Istituzioni di diritto pubblico Diritto costituzionale Prof ssa
«Istituzioni di diritto pubblico» «Diritto costituzionale» Prof. ssa Michela Michetti Università degli studi di Teramo a. a. 2018/2019
Il regionalismo italiano Si ricorda che il materiale didattico non è in alcun modo sostitutivo della preparazione e dello studio sui libri di testo, ma vuole costituire un mero ausilio nella definizione di alcuni concetti chiave già ampiamente illustrati durante il corso di lezioni
Il disegno regionalista dell’Assemblea costituente L’istituzione delle Regioni ha rappresentato una delle maggiori novità del disegno istituzionale promosso dall’Assemblea costituente la quale, nella previsione di cui all’art. 5 Cost. , ha compendiato le istanze autonomistiche con i valori dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento» (Art. 5 Cost. ).
Il disegno regionalista dell’Assemblea costituente Le Regioni sono state configurate quali enti territoriali dotati di autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria. Come noto, l’ampiezza del regime autonomistico è stato differenziato lungo la linea di distinzione che corre tra Regioni speciali e ordinarie: le prime, dotate di «forme e condizioni particolari di autonomia» statutariamente definite; le seconde, titolari di un complesso di attribuzioni costituzionalmente predeterminate.
L’evoluzione del disegno regionalista Il regime autonomistico ordinario è stato negli anni modellato dal susseguirsi di una pluralità di riforme, di matrice istituzionale e costituzionale, che ne hanno profondamente mutato l’assetto originario, basato sull’enumerazione delle competenze di spettanza regionale e sul principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative. Nella specie, si ricordi: Ø la legge n. 59/1997 ( «legge Bassanini» ), che ha scardinato il principio del «parallelismo delle funzioni» , allocando la generalità delle funzioni amministrative al livello di governo regionale e locale; Ø la l. cost. n. 1/1999, che ha inciso sulla forma di governo regionale, devolvendone la definizione di forme e contenuti all’autonomia statutaria; Ø la l. cost. n. 3/2001, che ha ridisegnato le sfere competenziali e, con esse, l’articolazione territoriale del potere.
La legge cost. n. 3/2001 La legge di revisione costituzionale n. 3/2001 ha conferito un’impronta più marcatamente federale all’assetto competenziale, nell’intento di restituire nuova linfa a quelle istanze autonomistiche risultavano astrette da una vocazione, istituzionale e giurisprudenziale, sempre più uniformante e accentratrice. In particolare, è con il disegno di riforma costituzionale che il legislatore: Ø ha operato un rovesciamento del principio enumerativo, riformulando la tecnica di riparto delle competenze; Ø ha eliminato ogni riferimento testuale al limite dell’interesse nazionale; Ø ha cancellato il controllo governativo sulle leggi regionali, parificando la posizione di Stato e Regioni nell’accesso al contenzioso costituzionale; Ø ha accolto il principio di sussidiarietà quale criterio di allocazione delle funzioni amministrative tra gli enti territoriali (art. 118 Cost. ) e come canone cui informare l’esercizio dei poteri sostitutivi (art. 120, secondo comma, Cost. ); Ø ha introdotto la clausola di asimmetria di cui all’art. 116, terzo comma, Cost.
Art. 117 Cost. All’esito della riforma costituzionale del 2001, la competenza legislativa di Stato e Regioni appare così rideterminata: Ø Art. 117, secondo comma, Cost. : competenza esclusiva dello Stato; Ø Art. 117, terzo comma, Cost. : competenza concorrente di Stato e Regioni; Ø Art. 117, quarto comma, Cost. : competenza residuale delle Regioni.
Competenza legislativa esclusiva, concorrente e residuale L’art. 117 contiene, al secondo comma, un elenco tassativo di materie che il legislatore costituzionale ha ritenuto di affidare alla sola competenza legislativa dello Stato, stante il prevalere di esigenze e interessi unitari che necessitano di uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale. Da ciò consegue che negli ambiti materiali ivi indicati solo lo Stato è legittimato ad esercitare la propria potestà normativa, non residuando alcun titolo di intervento per le Regioni. Diversamente, l’art. 117, terzo comma, individua 23 ambiti materiali devoluti alla competenza concorrente (o meglio ripartita) di Stato e Regioni. Più nel dettaglio, il modello concorrenziale affida allo Stato la determinazione dei principi fondamentali della materia e alle Regioni lo svolgimento della normativa di dettaglio, nel rispetto della legislazione di principio dettata a livello centrale. Infine, l’art. 117, quarto comma, contiene una clausola residuale laddove afferma che alle Regioni spetta la titolarità e l’esercizio della competenza legislativa su ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Corte costituzionale e Regioni Sebbene il complesso di riforme abbia notevolmente ampliato la sfera di autonomia decisionale delle Regioni, deve osservarsi come questa, nell’esperienza ordinamentale, sia stata progressivamente accerchiata dalle incursioni del legislatore statale il quale, in più occasioni, ha esteso il proprio margine di intervento su ambiti materiali devoluti alla competenza regionale. A ciò si aggiunga che molte delle interferenze statali si sono compiute con l’avallo della giurisprudenza costituzionale che, pur nell’intento di conferire maggiore flessibilità al sistema, ha di sovente legittimato un’indebita compressione dell’autonomia regionale.
Determinazione dei principi fondamentali In primo luogo, quanto alla determinazione dei principi fondamentali ex art. 117, terzo comma, Cost. , la Corte costituzionale ha sostenuto una lettura del Titolo V revisionato in continuità con i precedenti giurisprudenziali affermatisi nella vigenza del precedente riparto. Non è un caso allora che, nella sentenza n. 282 del 2002, la Corte, pur affermando che «La nuova formulazione dell'art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell'art. 117, primo comma, esprime l'intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» precisa che «ciò non significa che i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore» .
Principio di cedevolezza Ancora nel segno della continuità normativa e istituzionale, si colloca la dottrina della cedevolezza elaborata dalla Corte costituzionale, a giudizio della quale, specie nella fase di transizione dal vecchio al nuovo regime di riparto delle competenze, «le preesistenti norme statali continuano a vigere nonostante il mutato assetto delle attribuzioni fino all'adozione di leggi regionali conformi alla nuova competenza» (sentenza n. 13 del 2004).
Attrazione in sussidiarietà della competenza legislativa Altro strumento con cui la Corte, a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, ha prestato il fianco ad una ricentralizzazione della legislazione è quello dell’attrazione in sussidiarietà della competenza legislativa e amministrativa. Nella specie, la Corte introduce un meccanismo di flessibilità (privo di ogni copertura costituzionale) nel normale riparto di competenze, statuendo che «quando l'istanza di esercizio unitario trascende anche l'ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull'esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto» .
Attrazione in sussidiarietà della competenza legislativa In altri termini, la Corte ha legittimato uno spostamento a livello statale della competenza amministrativa, attraendo al medesimo livello istituzionale la corrispondente funzione legislativa, e ciò in ossequio al principio di legalità. Ad ogni modo, la Corte ammette una tale deroga al riparto competenziale solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali o locali da parte dello Stato sia proporzionata, non affetta da irragionevolezza e oggetto di accordo stipulato con la Regione stessa (principio della leale collaborazione).
Materie trasversali Quella delle materie trasversali costituisce una delle esperienze più emblematiche di interferenza statale negli ambiti materiali riservati alla competenza del legislatore regionale. Tradizionalmente, il riferimento alla predetta categoria denota un complesso di «materie-non materie» , le quali identificano competenze legislative dello Stato costruite in termini finalistici e, come tali, suscettibili di intersecare plurimi interessi e competenze, anche di spettanza regionale. A titolo di esempio, si ricordi la sentenza n. 407 del 2002 laddove la Corte, con riferimento alla tutela dell’ambiente, ha affermato che «non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie.
Materie trasversali In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale» .
Intreccio di materie e criteri di composizione Alquanto evidente appare la considerazione che la regolazione degli assetti competenziali, delineata all’art. 117 Cost. , non risolva in modo automatico tutti i problemi di definizione e allocazione delle materie. A ciò consegue un’estrema complessità di lettura del sistema e la necessità di mettere a punto alcuni criteri di razionalizzazione degli intrecci competenziali. A tal proposito, la Corte ha fatto ricorso a due strumenti di composizione: il criterio della prevalenza e il principio di leale collaborazione.
Il criterio della prevalenza Quello della prevalenza, dunque, è un criterio preordinato alla soluzione di quegli intrecci competenziali in cui appaia evidente la riconducibilità di un dato oggetto ad un ambito materiale di competenza statale o regionale. In tal senso, la Corte puntualizza, nella sentenza n. 50 del 2005, che «Questioni di legittimità costituzionale possono quindi anzitutto insorgere per le interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre, come l'istruzione e formazione professionale, alle Regioni. In tali ipotesi può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v. sentenza n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre» .
Il principio di leale collaborazione Solitamente, il principio di leale collaborazione viene invocato dalla Corte qualora la composizione dell’intreccio competenziale non possa risolversi mediante l’ausilio del criterio della prevalenza, così rimettendosi alla concertazione tra Stato e Regioni e ai moduli collaborativi del parere o dell’intesa. Emblematica è, in proposito, la sentenza n. 219 del 2005, in cui la Corte rileva che «In tal caso – ove, come nella specie, non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa – si deve ricorrere al canone della “leale collaborazione”, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze» .
Il principio di leale collaborazione Quanto alla declinazione del principio di leale collaborazione, particolare rilievo assume la sentenza n. 251 del 2016 laddove la Corte costituzionale, dichiarando l’illegittimità di alcune norme contenute nella legge delega n. 124 del 2015 (meglio nota come legge Madia) ha sottolineato come il legislatore, nel riformare istituti che intrecciavano sfere di competenza statali e regionali inestricabilmente connesse, avrebbe dovuto assicurare un più marcato coinvolgimento delle autonomie territoriali, ricorrendo non al debole strumento del parere, ma, piuttosto, a quello dell’intesa, da ricercarsi in seno al sistema delle Conferenze. La Corte ha quindi esteso il principio di leale collaborazione al procedimento legislativo delegato, imponendo al legislatore statale di esercitare le procedure di raccordo previste nell’ordinamento e di favorire, attraverso il modulo dell’intesa, l’integrazione delle esigenze sottese al sistema delle autonomie.
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