LA SOSTENIBILIT DELLA FILIERA DEL SUINO INTERMEDIO ITALIANO
LA SOSTENIBILITÀ DELLA FILIERA DEL SUINO INTERMEDIO ITALIANO Interviste a testimoni privilegiati. L’opinione di figure chiave della fase B 2 B: GDO e grande industria di trasformazione www. ismea. it www. ismeaservizi. it Roma, 15 dicembre 2014
PREMESSA L’INDAGINE Tra luglio e settembre 2014, sono state condotte 10 interviste a: buyer della GDO figure direzionali dell’industria di trasformazione salumiera con l’obiettivo di comprendere: il vissuto delle potenzialità di mercato del prodotto «carne suina fresca e trasformata di suino intermedio italiano» , anche a confronto con i sostitutivi «carne fresca di suino estero e relativi prodotti trasformati» ; «carne fresca di suino pesante italiano» ; esigenze e requisiti da soddisfare affinché il prodotto sia referenziato in GDO / acquistato dall’industria di trasformazione, ivi incluso il prezzo; ruolo potenziale del prodotto nell’assortimento. 2
GLI ELEMENTI CHIAVE L’ORIENTAMENTO PREVALENTE DEGLI INTERVISTATI Potenzialmente interessante Non interessa, appesantisce solo l’offerta Spazio / interesse Già implementato o in fase avanzata di implementazione Solo origine Libera, senza vincoli nè disciplinari: è il mercato a decidere Regolamentazione Mod. produttive fissate a livello istituzionale: non dev’essere una scusa per un’ «anarchia» qualitativa Differenziale solo in fase di avvio Assolutamente in linea con il suino estero Prezzo Leggero differenziale (max 10 -15%) sia in acquisto che al consumo 3
«CORRENTI DI PENSIERO» libertà nel senso di accordo di filiera più che «leggi» e «consorzi» non si evidenziano particolari plus del prodotto, semplicemente si fa un «buon prodotto» Piena competitività con l’estero Prezzo Price premium • Price premium ammissibile (max 510%), modalità produttive libere • Price premium ammissibile (max 10 -15%), modalità produttive regolamentate a livello di Mipaaf Differenziazione «libera» «Laissez-faire» • Prezzo sostanzialmente allineato con l’estero, modalità produttive libere (regolate da contratti di fornitura) Differenziazione «regolata» Qualità regolata e competitività prodotto B 2 B più che la nascita di una terza linea visibile al consumatore Investimento «scientifico» in una propria filiera (mkt estero e Gdo), comunicazione essenzialmente B 2 B. è l’aspirazione di tutti gli intervistati: accettano l’idea di vincoli ma una struttura dei costi allineata con quella estere • Prezzo allineato con l’estero, disciplinare istituzionalmente definito, controlli regolamentate Modalità produttive 4
IL CONSUMATORE NELLA PERCEZIONE DEI SOGGETTI INTERVISTATI 1/2 Il consumatore non sembra adottare, complessivamente, logiche totalmente razionali: attentissimo al prezzo per determinate referenze, sembra dimenticare la variabile «prezzo al kg» nel momento in cui si associa al prodotto un livello desiderato di servizio (es. le preparazioni, il preaffettato). L’attenzione al prezzo può, invece, penalizzare un prodotto che, a causa del suo packaging, «sembra» costoso. Una delle catene GDO intervistate, localizzata nel Nord Est sembra, invece, fronteggiare acquirenti più benestanti, ancora attenti alla qualità e meno price sensitive. Si osservano elementi di polarizzazione tra chi cerca solo il prezzo e chi cerca la qualità «assoluta» e le specialità, ma entrambi i segmenti di mercato sembrano in realtà detenere una conoscenza superficiale del prodotto e del suo utilizzo In generale, c’è poca fiducia sulla possibilità di «acculturare» in profondità il consumatore. Ciò si traduce nella necessità di un’intensa comunicazione per favorire l’interesse, che parta da elementi di valutazione diffusi (il sapore, il grasso. . . ) per poi veicolare anche i temi più «profondi» (le modalità di allevamento, l’alimentazione dei suini, le proprietà nutrizionali, gli OGM, ecc. ). Emergono implicitamente, al riguardo, due «scuole di pensiero» : quella di coloro che intendono comunque acculturare il consumatore, per fertilizzare il terreno che possa accogliere la qualità, e coloro che invece assecondano lo status quo, ricercando standard di qualità accettabili a prezzi contenuti ( «il consumatore finisce per pensare ciò che gli viene comunicato. . . » ) 5
IL CONSUMATORE NELLA PERCEZIONE DEI SOGGETTI INTERVISTATI 2/2 Anche secondo i focus group eseguiti recentemente da un’insegna GDO, le famiglie italiane, quando acquistano carne suina fresca, in mancanza di specifiche indicazioni, pensano di star acquistando carne italiana, e ne sono soddisfatte, perché ritengono che i controlli italiani siano i migliori (la superiorità dei controlli italiani è, del resto, una convinzione condivisa da tutti i buyer intervistati) Un buyer, facendo riferimento ai consumatori dell’area in cui opera, sostiene che potrebbe non esserci un interesse così spiccato per un prodotto italiano e che, anzi, l’italianità potrebbe risultare più ricercata e valorizzata all’estero che in Italia. Un’analoga posizione è evidenziata da una grande azienda di trasformazione: i consumatori potrebbero accettare tranquillamente che la carne sia tedesca o olandese; al contrario, potrebbe trattarsi di un valore a livello business - to business. Numerosi comunque coloro che ritengono vincente comunicare l’italianità. . . Mentre la GDO è focalizzata sulle esigenze del consumatore finale italiano, l’industria di trasformazione ragiona soprattutto in termini internazionali e di interesse della GDO (estera). I parametri di scelta d’incentrano quindi sul giusto grado di magrezza della carne, sul benessere animale, mentre non risulta particolare interesse per il «no OGM» ). Al riguardo, occorre tenere presente che la GDO nei principali mercati esteri è particolarmente concentrata, con quote di mercato particolarmente importanti delle private label. Al di là di una garanzia di base, pertanto, le esigenze del cliente «GDO estera» coincidono in buona parte con i valori espressi dalle singole marche commerciali locali. 6
LO SPAZIO POTENZIALE DI MERCATO LE OPINIONI SULL’INTERMEDIO: «il peso di 135 kg è un formato ottimale» , per niente o poco diffuso sia sul mercato italiano che estero o o o «c’è spazio di mercato, sia nella carne fresca che nei salumi» , per un prodotto che incorpori dei valori: italianità, non OGM, benessere animale, magrezza l’industria di trasformazione – che usa prevalentemente la spalla e la coscia - ravvisa l’esigenza proprio di un prodotto intermedio, della giusta dimensione e non troppo grasso (le spalle troppo grasse non hanno mercato all’estero): «una spalla e una pancetta più magre si venderebbero sicuramente meglio e di più» «un prodotto come questo offrirebbe soluzioni» all’industria di trasformazione export-oriented, che attualmente offre filiere Made in Italy, in realtà realizzate con materia prima estera (migliore collaborazione con la GDO estera) uno spazio di mercato importante, oltre a quello relativo alle IGP - che il consumatore si aspetta comunque che siano fatte con carne italiana - riguarda il prosciutto cotto: anche in questo caso spesso il consumatore non si rende conto di comprare carne estera in generale, si avverte una fatica nel trovare un buon suino italiano smarchiato (sia cosce che altri tagli) di qualità, prodotto con una filiera professionale (attualmente è alimentato dagli animali «scartati» dal circuito DOP ) un funzionamento più fluido (e non distorto) del mercato deriverebbe dalla divisione netta tra il circuito del suino marchiato e quello del non marchiato (nato come tale, non un suino del circuito DOP «deviato» ) 7
POSIZIONAMENTO IDEALE TRA «PESANTE ITALIANO» ED ESTERO: IN SINTESI Il prodotto mira a competere con quello d’importazione - risolvendo specifiche difficoltà di approvvigionamento – rispetto al quale dovrebbe superare i difetti (carne troppo giovane, troppo magra, con fette troppo piccole, carne che si restringe in cottura, sapore poco intenso. . . ) , imitandone i pregi (servizio, confezionamento per la fase B 2 B) PESANTE ITALIANO o Esageratamente costoso INTERMEDIO ITALIANO o Prezzo di poco superiore all’estero o Inadatto alla macelleria: carne o Giusto peso per macelleria e stopposa e dura, alcuni tagli salumeria, anche prosciutti sono troppo grassi smarchiati; progettato per o Inadatto al preaffettato (per essere adatto per la macelleria alcuni) e un certo tipo di salumeria o Saporito (genetica, alimentazione): in o Adatto alla salumeria di ogni caso non può avere la altissima qualità genetica del circuito DOP o Livello di servizio scadente, filiera non coordinata o Mancanza di ricerca, di investimenti, di innovazione nel prodotto e nel servizio ESTERO o A buon mercato o Rilascia acqua durante la cottura o E’ troppo magro, alcuni tagli sono troppo piccoli o Rende «ibrido» il made in Italy (con carne estera. . ) o Non è particolarmente saporito (versatilità? ) o Rende «integrale» il made in o Tendenza alla Italy non marchiato (anche la customizzazione del prodotto materia prima, non solo la sulle esigenze italiane modalità produttiva, è italiana) o Ottimo confezionamento e o Può derivare da una filiera servizio strutturata in modo professionale ed efficiente 8
UN MERCATO ARTICOLATO SU TRE LINEE (SECONDO COLORO CHE PROPENDONO PER LA QUALITÀ REGOLAMENTATA) Suino pesante italiano (circuito DOP): più saporito, ma più costoso, carne più dura e stopposa, dà il meglio a chi s’intende di cucina della carne suina e riesce ad esaltarne il sapore aggirandone le problematiche. Suino leggero estero: rimarrà sempre competitivo riguardo al prezzo, ma il suo acquisto potrebbe essere ridimensionato, riservato alla fascia bassa, limitato ad alcuni tagli , ecc. Suino intermedio italiano: competitivo sul prezzo, ma saporito, pensato per la macelleria ma adatto anche all’industria salumiera non DOP (coscia, spalla, pancetta). Certamente, i fornitori esteri non si lasceranno sfuggire così facilmente quote di un mercato così rilevante, ed è possibile che reagiscano, ad esempio con tattiche promozionali Occorre studiare bene il posizionamento. Inoltre, il mercato non accetterebbe un «cedimento» sui prezzi: la struttura dei costi deve quindi essere progettata in modo impeccabile 9
ELEMENTI DI MARKETING DEL PRODOTTO IL PRODOTTO - TAGLI ED ELABORAZIONI o un’adeguata genetica + alimentazione danno luogo a una resa in carne maggiore (può rendere accettabile per il macello il pagamento di un 5 -10% in più all’allevatore) o gli elaborati potrebbero costituire un elemento chiave del marketing mix, perché: intercettano un trend di mercato rilevante e in crescita, per la minore sensibile al prezzo del consumatore, per la comunicazione e la differenziazione del prodotto attraverso il packaging o Si osserva una varietà di comportamenti di acquisto in termini di tagli: chi acquista l’intera carcassa tranne le cosce, chi seleziona solo i tagli di interesse (confezionati singolarmente, sottovuoto, con adeguata etichettatura) o La GDO in generale acquista prevalentemente tagli Padova e Bologna, braciole, lonza, costine, coppa, stinco, pancette, ma anche il busto, ed è interessata solo indirettamente alle cosce smarchiate per la produzione del crudo nazionale. L’industria di seconda trasformazione acquista in prevalenza, oltre alle cosce per il crudo DOP e smarchiato, spalle, pancette, gola, trito / carnette. IL PREZZO o La pressione promozionale sulla carne suina è particolarmente intensa: una rincorsa alla quale ormai il consumatore è «abituato» e che restringe i margini di manovra degli operatori o esistono elementi capaci di generare un premium price (italianità, caratt. organolettiche, ecc. ); gli operatori maggiormente orientati alla qualità ritengono che, pur con limiti nelle possibilità di valorizzazione, «la sicurezza, la qualità paghino» (se definite e garantite seriamente) e quindi sia possibile arrivare fino a un premio del 5 -10 -15% sull’intermedio italiano o in fase iniziale i costi di produzione – e le quotazioni all’origine – possano essere più elevate (in assenza di volumi e di economie di scala), ma – alla lunga – si teme di giustificare filiere inefficienti o appare rilevante l’aspetto contrattuale. Nelle filiere esistenti, dove sono coinvolti ed «educati» allevatori e macelli agli «standard» desiderati (spesso avendo come benchkmark i fornitori esteri), la certezza contrattuale del collocamento, la stabilità del prezzo stabile per un dato periodo, possano favorire anche l’accettazione di prezzi mediamente più contenuti 10
ELEMENTI DI MARKETING DEL PRODOTTO VALORIZZAZIONE E COMUNICAZIONE o o per il suino si comunica poco: razze di pregio, metodo di allevamento, caratt. organolettiche, funzioni d’uso. . . o tra molti, emerge il bisogno di una qualità di base comunicata istituzionalmente, sulla quale poi ciascuna marca aziendale o commerciale ritagli una «propria» qualità – in armonia con il sistema di garanzie create a livello di progettazione del prodotto - comunicandola sul punto vendita o è necessario che la «comunicazione non sia generica» , : occorre evidenziare specifici plus - garantiti e misurati- in modo chiaro; «l’italianità non va raccontata in modo banale» e va associata ad altri elementi qualitativi «forti» (occorre spiegare la distintività) o un messaggio importante è quello relativo al contenuto di grasso; «la carne suina è cambiata nel tempo» , è diventata meno grassa, ma ciò non è stato intensamente comunicato: si rinviene quindi un buon potenziale di efficacia nel comunicare l’esistenza di una carne suina poco grassa. i sostenitori della qualità regolamentata ritengono che essa possa fornire una solida base alla comunicazione: «su un prodotto come questo il marketing ha da sbizzarrirsi» . Naturalmente, gli investimenti in comunicazione sono considerati fondamentali per la nascita e l’affermazione del nuovo segmento di mercato BRANDING o I fautori di una nuova filiera con qualità regolamentata e controllata auspicano anche la creazione di un brand nazionale, riconoscibile, spendibile e declinabile sul punto vendita. La singola catena evidenzierebbe poi, per conto proprio, anche a fronte di una serie di test, i messaggi che sa essere particolarmente efficaci sulla propria tipologia di clientela o Alcuni sostenitori della «filiera libera» , invece, sembrano invece maggiormente orientati al massimo a un branding B 2 B, per poi essere autonomi nel comunicare i propri valori secondo le modalità ritenute opportune. o vari intervistati operanti nella trasformazione industriale ripongono esplicitamente più fiducia nel brand aziendale che non in garanzie diverse, e sono certi che tale sia anche l’orientamento del consumatore. La GDO di qualità risulta, al contrario, non avere particolari problemi a innestare la propria comunicazione e il proprio branding su una base istituzionale. 11
L’ANALISI SWOT PUNTI DI FORZA • • • disciplinare elementi di qualità da comunicare, in Italia e (come input per il trasformato) all’estero: italianità, benessere animale, meno colesterolo, non OGM, . . . sapore e tenuta durante la cottura PUNTI DI DEBOLEZZA • • OPPORTUNITÀ • • • possibilità di costruire una filiera praticamente ex novo, prevenendo e correggendo le distorsioni finora verificatesi nelle altre, in Italia e all’estero la certezza del collocamento potrebbe svolgere un ruolo molto motivante per l’allevatore possibilità di creare un marchio forte contenuti importanti e ufficialmente garantiti possibilità di conferire un vero valore di italianità anche alle IGP diffusione della carne fresca confezionata e quindi disponibilità della confezione come supporto per la comunicazione forte interesse di alcune catene, in Italia e (per i salumi) all’estero immagine del prodotto italiano all’estero indicazione obbligatoria dell’origine in etichetta Expo 2015 • possibile fragilità del rapporto tra fasi della filiera adeguamento della struttura dei costi difficoltà a reperire allevatori (e macelli) professionali adatti al progetto possibile mancanza di risorse per gestire la fase di lancio, caratterizzata da costi più alti e prezzi di vendita più contenuti per il normale taglio prezzi relativo al lancio mancanza, in fase iniziale, di volumi sufficienti a soddisfare le esigenze della grande industria, che acquista i tagli complementari a quelli della GDO MINACCE • • possibile reazione dei concorrenti, sia sul prezzo che sui prodotti offerti scarso interesse, da parte delle giovani generazioni – penalizzate anche dall’effetto disoccupazione – verso i temi della qualità, del territorio e del rapporto con l’agricoltura 12
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