particolare nelle relazioni significative e affettivamente connotate; 4) Vantaggio sociale esterno: i giochi effettuati forniscono argomenti di cui parlare in contesti sociali più ampi (nei gruppi di amici, al bar, tra colleghi di lavoro etc. ); 5) Vantaggio biologico: i giochi consentono di procurarsi carezze intense, sebbene prevalentemente di tipo negativo; 6) Vantaggio esistenziale: i giochi servono a conservare la propria posizione esistenziale. 59
Giochi e racketeering sono, dunque, dei modelli comunicativi, appresi nell’infanzia e riproposti in età adulta, attraverso i quali gli individui, oltre a strutturare in modo “emotivamente coinvolgente” il proprio tempo, ricevono rilevanti, benché “insane”, soddisfazioni a livello sia intrapsichico che interpersonale-relazionale: fondamentalmente, infatti, essi costituiscono un efficace espediente, da un lato, per ottenere conferma per le proprie convinzioni di copione e, dall’altro, per mantenersi all’interno di relazioni all’insegna della dipendenza reciproca o simbiosi. Entrare in uno dei ruoli del Triangolo drammatico e, dunque, svalutare se stessi e/o gli altri significa instaurare una relazione simbiotica, non rispettosa dell’autonomia reciproca. Il mancato rispetto dell’autonomia si esplica non riconoscendo gli individui nella loro “interezza”, con tutti e tre gli stati dell’Io funzionanti e, quindi, svalutando (in se stessi e/o negli altri) il senso di responsabilità del Genitore, le capacità dell’Adulto, i bisogni e i sentimenti del Bambino. Schiff e al. (1975) parlano di simbiosi quando due individui, a livello transazionale, si comportano come se fossero un’unica persona e, attraverso un meccanismo di svalutazione, non utilizzano l’intero sistema dei loro stati dell’Io. 60
G G A A B B Diagrammi della simbiosi 61
Giochi e racketeering deriverebbero da relazioni simbiotiche non risolte nell’infanzia. Tali relazioni, riproposte in età adulta, anche con persone diverse da quelle originariamente implicate (genitori e figure significative), rappresentano una riedizione inconscia del passato. Il ritorno al passato riguarda la riproduzione nel “qui e ora” di modelli relazionali e comunicativi instaurati ed appresi “là e allora”. Nel presente e nelle relazioni attuali (di coppia, amicali, famigliari etc. ) vengono, dunque, trasferiti non solo le persone, gli affetti e le relazioni passate, ma anche gli schemi comunicativi attraverso cui tali relazioni si esplicavano. La riproposizione inconsapevole di modelli relazionali e comunicativi (copionali) appartenenti al passato può interferire negativamente con le relazioni che instauriamo nel presente, innescando una spirale che perpetua dipendenza e antichi conflitti. 62
(6) L’intimità Se i giochi sono stati analizzati in modo diffuso e accurato, elaborando modelli e fornendo numerose e chiare esemplificazioni, non altrettanto si può dire per l’ultima modalità di strutturazione del tempo, l’intimità, che pur costituendo un concetto fondamentale all’interno della teoria, rimane uno dei meno definiti e approfonditi sia da Berne che dai suoi successori. L’intimità è il modo di strutturare il tempo insieme più “rischioso”, per il coinvolgimento emotivo che comporta, ma anche più vantaggioso, perché contribuisce alla stabilità psichica individuale e al rafforzamento delle relazioni, ma in senso non copionale e senza incorrere in sentimenti spiacevoli, come nel caso dei giochi. Berne la definisce anche come “la sola risposta soddisfacente alla fame di stimolo, di riconoscimento, di struttura” (Berne 1971, p. 20). L’intimità comprende il condividere sentimenti pensieri o esperienze in una relazione aperta, onesta e fiduciosa. Due, secondo Berne, sarebbero i suoi prototipi: da un lato la relazione madrebambino nei primi mesi di vita, cioè quando il copione non si è ancora formato (Berne 1972); dall’altro il rapporto sessuale tra due persone che si amano (Berne 1964, 1970). 63
Nei suoi scritti Berne parla molto poco dell’intimità. Come modalità di strutturazione del tempo la definisce un caso limite all’interno dei rapporti interpersonali al pari dell’isolamento (Berne 1972). Oltre a due brevissimi articoli in cui descrive un esperimento volto a testare la reale possibilità dell’intimità come modalità comunicativa (Berne 1964 b, 1964 c), si limita a fornire solo alcune definizioni piuttosto generali (Berne 1963, 1964 a, 1966, 1970, 1972) di questo fenomeno che considera “raro” e “privato”, dunque, difficilmente osservabile. La più ampia e dettagliata si trova in Sex in Human Loving (1970; trad. it. 1971, pp. 127 -129): “L’intimità è una franca relazione Bambino-Bambino aliena da giochi e dallo sfruttamento reciproco. Viene stabilita dagli stati dell’Io Adulto delle parti interessate, in modo che essi capiscano bene i mutui contratti ed impegni, a volte senza che sia detta un sola parola su questa questione. Man mano che l’accordo si delinea sempre più nettamente, l’Adulto si ritira gradualmente dalla scena e, se il Genitore non interferisce, il Bambino diventa sempre più emancipato e libero. Le autentiche transazioni intime avvengono tra i due stati dell’Io Bambino. L’Adulto, però, rimane sempre presente come soprintendente, per controllare il rispetto degli impegni e delle limitazioni. 64
Inoltre l’Adulto ha il compito di impedire al Genitore di intromettersi e di guastare la situazione. Infatti la possibilità di una relazione intima dipende dalla capacità dell’adulto e del bambino di tenere a bada, se necessario, il Genitore; ma è preferibile che il Genitore dia il suo benevolo consenso alla continuazione della relazione o – meglio ancora – che l’incoraggi. L’incoraggiamento parentale aiuta il Bambino a perdere la sua paura dell’intimità (…). Una volta che il Bambino è libero dalla circospezione adulta e dalle critiche parentali, prova un senso di esultanza e consapevolezza. (…). Egli e libero di reagire direttamente e spontaneamente a ciò che vede, ascolta e sente. Grazie alla loro fiducia reciproca, le due parti si rivelano liberamente i loro mondi segreti di percezione, esperienza e comportamento e non chiedono nulla in cambio fuorché la soddisfazione di aprire senza paura i cancelli di questi domini privati. ” L’intimità, dunque, è una relazione disinteressata, priva di giochi e dunque di scopi ulteriori, al di fuori del dare e dell’avere e senza sfruttamento reciproco. Questa è l’intimità nel senso proprio del termine e che Berne definisce “bilaterale”, per distinguerla da quella “unilaterale”, cioè una falsa intimità che vede uno solo dei soggetti come disinteressato, aperto e generoso, mentre l’altro è in mala fede o ha secondi fini. Sulla base del frammento citato possiamo enucleare alcune delle caratteristiche basilari dell’intimità autentica: 65
-Considerando il contenuto della comunicazione, l’intimità appare caratterizzata da uno scambio reciproco, diretto e spontaneo che riguarda i vissuti intimi, cioè strettamente personali e privati, profondi, e, dunque, l’ambito dei sentimenti. -Dal punto di vista transazionale e degli stati dell’Io coinvolti, questa modalità di strutturazione del tempo è contraddistinta da una serie di transazioni parallele e non ulteriori del tipo Bambino-Bambino (Bambino Libero, nella specifica accezione funzionale), con l’Adulto che permane sullo sfondo. -Le due persone sono fuori dal copione e non adottano svalutazioni di alcun tipo, mantenendo quella che viene definita la posizione esistenziale “sana” (io sono OK, tu sei OK). -A quello di intimità si legano strettamente tre concetti altrettanto centrali in AT: quelli di consapevolezza (come capacità di esperire il mondo che ci circonda liberi da pregiudizi e vivendo presenti nel qui e ora), spontaneità (come capacità di reagire liberamente a ciò che esperiamo, svincolati dalla coazione dei giochi e dalle costrizioni del copione) e autonomia (come capacità di prendere decisioni in modo autonomo, emancipandosi dal copione e dai dettami del Genitore, quindi, come conquistata capacità di consapevolezza, spontaneità ed intimità) (Berne 1964 a). 66
Autonomo dal punto di vista psicologico è l’individuo che riconosce a se stesso e agli altri il Diritto (Bambino), la Capacità (Adulto) e la Responsabilità (Genitore) di prendere decisioni e di farsi carico della propria vita, dunque, senza svalutare nessuno degli stati dell’Io (Johns 1989, 1990). Il modello dell’autonomia proposto da Johns ed esemplificato nel seguente diagramma mostra come la persona autonoma, nel dialogo interno come nelle relazioni interpersonali, resti in contatto e faccia funzionare in modo collaborativo tutti e tre i suoi stati dell’Io, utilizzando la capacità e la razionalità dell’Adulto dopo aver ascoltato bisogni e sentimenti del Bambino e i valori del Genitore. Responsabilità G Capacità A Diritti B Diagramma dell’autonomia 67
Anche per quanto concerne il dopo Berne, gli scritti che esplicitamente tentano di approfondire il concetto di intimità sono relativamente esigui (Haimowitz 1979; Boyd e Boyd 1980, 1981; White 1982; Steiner 1984; Gobes 1985; Moursund 1985; Traube 1990; Klein 1992). La tendenza principale consiste nel considerare attivi, anche a livello delle transazioni, tutti e tre gli Stati dell’Io, non solo - come sosteneva Berne - il Bambino Libero, ma anche il Genitore e l’Adulto: solo il Bambino Adattato e il Genitore Critico sarebbero assenti nella relazione intima. In tempi relativamente recenti, nell’ambito dell’AT, si è assistito ad un recupero e un approfondimento delle modalità di interazione “felici”, storicamente trascurate a vantaggio di quelle “infelici” o conflittuali. E’ il caso, tra gli altri, di C. Steiner (1986, 1997), che con il concetto di Emotional Literacy approfondisce il tema della comunicazione dei sentimenti, dal punto di vista sia dell’analisi descrittiva, sia delle proposte operative, fornendo modelli strutturati di interazione basati sullo sviluppo di competenze emotive e comunicative. 68
Conclusioni Se per certi versi l’AT si inserisce pienamente nel suo particolare contesto culturale e storico-teorico, caratterizzato dall’interesse e dallo sviluppo degli studi, in prospettiva psicologica e psicoterapeutica, degli aspetti pragmatici della comunicazione interpersonale, per altri, tuttavia, mostra delle peculiarità che la rendono estremamente attuale, considerando le più recenti tendenze degli studi sulla comunicazione. L’accento posto sull’osservazione delle interazioni umane, l’individuazione e la descrizione di modelli e strutture dialogiche ricorrenti in cui gli interlocutori arrivano ad assumere ruoli ben precisi e l’attenzione posta sullo studio sistematico del conflitto comunicativo, sono alcuni elementi che suggeriscono interessanti punti di contatto con gli approcci teorico-metodologici attualmente più diffusi e accreditati negli studi sulla comunicazione verbale come la Conversation Analysis. 69
Elementi quali l’analisi delle diverse modalità di strutturazione del tempo, dei giochi e dei passatempi in particolare, l’individuazione dei ruoli dialogici spesso complementari assunti dagli interlocutori attraverso quella che possiamo indicare come una forma di negoziazione dinamica ed implicita, sono espressione di una prospettiva globale che mira ad indagare unità strutturali più ampie della singola transazione (stimolo-risposta). L’AT, inoltre, indica esplicitamente che gli interlocutori sono corresponsabili dell’esito di qualsiasi modalità di strutturazione del tempo: da questo presupposto deriva anche la possibilità per gli individui divenuti consapevoli di non entrare nei giochi o di confrontarli nel momento in cui li riconoscono. 70
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