Istituzioni di diritto pubblico Diritto costituzionale Prof ssa
«Istituzioni di diritto pubblico» «Diritto costituzionale» Prof. ssa Michela Michetti Università degli studi di Teramo a. a. 2018/2019
Decreto-legge Si ricorda che il materiale didattico non è in alcun modo sostitutivo della preparazione e dello studio sui libri di testo, ma vuole costituire un mero ausilio nella definizione di alcuni concetti chiave già ampiamente illustrati durante il corso di lezioni
Previsione costituzionale Art. 77, secondo e terzo comma, Cost. «Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti»
Sistematica delle fonti Il decreto-legge è un atto avente forza di legge, ossia un atto che, sebbene privo della forma di legge, perché adottato con un procedimento diverso da quello previsto per la legge ordinaria e formale, è dotato della medesima forza attiva (capacità di innovare al diritto oggettivo preesistente) e passiva (capacità di resistere ad abrogazioni o modificazioni da parte di fonti di rango sottordinato) della legge.
Procedimento Il decreto-legge deve essere deliberato dal Consiglio dei ministri, emanato dal Presidente della Repubblica e immediatamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il giorno stesso della pubblicazione, il decreto-legge deve essere presentato alle Camere le quali, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. Le Camere sono tenute ad esercitare un controllo «politico» in ordine alla sussistenza dei presupposti di «straordinaria necessità e urgenza» legittimanti l’esercizio del potere di decretazione da parte del Governo. Al ricorrere di tali presupposti, le Camere approvano, se del caso con eventuali modifiche, la legge di conversione.
Mancata conversione del decreto-legge Alla mancata conversione, entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione, consegue la perdita di ogni efficacia (rectius decadenza) del decreto-legge. La decadenza travolge tutti gli effetti prodotti dal decreto non convertito. Tuttavia, per attenuare la rigidità degli effetti conseguenti alla mancata conversione, la disciplina costituzionale fa salva la possibilità che le Camere (mediante la c. d. legge di sanatoria) regolino i rapporti giuridici sorti durante la vigenza del decreto non convertito. Ad ogni modo, è bene precisare come l’approvazione della legge di sanatoria non sia affatto obbligatoria, ma rientri nella sfera di discrezionalità del Parlamento.
Giurisprudenza costituzionale sul decreto-legge Per lungo tempo si è esclusa la sottoponibilità del decreto-legge allo scrutinio di costituzionalità della Corte. Ciò per due ordini di ragioni: Ø in primo luogo, si riteneva che il controllo esercitato dalla Corte difficilmente avrebbe potuto esaurirsi entro l’arco di vigenza temporale del decreto-legge, pari a sessanta giorni; Ø in secondo luogo, la Corte era solita affermare che il controllo politico esercitato dalle Camere mediante l’approvazione della legge di conversione fosse idoneo a «sanare» eventuali vizi del decreto. Diversamente, la mancata conversione del decreto avrebbe reso inammissibile la questione di legittimità per carenza dell’oggetto, sul presupposto che Il decreto non convertito decade retroattivamente e viene ritenuto come “mai esistito quale fonte del diritto a livello legislativo” (sent. 307/1983).
Sentenza n. 29 del 1995 Successivamente, l’abuso della decretazione d’urgenza ha determinato un’inversione di tendenza nella giurisprudenza costituzionale. Dapprima, con sentenza n. 29 del 1995, la Corte ha riconosciuto la propria legittimazione ad esercitare uno scrutinio di costituzionalità sul decreto-legge, anche se convertito con legge del Parlamento, qualora il decreto sia affetto dall’evidente mancanza dei presupposti di necessità e urgenza: «Occorre premettere che l'inammissibilità delle dedotte questioni non può essere basata sugli argomenti formulati dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale esula comunque dai poteri di questa Corte accertare la presenza in concreto dei presupposti di necessità e urgenza previsti dall'art. 77 della Costituzione per l'adozione dei decreti-legge, essendone riservata la verifica alla valutazione politica del Parlamento.
Sentenza n. 29 del 1995 Questa posizione, condivisa in passato, ignora che, a norma dell'appena citato art. 77, la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto -legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione.
Sentenza n. 29 del 1995 Pertanto, non esiste alcuna preclusione affinché la Corte costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validità costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessità e urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa» .
Sentenza n. 29 del 1995 La Corte ha quindi negato effetto sanante alla legge di conversione qualora il decreto-legge sia viziato dall’evidente mancanza dei presupposti di necessità e urgenza. Tuttavia la Corte ha avuto modo di precisare come lo scrutinio di costituzionalità non si sostituisca o sovrapponga a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – poiché questo deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l'assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto.
Sentenza n. 360 del 1996 Di poco successiva è la pronuncia n. 360 del 1996 con cui la Corte ha sanzionato, per la prima volta, la prassi della reiterazione del decreto-legge non convertito sul presupposto che: «Tali atti, qualificati dalla stessa Costituzione come “provvisori”, devono risultare fondati sulla presenza di presupposti “straordinari” di necessità ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge, conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall'inizio, salva la possibilità per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti. […] La disciplina costituzionale viene, pertanto, a qualificare il termine dei sessanta giorni fissato per la vigenza della decretazione d'urgenza come un limite insuperabile, che - proprio ai fini del rispetto del criterio di attribuzione della competenza legislativa ordinaria alle Camere - non può essere nè violato nè indirettamente aggirato.
Sentenza n. 360 del 1996 Ora, il decreto-legge iterato o reiterato - per il fatto di riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni) il contenuto di un decreto-legge non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali - lede la previsione costituzionale sotto più profili: perché altera la natura provvisoria della decretazione d'urgenza procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge; perché toglie valore al carattere “straordinario” dei requisiti della necessità e dell'urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento del primo decreto; perché attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione a suscitare nell'ordinamento un'aspettativa circa la possibilità di consolidare gli effetti determinati dalla decretazione d'urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata.
Sentenza n. 360 del 1996 Su di un piano più generale, la prassi della reiterazione, tanto più se diffusa e prolungata nel tempo - come è accaduto nella esperienza più recente - viene, di conseguenza, a incidere negli equilibri istituzionali (sent. 302/1988), alterando i caratteri della stessa forma di governo e l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento (art. 70 della Costituzione). Non solo. Questa prassi, se diffusa e prolungata, finisce per intaccare anche la certezza del diritto nei rapporti tra i diversi soggetti, per l'impossibilità di prevedere sia la durata nel tempo delle norme reiterate che l'esito finale del processo di conversione: conseguenze ancora più gravi quando il decreto reiterato venga a incidere nella sfera dei diritti fondamentali o come nella specie nella materia penale o sia, comunque, tale da produrre effetti non più reversibili nel caso di una mancata conversione finale» .
Omogeneità della legge di conversione In primo luogo, è dato osservare come la giurisprudenza costituzionale abbia affermato di non poter sindacare la supposta disomogeneità del decreto-legge; pertanto, l’accertamento di eventuali norme «intruse» nel testo si atteggerà quale mera figura sintomatica dell’ «evidente mancanza» dei presupposti di necessità e urgenza. Tuttavia, quanto all’emendabilità del decreto-legge in sede di conversione, la Corte ha precisato che l’inserimento di norme eterogenee rispetto al contenuto originario del decreto-legge determina la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. , la quale scaturisce non già dalla mancanza dei presupposti di necessità e di urgenza quanto, piuttosto, dall’esercizio improprio, da parte delle Camere, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esse con lo scopo di convertire, o meno, un decreto-legge. La legge di conversione, quindi, è fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge e, pertanto, non può aprirsi a qualsiasi contenuto ma deve potersi ricondurre alla ratio del provvedimento governativo.
Omogeneità della legge di conversione La Corte ha tuttavia introdotto la nozione di «evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge» , asserendo che «la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto di omogeneità si determina solo quando le disposizioni aggiunte siano totalmente ‘estranee’ o addirittura ‘intruse’, cioè tali da interrompere, in parte qua, ogni correlazione tra il decretolegge e la legge di conversione» (sentenza n. 251 del 2014).
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