Laboratorio di Pedagogia Speciale nelladolescenza e nellet adulta
Laboratorio di Pedagogia Speciale nell’adolescenza e nell’età adulta anno accademico 2019 -2020 Università degli Studi di Trieste Prof. Mucelli Federico
L’evoluzione del concetto di handicap – – – – Era dell’eliminazione fisica (Rupe Tarpea) Era del ridicolo (Medio Evo-Gobbo di Notre. Dame) Era dell’istituzionalizzazione (Cristianesimo) Era della Pedagogia 1700 -1800 (Romanticismo) Era dell’inserimento lavorativo (Inghilterra 1943 -laboratori protetti) Era della lotta all’emarginazione (dimensione pressoché attuale) Era della medicalizzazione (trasversale alle varie ere, approccio solo organico)
Evoluzione dall’istituzione all’integrazione I percorsi percorribili per un’analisi critica dell’istituzione sono 2: • Il percorso empirico • Il percorso ideologico (tipico dell’Italia)
Il percorso empirico • Tratti caratteristici dell’istituzione – Rigidità delle routine (insensibili al bisogno del singolo, potere del personale sul degente); – Irregimentazione (attuazione obbligata, orari, attività, mangiare, pulirsi); – Spersonalizzazione (sottrazione di ogni bene proprio anche di natura affettiva ed impossibilità di effettuare scelte personali); – Distanza sociale fra staff tecnico-assistenziale e degente (rete di comunicazioni altamente formalizzata ed emarginante. Si passa dal fine riabilitativo-educativo a quello custodialistico in linea con il potere ed il controllo).
Il percorso empirico • Cause che favoriscono la transizione da fini educativi a custodialisti – Metodologie riabilitative e rieducative spesso del tutto inadeguate a raggiungere gli obiettivi istituzionali; – La sovrappopolazione (o per interessi economici o per insuccessi dei processi rieducativi per cui l’handicappato rimane a vita nelle istituzioni). Conseguenza: rapporto numerico tra staff tecnico e degenti sempre meno adeguato. – Carente formazione del personale, spesso trascurato e raramente valorizzato. Risultato: svilire la professionalità e portare alla finalità custodialistica; – Forte interferenza politica nella vita dell’istituzione, nella gestione di essa, nell’assunzione del personale, in cui il criterio della professionalità passa in secondo piano; – Stigmatizzazione, ai limiti della superstizione, che gravava sulle persone istituzionalizzate;
Il percorso empirico • Cause che favoriscono la transizione da fini educativi a custodialisti – Aspettative troppo elevate, al momento iniziale, da parte del personale, conseguente frustrazione e ripiegamento su finalità e compiti meno impegnativi; – Uso e abuso della modellistica psicometrica con riferimento al Q. I. Con un Q. I. molto basso si minava all’inizio ogni tentativo di trasferire competenze cognitive e sociali al soggetto handicappato; – Apprendimento reciproco delle proprie inabilità. L’eccessivo numero di handicappati in piccoli spazi portano ad acquisizione di comportamenti problematici ed inadeguati manifestati da altri; – Povertà dell’ambiente fisico, piatto ed omogeneo, che insieme alla sterilità dei rapporti interpersonali, rallenta od impedisce l’acquisizione di un linguaggio funzionale da parte dell’handicappato; – Lo strapotere dell’amministrazione e dello staff tecnico nei confronti degenti. Stato di cose non controllato dall’esterno che portava al deterioramento delle strutture organizzative fino ad un livello minimo.
Il percorso empirico Quindi: non demolizione delle istituzioni, ma eliminazione delle cause. • Questo richiede riflessione, studi, possibili modelli interpretativi: • Skeels (1966) • Karnes (1968) • Deno (1970) • Kirk (1972)
Il percorso ideologico (tipico dell’Italia) • • • Tutto si basa sull’ideologia. Si parte dai movimenti di contestazione del ’ 68, ostili alle istituzioni in genere, a tutti i processi di segregazione, contro la logica del “diverso” Goffman: analisi del processo di stigmatizzazione, carriera dell’istituzionalizzato, aspetti alienanti dell’istituzione. Szasz: polemica contro la nosografia medica applicata ai disturbi psichiatrici. La scuola esistenzialistica inglese: evidenzia i meccanismi perversi di alienazione all’interno della famiglia, dei gruppi primari, delle istituzioni. Basaglia: personalità carismatica, sensibilità politica, intellighenzia latina, inquadra il fenomeno del diverso e della sua emarginazione all’interno della società in chiave teorica-ideologica di chiave marxista. Tutti hanno evidenziato i meccanismi di emarginazione, le cause e le finalità di questi. Le spinte ideologiche hanno portato ad una riflessione culturale, a leggi che hanno fortemente modificato la normativa riguardante il deviante, il diverso, l’handicappato. – Quindi l’unica uscita è l’integrazione di tutti in tutto: Italia paese all’avanguardia ma come utopia più che come oculatezza ed efficacia delle riforme. Purtroppo l’ideologia ha portato qualche cambiamento ma da sola non può sconfiggere (utopia) l’inerzia del sistema.
Il percorso ideologico (tipico dell’Italia) Riassunto storico recente • Fino agli anni ’ 60 in Italia come in Europa e negli USA la filosofia principale dell’intervento a favore dei disabili era di tipo istituzionale e quindi legata all’istituzione (visione molto rigida in cui un elemento esterno-Stato impone alla persona un trattamento in luoghi chiusi cioè istituzioni totali). C’è inizialmente una finalità positiva che è quella di proteggere le persone svantaggiate, deboli, emarginate che prima erano sulla strada senza cure. Ma la segregazione porta ad emarginare queste persone e la società ha quindi un modo anche per controllare la diversità. • Fine anni ’ 50 – inizi anni ’ 60 si hanno le prime critiche in America ed in Scandinavia: • 1 -le persone sono diventate oggetti e la loro dignità è negata; • 2 -le istituzioni non hanno capacità di cura; • 3 -le istituzioni sono diventate funzionali ad una esigenza di controllo sociale.
Il percorso ideologico (tipico dell’Italia) • • • Si afferma quindi un modello anti-istituzionale (in Italia legge Basaglia – 180/78 per la psichiatria): in Italia (per la prima volta al mondo) si aprono i manicomi, è un atto simbolico. Si tenta di distruggere le istituzioni, di andare oltre, di proporre alternative (anche se è difficile la loro traduzione politica). Un nuovo modello avrebbe previsto servizi territoriali sviluppati in modo diverso: – 1 - più radicali (con finalità di inserimento della persona nella società e finalità non curative); – 2 - più attenti alla tecnicizzazione e specializzazione dell’intervento e servizi specifici per i vari problemi (tossicodipendenza, consultori famigliari, neuropsichiatria infantile, centro igiene mentale …). Questo modello presentava già dei rischi: – 1 - intervento frammentato (gli interventi vanno concordati, devono essere globali, di carattere sociale, sistemico); – 2 - nuovo paternalismo (il tecnico non accompagna ma tutela, programma, definisce i percorsi, gli interventi. Decide al posto del disabile il quale non ha voce). • L’istituzione ha preso un altro volto, più professionale e specializzato, ma rimane sempre un’istituzione. Occorre confrontarsi con il disabile, scoprirlo come risorsa, collaborare con le associazione dei famigliari (es. ANFFAS, Il nostro domani), scoprire le famiglie e le associazioni come risorse, non più condannarle o considerarle patologiche (come negli anni’ 70)
Ancora strada da fare NORMALIZZAZIONE INTEGRAZIONE INCLUSIONE A che punto siamo? ? ?
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP La classificazione è una attività scientifica, psicologica, umana, fondamentale. Essa permette di orientarsi all’interno di un problema, di stimolare un ragionamento per produrre la classificazione stessa. La classificazione in ambito scientifico è importante perché semplifica la realtà, permette di collegare i fenomeni tra di loro, ci dice qualcosa sul come è già stato affrontato un problema e come esso è stato concettualizzato.
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Occorre dare qualche proseguire nel discorso: definizione iniziale per poter patologia acuta: si manifesta improvvisamente, provoca un disagio limitato nel tempo, necessita di intervento curativo, ha un’eziologia precisa. In questa patologia c’è più incidenza e più mortalità; patologia cronica: l’evento ha un’origine subdola, si manifesta con gradualità, non comporta sofferenza iniziale rilevante ma aumenta con gradualità e costanza crescente, può non risolversi, anzi portare ad un aggravamento della persona conseguente bisogno di cure per lungo tempo. In questa patologia c’è più prevalenza e meno mortalità. Nel passato la cura di queste patologie era lasciato alle famiglie a cui non era riconosciuta nulla di economico, con l’avvento del welfare state si ha anche un intervento assistenziale da parte dello Stato (stato sociale); incidenza: numero di casi nuovi in un periodo di tempo (solitamente un anno), indica il “tasso di natalità delle malattie”; prevalenza: numero di casi in un determinato momento, indica il “tasso di popolazione affetta da una determinata patologia”.
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP L’OMS da molti anni usa l’International Classification of Diseases (ICD) come sistema di classificazione delle malattie: si è giunti ormai al ICD 11. Nel 1975 durante i lavori della 29° Assemblea dell’OMS si decise di affiancare all’ICD un’appendice relativa alle “conseguenze” delle malattie. Nel 1980 si giunse all’International Classification of Impairement, Disabilities and Handicap. A manual of classification relating to the consequences of disease (ICIDH). E’ del 2000 la pubblicazione dell’ICIDH 2. E’ importante perché analizza in modo scientifico gli stadi del processo morboso, cioè lo sviluppo della malattia.
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP L’usuale sequenza Eziologia Patologia Manifestazione clinica risulta non essere più esaustiva in quanto, molto spesso, la persona malata, oltre a subire le manifestazioni della malattia, è incapace di svolgere il proprio ruolo sociale, non può più mantenere le sue normali relazioni sociali, ecc
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Quindi occorre pensare ad un’altra sequenza maggiormente in grado di precisare le conseguenze della malattia: Malattia Infortunio Malformazione Impairmment Menomazione Disability Disabilità Handicaps
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP L’ICIDH è stato considerato necessario per poter analizzare le conseguenze associate alle varie forme morbose in considerazione di alcuni aspetti: i motivi per cui le persone si rivolgono ai servizi sociosanitari non dipendono tanto dalle diagnosi formulate, quanto dalle conseguenze delle malattie; esistono diverse forme morbose che non possono essere adeguatamente codificate utilizzando la consueta classificazione delle malattie; per migliorare la qualità dei servizi e della stessa politica sanitaria è necessario poter descrivere anche le interrelazioni esistenti tra i diversi possibili eventi che vengono diagnosticati da un punto di vista medico e quelli definibili in termini di “conseguenze delle malattie”.
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Malattia Infortunio Malformazione Impairmment Menomazione Disability Disabilità Handicaps Riguardando la sequenza dell’evento morboso si possono identificare alcune fasi: EZIOLOGIA: qualcosa di anomalo si verifica nell’individuo, delle circostanze causali modificano la struttura, il funzionamento del corpo, si possono identificare dei sintomi che fanno ricondurre ad una patologia (situazione intrinseca). MENOMAZIONE: lo stato patologico viene esteriorizzato, vi è un riconoscimento dell’esistenza delle menomazioni. Situazioni oggettive quali: il soggetto stesso si rende conto delle manifestazioni della malattia; la diagnosi è fatta grazie alla tecnologia (la persona non ha alcun segnale di malattia); il soggetto non si riconosce malato (caso delle malattie mentali).
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Malattia Infortunio Malformazione Impairmment Menomazione Disability Disabilità Handicaps DISABILITA’: l’efficienza ed il comportamento del soggetto possono esser alterati in conseguenza di questa consapevolezza. L’essere consapevoli di una malattia altera, cambia il comportamento e le abitudini. L’esperienza della malattia diviene così visibile nei suoi cambiamenti comportamentali. Queste situazioni si configurano come disabilità e rappresentano l’oggettivazione della malattia. HANDICAP: la consapevolezza della malattia e l’alterazione del comportamento o dell’efficienza, possono porre un soggetto in una situazione di svantaggio rispetto agli altri (handicap). Si ha quindi la socializzazione della malattia.
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Si hanno quindi questi passaggi nell’evento morboso: situazione intrinseca esteriorizzazione oggettivazione socializzazione
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Passiamo alle definizioni che l’OMS dà dei vari termini. MENOMAZIONE: nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute è menomazione qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. La menomazione è l’esteriorizzazione della patologia. È relativa ad un organo e non all’insieme della persona. Si possono suddividere in 4 grandi categorie: menomazioni di tipo motorio, menomazioni di tipo visivo, menomazioni di tipo uditivo, menomazioni organiche. DISABILITA’: nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute si intende per disabilità qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano.
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP: nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute l’handicap è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socio-culturali. Si evidenzia quindi che: si può parlare di handicap solo riferendosi a persone con delle disabilità o menomazioni, si tratta di uno svantaggio “vissuto”, riguarda l’ambito dei ruoli e delle attività normalmente attesi dall’ambiente socio-culturale di appartenenza della persona, si caratterizza in termini di discrepanza tra efficienza e aspettative di efficienza.
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Lo svantaggio (HANDICAP) è quindi dato dall’incapacità del soggetto di uniformarsi al ruolo (insieme di prescrizioni normative che la struttura sociale ha introiettato) sull’individuo e dalla o stigma che l’individuo sociale ha (vengono attribuite alla persona delle caratteristiche, a causa della propria menomazione o disabilità, che lo pongono in svantaggio, lo escludono dall’accesso a delle situazioni sociali)
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Alcune considerazioni conclusive: l’handicap può essere conseguenza di una menomazione senza che vi sia disabilità (es. ”menomazioni deturpanti”: non c’è disabilità ma svantaggio sociale, rifiuto, perdita del lavoro); la sequenza si può interrompere ad uno stadio qualsiasi (es. ci può essere menomazione senza disabilità, disabilità senza handicap. Gli ausili e le protesi possono evitare che ci siano disabilità); non è detto che ci sia corrispondenza fra grado di disabilità e grado di handicap (es. anche di fronte ad una grave disabilità, se c’è un maggior aiuto ed un sostegno famigliare e sociale, si può avere uno svantaggio minore).
CLASSIFICAZIONE: MENOMAZIONE, DISABILITÀ, HANDICAP Ma dal 2001 c’è stata la svolta dell’ICF, documento ufficiale dell’OMS: Il concetto di disabilità è sostituito dalle dimensioni del funzionamento organico e delle strutture corporee; Il concetto di handicap è sostituito dalle dimensioni delle attività svolte e dei livelli di partecipazione
IMPLICAZIONI ICF Se per l’accertamento delle funzioni e delle strutture corporee sono necessarie competenze di tipo sanitario e clinico, l’analisi delle attività, dei livelli di partecipazione e dei fattori contestuali richiede il ricorso a parametri, a strumenti e professionalità di tipo marcatamente psicosociale
IMPLICAZIONI ICF Nell’analizzare le problematiche di una persona con menomazione occorre considerare con attenzione (in vista di una reale programmazione): -Determinanti individuali - Ambiente di vita - Abitazione, scuola, posto di lavoro -Determinanti sociali - Presenza di strutture, enti, servizi - Supporti legislativi - Atteggiamenti
SCOPI • fornire una base scientifica per classificare le conseguenze delle condizioni di salute • stabilire un linguaggio comune per migliorare la comunicazione • permettere un raffronto dei dati fra: – – paesi discipline sanitarie servizi periodi • fornire uno schema di codifica sistematica per i sistemi informativi sulla salute
Fondamenti dell’ ICF Funzionamento Umano - non la sola disabilità Modello Universale - non modello per minoranze Modello Integrato - non solo medico o sociale Modello Interattivo - non progressivo-lineare Equivalenza - non causalità eziologica Inclusivo del contesto - non la sola persona Applicabilità Culturale - non concezione occidentale Operazionale - non solo teorico Per tutte le classi di età - non centrato sull’adulto
• Funzionamento Umano vs mera disabilità • Funzioni Corporee vs menomazioni • Strutture Corporee • Attività vs limitazioni dell’attività 1980 disabilità • Partecipazione vs handicap
Modello Universale vs. Ognuno può avere disabilità Continuum Multi-dimensionale Modello di Minoranze Gruppi con specifiche menomazioni Categoriale Uni-dimensionale
Modello medico versus Modello sociale • problema PERSONALE vs problema SOCIALE • cura medica vs integrazione sociale • trattamento individuale vs azione sociale • aiuto professionale vs responsabilità individuale & collettiva • intervento sulla persona vs modificazione ambientale • comportamento vs atteggiamenti • prendersi cura vs diritti umani • politica sanitaria vs politiche • adattamento individuale vs cambiamento sociale
Sequenza di Concetti ICIDH 1980 Malattia o disturbo Menomazione Disabilità Handicap
Interazione di Concetti ICF 2001 Condizioni di salute (disturbo/malattia) Funzioni e strutture corporee Attività (Limitazione) Fattori Ambientali Partecipazione (Restrizione) Fattori Personali
Equità / Equivalenza • Perdita di un arto mine = diabete = incidente sul lavoro • Giorni persi per attività abituali influenza = depressione = mal di schiena = angina • Stigma lebbra = schizofrenia = epilessia = HIV
Fattori Contestuali Persona genere età altre condizioni di salute capacità di adattamento background sociale educazione professione esperienze passate stile del carattere Ambiente prodotti ambiente prossimo istituzioni norme sociali ambiente culturale ambiente costruito fattori politici ambiente naturale
Applicabilità Culturale • Equivalenza concettuale e funzionale della Classificazione • Traducibilità • Utilizzabilità • Comparabilità Internazionale
Componenti dell’ ICF Funzioni & Strutture Corporee Attività & Partecipazione Funzioni Capacity Barriere Strutture Performance Facilitatori Fattori Ambientali
Funzioni e Strutture Corporee Funzioni mentali Strutture del sistema nervoso Funzioni sensoriali e dolore Occhio, orecchio e strutture correlate Funzioni della voce e dell’eloquio Strutture coinvolte nella voce e nell’eloquio Funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico e dell‘apparato respiratorio Strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico e dell’apparato respiratorio Funzioni dell‘apparato digerente e dei sistemi metabolico e endocrino Strutture correlate all’app. digerente e ai sistemi metabolico e endocrino Funzioni genitourinarie e riproduttive Strutture correlate al sistema genitourinario e riproduttivo Funzioni neuromuscoloscheletriche e correlate al movimento Strutture correlate al movimento Funzioni della cute e delle strutture correlate Cute e strutture correlate
Attività e Partecipazione 1 Apprendimento e applicazione delle conoscenze 2 Compiti generali e richieste 3 Comunicazione 4 Movimento 5 Cura della propria persona 6 Attività domestiche 7 Interazioni interpersonali 8 Attività di vita fondamentali 9 Vita sociale, civile e di comunità
Fattori ambientali 1. Prodotti e tecnologie 2. Ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall’uomo 3. Relazioni e sostegno sociale 4. Atteggiamenti, valori, convinzioni 5. Servizi, sistemi e politiche
Applicazioni dell’ICF • • Salute Sicurezza Sociale Educazione Lavoro Economia & sviluppo Legislazione & leggi Altro ….
ICF nella pratica clinica & management • • Assessment dei bisogni Valutazione degli outcomes • Comparazione di differenti interventi • Soddisfazione del cliente • Performance dei servizi – outcomes – efficienza • Terminologia clinica
ICF nelle politiche • assessment della salute di popolazioni • impatto della disabilità – economico – sociale • dati basati su evidenza per differenti interventi politici – risposte dei servizi – efficienza – assessment delle performances
Domini ICF utilizzati nelle Surveys Internazionali OMS Domini relativi alla salute • • • • Vista Udito Linguaggio Digestione Escrezione corporea Fertilità Attività sessuale Cute & disfigurement Respiro Dolore Affect Sonno Energia / vitalità Cognizione Comunicazione Mobilità e Destrezza Domini salute-correlati Cura di sè: Include alimentarsi Attività quotidiane: attività domestiche, lavorative o scolastiche Funzionamento sociale: relazioni interpersonali Partecipazione: partecipazione sociale, include discriminazione/stigma
Qualità della Vita Lo sguardo moderno deve essere alla persona L’intervento deve essere centrato sulla persona Il focus non deve essere solo rivolto alla patologia ma alla qualità della vita della persona disabile. Se il fine delle istituzioni era il controllo sociale e la cura in senso stretto, le finalità della de-istituzionalizzazione sono il prendersi cura della persona, l’agire per modificare lo stato di benessere della persona, l’approccio globale alla persona ed ai suoi problemi. I tassi di mortalità, di morbilità, tradizionalmente indicatori di salute, sono ritenuti oggi insufficienti per descrivere lo stato di benessere della persona, in quanto misurano la carenza piuttosto che la salute.
“STATO DI COMPLETO BENESSERE FISICO, MENTALE E SOCIALE” Definizione di Salute da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) - 1980
Qualità della Vita Quindi, con questa definizione, la Qd. V non è solo l’assenza di malattia ma una formula che comprende anche la dimensione psicologica e quella relazionale-sociale. La Qd. V non è uno stato raggiunto una volta per tutte ma piuttosto è un continuum, un’asse con due estremi, due poli: patologia e malessere da una parte, salute e benessere dall’altra
Qualità della Vita Landesman (1986) sottolinea l’aspetto oggettivamente misurabile delle condizioni di vita, relative alla salute fisica, all’ambiente di vita, alle relazioni sociali, all’attività lavorativa, alle possibilità economiche e definisce la soddisfazione personale come la risposta soggettiva a tali condizioni. Edgerton (1990) inserisce nella soddisfazione per la propria esistenza, la possibilità che la persona ha di mantenere o cambiare le proprie condizioni di vita e quindi la propria Qd. V. Borthwick-Duffy (1992) ritiene che la Qd. V sia determinata dalle condizioni di vita, dalla soddisfazione per le proprie condizioni e da aspirazioni, valori e aspettative della persona.
Qualità della Vita Hughes nel 1995, raccoglie i dati di 87 studi, 44 definizioni, 1243 differenti misure e trova le 15 dimensioni più frequentemente considerate. Le numerose componenti considerate e le diverse misure di fatto raccolte indicano la complessità e multidimensionalità del costrutto e la necessità di tenere presenti diversi aspetti e fattori che caratterizzano e differenziano le persone.
Qualità della Vita Halpern e coll. (1986) sviluppano un modello integrato di adattamento comunitario e considerano 4 dimensioni fondamentali della qualità: Occupazione Ambiente di residenza Comfort dell’abitazione Qualità del vicinato Supporti sociali Status Grado di integrazione comunitaria Possibilità economiche Sicurezza personale Qualità e quantità del supporto sociale Soddisfazione personale Autosoddisfazione Soddisfazione relativa ai programmi di trattamento realizzati
Qualità della Vita Schalock nel 1991 al 115° Congresso dell’Associazione americana sul ritardo mentale propone un modello multidimensionale in cui si da rilevanza a tre aspetti fondamentali: caratteristiche personali, condizioni oggettive di vita, percezione che gli altri hanno a proposito delle persone con disabilità. Questi si integrano con i valori, i cambiamenti paradigmatici, i supporti normativi. I fattori che per questo modello possono determinare la Qd. V sono: 1 -l’indipendenza; 2 -la produttività; 3 -l’integrazione comunitaria; 4 -la soddisfazione dei propri bisogni e valori.
Qualità della Vita Brown, Bayer e Mc. Farlane nel 1989 elaborano un modello della Qd. V e per loro è determinata dalla discrepanza fra i desideri ed i bisogni appagati e non appagati, da un lato, e il controllo che la persona riesce ad esercitare sul proprio ambiente, dall’altro. Hanno esaminato un livello macrostrutturale (clima economico, politico, atteggiamenti della società verso i disabili, l’esistenza di sistemi di supporto, formali ed informali) ed un livello microstrutturale (sicurezza del vicinato, posto di lavoro, attività del tempo libero, aspetti educativi dell’ambiente). Il modello prevede aspetti oggettivi e soggettivi. Goode (1988, 1991): la Qd. V consentita alle persone disabili è determinata dall’ambiente e dalla Qd. V sperimentata dalle persone che interagiscono con essa. Guarda quindi i setting residenziali, la Qd. V del personale, bisogni, capacità, domande, risorse ambientali e sociali esistenti e percepite.
Qualità della Vita Parmenter nel 1988 propone un modello utilizzato per valutare la Qd. V in persone adulte istituzionalizzate. Si enfatizzano tre componenti personali: 1 -la percezione individuale del sé Cognitivo, affettivo, stile di vita. Obiettivi, valori, aspirazioni, possibilità di prendere decisioni 2 -i comportamenti “funzionali” che la persona attiva in risposta alle richieste contestuali che le provengono Interazioni sociali Benessere occupazionale e materiale Qualità della residenza 3 -le influenze e le caratteristiche dell’ambiente Atteggiamenti della comunità verso la disabilità Economia Valori della comunità Politica
Qualità della Vita Rosenfield (1992): il sentimento di autoefficacia, inteso come la possibilità che la persona eserciti un controllo sul mondo attorno a sé o su ciò che lo riguarda, è un importante indicatore della Qd. V e dell’adeguatezza degli interventi e dei servizi.
Qualità della Vita Mentalità riabilitativa e formativa ≠ Mentalità assistenziale 1. Scelta degli ambienti 2. Training e attività finalizzati all’incremento di abilità 3. Interventi previsti anche al di fuori dei servizi e delle istituzioni 4. Importanza dell’incremento delle abilità sociali
Qualità della Vita Ulteriori fattori contestuali (Schalock, 2000): 1. Un cambiamento di prospettiva verso le possibilità di vita delle persone disabili 2. Un nuovo modo di pensare a queste persone che abbia il focus sulla persona 3. Risorse finalizzate all’inclusione, all’equità, all’empowerment e ai sostegni della comunità 4. Attenzione alla qualità e ai risultati di gran valore riferiti alla persona
I 3 livelli della Qualità della Vita 1. Microsistema: l’ambiente sociale famiglia, casa, coetanei, lavoro; ristretto, 2. Mesosistema: il vicinato, la comunità, i servizi disponibili e le organizzazioni che condizionano direttamente il microsistema; 3. Macrosistema: gli schemi sovrastrutturali di cultura, tendenze socio-politiche, sistemi economici e fattori connessi alla società che incidono direttamente sui valori, sui presupposti e sul significato di questi concetti e costrutti.
I 3 livelli della Qualità della Vita Microsistema (crescita personale e opportunità di sviluppo): 1. Aumento delle opportunità di partecipare al processo complessivo della propria vita, tramite l’aumento di integrazione, equità, possibilità di scelta e autodeterminazione; 2. Collaborazione tra utenti e ricercatori; 3. Coinvolgimento degli utenti nella valutazione della propria Qd. V; 4. Sviluppo personale e incremento della formazione al benessere (nella logica ed erogazione dei servizi).
I 3 livelli della Qualità della Vita Mesosistema (programmi e tecniche di miglioramento ambientale): 1. Progettazione di ambienti facilmente fruibili 2. Riduzione dell’insoddisfazione nel legame persona-ambiente
I 3 livelli della Qualità della Vita Macrosistema (politiche sociali): 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Benessere emozionale: richiamato dal ruolo attribuito dalla religione Relazioni interpersonali: comprese dal ruolo attribuito alla vita famigliare e all’integrità personale Benessere materiale: occupazione, mantenimento di un reddito, servizi sociali Sviluppo personale: educazione e riabilitazione Benessere fisico: cure mediche, svaghi ricreativi e sport Autodeterminazione: organizzazioni di autotutela Inclusione sociale: servizi di sostegno Diritti: cultura della consapevolezza, accessibilità, equità di diritti alla partecipazione
I DOMINI della Qualità della Vita 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Benessere emozionale Relazioni interpersonali Benessere materiale Sviluppo personale Benessere fisico Autodeterminazione Inclusione sociale Diritti
I FOCUS della Qualità della Vita 1. 2. 3. Misurazione Applicazione Valutazione
Il Modello Euristico della Qo. L Tiene conto dell’intreccio di: 8 domini 3 livelli di sistema sociale 3 focus potenziali E consta degli indicatori essenziali: Percezioni Comportamenti Condizioni
Il Modello Euristico della Qo. L I vari indicatori devono soddisfare i criteri di: Validità (misurare ciò che si vuole misurare) Affidabilità (accordo tra soggetti o valutatori diversi) Specificità (rifletta le situazioni) Sostenibilità (in termini economici) Tempismo Essere riferiti alla persona Essere valutabile longitudinalmente Sensibilità culturale
Dimensioni della Qualità della Vita (Hughes) 1. Il benessere psicologico e la soddisfazione personale; 2. Le relazioni sociali sperimentate; 3. L’occupazione; 4. Il benessere fisico e materiale; 5. L’autodeterminazione, l’autonomia e la possibilità di scelta; 6. La competenza personale, l’adattamento comunitario e la possibilità di vivere in modo indipendente; 7. L’integrazione comunitaria;
Dimensioni della Qualità della Vita (Hughes) 8. L’accettazione sociale, lo status sociale e l’adattamento; 9. Lo sviluppo personale e la realizzazione; 10. La qualità dell’ambiente residenziale; 11. Il tempo libero; 12. La normalizzazione; 13. Alcuni aspetti demografici, sociali e individuali; 14. La responsabilità; 15. Il supporto ricevuto dai servizi.
Commenti ed evidenze • Il benessere fisico e materiale non è da podio (4° posto) • Importanza fondamentale: dell’essere soddisfatti; • di vivere relazioni sociali; • dell’occupazione (il lavorare). • • Maggior importanza alle relazioni sociali (rete prossima) che ai servizi (rete assistenza pubblica); • Presenza di molte voci relative alla
Come si può valutare la Qualità della Vita Sono utili test e questionari per le dimensioni oggettive (salute fisica, situazione economica, abitazione), ma non per quelle soggettive (qualità delle relazioni sociali, rapporti nell’ambiente lavorativo). Inoltre, la Qd. V è percepita, non è oggettiva e quindi occorre chiedersi realmente il disabile cosa percepisce. La percezione, la valutazione deve essere sua, non dell’operatore, dell’assistente sociale. Occorre essere certi che il disabile colga il senso delle domande, riesca ad esprimere ciò che vuole esprimere, e riesca ad esprimere ciò che percepisce.
Come si può valutare la Qualità della Vita Si può far riferimento, ad esempio in caso di disabilità gravi, alla famiglia, al suo parere, alla sua percezione, si può valutare il contesto sociale, le reti di supporto sociale. Si può accettare di non avere una valutazione assoluta, ma una valutazione funzionale all’individuazione delle aree su cui intervenire. È’ la persona disabile che mette in evidenza gli aspetti primari, ed è lei, non più il tecnico ed il tecnicismo, ad avere possibilità di scelta. In questo modo la persona disabile si sente più coinvolta, più motivata nel progetto e negli interventi.
Come si può valutare la Qualità della Vita Alcuni strumenti presenti in letteratura sono: Life Style Satisfaction Scale (Heal e Chadsey-Rusch, 1985) con 29 item su: Abitazione Vicinato Amici Attività del tempo libero Servizi Quality of Life Questionnaire (Schalock e Keith, 1983) con una scala a tre livelli su: Soddisfazione personale Grado di benessere Caratteristiche del proprio ambiente di vita Ricompense associate alla propria attività Relazioni vissute con i vicini Presenza di sentimenti di solitudine, di inadeguatezza
Come si può valutare la Qualità della Vita Alcuni strumenti presenti in letteratura sono: Qd. V-RM valutazione della Qd. V di persone adulte con ritardo mentale (Nota e Soresi, 2002) che con 14 item si compone di tre fattori: 8 item per la qualità del servizio ricevuto 3 item per la soddisfazione relativa alla possibilità di beneficiare di occasioni di integrazione sociale 3 item per la soddisfazione per le caratteristiche degli ambienti
La valutazione della Qd. V Dati oggettivamente rilevabili: Condizioni di vita Stato di salute fisica Situazione economica Caratteristiche dell’abitazione Dati difficilmente oggettivabili: Qualità delle relazioni sociali Qualità dell’attività lavorativa Autopercezione delle proprie condizioni
La valutazione della Qd. V Il tutto si complica se prendiamo di nuovo in considerazione: Edgerton (1990) – il fattore che si riferisce alla possibilità che la persona ha di mantenere o cambiare le proprie condizioni di vita e il livello della qualità della propria esistenza Le basse aspettative della persona disabile dovute al ritardo mentale
Aree focus della Qualità della Vita 1. 2. 3. 4. 5. 6. Educazione normale e speciale Salute fisica Salute mentale Ritardo mentale e disabilità intellettive Invecchiamento Famiglie
RETE DEI RAPPORTI FAMIGLIA LAVORO SERVIZI (asl, comuni) SCUOLA PERSONA volontariato Comunità territoriale (quartiere, vicinato, parrocchia)
La rete sociale L’ente di riferimento (scuola, CFP, CEOD) collabora con: Azienda U. L. S. S. Comuni Altri enti ed associazioni Ditte Famiglie
IL LAVORO Programmazione globale ed individuale Strumento educativo Senso di identità Segno di appartenenza Fonte di relazione e socializzazione E’ collegato ad altre attività importanti per la maturazione della persona
La scuola: i Bisogni Educativi Speciali Accanto al 3% degli alunni disabili certificati c’è un 15 -20% di alunni che presentano vari tipi di Special Educational Needs (SEN) cioè Bisogni Educativi Speciali (BES) I BES possono essere: disturbi dell’apprendimento, difficoltà psicologiche, comportamentali e relazionali; svantaggio socioculturale e differenze linguistiche, etniche e culturali
La scuola: i Bisogni Educativi Speciali Dario Ianes (Centro Studi Erickson-TN) parla, di recente, in questi termini: “La scuola sente la necessità di valutare bene ed equamente questo crescente complesso di bisogni, per rendersi conto del carico complessivo a cui sono sottoposte le classi (almeno 3 -4 alunni problematici per classe). Di fronte a questa valutazione, la scuola individua e progetta poi risorse per l’inclusione, per poter cioè rispondere in modo individualizzato ed efficace ai BES”. (2006, PEI 2007)
Conseguenze operative e suggerimenti APPRENDIMENTO FUNZIONALE: “imparo ciò che mi serve, che mi lasciano fare, nel mio ambiente” SPERIMENTARE (NON ASTRARRE): fare, vivere situazioni reali, gruppo come comunità di pratica
Conseguenze operative e suggerimenti DAL SEMPLICE AL COMPLESSO … FORSE dal territorio vicino, all’esperienza reale lontana (es. viaggio) passando per stanza, casa, scuola, quartiere AUTONOMIA come fonte unica di REALIZZAZIONE PERSONALE (Qo. L)
La ricerca delle buone prassi Gruppi di apprendimento e di crescita Peer tutoring Gruppi di ricerca (e azione) di insegnanti curricolari e di sostegno
La ricerca delle buone prassi I percorsi per l’autonomia intrecciano 3 modalità di apprendimento: – le cure ricorsive (gestione di sé) – la linearità della conquista (passo dopo passo, senza sbalzi inutili ed infruttuosi) – le relazioni di continuità (non il faccia a faccia, ma il fianco a fianco)
Educare all’autonomia: le buone prassi ci insegnano Comunicazione Orientamento Comportamento stradale Uso del denaro Uso dei servizi e dei mezzi di trasporto
Educare all’autonomia: le buone prassi «NON BASTA “SAPER FARE” LE COSE DA GRANDI, MA OCCORRE LAVORARE SUL “SAPER ESSERE” PERSONE GRANDI»
Educare all’autonomia: le buone prassi ci insegnano Un rapporto basato sulla verità e la motivazione Coinvolgimento attivo dei ragazzi nelle scelte e nella gestione delle attività Considerare il loro “essere grandi” e riconoscimento reciproco dei ruoli Percorsi e strategie personalizzate
L’approccio integrato OBIETTIVO: esecuzione autonoma del compito 1. Semplificare la richiesta della prestazione Analisi del compito Divisione delle attività Check list Rinforzi Motivazione
L’approccio integrato OBIETTIVO: esecuzione autonoma del compito 2. Allenamento nella selezione ed esecuzione di piani cognitivi Utilizzare aiuti per portare a termine un compito Creare scenari di pianificazione per allenarsi ad elaborare piani di attività da eseguire Esplicitare gli obiettivi Modulare le attività con graduale difficoltà Attenzione all’organizzazione temporale: ci sono tempi da rispettare (della persona e dell’ambiente)
L’approccio integrato OBIETTIVO: esecuzione autonoma del compito 3. Strategie metacognitive Identificare i compiti o i problemi dove interferiscono i deficit Selezionare i più rilevanti Autoistruzione Affinare l’esecuzione Fornire aiuti visivi Ripetere mentalmente Le 3 A (auto-istruzione, auto-correzione, auto-valutazione)
Modello di analisi ecologico-comportamentale Kanfer (1973) S-O-R-K-C: MODELLO per una corretta analisi di un comportamento STIMOLO ORGANISMO RISPOSTA K=frequenza S, K, C = variabili ambientali O, R = variabili personali Conseguenza
L’ecological assessment: l’analisi della percezione dei genitori, di altri membri della famiglia, dei comportamenti dei servizi (insegnanti, educatori, riabilitatori), dei comportamenti dei datori e colleghi di lavoro, delle interazioni in un determinato contesto tra INDIVIDUO e AMBIENTE. >VARIABILI > complessità nelle operazioni di accertamento
Validità ecologica Ciò che vado a misurare, deve rappresentare effettivamente un aspetto o un comportamento essenziale per la persona nel suo ambiente naturale di vita
La ricerca delle buone prassi: il percorso di un alunno in situazione di handicap 1. Attestazione della situazione di handicap (verbale legge 104/92) 2. Diagnosi Funzionale: descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico dell’alunno in situazione di handicap. È un atto di competenza delle ASL che tende a mettere in evidenza le aree di potenzialità dei soggetti. Deve comportare la descrizione delle seguenti aree: cognitiva, linguistica, relazionale, sensoriale, motorioprassica e dell’autonomia
La ricerca delle buone prassi: il percorso di un alunno in situazione di handicap 3. Profilo Dinamico Funzionale: indica il prevedibile livello di sviluppo che l’alunno in situazione di handicap dimostra di possedere nei tempi brevi (6 mesi) e nei tempi medi (2 anni). Viene redatto dall’unità multidisciplinare, dai docenti curriculari e dagli insegnanti specializzati della scuola che riferiscono sulla base della diretta osservazione, con la collaborazione dei familiari degli alunni. Sulla base dei dati riportati nella diagnosi funzionale descrive in modo analitico i possibili livelli di risposta dell’alunno riferiti alle relazioni in atto e a quelle programmabili.
La ricerca delle buone prassi: il percorso di un alunno in situazione di handicap 4. Piano Educativo Individualizzato: è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati equilibrati tra di loro, predisposti per l’alunno in un determinato periodo di tempo. Il PEI tiene presente i progetti didatticoeducativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati nonché le forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche
La ricerca delle buone prassi: il percorso di un alunno in situazione di handicap 1. Piano Educativo Individualizzato: è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati equilibrati tra di loro, predisposti per l’alunno in un determinato periodo di tempo. Il PEI tiene presente i progetti didatticoeducativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati nonché le forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche
Storia dell’integrazione Normalizzazione Ritmo della giornata, della settimana, dell’anno Ciclo di vita sperimentato Benessere economico e ambiente di vita Assenza di forme di discriminazione (e rispetto dei diritti)
Storia dell’integrazione Integrazione Curriculi, obiettivi, esperienze che tengano conto delle diversità Stimolare, sostenere livelli elevati di partecipazione Proposta educativa arricchente partendo dall’analisi delle differenze I supporti aggiuntivi non diventino ostacoli Programmazione collegiale Evidenziare diverse abilità professionali Costituire team capaci, efficaci, responsabili
Storia dell’integrazione Educazione inclusiva Insegnamento attivo e partecipativo Le difficoltà vanno analizzate per creare miglioramenti Obiettivi idonei Partecipazione attiva Cooperazione Piccoli gruppi guidati
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