Laboratorio di traduzione contrastiva e letteraria Catullo classe
Laboratorio di traduzione contrastiva e letteraria Catullo classe VB
Classe: VB classico Docente: Alice Franceschini Disciplina: latino Anno scolastico: 2018 -2019 Gli studenti della classe VB sono stati coinvolti in un laboratorio di traduzione contrastiva e letteraria incentrato su alcuni componimenti di Catullo. Dopo aver contestualizzato, letto, tradotto letteralmente e analizzato i testi latini dal punto di vista grammaticale e letterario sotto la guida della docente, gli alunni, divisi in piccoli gruppi, hanno confrontato tra di loro e valutato due o più versioni degli stessi e hanno composto una propria traduzione che esprimesse liberamente la loro interpretazione personale dei versi catulliani. Si pubblicano di seguito i risultati dei lavori, commentati e discussi in classe.
Carme 2 Passer, deliciae meae puellae, Quicum ludere, quem in sinu tenere, Cui primum digitum dare adpetenti Et acris solet incitare morsus, Cum desiderio meo nitenti Carum nescio quid libet iocari Et solaciolum sui doloris, Credo, tum gravis acquiescet ardor. Tecum ludere sicut ipsa possem Et tristis animi levare curas!
Passero, perla della mia fanciulla, con cui gioca, cullandoti dolcemente, tu, bramoso di morderla, giochi con la punta del dito che ti provoca; quando la mia passione, ardendo, si fa sentire e anch’io voglio rallegrarmi con lei, per me sei un lieve conforto che calmerà, penso, quest’ardente brama d’amore: potessi io giocare insieme a te come fa lei per sollevare dai terribili tormenti il mio animo. (Cloe Federici, Gaia Vianello)
Passero, tesoro della mia fanciulla, con te gioca mentre ti tiene in grembo, a te offre la punta del dito provocando le tue beccate. Quando il mio desiderio arde anche io voglio come te allietarmi con lei, come sollievo al dolore, credo, per dare un lieve conforto ai miei tormenti. Potessi giocare come lei con te, e alleviare i tristi affanni dell’animo mio! (Enrico Pacquola, Marta Speggiorin)
Carme 3 Lugete, o Veneres Cupidinesque Et quantum est hominum venustiorum! Passer mortuus est meae puellae, Passer, deliciae meae puellae, Quem plus illa oculis suis amabat: Nam mellitus erat suamque norat Ipsam tam bene, quam puella matrem, Nec sese a gremio illius movebat, Sed circumsiliens modo huc, modo illuc Ad solam dominam usque pipiabat. Qui nunc it per iter tenebricosum Illuc, unde negant redire quemquam. At vobis male sit, malae tenebrae Orci, quae omnia bella devoratis! Tam bellum mihi passerem abstulistis. O factum male! O miselle passer! Tua nunc opera meae puellae Flendo turgiduli rubent ocelli.
Piangete, Venere e voi Amorini, e tutti voi che amate. Il passero della mia ragazza è deceduto, il passero, amore della mia fanciulla, esso era più amato degli occhi di lei, poiché era dolce come il miele e le sembrava come una figlia per sua madre; mai che si staccasse dal suo ventre, rivolgendosi soltanto alla sua padrona. Ora avanza per una strada buia, là dove si dice nessuno faccia ritorno. Maledette voi, oscurità infernali, che ingannate ogni cosa bella: mi avete rubato un passero così grazioso. Che brutto gesto! Che misero passero! In questo momento per colpa tua, pieni di pianto, gli occhi della mia ragazza sono arrossati. (Edoardo Bigozzi, Ottavia Capovilla)
Piangete , o Veneri e voi Amorini E tutti voi uomini che amate! Il passero, tesoro della mia fanciulla, è morto. Ella a causa della sua dolcezza L’amava ancor più dei suoi occhi. Infatti era dolce come il miele e La riconosceva come un figlio riconosce la madre. Mai accadde che esso si scostasse dal suo grembo E saltellando di qua e di là Cinguettava solo per lei. Ora percorre l’oscuro viaggio da cui tutti dicono Che non si torni mai indietro. Maledetti voi, maledette oscurità infernali che prendete ogni cosa ci sia di più bello! Voi mi avete portato via un passero così carino. Oh, che disgrazia! Che passero infelice! Ora a causa tua i dolci occhietti della mia ragazza Son gonfi e arrossati dal pianto. (Shony Calà Impirotta, Amira Mahdjoub Araibi, Rachele Zanioli)
Piangete, Veneri e Putti, e voi bramosi d’amare. Eternamente dorme il passero della mia fanciulla, quel passero, perla della mia ragazza, certamente era superiore ai suoi stessi occhi per importanza perché, dolce come il miele, si rivedeva madre con la bimba. Mai s’allontanava dal suo grembo, nonostante saltellasse qua e là, soavemente cantava solo per la sua ragazza. Ora procede lì dove si narra che la strada sia buia e senza ritorno. Maledetti, maledetti demoni, che prendete tutto ciò che di bello c’è a questo mondo, l’animo del suo passero m’avete rubato. Che crudeltà! Il suo triste passero! Pentitevi, poiché ora sono rosse e gonfie le gemme della mia fanciulla che tanto il passero aveva sminuito. (Cloe Federici, Gaia Vianello)
Carme 5 Vivamus, mea Lesbia, atque amemus Rumoresque senum severiorum Omnes unius aestimemus assis! Soles occidere et redire possunt: Nobis cum semel occidit brevis lux, Nox est perpetua una dormienda. Da mi basia mille, deinde centum, Dein mille altera, dein secunda centum, Deinde usque altera mille, deinde centum. Dein, cum milia multa fecerimus, Conturbabimus illa, ne sciamus Aut ne quis malus invidere possit, Cum tantum sciat esse basiorum.
Mia Lesbia, viviamo amandoci e riteniamo le parole degli anziani troppo severi soltanto come monete senza valore. Il sole sorge e tramonta; noi, tramontata la nostra breve vita, non ci sveglieremo più. Dammi mille baci, cento, poi mille, ancora cento, poi altri mille e infine altri cento; poi, quando avremo finito di baciarci, li mescoleremo, per non sapere quanti sono, o affinché nessuno ci possa invidiare sapendo che ci amiamo così tanto. (Paolo Marco De Paoli, Ludovico Furlani)
Viviamo e amiamo, mia Lesbia, e le chiacchiere degli anziani fin troppo severi consideriamole moneta senza valore. Tramontano e risorgono i soli, ma, abbandonati alla notte eterna, noi dormiremo per sempre. Dammi mille, poi cento, altri mille, altri cento, sempre mille, sempre cento baci; saranno tanti quante le stelle in cielo quando li confonderemo, incoscienti di quanti siano realmente, cosicché nessun invidioso possa portarceli via conoscendone il reale numero. (Cloe Federici, Gaia Vianello)
Lesbia, passiamo le nostre vite amandoci E non interessiamoci dei discorsi dei vecchi moralisti. Mentre i giorni possono tramontare e rinascere Noi, una volta spenta la luce, Dovremo riposare in eterno. Dammi mille baci, poi cento Poi altri mille, e altri cento E subito dopo altri mille e ancora cento. Quando ce ne saremo scambiati molte migliaia, Li combineremo insieme, perdendone il conto, Cosicché nessun invidioso possa criticarci quando saprà il numero totale dei nostri baci. (Diego Mariuzzo, Rachele Pisani)
Carme 49 Disertissime Romuli nepotum, Quot sunt quotque fuere, Marce Tulli, Quotque post aliis erunt in annis, Gratias tibi maximas Catullus Agit, pessimus omnium poeta, Tanto pessimus omnium poeta Quanto tu optimus omnium patronus.
Tu che sei il più eloquente dei nipoti di Romolo che furono e che saranno poi negli anni successivi, Marco Tullio, Catullo ti ringrazia di tutti gli insulti, il poeta peggiore di tutti, tanto peggiore di tutti quanto tu sei il migliore tra gli avvocati. (Edoardo Bigozzi, Ottavia Capovilla)
Marco Tullio, tu che sei il miglior oratore tra i nipoti di Romolo che ci sono ora, che ci sono stati e che ci saranno in futuro, Catullo, il peggiore tra tutti i poeti, tanto pessimo come poeta, quanto tu bravo come avvocato, ti ringrazia vivamente. (Lorenzo Foschi, Margherita Tagliapietra)
Carme 51 Ille mi par esse deo videtur, ille, si fas est, superare divos, qui sedens adversus identidem te spectat et audit dulce ridentem; misero quod omnis eripit sensus mihi, nam simul te, Lesbia, aspexi, nihil est super mi postmodo vocis, lingua sed torpet, tenuis sub artus flamma demanat, sonitu suopte tintinant aures, gemina teguntur lumina nocte. otium, Catulle, tibi molestum est; otio exultas nimiumque gestis; otium et reges prius et beatas perdidit urbes.
Quello mi sembra essere onnipotente, e se fosse possibile mi sembra essere superiore agli dei quello che si ferma davanti a te e non smette di fissarti e ascoltarti mentre ridi piacevolmente, cosa che a me strappa tutti i sensi. Proprio per questo, Lesbia, non appena ti vedo, nessun suono riesce a uscire dalla mia bocca. Ma la lingua si immobilizza, sotto la pelle scorre una lieve fiamma, le orecchie ronzano per il proprio suono, gli occhi sono annebbiati. Catullo, qui l’ozio ti è molesto, esulti per l’ozio e ti esalti troppo; l’ozio ha fatto perire prima re e città beate, poi me. (Edoardo Bigozzi, Ottavia Capovilla)
Mi sembra divino, se è possibile, supera gli dei colui che, quando gli siedi di fronte, ti guarda e ti ascolta sempre mentre ridi più amorevolmente, e ciò toglie tutte le facoltà a me misero nel momento in cui, Lesbia, ti guardo. Non mi rimane nulla, compresa la voce. Non riesco più a parlare, sotto la mia pelle scorre un delicato calore, mi fischiano le orecchie, mi si acceca la vista. L’ozio, Catullo, ti danneggia. (Paolo Marco De Paoli, Ludovico Furlani)
Costui mi par essere un dio, se immaginabile gli è superiore, lui che, mentre siede di fronte a te, non ti distoglie gli occhi di dosso e ascolta la tua soave risata, che mi priva, impotente, d’ogni senso; infatti non appena ti vedo, Lesbia, non posso più dire nulla. Ma il verbo è spezzato, sotto le membra arde una fiamma sottile, il caos mi pervade le orecchie, una duplice notte cade sugli occhi. Catullo, l’ozio è un incubo per te; nuoti in esso e sopraffatto ci affoghi. Già l’ozio devastò, come Troia, re e grandiose città. (Cloe Federici, Gaia Vianello)
Quell’uomo che sembra rispecchiare l’immagine di un Dio, Se possibile, sembra superare le divinità, Quell’uomo che è sempre seduto davanti a te, Ti osserva e ti ascolta Ridere con gioia; ciò è per me causa di malessere: Infatti, Lesbia, guardandoti mi manca la voce, La vista mi è annebbiata e con le Orecchie odo un fastidioso ronzio. L’ozio è un male per te, Catullo, E come averne troppo ti agita e ti esalta Così un tempo ha rovinato sovrani Di grandi e potenti città. (Diego Mariuzzo, Rachele Pisani)
Carme 72 Dicebas quondam solum te nosse Catullum, Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem. Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam, Sed pater ut gnatos diligit et generos. Nunc te cognovi; quare etsi impensius uror, Multo mi tamen es vilior et levior. “Qui potis est? ” inquis. Quod amantem iniuria talis Cogit amare magis, sed bene velle minus.
Lesbia, una volta dicevi di esserti innamorata solo di Catullo e di preferire me a Giove. Allora io ti amai non come la gente desidera una donna meretrice, ma nel modo in cui un padre ama i propri figli. Ma ora che ti conosco, pur provando un’ardente passione, tuttavia non sei più importante per me. Com’è possibile? dici tu. Perché una così grande e amara offesa fa in modo che chi ama ami di più ma voglia meno bene. (Edoardo Bigozzi, Ottavia Capovilla)
Lesbia, un tempo tu dicevi di amare soltanto me e che mi avresti preferito a Giove. Allora io ti ho amata come un padre ama i propri figli e non come la gente ama una donna comune. Ora ho visto come sei realmente: perciò, nonostante ti ami ancora più intensamente, tuttavia ti vedo più spregevole e di minor importanza. Tu ti chiederai come ciò sia possibile. Poiché uno sgarbo tanto grande costringe colui che ama ad amare di più ma a provare meno affetto. (Lorenzo Foschi, Margherita Tagliapietra)
Carme 85 Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Detesto e amo; probabilmente ti chiederai perché provo ciò. Non me lo so spiegare neanche io, ma nel profondo della mia anima sento che sta accadendo e mi turba. (Edoardo Bigozzi, Ottavia Capovilla) Odio e amo. Potrebbe essere che tu mi chieda perché io faccia ciò. Invero non saprei, però ne sento l’accadere e mi cruccio. (Shony Calà Impirotta, Amira Mahdjoub Araibi, Rachele Zanioli)
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