ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICO Prof ssa Michela Michetti
ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICO Prof. ssa Michela Michetti Università degli studi di Teramo
Parlamento: struttura, funzionamento e organizzazione interna
LA STRUTTURA DEL PARLAMENTO Art. 55 Cost. «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione» .
CAMERA DEI DEPUTATI Art. 56 Cost. «La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti» .
SENATO DELLA REPUBBLICA Art. 57 Cost. «Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiori a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti» .
SENATO DELLA REPUBBLICA È bene tuttavia precisare come il Senato della Repubblica non si configuri alla stregua di una Camera delle Regioni dal momento che i suoi componenti, pur essendo eletti su base regionale, non esercitano le loro funzioni in qualità di rappresentanti delle Regioni. Infatti, nel nostro sistema istituzionale - e a differenza di quanto accade in altri ordinamenti territorialmente decentrati (come, ad esempio, quello tedesco) - manca una Camera di rappresentanza delle Regioni.
SENATO DELLA REPUBBLICA Art. 58 Cost. «I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno» .
SENATO DELLA REPUBBLICA Accanto ai trecentoquindici senatori di origine elettiva, la Carta Costituzionale prevede, all’art. 59, che il Presidente della Repubblica possa nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Inoltre, sempre l’art. 59 Cost. dispone che i Presidenti della Repubblica, all’atto di cessazione della carica e salvo rinunzia, sono senatori di diritto e a vita.
DURATA DELLA LEGISLATURA Art. 60 Cost. «La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra» .
DURATA DELLA LEGISLATURA Come ben si evince dalla disposizione di cui all’art. 60 Cost. , è possibile che l’esercizio delle funzioni di Camera e Senato sia prorogato al di là del termine di scadenza. Ma quali sono i poteri che le Camere possono esercitare durante il regime di prorogatio? La Costituzione individua solo un limite esplicito e consiste, a norma dell’art. 85, terzo comma, Cost. , nel divieto di procedere all’elezione del Presidente della Repubblica. Tradizionalmente, comunque, si ritiene che, in regime di prorogatio, le Camere debbano attenersi allo svolgimento della cd. ordinaria amministrazione e, più nel dettaglio, all’esercizio delle sole attività che presentino i caratteri dell’indifferibilità o dell’urgenza.
SCHEMA DI SINTESI Struttura del Parlamento Camera dei Deputati Senato della Repubblica Numero dei componenti 630 315 (a questi componenti di natura elettiva sono da aggiungere i senatori a vita) Diritto di elettorato attivo Compete ad ogni cittadino che abbia compiuto il diciottesimo anno di età Compete ai soli cittadini che abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età Diritto di elettorato passivo Sono eleggibili a deputati Sono eleggibili a senatori gli tutti gli elettori che nel giorno elettori che hanno compiuto il delle elezioni hanno quarantesimo anno compiuto i venticinque anni di età
PROPOSTA DI REVISIONE COSTITUZIONALE In data 8 ottobre 2019 è stato definitivamente approvato in seconda deliberazione a maggioranza assoluta il testo di legge di revisione costituzionale (A. C. 1585 -B), recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» . Tuttavia, il disegno di legge costituzionale non è ancora entrato in vigore poiché, a norma dell’art. 138 Cost. , è stata richiesta l’indizione di un referendum popolare. La richiesta, firmata da 71 senatori e depositata il 10 gennaio 2020, è stata ritenuta conforme all'articolo 138 della Costituzione dall'Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione. Lo svolgimento del referendum costituzionale era stato originariamente disposto per la giornata del 29 marzo 2020; senonché, l’emergenza sanitaria epidemiologica del Covid-19, ha determinato uno slittamento della relativa procedura referendaria, ancora a data da destinarsi.
PROPOSTA DI REVISIONE COSTITUZIONALE Più nel dettaglio, il disegno di legge di revisione costituzionale prevede una drastica riduzione del numero dei componenti l’Assemblea parlamentare. Alla Camera, il numero dei deputati sarebbe ridotto dagli attuali seicentotrenta a quattrocento. Il Senato, invece, sarebbe composto da duecento senatori, in luogo degli attuali trecentoquindici. Quanto ai senatori a vita, la proposta di legge costituzionale dispone che il loro numero non possa essere complessivamente superiore a cinque.
PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE Il Parlamento si riunisce in seduta comune delle due Camere solo per lo svolgimento di alcune funzioni particolari: • elezione e giuramento del Presidente della Repubblica • elezione di cinque giudici della Corte costituzionale; • elezione di un terzo dei componenti del CSM; • votazione dell’elenco dei cittadini dai quali si sorteggiano i componenti aggregati della Corte costituzionale nei giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica; • messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati e trovano applicazione le previsioni del Regolamento della Camera.
FUNZIONI • • Quali funzioni è chiamato a svolgere il Parlamento? funzione legislativa: a norma dell’art. 70 Cost. , e del principio del bicameralismo paritario da esso accolto, la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere; funzione di controllo: si tratta di funzione diretta ad accertare forme e contenuti dell’attività svolta dal Governo e si estrinseca nell’utilizzo dei seguenti strumenti: - interrogazioni: consistono nella semplice domanda, rivolta per iscritto da un parlamentare al Governo, avente ad oggetto la veridicità o meno di un determinato fatto.
FUNZIONI Le previsioni regolamentari di Camera e Senato hanno introdotto anche la cd. interrogazione a risposta immediata: si tratta di interrogazioni aventi ad oggetto una sola domanda, la quale fa riferimento ad un particolare argomento «connotato da urgenza o particolare attualità politica» . Lo spazio dedicato alle interrogazioni a risposte immediate prende il nome di «question time» . - interpellanze: l’interpellanza consiste sempre in una domanda scritta che il Parlamento rivolge al Governo ma con più specifico riferimento ad un fatto o ad una particolare situazione.
FUNZIONI • - inchieste: l’inchiesta è uno strumento di controllo diretto ad accertare una determinata situazione su materie di interesse pubblico. Le inchieste possono essere disposte da ciascuna Camera e il loro svolgimento può essere affidato ad una Commissione d’inchiesta, sia essa monocamerale o bicamerale. funzione di indirizzo: si tratta di una funzione mediante la quale le Camere tentano di specificare, integrare e indirizzare l’attività di indirizzo politico del Governo. Gli strumenti di cui il Parlamento si avvale sono: - mozione: ha il fine di promuovere una deliberazione dell’Assemblea su un determinato argomento (non confondere con la mozione di sfiducia).
FUNZIONI - risoluzione: è uno strumento diretto a manifestare orientamenti o a definire indirizzi su specifici argomenti. Quanto all’efficacia di mozioni e risoluzioni (accomunate nell’unica definizione di direttive parlamentari), va detto che essa va ricondotta alle dinamiche del rapporto fiduciario che intercorre tra Governo e Parlamento; di conseguenza, qualora il Governo non si attenesse agli indirizzi alle Camere, queste ultime potrebbero anche decidere di far valere la responsabilità politica dell’Esecutivo promuovendo una mozione di sfiducia. Altrettanto può dirsi per l’esercizio della funzione di controllo.
FUNZIONAMENTO DEL PARLAMENTO Le sedute delle Camere sono pubbliche (principio della pubblicità dei lavori parlamentari), ma ciascuna delle due Camere o il Parlamento in seduta comune possono deliberare di riunirsi in seduta segreta (art. 64 Cost. ). Perché la seduta sia valida è necessaria la partecipazione della maggioranza (metà più uno) dei loro componenti (cd. numero legale). Il quorum strutturale, tuttavia, è sempre presunto a meno che ne chiedano la verifica venti deputati o dodici senatori. Per la validità delle deliberazioni è richiesta, salvo la Costituzione non prescriva maggioranze diverse, la maggioranza dei presenti (quorum funzionale).
COMPUTO DEGLI ASTENUTI Una delle principali differenze sussistente tra i Regolamenti di Camera e Senato ha riguardato, prima della modifica del 2017 al R. S. , le modalità di computo degli astenuti. Alla Camera, infatti, i deputati che abbiano dichiarato di astenersi sono computati ai fini del numero legale ma sono considerati non presenti nel calcolo del quorum funzionale. L’astensione è quindi considerata un voto neutro. Al Senato, invece, prima della riforma regolamentare, l’astensione equivaleva a voto contrario. Gli astenuti, quindi, venivano calcolati ai fini della determinazione della maggioranza e dunque venivano considerati come presenti. Dopo la modifica, il R. S. ha sostanzialmente esportato anche in Senato la modalità di computo degli astenuti in uso presso la Camera dei deputati (astensione = voto neutro).
VOTAZIONI In ordine alle modalità di voto, la regola generale è quella secondo cui si procede con voto palese: per alzata di mano, con procedimento elettronico, per appello nominale. L’eccezione è invece il ricorso al voto segreto e può avvenire per schede, a scrutinio segreto mediante il sistema delle palline o, più frequentemente, con procedimento elettronico. Di solito, l’utilizzo del voto segreto si riscontra nelle deliberazioni che riguardino le persone o per quelle che incidono sui diritti di libertà, sui diritti di famiglia etc. .
LAVORI PARLAMENTARI Come sono organizzati i lavori? L’organizzazione dei lavori è incentrata sul metodo della programmazione e della calendarizzazione, che consiste nella predisposizione di un programma, di un calendario e di uno o più ordini del giorno. Il programma contiene l’elenco delle proposte di legge che ciascuna Camera intende trattare e ha una vigenza temporale definita. Il calendario dettaglia il programma individuando apposite cadenze temporali per la trattazione dei progetti o disegni di legge inseriti nel programma. L’ordine del giorno organizza i lavori di ogni singola seduta.
ORGANIZZAZIONE DEL PARLAMENTO Tradizionalmente, si afferma che la Costituzione riconosce al Parlamento un elevato grado di autonomia che si estrinseca sia nel potere di disciplinare in via autonoma l’organizzazione interna e le modalità di svolgimento delle proprie funzioni (autonomia normativa), sia nel potere di esercitare una forma di giurisdizione domestica sui dipendenti e sui membri delle Camere (autodichia).
REGOLAMENTI DELLE CAMERE A norma dell’art. 64 Cost. , «ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti» . I regolamenti parlamentari, dunque, sono fonti del diritto che esprimono quell’autonomia di cui le Camere sono dotate nel sistema istituzionale. Nel sistema delle fonti, il criterio impiegato per disciplinare il rapporto intercorrente tra i regolamenti delle Camere e le altre fonti dell’ordinamento è quello della «separazione delle competenze» . Più nello specifico, l’ambito di competenza riservato ai regolamenti parlamentari, si estende all’organizzazione interna e alla disciplina del procedimento legislativo per la parte non direttamente regolata dalla Costituzione.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE La stessa Corte costituzionale ha escluso che i regolamenti parlamentari possano costituire oggetto di un giudizio di legittimità costituzionale a norma dell’art. 134 Cost. In particolare, nella sentenza n. 154 del 1985, la Consulta ha affermato: «il costituente ha segnato rigorosamente i precisi ed invalicabili confini della competenza del giudice delle leggi nel nostro ordinamento, e poiché la formulazione ignora i regolamenti parlamentari, solo in via d'interpretazione potrebbe ritenersi che questi vi siano ugualmente compresi. Ma una simile interpretazione, oltre a non trovare appiglio nel dato testuale, urterebbe contro il sistema.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE La Costituzione repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare, intendendosi dire che, come dimostra anche la precedenza attribuita dal testo costituzionale al Parlamento nell'ordine espositivo dell'apparato statuale, ha collocato il Parlamento al centro del sistema, facendone l'istituto caratterizzante l'ordinamento. É nella logica di tale sistema che alle Camere spetti - e vada perciò riconosciuta - una indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, primo comma, Cost. ”.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Senonchè, più di recente, con la sentenza n. 120 del 2014, la Corte costituzionale, pur ribadendo l’insindacabilità dei regolamenti parlamentari, ha specificato che anche norme non sindacabili potrebbero essere fonti di atti lesivi di diritti costituzionali inviolabili, tra i quali il diritto di accesso alla giustizia ex art. 24 Cost. Di conseguenza, «Se adesso come allora, la ratio dell’insindacabilità dei regolamenti parlamentari è costituita − sul piano sistematico − dalla garanzia di indipendenza delle Camere da ogni altro potere, ciò non comporta che essi siano, come nel lontano passato, fonti puramente interne. Essi sono fonti dell’ordinamento generale della Repubblica, produttive di norme sottoposte agli ordinari canoni interpretativi, alla luce dei principi e delle disposizioni costituzionali, che ne delimitano la sfera di competenza.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Tuttavia la Corte, dopo aver ricordato che i regolamenti parlamentari preservano intatta la propria validità ed efficacia sull’ambito di competenza loro attribuito, concernente le vicende e i rapporti che ineriscono alle funzioni primarie delle Camere (tanto che l’interpretazione delle relative norme regolamentari e sub-regolamentari non può che essere affidata in via esclusiva alle Camere stesse) afferma che il predetto regime non potrebbe ammettersi, senza distinzione alcuna, per i rapporti di lavoro dei dipendenti e per i rapporti con i terzi.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE La Corte infatti ritiene che, in linea di principio, la disciplina di tali rapporti possa dar luogo ad un conflitto tra i poteri; «infatti, anche norme non sindacabili potrebbero essere fonti di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili e, d’altra parte, deve ritenersi sempre soggetto a verifica il fondamento costituzionale di un potere decisorio che limiti quello conferito dalla Costituzione ad altre autorità. L’indipendenza delle Camere non può infatti compromettere diritti fondamentali, né pregiudicare l’attuazione di principi inderogabili.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Come affermato da questa Corte, davanti a ciò che «[…] esuli dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non sia per intero sussumibile sotto la disciplina di questo (perché coinvolga beni personali di altri membri delle Camere o beni che comunque appartengano a terzi), deve prevalere la “grande regola” dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione)» (sentenza n. 379 del 1996).
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Il rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost. ), così come l’attuazione di principi inderogabili (art. 108 Cost. ), sono assicurati dalla funzione di garanzia assegnata alla Corte costituzionale. La sede naturale in cui trovano soluzione le questioni relative alla delimitazione degli ambiti di competenza riservati è quella del conflitto fra i poteri dello Stato: «Il confine tra i due distinti valori (autonomia delle Camere, da un lato, e legalità-giurisdizione, dall’altro) è posto sotto la tutela di questa Corte, che può essere investita, in sede di conflitto di attribuzione, dal potere che si ritenga leso o menomato dall’attività dell’altro» (sentenza n. 379 del 1996). In tale sede la Corte può ristabilire il confine – ove questo sia violato − tra i poteri legittimamente esercitati dalle Camere nella loro sfera di competenza e quelli che competono ad altri, così assicurando il rispetto dei limiti delle prerogative e del principio di legalità, che è alla base dello Stato di diritto.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Da ultimo, con la sentenza n. 262 del 2017, la Corte costituzionale ha confermato le considerazioni precedentemente rese, affermando che i regolamenti parlamentari siano fonti non sindacabili nel giudizio di legittimità costituzionale, sebbene siano suscettibili di dare luogo a un conflitto tra poteri se ledono la sfera di attribuzione di un altro organo costituzionale. Senonchè la Corte, pur ritenendo l’ammissibilità del conflitto sotto il profilo soggettivo e oggettivo, ha dichiarato, nel merito, la non fondatezza del ricorso (nel caso di specie proposto dalla Corte di Cassazione).
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Come rilevato dalla Corte, «Gli organi di autodichia sono dunque chiamati a decidere sulle posizioni giuridiche soggettive dei dipendenti in luogo dell’autorità giudiziaria “comune”. Ciò significa, in primo luogo, che la tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei dipendenti non è assente, come lamenta la ricorrente. A fronte di situazioni nelle quali tale tutela risultava effettivamente inesistente, questa Corte ha riconosciuto, e non può che ribadire qui, che la “grande regola” del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei propri diritti, in quanto scelta che appartiene ai grandi principi di civiltà del tempo presente, non può conoscere eccezioni (sentenza n. 238 del 2014).
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Nel caso in esame, tuttavia, la tutela delle posizioni giuridiche dei dipendenti, nelle controversie che li oppongano all’organo costituzionale, risulta assicurata per il tramite dell’istituzione di organi interni e procedure di garanzia variamente conformate, in un contesto che al tempo stesso consente che l’interpretazione e l’applicazione della specifica normativa approvata in materia dagli organi costituzionali sia sottratta ad ingerenze esterne. La tutela dei dipendenti è quindi assicurata non già attraverso un giudice speciale ex art. 102 Cost. , ma mediante organi interni non appartenenti all’organizzazione giudiziaria, in tanto giustificati in quanto finalizzati alla migliore garanzia dell’autonomia dell’organo costituzionale.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE In secondo luogo, ma è quel che più conta ai fini del riconoscimento dell’esistenza di una tutela effettiva, deve sottolinearsi la circostanza che le fonti interne approvate dalle Camere e dal Presidente della Repubblica hanno dato vita ad organi di autodichia i quali, benché “interni” ed estranei all’organizzazione della giurisdizione, risultano costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza ed imparzialità, come del resto, in relazione alla funzione del giudicare, impongono i principi costituzionali ricavabili dagli artt. 3, 24, 101 e 111 Cost. e come ha richiesto la Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia.
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Tutto ciò ulteriormente conferma che la deroga alla giurisdizione qui in discussione, di cui costituisce riflesso la connessa limitazione del diritto al giudice, non si risolve in un’assenza di tutela. Tale limitazione, infatti, risulta compensata dall’esistenza di rimedi interni affidati ad organi che, pur inseriti nell’ambito delle amministrazioni in causa, garantiscono, quanto a modalità di nomina e competenze, che la decisione delle controversie in parola sia assunta nel rispetto del principio d’imparzialità, e al tempo stesso assicurano una competenza specializzata nella decisione di controversie che presentano significativi elementi di specialità (specialità riconosciuta dalla stessa parte privata intervenuta in giudizio a sostegno dell’accoglimento del conflitto).
REGOLAMENTI DELLE CAMERE Si può quindi affermare che gli organi di autodichia sono chiamati a dirimere, in posizione super partes, controversie tra l’amministrazione dell’organo costituzionale e i suoi dipendenti secondo moduli procedimentali di carattere giurisdizionale, e dunque a svolgere funzioni obiettivamente giurisdizionali per la decisione delle controversie in cui siano coinvolte le posizioni giuridiche soggettive dei dipendenti. Non a caso, questa Corte ha già riconosciuto che il carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attività degli organi di autodichia, posti in posizione d’indipendenza, li rende giudici ai fini della loro legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971)» .
ORGANIZZAZIONE INTERNA • • • Particolarmente complessa è l’organizzazione interna di ciascuna Camera che si articola in: Presidenti d’assemblea; Ufficio di presidenza; Commissioni parlamentari e Giunte; Gruppi parlamentari; La Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari.
PRESIDENTI D’ASSEMBLEA I due Presidenti d’Assemblea sono eletti dai componenti della Camera di appartenenza, secondo modalità di voto che sono disciplinate dai rispettivi regolamenti. I due Presidenti rappresentano rispettivamente la Camera e il Senato ed hanno il compito di regolare l’attività di tutti i loro organi, in aderenza alle norme regolamentari. Essi dirigono la discussione e mantengono l’ordine, giudicano della ricevibilità dei testi e assicurano il buon andamento delle strutture amministrative di supporto dell’attività parlamentare.
UFFICIO DI PRESIDENZA • • • L’Ufficio di presidenza, che ha il compito di coadiuvare il Presidente nell’esercizio delle sue funzioni, si compone, alla Camera e al Senato: dei vicepresidenti: collaborano con il Presidente e lo sostituiscono in caso di assenza o di impedimento; dei questori: provvedono al buon andamento dell’amministrazione di ciascuna Camera; dei segretari: sovrintendono alla redazione del processo verbale e assolvono alle altre funzioni riconducibili al corretto esercizio delle competenze parlamentari.
COMMISSIONI PARLAMENTARI Le Commissioni parlamentari sono organi collegiali la cui composizione deve risultare proporzionale al numero e alla consistenza dei gruppi parlamentari. In relazione al tipo di funzioni esercitate e alla struttura in cui si articolano è possibile distinguere: • Commissioni permanenti o temporanee: le prime sono organi stabili e necessari di ciascuna Camera che coadiuvano, per gli ambiti e le materie di rispettiva competenza, le Assemblee nell’esercizio delle funzioni – legislativa, di controllo e di indirizzo - loro demandate; le seconde, invece, assolvono compiti specifici e restano in carica per un tempo limitato, circoscritto all’adempimento della funzione loro assegnata (es. Commissioni di inchiesta).
COMMISSIONI PARLAMENTARI • Commissioni monocamerali e bicamerali: le prime si articolano nella struttura organizzativa propria di ciascuna Camera; le seconde, invece, sono formate da rappresentanti delle due Camere (es. Commissione bicamerale per le questioni regionali).
GIUNTE Le Giunte sono organi collegiali permanenti, previsti dai regolamenti parlamentari, per l’esercizio di specifiche e circoscritte funzioni. Si pensi, ad esempio, alla Giunta per il regolamento, che esercita compiti di garanzia della corretta osservanza dei regolamenti ed elabora proposte di modifica degli stessi; o ancora, si ricordi, alla Camera, la Giunta per il regolamento, la Giunta delle elezioni, la Giunta per le autorizzazioni a procedere e, al Senato, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari.
GRUPPI PARLAMENTARI I gruppi parlamentari sono organi interni alle Camere, che assicurano il collegamento fra queste e i partiti politici. Ogni gruppo si dà una propria organizzazione interna con la nomina di un presidente, di uno o più vice-presidenti, di uno o più segretari e con l’approvazione di un proprio regolamento. Ai gruppi parlamentari è assicurata la disponibilità di locali e attrezzatture delle Camere e vengono assegnati loro dei contributi, a carico del bilancio delle Camere stesse, differenziati a seconda della loro consistenza numerica.
GRUPPI PARLAMENTARI Deputati e senatori devono dichiarare, entro due (alla Camera) o tre giorni (al Senato) dalla prima seduta a quale gruppo parlamentare appartengono. Tuttavia, a norma dell’art. 14. 1 R. S. «I Senatori di diritto e i Senatori a vita, nella autonomia della loro legittimazione, possono non entrare a far parte di alcun Gruppo» . Sebbene i gruppi parlamentari costituiscano, più di frequente, una «proiezione» dei partiti politici, è possibile riscontrare anche la presenza di «gruppi misti» ; in particolare, a norma dell’art. 14. 4 R. C. : «I deputati i quali non abbiano fatto la dichiarazione prevista nel comma 3, o non appartengano ad alcun Gruppo, costituiscono un unico Gruppo misto» .
GRUPPI PARLAMENTARI A norma delle disposizioni regolamentari, per costituire un gruppo parlamentare occorre un numero minimo di 20 deputati alla Camera e di 10 componenti al Sentato. È possibile costituire gruppi in deroga alla soglia numerica? Sì, ma con più evidenti limitazioni al Senato: • Art. 14. 2 R. C. : «L'Ufficio di Presidenza può autorizzare la costituzione di un Gruppo con meno di venti iscritti purché questo rappresenti un partito organizzato nel Paese che abbia presentato, con il medesimo contrassegno, in almeno venti collegi, proprie liste di candidati, le quali abbiano ottenuto almeno un quoziente in un collegio e una cifra elettorale nazionale di almeno trecentomila voti di lista validi.
GRUPPI PARLAMENTARI • il R. S. è stato di recente modificato (nella seduta del 20 dicembre 2017) per tentare di fronteggiare il fenomeno del transfughismo parlamentare, ossia nel passaggio, anche ripetuto, di deputati o senatori da un gruppo politico ad un altro nel corso della stessa legislatura. Per tale ragione, il R. S. ha irrigidito la disciplina di costituzione dei gruppi in deroga, negando l’ammissibilità. Il Regolamento, infatti, si limita a prevedere, all’art. 14. 4 che «Ciascun Gruppo dev’essere composto da almeno dieci Senatori e deve rappresentare un partito o movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti o movimenti politici, che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendo l’elezione di Senatori» .
GRUPPI PARLAMENTARI L’unica deroga ai requisiti quantitativi e qualitativi è quella individuata al comma 5 dell’art. 14 R. S. , a norma del quale: «I Senatori appartenenti alle minoranze linguistiche riconosciute dalla legge, eletti nelle Regioni di insediamento di tali minoranze, e i Senatori eletti nelle Regioni di cui all’articolo 116, primo comma, della Costituzione, il cui statuto preveda la tutela di minoranze linguistiche possono costituire un Gruppo composto da almeno cinque iscritti» .
GRUPPI PARLAMENTARI Inoltre, sempre l’art. 14 R. S. dispone, al sesto comma, che «Quando i componenti di un Gruppo regolarmente costituito si riducano nel corso della legislatura ad un numero inferiore a dieci, il Gruppo è dichiarato sciolto e i Senatori che ne facevano parte, qualora entro tre giorni dalla dichiarazione di scioglimento non aderiscano ad altri Gruppi, vengono iscritti al Gruppo misto, salvo quanto previsto dal comma precedente» .
LA CONFERENZA DEI PRESIDENTI DEI GRUPPI PARLAMENTARI La Conferenza dei Presidenti dei gruppi parlamentari ha, tra gli altri, il compito principale di deliberare il programma dei lavori dell’Assemblea; esercita quindi un potere determinante sull’organizzazione interna dei lavori dell’Assemblea attraverso l’approvazione del programma dei lavori e la relativa calendarizzazione.
LO STATUS DI MEMBRO DEL PARLAMENTO Art. 68 Cost. «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, ne´ può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
LO STATUS DI MEMBRO DEL PARLAMENTO Art. 68 Cost. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza» . L’art. 68 Cost. , dunque, definisce la posizione complessiva in cui deputati e senatori vengono a trovarsi in ragione della loro appartenenza alle Camere elettive e introduce alcune guarentigie che tendono ad assicurare il libero esercizio delle funzioni svolte dai parlamentari, ponendo al riparo questi ultimi e le Assemblee elettive da indebite ingerenze volte a limitarne o comprimerne l’indipendenza.
LO STATUS DI MEMBRO DEL PARLAMENTO L’art. 68 Cost. prefigura, al primo comma, il principio dell’irresponsabilità dei parlamentari per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. È dunque importante precisare come la garanzia dell’irresponsabilità attenga ai soli atti che presentino un nesso funzionale con le attività parlamentari. Più esattamente, il concetto di «nesso funzionale» è stato elaborato dalla Corte costituzionale per fronteggiare l’indebita estensione, praticata dalle Assemblee parlamentari attraverso delibere di insindacabilità, della garanzia di irresponsabilità delineata all’art. 68 Cost.
LO STATUS DI MEMBRO DEL PARLAMENTO Per il vero, lo stesso concetto di «nesso funzionale» non appare di facile e univoca definizione, specie nelle ipotesi in cui si tratti dichiarazioni extra moenia. Da qualche anno, la giurisprudenza costituzionale sembra essersi attestata sull’esigenza di verificare, in concreto (e non sulla base di una mera verifica esterna), l’esistenza di una connessione effettiva tra funzioni svolte e opinioni espresse dal parlamentare. In questi termini, particolare rilievo assume la decisione n. 144 del 2015, con cui la Corte costituzionale ha risolto un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato insorto all’esito della presentazione di un ricorso da parte dal Tribunale ordinario di Roma avverso una deliberazione del Senato della Repubblica con cui l’Assemblea aveva affermato che le dichiarazioni rese dal senatore Maurizio Gasparri nei confronti del giornalista Marco Travaglio concernessero opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e che queste fossero pertanto insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
SENTENZA N. 144 DEL 2015 Nel caso di specie, il giornalista aveva proposto una domanda di risarcimento dei danni derivanti dalle affermazioni, a suo giudizio lesive della propria immagine e diffamatorie, rilasciate dal Senatore nel corso di diversi programmi televisivi, nonché in successive pubbliche dichiarazioni riprodotte dalle agenzie di stampa: in particolare, secondo il ricorrente, il senatore Gasparri avrebbe aspramente criticato la sua moralità, accusandolo di essere andato in vacanza in Sicilia a spese di un ex maresciallo della Guardia di finanza, condannato per reati di mafia.
SENTENZA N. 144 DEL 2015 Il Tribunale ordinario di Roma ha ritenuto che la delibera di insindacabilità del Senato, eccedendo la sfera di attribuzioni di quest’ultimo, avesse comportato una compressione della sfera di attribuzioni della magistratura, sottraendo all’autorità giudiziaria il potere di decidere la controversia. Il Tribunale afferma, infatti, che l’insindacabilità delle opinioni espresse da un membro del Parlamento extra moenia sussiste soltanto qualora queste costituiscano la riproduzione sostanziale, ancorché non letterale, di atti tipici nei quali si estrinsecano le diverse funzioni parlamentari, ovvero sostanzialmente riproduttive di un’opinione espressa in sede parlamentare.
SENTENZA N. 144 DEL 2015 Nel merito, la Corte costituzionale ha dichiarato la fondatezza del ricorso sollevato dal Tribunale ordinario. «Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per l’esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento – al quale è subordinata la prerogativa dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. – è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentare (ex multis, sentenza n. 55 del 2014).
SENTENZA N. 144 DEL 2015 Più in particolare, per la configurabilità del nesso funzionale è necessario il concorso di due requisiti: a) un legame di ordine temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna (sentenze n. 55 del 2014 e n. 305 del 2013, tra le ultime), tale che questa venga ad assumere una finalità divulgativa della prima; b) una sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni e gli atti esterni, al di là delle formule letterali usate (sentenza n. 333 del 2011), non essendo sufficiente né un semplice collegamento tematico o una corrispondenza contenutistica parziale (sentenza n. 334 del 2011), né un mero «contesto politico» entro cui le dichiarazioni extra moenia possano collocarsi (sentenza n. 205 del 2012), né, infine, il riferimento alla generica attività parlamentare o l’inerenza a temi di rilievo generale, seppur dibattuti in Parlamento (sentenza n. 98 del 2011).
SENTENZA N. 144 DEL 2015 Quanto ai parametri di tale indagine, il «contesto politico» o comunque l’inerenza a temi di rilievo generale, anche dibattuti in Parlamento, entro cui le dichiarazioni esterne si possano collocare, non vale in sé a connotarle come espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del particolare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto dall’insindacabilità, a garanzia delle prerogative della Camera, e non di un privilegio personale conseguente alla mera qualità di parlamentare), bensì una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 Cost.
SENTENZA N. 144 DEL 2015 Nel caso di specie, la Consulta ha ritenuto l’insussistenza dei parametri invocati, difettando la ricorrenza dei requisiti ai quali sarebbe subordinata la garanzia dell’insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost. , non essendo individuabile alcun atto parlamentare che potesse valere come termine di riferimento per la verifica della sussistenza del nesso funzionale.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO Art. 67 Cost. «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» .
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO L’art. 67 Cost. introduce il «divieto del mandato imperativo» ; l’istituto insegna che il parlamentare, in quanto rappresentante dell’intera Nazione e non già dei soli elettori del proprio collegio, non può ricevere da questi disposizioni vincolanti circa il modo in cui egli deve svolgere il suo mandato né tantomeno essere revocato. Secondo l’interpretazione prevalente, l’istituto opererebbe come una sorta di limite alle implicazioni estreme del principio democratico di cui agli artt. 1 e 49 Cost. , il quale esigerebbe in astratto una piena rispondenza dei parlamentari alla volontà degli elettori e dei partiti.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO Il principio della rappresentanza della Nazione esclude che il parlamentare, una volta eletto, possa considerarsi un rappresentante del partito a cui è iscritto; al contempo, limita il significato dell’appartenenza ai gruppi parlamentari, nei cui confronti i singoli deputati e senatori assumono vincoli dal carattere più politicoorganizzativo che giuridico-rappresentativo. Il divieto di mandato imperativo si configura come una logica conseguenza del principio di rappresentanza nazionale ed esclude che possano avere rilevanza giuridica atti negoziali contenenti il conferimento di mandati specifici, da parte degli elettori, nei riguardi dei singoli parlamentari. Ogni eventuale accordo intercorso fra elettori ed eletti sarebbe privo di garanzia giuridica e tutela giurisdizionale.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO L’istituto in parola è strettamente connesso alla rappresentanza politica e affonda le sue origini nella genesi dei primi organi parlamentari. Il divieto di mandato imperativo, infatti, è «funzione della rappresentanza politica» . Ma cosa si intende esattamente per rappresentanza? La rappresentanza può definirsi come una finzione attraverso la quale si rende visibile ciò che sarebbe altrimenti assente.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO Già in Montesquieu, teorico del principio della divisione (o meglio del coordinamento) fra i poteri, era avvertita la consapevolezza del legame fra il potere legislativo e le dinamiche della rappresentanza politica: tale potere deve spettare ad un «corpo» di rappresentanti, il cui vantaggio consiste nella capacità di «discutere gli affari» ; una capacità tanto maggiore se essi non sono vincolati da mandati imperativi, che esporrebbero al rischio che «la forza della nazione potrebbe essere arrestata da un capriccio» .
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO Tuttavia, è importante distinguere il regime della rappresentanza giuridica da quella politica. Nella rappresentanza giuridica il conferimento dell’incarico, sia esso con o senza spendita del nome, impone la determinazione dei poteri del rappresentante a causa del contratto gestorio o del diverso legame sottostante che intercorre tra le parti. Il rappresentante, dunque, deve tutelare uno specifico assetto di interessi del rappresentato, secondo le direttive o con le modalità dettate da quest’ultimo. Questo particolare regime della rappresentanza era tipico delle Assemblee medioevali, nelle quali l’incarico conferito al rappresentante era solitamente revocabile e oneroso; esso, inoltre, recava le indicazioni cui questi doveva attenersi (cahiers de doléance) nelle deliberazioni.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO La procura, dunque, costituiva uno strumento di giustificazione dei poteri esercitati dal rappresentante, legittimando quest’ultimo alle discussioni e alle deliberazioni in Assemblea. In altri termini, quella che si prefigurava era una forma di rappresentanza di interessi particolari afferenti a singole categorie. Il cambio di passo nell’evoluzione dell’istituto si registra con la Rivoluzione francese e con la formazione dell’Assemblea nazionale, in luogo della convocazione degli Stati generali. I rappresentanti, infatti, non siedono più nell’assemblea per rappresentare gli specifici interessi di questa o quella corporazione.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO In conseguenza, viene travolto l’originario sistema di rappresentanza basato sui cahiers e le esigenze corporative cedono il passo ad interessi più generali. A tal proposito, l’art. 7 sez. terza della Costituzione del 1791, recitava testualmente che “I rappresentanti nominati nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un dipartimento particolare, ma dell’intera nazione, e non potrà esser dato loro alcun mandato» . Dunque, per quanto il riferimento all’atto di investitura del potere resti centrale, viene negata ogni efficacia vincolante al mandato e ogni possibilità di revoca degli eletti.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO Il principio della rappresentanza nazionale e l’istituto del divieto di mandato imperativo sono stati altresì affermati all’art. 41 dello Statuto Albertino: «I Deputati rappresentano la Nazione in generale e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori”. Tristemente nota è invece l’involuzione che il sistema ha subito negli anni della deriva autoritaria fascista in cui, pur preservandosi, almeno formalmente, la tenuta dei principi in questione, muta il concetto di Nazione e diviene preminente la considerazione delle esigenze dello Stato-apparato rispetto a quelle dello Stato-comunità. A tal proposito, è bene ricordare come, con l. n. 129 del 1939, venne soppressa la Camera dei deputati, sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, composta dai membri del Consiglio nazionale del Partito fascista e del Consiglio nazionale delle corporazioni, oltre che dal Capo del Governo, componente di diritto.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO Con la fine dell’esperienza illiberale e l’affermarsi dello Stato costituzionale di diritto, viene restituita nuova linfa al principio democratico e a quello della rappresentanza politica. Si giunge così alla formulazione, in sede di Assemblea costituente, della disposizione enucleata all’art. 67 Cost. , la cui attuale formulazione testuale è il risultato di una sintesi tra il principio della rappresentanza della Nazione e il principio del divieto (o forse dell’assenza) di mandato imperativo.
DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO In buona sostanza, e per riepilogare, i cardini della rappresentanza politica (e dell’istituto del divieto di mandato imperativo) possono così individuarsi nei seguenti dettami: gli eletti non rappresentano i loro elettori ma la Nazione; non esiste alcun rapporto giuridico vincolato tra rappresentanti e rappresentati; gli elettori non possono revocare gli eletti; ogni eventuale accordo, mandato o istruzione conferiti dagli elettori o dai partiti agli eletti sarebbe privo di garanzie giuridiche.
- Slides: 71