Intercettazioni telefoniche ed ambientali Le 3 condizioni per
Intercettazioni telefoniche ed ambientali
Le 3 condizioni per le intercettazioni previste dall'art. 266 c. p. p. 1) le intercettazioni devono riguardare una conversazione riservata; 2) devono essere effettuate da persone diverse ed estranee rispetto a quelle che partecipano alla conversazione; 3) comportano l'impiego di strumenti idonei a superare le normali capacità dei sensi (es: non è soggetta ad autorizzazione la intercettazione via etere fra apparati radioelettrici ad irradiazione circolare che sono percepibili da chiunque si avvalga di un apparecchio ricevente sintonizzato lungo la stessa lunghezza d'onda).
Tali caratteristiche ripetono la loro origine dalla definizione data dalla Cassazione S. U. 28 maggio 2003 n. 36747: “Una comunicazione fra due o più soggetti che agiscono con l'intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo e che viene intercettata da soggetto estraneo alla stessa grazie a strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato”
L'intercettazione dei flussi telematici L'art. 266 bis c. p. p. che consente di intercettare le comunicazioni informatiche o telematiche, è stata da taluni giudicato, nell'immediatezza, una norma ridondante, in ragione del fatto che, con l'impiego del termine "telecomunicazioni", già l'art. 266 c. p. p. sarebbe stato in grado di ricomprendere nel proprio ambito operativo qualunque sistema per la trasmissione a distanza di informazioni di diversa natura (segnale telegrafico e telefonico, dati numerici, programmi televisivi, ecc. ). In realtà la norma introduce 2 importanti novità …. .
1) L'art. 266 bis c. p. p. autorizza le intercettazioni oltre che per i reati elencati nell'art. 266 c. p. p. , anche per gli illeciti commessi "mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche” 2)L'oggetto della tutela concerne, non solo il contenuto delle conversazioni, ma tutti i dati informatici (sequenza di bit) in movimento nel sistema elettronico della telefonia, dall'ingresso in rete alla destinazione, nelle fasi quindi dell'ingresso, elaborazione, registrazione. Il flusso di bit comprende (Sezioni Unite 13 luglio 1998 n. 21) anche i dati relativi al traffico dei servizi complementari, - alla telefonia mobile -, quali il servizio "messaggi" (es. tipo e- mail, o fax).
…. La registrazione fonografica occultamente eseguita da uno degli interlocutori d'intesa con la polizia giudiziaria e con apparecchiature da questa fornite, non costituisce un "documento" formato fuori del procedimento, utilizzabile ai fini di prova ex 234 c. p. p. , ma rappresenta la "documentazione di un'attività d'indagine", dato l'uso investigativo dello strumento di captazione che in tal caso viene realizzato. Una tale attività, viene ad incidere sul diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni, tutelato dall'art. 15 Cost. , a differenza della registrazione effettuata ad iniziativa di uno degli interlocutori.
Si conclude (Sezione II, 28 giugno 2012 n. 29320) che una intercettazione di tal genere richiede un controllo dell'autorità giudiziaria ma poiché il grado di intrusione nella sfera privata è minore rispetto ad una intercettazione fra persone tutte inconsapevoli, è sufficiente un livello di garanzia minore, rappresentato da un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, che può essere costituito anche da un decreto del Pubblico Ministero (come nel caso di acquisizione dei tabulati telefonici).
Le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno precisato che la registrazione fonografica da parte di un soggetto che ne sia partecipe, quantunque eseguita clandestinamente, non è riconducibile all'istituto della intercettazione disciplinato dagli artt. 266 c. p. p. e segg. , ma costituisce piuttosto una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale l'autore può disporre legittimamente anche a fini di prova nel processo penale a norma dell'art. 234 c. p. p. (Sez. Unite sent. n. 36747 del 28. 5. 2003; conforme Sezione IV 9 dicembre 2006 n. 9804).
Più recentemente però la Cassazione ha ritenuto che si sia in presenza di mera attività investigativa effettuata direttamente dal teste che non possa qualificarsi alla stregua di una intercettazione in senso proprio e non sia, quindi, riconducibile alla disciplina dettata dall'art. 266 c. p. p. , e segg. (caso in cui la p. g. si era limitata a rispondere al telefono cellulare rinvenuto durante un intervento operativo ovvero trovato in possesso dell'arrestato: sez. VI 30 maggio 2007 n. 26632).
Il concetto di intercettazione postula che la captazione avvenga all'insaputa di tutti i partecipanti al colloquio o anche soltanto di uno di essi ? A favore di quest'ultima opzione, si è rilevato che il diritto alla segretezza appartiene individualmente ad ognuno degli interlocutori, sicché la rinuncia dell'uno non può comportare il venir meno della tutela nei confronti dell'altro. In tal senso si è valorizzato il dato normativo costituito dalla possibilità di procedere ad intercettazione per il reato di molestia o disturbo alle persone, con il mezzo del telefono, in relazione al quale, di norma, il controllo telefonico viene disposto su sollecitazione della persona offesa. (Sez. VI 27 maggio 2014 n. 39771).
Non possono invece essere acquisiti al processo e non possono essere utilizzati, come materiale probatorio, documenti fonografici rappresentativi di sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria (e da questa clandestinamente registrate) da persone a conoscenza di circostanze utili ai fini delle indagini, perché in tale maniera si renderebbe il processo permeabile ad apporti probatori unilaterali degli organi investigativi e soprattutto si aggirerebbero le regole sulla formazione della prova testimoniale nel contraddittorio dibattimentale (Sezioni Unite 28 maggio 2003 n. 36747 e Sez. VI 24 febbraio 2009 n 16986). Tale regola discende dal divieto di testimonianza degli ufficiali ed agenti di p. g. sul contenuto delle sommarie dichiarazioni rilasciate da persone informate sui fatti ovvero sulle dichiarazioni che avrebbero dovuto essere verbalizzate ai sensi dell'art. 351 c. p. p. Infatti l'atto documentato in forma differente da quella prescritta sintetizza certamente un'attività di indagine illegittimamente svolta e non può assumere, pertanto, valore di prova per il principi generale fissato dall'art. 191 c. p. p.
Laddove una conversazione sia stata casualmente ascoltata - per essere stato lasciato fuori posto il ricevitore del telefono - nel corso di una intercettazione telefonica ritualmente autorizzata - la relativa registrazione non è soggetta ad autorizzazione del giudice (Sez. IV 13 gennaio 2010 n. 7677) In questo caso c. d. "a cornetta sollevata", la registrazione dei colloqui fra presenti non dipende da un'indebita violazione della "privacy" ma dal comportamento degli interlocutori, i quali, lasciando il ricevitore alzato, fanno sì che la loro conversazione viaggi liberamente lungo la rete telefonica, rimanendo "scoperta" dal punto di vista della segretezza.
E le condotte non comunicative? Le Sezioni unite della Cassazione con sent. n. 26795 del 28 marzo 2006 hanno affermato che le riprese video di comportamenti "non comunicativi" non possono essere eseguite all'interno del "domicilio", in quanto lesive dell'art. 14 Cost. , e che, trattandosi di prova illecita, non può trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 189 c. p. p. . Al contrario deve riconoscersi l'utilizzabilità delle videoregistrazioni di comportamenti non comunicativi se avvenute in luoghi pubblici, aperti o esposti al pubblico e deve riconoscersi l'utilizzabilità delle videoregistrazioni, pur effettuate in ambito domiciliare, se aventi ad oggetto comportamenti a carattere comunicativo, risultando in tal caso applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora, cui possono essere assimilate (da ultimo sez. I 25 novembre 2014 n. 49843). Quindi, in presenza di autorizzazione alle intercettazioni, anche quando per disguido tecnico manchino le captazioni sonore, quelle visive sono pienamente utilizzabili laddove consegnano al processo rappresentazioni di condotte di natura comunicativa, che, tenute da tre soggetti entrati insieme nell'abitazione (oggetto di intercettazione), si sono sostanziate nel costante dialogo tra di essi intercorso, anche non captato, nella concertata condivisione dei loro movimenti e nella congiunta visione e gestione delle armi o di parti di esse.
In altra decisione (sez. VI 23 ottobre 2012 n. 44936) ha affermato che la collocazione di telecamere all'interno di un luogo di privata dimora, costituendo una delle naturali modalità attuative di tale mezzo di ricerca della prova, deve ritenersi implicitamente ammessa nel provvedimento che ha disposto le operazioni di intercettazione, senza la necessità di una specifica autorizzazione, né può porsi alcun problema di illecita violazione del domicilio. Sono certamente contra legem invece i decreti con cui il GIP ha autorizzato e prorogato le intercettazioni di conversazioni tra presenti aventi luogo all'interno di uno studio privato, nella parte in cui prevedono anche riprese video di comportamenti "non comunicativi", conseguente inutilizzabilità degli esiti di tali ultime riprese.
Limiti di ammissibilità L'art. 266 c. p. p. prevede due tecniche di individuazione dei reati per cui è possibile l'intercettazione: impostazione dei limiti edittali (lett. a e b) ovvero elencazione tassativa delle fattispecie di reato. Quid iuris se il reato per cui si procede e per il quale sono state autorizzate le intercettazioni viene successivamente derubricato in reato per cui non sarebbe consentita?
Limiti di ammissibilità L'art. 266 c. p. p. prevede due tecniche di individuazione dei reati per cui è possibile l'intercettazione: impostazione dei limiti edittali (lett. a e b) ovvero elencazione tassativa delle fattispecie di reato. Quid iuris se il reato per cui si procede e per il quale sono state autorizzate le intercettazioni viene successivamente derubricato in reato per cui non sarebbe consentita?
Secondo una ormai consolidata giurisprudenza occorre guardare alla ipotesi di reato apprezzata nel momento in cui si dispone la intercettazione sicché se l'atto è legittimo i suoi risultati mantengono tale carattere anche se la modifica della qualificazione giuridica fa diventare con valutazione postuma la intercettazione non più conforme alla previsione processuale (sez. VI 20 ottobre 2009 n. 50072 e da ultimo sez. IV 3 maggio 2016 n. 24103). Inoltre, la violazione della norma non è prevista dall'art. 271 c. p. p. I risultati sono poi utilizzabili anche per gli altri reati compresi nel medesimo procedimento inerente il delitto per cui legittimamente sono state disposte le intercettazioni, anche se per essi non sarebbero consentite.
Il requisito dei gravi indizi I"gravi indizi di reato" vanno intesi "non in senso probatorio (ossia come valutazione del fondamento dell'accusa) in chiave di prognosi di colpevolezza, ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche, richiedendosi una ricognizione sommaria degli elementi dai quali sia dato desumere la probabilità dell'avvenuta consumazione di un reato e non un'esposizione analitica, né tanto meno l'evidenziazione di un esame critico degli stessi" (in questi termini, sez. VI 26 febbraio 2010 n. 10902 e 3 maggio 2016 n. 24103).
Ad esempio: 1) Gli indizi rilevanti non possono riguardare una mera generica condotta di spaccio senza il supporto della indicazione di una singola e circostanziata condotta attribuibile all'indagato (dati spazio temporali, tipologia della sostanza) da cui sia possibile desumere una realtà di interesse penale processualmente affidabile anche se non definitiva (sez. VI 26 febbraio 2010 n. 10902). 2) la denuncia anonima, processualmente inutilizzabile, non rende possibile giustificare le intercettazioni (sez. III, 21 dicembre 2010 n. 11499), e così pure le informazioni dei confidenti della p. g.
Nel caso in cui si proceda per reati associativi la legge 203/91 richiede solamente che gli indizi siano “sufficienti”che è requisito diverso dalla gravità indicando un quantum di probabilità minore circa il venire in essere della condotte criminose. Ad es: per autorizzare l'intercettazione a carico di Tizio, sospetto appartenente alla associazione criminale, basterà indicare la frequentazione non occasionale di costui con altro soggetto noto come componente della banda.
Il presupposto della assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini Si tratta di questione che per consolidata giurisprudenza (criticata in dottrina) non è possibile sindacare in sede di legittimità in quanto attinente al merito, rimessa alla valutazione del giudice di merito, a meno che sussista un profilo di manifesta illogicità della motivazione. E' stato anche rilevato il pleonastico attributo che designa la indispensabilità e che vuole rafforzare il concetto della impossibilità di attivare altri mezzi di ricerca della prova nel caso concreto. Infine, poiché il requisito deve ricorrere per la prosecuzione delle indagini, si sostiene che le intercettazioni non possano costituire il primo atto di indagine.
Laddove si proceda per reati associativi la l. 203/91 richiede il più blando requisito della necessità ai fini della prosecuzione delle indagini e tale concetto di difficile definizione è un medio che si colloca fra la indispensabilità e la semplice utilità. Occorre comunque sempre motivare al riguardo perché l'intercettazione è uno strumento di carattere eccezionale in quanto incidente sul diritto di libertà e segretezza delle comunicazioni che è valore costituzionalmente protetto ex art. 15 Cost. (così sez. V 11 luglio 1993 n. 8925)
L'intercettazione fra presenti (art. 266 u. c. ) Essa è consentita (comunemente nota come intercettazione ambientale) ma quando la comunicazione avviene in uno dei luoghi indicati dall'art. 614 c. p. è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che vi si stia svolgendo attività criminosa a meno che non si proceda per delitti di criminalità organizzata (in tal caso vale l'art. 13 d. l. 13 maggio 1991 n. 152). Ciò che conta è che con cognizione ex ante si possa ragionevolmente ritenere che l'attività criminosa sia in corso anche se successivamente si verifica che essa non è effettivamente sussistente.
Ma attenzione ! La tutela del domicilio ex art. 14 Cost. comprende due distinti aspetti: (Corte Cost. sent. 148/2008) 1) diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo (c. d. ius alios excludendi); 2) diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi sicché la tutela rafforzata sotto questo secondo profilo non ha più ragione di essere quando il soggetto implicitamente rinuncia alla propria sfera di riservatezza tenendo condotte osservabili liberamente ab externo (paradigmatico il caso di chi si ponga su un balcone prospiciente la pubblica via)
In una simile ipotesi, difatti, le videoregistrazioni non differiscono, sostanzialmente, dalla documentazione filmata di un'operazione di osservazione o di appostamento, che ufficiali o agenti di polizia giudiziaria potrebbero compiere collocandosi, di persona, al di fuori della abitazione. Ne consegue che se l'azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora (come balconi, ingresso e cortile), può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza. Pertanto, videoregistrazioni di questo tipo, in quanto prova atipica, sono utilizzabili e liberamente valutabili da parte del giudice, non occorrendo alcuna autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria (sez. II 24 ottobre 2014 n. 46786).
La giurisprudenza considera poi legittime le intercettazioni tra presenti, nei casi in cui, nel corso dell'esecuzione delle operazioni, intervenga una variazione dei luoghi in cui l'attività di captazione deve svolgersi: in tali ipotesi l'utilizzabilità delle conversazioni captate viene giustificata purché il luogo "diverso" rientri nella specificità dell'ambiente oggetto dell'intercettazione autorizzata (sez. II, 08 aprile 2014 n. 17894). Esempio: una volta disposta l'intercettazione delle conversazioni che un determinato detenuto effettua nella sala colloqui del carcere, ove il suddetto detenuto sia trasferito in un altro carcere, non vi è alcuna ragione giuridica perché, ove continuino a sussistere i requisiti del decreto autorizzativo, debba ogni volta essere emesso un nuovo decreto di intercettazione.
La giurisprudenza si è espressa in modo non sempre lineare circa l'individuazione dei luoghi compresi nella maggiore tutela data dall'art. 614 c. p. alla “privata dimora” dandosi rilievo: 1) talora allo ius alios excludendi in capo alle persone che hanno diritto ad accedere, soggiornare in tal luogo (così si è escluso che lo fosse l'ufficio tecnico comunale stante la sua accessibilità al pubblico); 2) talora al fatto che in quel luogo vi fosse lo svolgimento di attività personali collegate al soddisfacimento di esigenze di vita del singolo non solo quelle domestiche e familiari, ma anche legate ad attività professionali, di svago, ludiche, sportive, culturali, politiche (privato non equivale ad intimo, trattandosi di concetto più vasto).
Così è stato ritenuto che fossero luoghi di privata dimora: la portineria di un condominio; le aree condominiali, anche quando le stesse non fossero nella disponibilità esclusiva dei singoli condomini; il cortile condominiale, che costituisca pertinenza di una privata dimora; uno studio odontoiatrico; l'interno di un campo da tennis inserito in un complesso alberghiero; una baracca adibita a spogliatoio in un cantiere edile; l'area di uno stabilimento adibita a deposito merci; la sagrestia di una chiesa adibita anche a servizio della casa canonica, il retro dell'ufficio postale ove la cassaforte era situata.
La giurisprudenza più recente ha collegato fra loro le due accezioni del concetto di privata dimora e partendo dal presupposto che lo ius exludendi in tanto è dato in quanto volto a proteggere la riservatezza del cittadino nello svolgimento di attività di carattere privato ha affermato (con riferimento però alla aggravante delitto di rapina) che per luogo di privata dimora deve intendersi ogni ambiente in cui le persone autorizzate a soggiornarvi sono titolari di uno ius excludendi alios e che sia in concreto idoneo a proteggere il diritto alla riservatezza consentendo lo svolgimento di atti di vita privata (sez. II 21 aprile 2016 n. 20200).
Nel concetto di attività criminosa in corso va ricompresa anche l'attività post delictum diretta all'assicurazione del profitto del reato in quanto attiene alla condotta delittuosa e ne rappresenta un completamento ovvero una conseguenza ulteriore (es. intercettazioni attivate dopo la liberazione di un ostaggio sequestrato a scopo di estorsione al fine di individuare gli autori e l'attività posta in essere diretta ad assicurarsi il prezzo del riscatto)
La autorizzazione alla intercettazione in luogo di privata dimora legittima l'ingresso clandestino della p. g. nell'altrui abitazione (per collocare le microspie)?
Contrariamente alla dottrina, la giurisprudenza in un primo tempo ha ritenuto che la intercettazione ambientale in luoghi di abitazione fosse realizzabile solo grazie alla previa introduzione da parte della p. g. e costituisse la naturale modalità di esecuzione del decreto attuativo (adottato dal P. M. e non dal Gip ) dell'autorizzazione alla intercettazione e non violasse l'art. 14 Cost. perché funzionale al soddisfacimento di superiori esigenze di giustizia. La Corte Costituzionale ha ritenuto (sentenza 19 luglio 2000 n. 304) che la norma non violasse l'art. 14 Cost. perché le modalità di intercettazione non implicano necessariamente l'intrusione arbitraria nel domicilio altrui e spetta al legislatore determinarle nel rispetto dei limiti previsti dalla Costituzione.
Successivamente la stessa Corte Costituzionale )(ord. 251/2004) ha avuto modo di precisare che anche il quomodo dell'ingresso in luoghi garantiti dall'inviolabilità del domicilio fosse da riservare a determinazioni spettanti all'autorità giudiziaria, e che, per quanto attinente all'ingresso fraudolento o clandestino nel luogo di privata dimora per la collocazione degli apparati di captazione sonora la decisione non resti affidata alla polizia giudiziaria, ma spetti piuttosto al giudice ed al pubblico ministero "nell'ambito delle rispettive competenze di cui agli artt. 267 e 268 c. p. p. ".
Sulla base di tale imput anche la più recente giurisprudenza della Cassazione è stabile nell'affermare (da ultimo Sez. V, 29 gennaio 2013 n. 50674) che la collocazione di microspie all'interno di un luogo di privata dimora costituisce una delle naturali modalità di attuazione dello strumento intercettivo. Le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova per il soddisfacimento dell'interesse pubblico all'accertamento di gravi delitti, tutelato dal principio dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost. ), con il quale pertanto, subendo la necessaria compressione, deve coordinarsi il principio di inviolabilità del domicilio. Non è compito del magistrato che procede dare alla polizia giudiziaria operante regole di condotta sulle "modalità di intrusione" nel luogo destinato all'attività di captazione (sez. VI 25 settembre 2012 n. 41514). Si tratta invero “di una sequela di atti materiali, i quali competono alla stessa polizia giudiziaria come organo esecutivo, dipendendo dalla contingente valutazione della concreta situazione non sempre prevedibile nel suo sviluppo ed implicazioni pratiche".
Le intercettazioni di colloqui con persone detenute Poiché a norma dell'art. 18 dell'Ordinamento penitenziario i colloqui detenuti con i familiari devono avvenire sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di vigilanza, è pacifico che la intercettazione ai fini investigativi dei colloqui deve essere oggetto di autorizzazione. Non si tratta comunque di intercettazioni in luoghi di privata dimora perché la sala colloqui non è nella disponibilità del detenuto che è privo dello ius excludendi alios mentre al contrario è nella disponibilità esclusiva della amministrazione carceraria.
Privata dimora e intercettazioni mediante trojan horse I trojan horse altrimenti detti “agenti intrusori” o “captatori informatici”) – sono equivalenti ai vari tipi di virus e malware impiegati per carpire i dati di un sistema informatico (personal computer, tablet o smartphone). Realizzati in modo tale da installarsi furtivamente sui sistema da monitorare agiscono senza rivelare all'utente la propria presenza e comunicano attraverso Internet, in modalità nascosta e protetta, con un centro remoto di comando e controllo che li gestisce; catturano ciò che viene digitato sulla tastiera, visualizzato sullo schermo, captato dal microfono, visto tramite la webcam, filmato mediante la videocamera del sistema controllato; possono cercare tra i file presenti sul computer “ospite” o su altri connessi in rete locale.
Questi strumenti agiscono come le usuali microspie per intercettazioni ambientali con la differenza che, in questo caso, si tratta di software installati surrettiziamente (ad esempio, con l'invio di allegati a messaggi di posta elettronica o di aggiornamenti di programmi o di applicazioni) sul computer o tablet o smartphone, del quale acquisiscono determinati poteri di gestione. Tali software, in sostanza, catturano quanto captato dal microfono e, conseguentemente, ogni qualvolta il computer risulti acceso con i microfoni attivati, potrà realizzarsi una intercettazione “ambientale” vera e propria, avuto riguardo anche alle conversazioni tra presenti.
Sul tema della legittimità di tali intercettazioni si sono susseguiti tra il 2015 e il 2016 tre orientamenti. In una prima fase, la giurisprudenza ha ritenuto infondate le censure difensive valorizzando le implicazioni della specifica disciplina delle intercettazioni nei procedimenti di criminalità organizzata, osservando che la censura inerente alla mancanza di motivazione in merito al requisito che nei luoghi di privata dimora, oggetto di intercettazione ambientale, si stesse svolgendo l'attività criminosa, era infondata, poiché le captazioni erano state disposte, trattandosi di reati in materia di criminalità organizzata, ai sensi dell'art. 13 d. l. 13 maggio 1991, n. 152, che testualmente prescinde dal predetto requisito
In una seconda fase, la Cassazione (sez. VI, 26 maggio 2015, n. 27100, Musumeci), ha ritenuto fondate censure del tutto analoghe, sulla base del duplice assunto che il decreto autorizzativo delle intercettazioni ambientali dovrebbe individuare con precisione, a pena di inutilizzabilità, i luoghi nei quali esse dovranno essere espletate, e che le captazioni espletate in luoghi non autorizzati sarebbero inutilizzabili. Precisamente ha ritenuto che l'intercettazione tramite il c. d. agente intrusore, che consente la captazione “da remoto” delle conversazioni tra presenti mediante l'attivazione, attraverso il virus, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone dia luogo ad un'intercettazione ambientale che può ritenersi legittima, ai sensi dell'art. 266, comma 2, c. p. p. , in relazione all'art. 15 Cost. , solo quando il decreto autorizzativo individui con precisione i luoghi in cui espletare l'attività captativa.
Nel contrasto giurisprudenziale sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13884, Scurato, ha rimesso alle Sezioni Unite tre questioni: a) se il decreto che dispone l'intercettazione di conversazioni attraverso l'installazione di un virus informatico debba indicare, a pena di inutilizzabilità dei risultati, i luoghi ove deve avvenire la relativa captazione; b) se, in mancanza di tale indicazione, la eventuale sanzione di inutilizzabilità riguardi solo le captazioni che avvengano in luoghi di privata dimora al di fuori dei presupposti indicati dall'art. 266, comma 2, c. p. p. ; c) se possa comunque prescindersi da tale indicazione nel caso in cui l'intercettazione per mezzo di virus informatico sia disposta in un procedimento relativo a delitti di criminalità organizzata.
Le S. U. con sentenza 28 aprile 2016 n. 26889 hanno innanzitutto evidenziato l'errore in cui era caduta la sentenza Musumeci perché la pretesa di richiedere nel decreto l'indicazione precisa dei luoghi in cui eseguire la intercettazione ambientale non solo non è desumibile dalla legge, ma non risulta essere stata mai affermata dalla giurisprudenza e, inoltre, non sembra costituire un requisito significativo funzionale alla tutela dei diritti in gioco (artt. 14 e 15 Cost. e art. 8 CEDU), dal momento che la stessa Corte Europea dei diritti dell'uomo non ne fa menzione.
Ha poi rilevato che, all'atto di autorizzare una intercettazione da effettuarsi a mezzo di virus installato, il giudice non può prevedere e predeterminare i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico verrà introdotto, e dunque vi è la conseguente impossibilità di effettuare un adeguato controllo circa l'effettivo rispetto della normativa che legittima, circoscrivendole, le intercettazioni domiciliari di tipo tradizionale. Inoltre, anche se fosse teoricamente possibile seguire gli spostamenti dell'utilizzatore del dispositivo elettronico e sospendere la captazione nel caso di ingresso in un luogo di privata dimora, sarebbe comunque impedito il controllo del giudice al momento dell'autorizzazione, che verrebbe disposta "al buio". Infine, si correrebbe il rischio di dar vita ad una pluralità di intercettazioni tra presenti in luoghi di privata dimora del tutto al di fuori dei cogenti limiti previsti dal codice, incompatibili con la legge ordinaria ed in violazione delle norme della Costituzione e della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.
Ne è discesa la conclusione che quando si tratti di luoghi di privata dimora, le intercettazioni mediante virus captatore possono essere effettuate, in base alla disciplina codicistica, soltanto se vi è fondato motivo di ritenere che in essi si stia svolgendo l'attività criminosa (e in questo caso deve esservi la indicazione del luogo), mentre per quelle da espletare in luoghi diversi da quelli indicati dall'art. 614 c. p. (ad esempio, carceri, autovetture, capanni adibiti alla custodia di attrezzi agricoli, luoghi pubblici, ecc. ), deve ritenersi sufficiente che l'autorizzazione indichi il destinatario della captazione e la tipologia di ambienti dove essa va eseguita: l'intercettazione resta utilizzabile anche qualora venga effettuata in un altro luogo rientrante nella medesima categoria (cd intercettazione dinamica).
Sul punto della illegittimità delle captazioni con virus presso privata abitazione nei casi in cui si procede per delitti ordinari, la dottrina ha osservato che la tesi sembra partire da un presupposto errato dal punto di vista tecnologico cioè dalla considerazione che, una volta installato il virus, lo strumento attivi automaticamente la registrazione delle conversazioni senza possibilità di un controllo da remoto da parte dell'operatore. In realtà il virus informatico può essere sempre gestito da remoto dall'operatore, il quale può attivare o escludere alcune funzioni (registrazione, video-riprese, acquisizione dei dati di memoria etc. ).
La nozione di “delitti di criminalità organizzata” Il legislatore non ha individuato in modo preciso i reati che devono essere ricompresi nella categoria dei delitti di criminalità organizzata, indicata con un'espressione di cui non è data alcuna definizione. Vi sono infatti disposizioni (art. 54 ter c. p. p. ; 274 c. 1 lett. c ad es. ) che richiamano espressamente la locuzione "criminalità organizzata" ed una seconda classe che raggruppa norme che contengono un catalogo di reati e che prevedono una disciplina applicabile precipuamente a fattispecie riconducibili alla categoria "criminalità organizzata (ad es. art. 51 c. p. p. , comma 3 -bis, art. 407 c. p. p. , comma 2, lett. a). La sentenza delle S. U. dedica ampio spazio al tema, oggetto di discussione in dottrina.
Le Sezioni Unite hanno ricordato 1) la propria stessa giurisprudenza (per procedimento di criminalità organizzata deve intendersi "quello che ha ad oggetto una qualsiasi fattispecie caratterizzata da una stabile organizzazione programmaticamente orientata alla commissione di più reati" (S. U. n. 37501 del 15/07/2010), 2) la normativa sovranazionale ed in particolare l'Azione Comune, adottata il 21 dicembre 1998 dal Consiglio dell'Unione Europea che definisce organizzazione criminale "l'associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni o con una pena più grave, reati che costituiscono un fine in sé ovvero un mezzo per ottenere profitti materiali e, se del caso, per influenzare indebitamente l'operato delle pubbliche autorità”. Sono quindi pervenute a fissare il principio di diritto. . .
"Per reati di criminalità organizzata devono intendersi non solo quelli elencati nell'art. 51 c. p. p. , commi 3 -bis e 3 -quater, ma anche quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, ex art. 416 c. p. , correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato".
Le intercettazioni per la ricerca del latitante (art. 295 c. p. p) La norma contiene una forma autonoma di intercettazione finalizzata a favorire la cattura del latitante (tanto dell'indagato che si sottrae alla esecuzione di misura cautelare quanto del condannato che si sottrae alla esecuzione di ordinanza di carcerazione); Il richiamo ai limiti posti dall'art. 266 c. p. p. fa ritenere alla dottrina che le intercettazioni siano possibili solo a condizione che il ricercato sia imputato di uno dei reati previsti dalla predetta norma; La competenza a provvedere sta in capo al P. M. (nei casi di urgenza) e al Gip (tale restando fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza emessa nel procedimento in relazione al quale è stato emanato il titolo custodiale) e successivamente al giudice dell'esecuzione (sez. V, 05 dicembre 2007 n. 15322);
Alle intercettazioni per la ricerca del latitante sono applicabili per espressa previsione normativa gli artt. 268, 269 e 270 c. p. p. ; Giurisprudenza concorde (non così la dottrina) ritiene che i risultati delle intercettazioni siano utilizzabili probatoriamente anche nel procedimento nel corso del quale sono state disposte per la ricerca del latitante: infatti il richiamo alla utilizzabilità in altri procedimenti indicata dal richiamo all'art. 270 c. p. p. comporta a maggior ragione la utilizzabilità anche nel procedimento in cui l'autorizzazione è stata rilasciata; L'utilizzo di impianti esterni alla Procura della Repubblica non richiede una particolare motivazione in relazione alle indilazionabili ragioni di urgenza, per il fatto stesso che la cattura di un latitante, per ovvie ragioni di ordine pubblico, rappresenta già in sé obiettivo connotato di eccezionale urgenza, che è, dunque, immanente alla stessa attività di ricerca finalizzata alla sua cattura.
REQUISITI DELLA AUTORIZZAZIONE ex art. 267 c. p. p. 1) sussistenza di gravi indizi di reato: riguardano l'esistenza del reato e non la colpevolezza di un determinato soggetto che potrebbe anche essere ignoto al momento della richiesta. 2) la intercettazione deve essere indispensabile ai fine della ricerca della prova e della prosecuzione delle indagini: può essere disposta a carico di soggetti diversi dal sospettato ma deve dar conto delle ragioni che impongono l'intercettazione di una utenza telefonica in capo ad una specifica persona e, perciò deve indicare il collegamento tra l'indagine in corso e l'intercettando.
REQUISITI DELLA AUTORIZZAZIONE 1) sussistenza di gravi indizi di reato: riguardano l'esistenza del reato e non la colpevolezza di un determinato soggetto che potrebbe anche essere ignoto al momento della richiesta. 2) la intercettazione deve essere indispensabile ai fine della ricerca della prova e della prosecuzione delle indagini: può essere disposta a carico di soggetti diversi dal sospettato ma deve dar conto delle ragioni che impongono l'intercettazione di una utenza telefonica in capo ad una specifica persona e, perciò deve indicare il collegamento tra l'indagine in corso e l'intercettando.
3) il decreto autorizzativo del Gip adottato su richiesta del P. M. deve essere motivato con riferimento ad entrambi i parametri suddetti e può recepire per relationem le argomentazioni del P. M. ma da esso deve emergere 1) il riferimento ad uno specifico atto del procedimento la cui motivazione sia congrua con la giustificazione del provvedimento; 2) che il giudice abbia preso cognizione dell'atto cui fa rinvio e dimostri di averlo meditato e compiuto una propria autonoma valutazione; 3) che l'atto di riferimento sia trascritto in motivazione ovvero sia conosciuto od almeno ostensibile all'interessato. 4) la motivazione deve indicare l'ipotesi di reato per cui si procede e che legittima il ricorso a tale tipo di strumento investigativo, le fonti degli elementi indiziari e le ragioni della loro idoneità a dimostrare il requisito della gravità. Non deve farsi ricorso a formule stereotipe che ripetono il contenuto delle norme che disciplinano l'adozione di quel mezzo di ricerca probatoria.
5) il decreto di autorizzazione deve indicare le ragioni per le quali la prova non può essere raggiunta con altri mezzi; 6) Solo la mancanza - tale dovendosi intendere anche la mera apparenza o l'assoluta incongruità - della motivazione dei decreti che autorizzano o prorogano le operazioni di intercettazioni comporta l'inutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative mentre il difetto di motivazione inteso come insufficienza od incompletezza (Sezioni Unite 21 giugno 2000, Primavera) è emendabile dal giudice cui la doglianza venga prospettata - ovverosia dal giudice del merito che deve utilizzare i risultati delle intercettazioni ovvero dal giudice dell'impugnazione nella fase di merito o in quella di legittimità e non produce inutilizzabilità.
La durata e la proroga delle intercettazioni Alla scadenza del decreto di intercettazione (il termine di 15 giorni ovvero quello inferiore contenuto nel decreto esecutivo del P. M. ) occorre che l'organo inquirente richieda ed il Gip adotti il decreto di proroga che deve essere motivato con riguardo alla necessità della prosecuzione delle indagini e la persistente attualità delle ragioni che lo avevano in origine giustificato. La proroga tardiva rende inutilizzabile il contenuto delle intercettazioni medio tempore ma ha soltanto efficacia per il futuro alla stregua di nuovo provvedimento autorizzativo che perciò deve contenere (a differenza del decreto di proroga) tutti gli elementi che legittimerebbero ex novo l'autorizzazione alla intercettazione (sez. VI 8 luglio 2014 n. 40315).
La proroga deve essere richiesta entro un determinato termine ? La Cassazione ha risposto (sez. II, sent. 16 aprile 2013 n. 19483) che l'ordinamento non prescrive affatto un certo "termine" (più o meno"tempestivo" o "anticipato") entro il quale il pubblico ministero è chiamato a formulare la richiesta di proroga, posto che, nulla avendo prescritto in proposito il legislatore, la richiesta deve comunque essere formulata entro un termine che corrisponda, come dies a quo, con quello successivo alla proroga già concessa e in corso, e, come dies ad quem, con la scadenza del periodo autorizzato. Qualsiasi altra "imposizione" è, dunque, palesemente fuori dal sistema e, come tale, arbitraria. .
Il decreto di urgenza del P. M. e la convalida Nei casi di urgenza, quando cioè il ritardo può vanificare il risultato delle indagini. il P. M. può adottare un provvedimento di urgenza da comunicare entro 24 h. al Gip che lo convalida entro le successive 48 h. Ogni eventuale difetto di motivazione di detto provvedimento viene ad essere sanato dal decreto di convalida emesso dal giudice per le indagini preliminari (in tal senso: Cass. V, 28 ottobre 1997 n. 4714, Cass. V, 3 aprile 2001 n. 32657, Cass. I, 22 aprile 2004 n. 23512, per la quale ultima il decreto di convalida sana, inoltre, anche l'oggettiva assenza del requisito dell'urgenza).
L'urgenza è di norma giustificata dall'essere l'attività criminale attualmente in corso (ovvero sia concretamente ipotizzabile si verifichi entro il termine entro cui deve avvenire la convalida) di per sé indicativa del pregiudizio alle indagini che un ritardo può comportare e non assume rilievo la circostanza che l'ha determinata, poiché nulla esclude che essa potrebbe dipendere anche dalla inerzia del P. M. nel richiedere, ad es. , la proroga di intercettazioni in corso. La Cassazione è poi concorde nel ritenere che quando esiste la urgenza concorrono anche le eccezionali ragioni di urgenza che abilitano l'impiego di impianti esterni alla Procura in caso di indisponibilità di questi ultimi.
Effetti della tardiva convalida Laddove il giudice provveda tardivamente alla convalida del decreto adottato in via di urgenza dal pubblico ministero, detta convalida tardiva vale come autorizzazione alle successive operazioni di captazione (Sez. I, 10 aprile 2001 n. 28293) se riveste tutti i requisiti di forma (decreto motivato) e di sostanza (sia con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di reato che della assoluta necessità dell'intercettazione per la prosecuzione dell'indagine). Ma attenzione: per quanto datata dal giudice prima della scadenza dello stesso, la convalida non produce effetto se non anche depositata in cancelleria con la relativa attestazione della data dell'avvenuto deposito (Sez. II, 23 novembre 2004 n. 42). Però, In mancanza di attestazione, i registri di passaggio sono strumenti del tutto idonei a fornire dati utili ai fini della prova della data certa del provvedimento del GIP dato che costituiscono mezzo ufficiale di trasferimento degli atti da un ufficio all'altro (Sez. IV, 03 aprile 2009 n. 38153).
Tuttavia é solo entro tali limiti che può riconoscersi un valore attestativo al decreto del pubblico ministero. Questi può attestare fatti che ricadono nell'ambito dei propri poteri di cognizione diretta ma non situazioni, come l'insufficienza o l'inidoneità, che costituiscono il frutto di una qualificazione incontrollabile, se non si conoscono i fatti che l'hanno giustificata; fatti che, ad esempio, non possono essere taciuti nei casi in cui l'inidoneità viene fatta dipendere vuoi dalle condizioni materiali degli impianti, vuoi da particolari esigenze investigative.
Perciò per l'uso di impianti esterni diversi da quelli in dotazione della Procura non basta il riferimento alla "insufficienza o inidoneità" degli impianti stessi (meramente ripetitiva della formula di legge), ma si richiede la specificazione delle ragioni di tale carenza che in concreto depongono per la ritenuta "insufficienza o inidoneità". Si é precisato che l'obbligo di motivazione implica, per il caso di inidoneità funzionale degli impianti della Procura, che sia data contezza, seppure senza particolari locuzioni o approfondimenti, delle ragioni che li rendono concretamente inadeguati al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed al tipo di indagini necessari (Sez. Unite 12 luglio 2007 n. 30307).
Sulla base di tali premesse la Corte di Cassazione ha ritenuto adeguatamente motivato il decreto del pubblico ministero autorizzativo dello svolgimento delle operazioni mediante impianti in dotazione alla P. G. , che faccia riferimento alle concrete caratteristiche delle attività investigative in corso, tali da richiedere il pronto intervento della stessa polizia giudiziaria, intervento che sarebbe impossibile ove le operazioni di captazione non fossero svolte mediante impianti duttilmente dislocati sul territorio (Cass. Sez. VI, 8 ottobre 2014 n. 48428). Può trattarsi dunque di una inidoneità tecnica od anche solo funzionale.
L'obbligo dell'impiego di impianti installati presso la Procura, ovvero di pubblico servizio o in dotazione alla polizia, non esclude affatto l'uso apparecchiature di proprietà di privato e non attiene allo strumento giuridico (compravendita, comodato, locazione o altro) attraverso cui la Procura della Repubblica o la Polizia giudiziaria si procurino dette apparecchiature, ma impone esclusivamente che esse siano installate presso gli uffici giudiziari o siano in dotazione alla Polizia perché il senso della norma è quello di assicurare l'uso esclusivo durante e per le operazioni d'intercettazione degli impianti e delle apparecchiature a tal fine utilizzate e di impedire così a terzi di accedere direttamente e in autonomia alla strumentazione fin quando essa è utilizzata per l'intercettazione, allo scopo evidente di evitare rischi di inquinamento della prova ( Sez. I, 19 febbraio 2014 n. 3137).
Risolvendo un annoso contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno statuito che in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, si applica anche alle intercettazioni tra presenti la disposizione dell'art 268 c. p. p. comma 3 secondo cui è necessario, a pena di inutilizzabilità degli esiti delle operazioni (art. 271, comma 1, stesso codice), il decreto motivato del P. M. perché possa farsi ricorso ad impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria in caso di insufficienza o inidoneità degli apparati installati presso la Procura della Repubblica e in presenza di eccezionali ragioni di urgenza (S. U. 31 ottobre 2001 n. 42792). Nello stesso senso di nuovo le Sezioni Unite (S. U. 19 gennaio 2004 n. 919).
E' possibile la integrazione del decreto autorizzativo del P. M. carente sotto il profilo della motivazione? La integrazione del provvedimento in tanto può rilevare in quanto intervenga prima della esecuzione delle relative operazioni captative ed un potere di integrazione al riguardo è ravvisabile solo in capo al pubblico ministero: infatti solo al magistrato inquirente appartiene la delibazione in ordine al quomodo dell'attività intercettativa, mentre non è dato al giudice, sotto un profilo di ordine generale, di integrare un atto di parte, ancorché pubblica, né tanto meno, é dato al giudice medesimo di sostituirsi al magistrato inquirente nel rendere una motivazione giustificatrice che quello non ha affatto reso, in ordine alla adozione di una scelta tecnica nel compimento dell'atto piuttosto che di un'altra (S: U. 12 luglio 2007 n. 30347).
Cosa sono le intercettazioni c. d. “in remoto”? Quando si usano gli impianti installati presso la Procura quello che rileva (Sezioni Unite 26 giugno 2008 n. 36359) per la utilizzabilità delle intercettazioni, è che l'attività di registrazione (e cioè l'attività di immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata) avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l'utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non è necessario che negli stessi locali vengano svolte anche le successive attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, attività queste che ben possono essere eseguite in remoto presso gli uffici della polizia giudiziaria.
Anche nel caso di intercettazioni disposte in via d'urgenza la durata delle intercettazioni deve essere calcolata dall'inizio effettivo delle operazioni che, peraltro, in caso di intercettazioni ambientali, risentono anche delle ulteriori difficoltà tecnico-operative derivanti dalla necessità di introdursi negli ambienti nei quali collocare le apparecchiature. L'urgenza, dunque, deve essere valutata anche in relazione all'avvio delle necessarie attività prodromiche che, in caso di procedura ordinaria, non potrebbero essere disposte dal P. M. prima dell'autorizzazione del giudice, con ulteriore slittamento dell'effettivo inizio delle operazioni di ascolto.
Il decreto con il quale il P. M. autorizza l'esecuzione delle operazioni di intercettazione presso impianti di pubblico servizio od in dotazione alla polizia giudiziaria (art. 268 comma 3 c. p. p), può richiamare per relationem, al fine di giustificare l'esistenza delle condizioni che realizzano il requisito della insufficienza o inidoneità degli impianti di Procura, il contenuto della attestazione dell'ufficio intercettazioni della Procura della Repubblica circa l'indisponibilità dei predetti impianti (sez. I, 24 febbraio 2011 n. 42892), senza che sia necessario, al fine dell'adempimento dell'obbligo di motivazione che grava sul pubblico ministero, produrre la suddetta attestazione.
Le intercettazioni di utenze straniere Allorché le investigazioni siano state condotte all'interno del territorio italiano, a nulla rileva che la captazione delle conversazioni abbia avuto ad oggetto un'utenza italiana o straniera. In questo secondo caso, invero, non ricorre la ratio stessa della cooperazione internazionale, e cioè quella di richiedere la rogatoria. Ciò che rileva non è la nazionalità dell'utenza da intercettare quanto se l'intercettazione sia compiuta o meno nel territorio nostrano (utenza che chiama o risponde in Italia o utenza straniera utilizzata in Italia, sez. III 12 maggio 2014 n. 19424).
La sola ipotesi in cui necessita la richiesta di rogatoria è quella in cui le comunicazioni transitino unicamente su territorio straniero ed ivi si svolgano le indagini degli inquirenti. Nessuna rogatoria invece per le intercettazioni attuate con la c. d. tecnica dell'istradamento, accorgimento tecnico che permette di identificare ex post il numero identificativo dell'utenza o delle utenze italiane partendo dalla conoscenza di un numero di utenza straniera conseguente autorizzazione della attività di intercettazione con riferimento a tutte le comunicazioni e conversazioni in partenza da utenze italiane, ancora indeterminate, e dirette verso quella utenza straniera, ovvero provenienti da tale ultima e dirette verso qualsiasi utenza italiana.
INTERCETTAZIONI E SEGRETI Pur essendo ampio il catalogo dei segreti processualmente rilevanti – professionale, d'ufficio, di Stato e sugli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza (artt. 200 -203 c. p. p. ) il codice ha optato per la restrittiva scelta di costruire la classe dell'inutilizzabilità di cui all'art. 271, comma 2, c. p. p. esclusivamente attorno al segreto professionale e, al suo interno, alle sole fattispecie elencate nel comma 1 dell'art. 200 c. p. p. (ministri religiosi, esercenti professioni sanitarie, avvocati, investigatori privati, notai, consulenti tecnici, etc. . ) con esclusione della previsione relativa ai giornalisti (il difensore è tutelato dal divieto di intercettazione ex art. 103 c. p. p. ).
Nel 2007 è stata aggiunta un'apposita previsione in tema di comunicazioni di servizio di appartenenti ai c. d. servizi segreti (art. 270 -bis c. p. p. ). Contiene una peculiare disciplina inerente le sorti di siffatto materiale, qualora oggetto di intercettazione da parte dell'autorità giudiziaria, che dovrà disporre «l'immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni» (comma 1). Una blindatura funzionale a non pregiudicare le esigenze di segretezza di interlocuzioni sensibili nelle more della chiamata in campo del Presidente del Consiglio «per accertare se taluna di queste informazioni sia coperta da segreto di Stato» .
Le operazioni di intercettazione ed i relativi vizi Le Sezioni Unite (sentenza del 26 giugno 2008 n. 36359) hanno stabilito che il momento rilevante della intercettazione è la registrazione che consiste nella immissione nella memoria informatica centralizzata (server) dei dati captati nella centrale dell'operatore telefonico. E' tale operazione che deve avvenire presso gli impianti della Procura (salvo le eccezioni autorizzate) mentre le operazioni di ascolto, verbalizzazione, riproduzione dei dati registrati possono avvenire presso gli uffici della p. g.
La prova delle intercettazioni è costituita dalle bobine o dai supporti contenenti la registrazione e non dalle trascrizioni le quali rappresentano semplici modalità per rendere fruibile la consultazione della prova. Detta trascrizione deve poi avvenire secondo le forme e le garanzie della perizia al fine di tutelare i diritti delle parti che (art. 268 ult. comma) hanno la possibilità di estrarre copia delle trascrizioni e di eseguire la trasposizione delle registrazioni ovvero di ascoltarle.
IMPORTANTE !!! La sentenza 336/2008 della Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 268 c. p. p. , nella parte in cui non consentiva alla difesa il diritto di estrarre copia delle registrazioni delle intercettazioni utilizzate per l'adozione di una misura cautelare, ma non ancora depositate, riconoscendo così un diritto di accesso alle registrazioni delle conversazioni specificamente preordinato al soddisfacimento dell'esigenza di esperire efficacemente i rimedi processuali avverso l'ordinanza cautelare ma ha lasciato impregiudicate le modalità con cui esercitare tale diritto che sono state rimesse alla elaborazione giurisprudenziale.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite che con la sentenza del 22 aprile 2010 n. 23300 hanno provveduto a redigere una sorta di regolamento volto a disciplinare il diritto di accesso nel subprocedimento cautelare, stabilendo che: 1) il diritto di accesso è riservato solo al difensore; 2) l'autorità deputata al rilascio delle copie può essere solo il pubblico ministero, e il diritto di accesso riguarda solo le registrazioni delle intercettazioni effettivamente utilizzate ai fini cautelari; 3) il diritto di accesso è esercitabile solo dopo l'esecuzione o la notifica della misura cautelare; 4) non esiste un termine finale per esercitare il diritto;
5) il diritto del difensore implica l'obbligo per il pubblico ministero di assicurare l'accesso; 6) il termine in cui deve essere esaudita la richiesta non può essere quello di cinque giorni fissato dall'art. 268 c. p. p. ; 7) la copia deve comunque essere rilasciata in tempo utile per esercitare il diritto di difesa nel procedimento di riesame o in vista dell'interrogatorio di garanzia; 8) i relativi termini sono fissati dal codice ex art. 309 c. p. p. e sono dunque noti al pubblico ministero, il quale è pertanto tenuto ad attrezzarsi preventivamente in modo da poter far fronte tempestivamente ad eventuali richieste di rilascio di copie delle registrazioni;
9) la richiesta deve essere a sua volta tempestiva e compatibile con le cadenze temporali indicate, e tale aspetto deve essere valutato con riguardo alla complessità delle operazioni di duplicazione (numero delle conversazioni, difficoltà di estrazione ecc. ). Più in generale, cioè fuori dai casi di misura cautelare, sez. IV 27 novembre 2014 n. 5401 ha precisato che la richiesta di accesso deve essere formulata, all'esito dell'avviso di cui all'art. 268 c. p. p. , comma 4 o, quanto meno, di quello di cui all'art. 415 bis c. p. p. , poiché successivamente le registrazioni contenute nel server vengono riversate su supporti informatici attraverso operazione di masterizzazione così che la memoria del server sito in Procura viene liberata dai dati acquisiti, per essere utilizzata in altre attività intercettative.
10) Il pubblico ministero ha l'onere di motivare un provvedimento di diniego della consegna tempestiva delle copie, risolvendosi pertanto il controllo del giudice nella verifica della logicità e completezza di tale motivazione. La inosservanza di tale obbligo motivazionale facente capo all'inquirente non può essere sanata dal Giudice cautelare perché nella fase delle indagini preliminari il materiale captativo è nella esclusiva disponibilità del P. M. ed eventuali difficoltà, o l'impossibilità, di dare tempestivamente corso alla richiesta possono essere conosciute, o conoscibili, soltanto dall'accusa. Quindi l'esplicitazione delle ragioni della mancata o tardiva ostensione degli atti spetta in via esclusiva alla parte pubblica, funzionalmente competente alla gestione del materiale d'indagine quale dominus delle investigazioni, e non è validamente emendabile dall'organo giudicante, al quale è rimesso soltanto il controllo sulla congruità della giustificazione dell'omesso rilascio delle copie (sez. VI 6 novembre 2014 N. 48650).
11) per dedurre dinanzi al giudice del riesame l'illegittimità del diniego o dell'inerzia del pubblico ministero grava sulla parte un onere di allegazione e documentazione, la cui mancata soddisfazione comporta la rinuncia al diritto di contestare la presunzione di esistenza e conformità dei brogliacci alle conversazioni registrate; 12) l'ingiustificato diniego o l'inerzia del pubblico ministero non comportano la nullità della misura (adottata legittimamente sulla base degli atti trasmessi al gip), non determinano nemmeno l'inutilizzabilità delle intercettazioni (perché nulla prevede in tal senso l'art. 271 c. p. p. ), non provocano infine la perdita di efficacia della misura (giacché ciò avviene solo nei casi tassativamente previsti), ma configurano una nullità generale a regime intermedio ex art. 178 lett. c) c. p. p. Ne consegue la impossibilità per il giudice di utilizzare gli elementi acquisiti con procedimento invalido.
Il diritto del difensore ad accedere alle registrazioni delle intercettazioni utilizzate per l'adozione di una misura cautelare non comporta altresì il diritto dello stesso a conseguire l'attestazione di conformità delle copie delle medesime alle tracce audio originali conservate nel server, né tantomeno quello di ottenere l'autorizzazione all'accesso diretto di un proprio consulente al medesimo server per verificare tale conformità non essendo consentito anticipare nel giudizio di riesame la verifica sull'utilizzabilità delle intercettazioni in relazione al presupposto dell'effettiva registrazione delle conversazioni nei locali della Procura, essendo tale verifica demandata al procedimento che si instaura successivamente al deposito degli atti dell'intercettazione (sez. VI 9 novembre 2011 n. 43654).
Quando vi è stata la rinunzia dell'interessato ad ottenere copia informatica delle registrazioni di tutte le conversazioni intercettate, pur giustificata dalla difficoltà di corrispondere la rilevante somma a titolo di diritti di cancelleria, la piena disponibilità del P. M. a consentire l'integrale ascolto al difensore delle registrazioni permette l'esercizio del diritto di difesa in misura del tutto equipollente al rilascio di copia. E' legittimo che il P. M. abbia condizionato l'accesso ad opportune cautele (presenza di ufficiale di p. g. e per un tempo giornaliero limitato ad alcune ore), trattandosi di materiale probatorio soggetto a dispersione ed alterazione (sez. IV 25 settembre 2012 n. 47044).
Quando sia stata rispettata la formalità della registrazione e, a causa dello smarrimento o del deterioramento del supporto magnetico, la registrazione non sia più disponibile, la prova del colloquio e del suo contenuto può essere data anche con gli ordinati mezzi probatori, dunque finanche con i cosiddetti "brogliacci". Solamente la omessa registrazione rende inesistente il mezzo di ricerca della prova, pur ritualmente autorizzato, ed è inutilizzabile l'acquisizione del contenuto dei colloqui altrimenti compiuta, attraverso annotazioni o dichiarazioni dei verbalizzanti (Sez. III, 11 giugno 2014 n. 29760).
Quando il giudice procede ad ascoltare le registrazioni deve assicurare l'assistenza della difesa? L'ascolto delle registrazioni si colloca su un piano diverso rispetto a quello della istruzione probatoria del giudizio, cioè della ammissione, della formazione e della assunzione della prova. Le registrazioni sono già acquisite al processo con l'osservanza delle forme e delle garanzie stabilite. L'ascolto delle registrazioni delle intercettazioni al pari della consultazione dei processi verbali della prova orale dibattimentale, delle trascrizioni delle relative registrazioni foniche, dello scrutinio degli atti, dei documenti, delle fotografie e di ogni altra evidenza iconografica, dell'ascolto e/o della visione di riprese audiovisive, attiene alla sfera del concreto accesso del giudice alla prova che già giuridicamente costituisce il patrimonio cognitivo del giudizio. Sicché la camera di consiglio è la sede processuale di elezione. Non sono pertinenti né la evocazione del contraddittorio né la rivendicazione dell'esercizio del diritto di partecipazione difensiva, che trovano piena e compiuta attuazione nella formazione e nella acquisizione della prova.
Trascrizioni e udienza preliminare Secondo la giurisprudenza della Cassazione, il Giudice per le indagini preliminari, una volta pronunciato il decreto che dispone il giudizio, perde la propria competenza funzionale in ordine ad atti che non siano quelli urgenti attinenti alla libertà personale dell'imputato (da ultimo sez. V 22 gennaio 2014 n. 12458): il conferimento dell'incarico rappresenta un momento cruciale dell'attività processuale volta a tradurre in forma grafica il contenuto delle intercettazioni, perché in detto momento viene precisato l'incarico e vengono individuate, con la collaborazione delle parti, le conversazioni da trascrivere. Si tratta, perciò, di momento qualificante dell'attività di trasposizione della prova.
L'error in procedendo del Gip (che abbia disposto le trascrizioni senza averne più il potere) non cagiona l'inutilizzabilità delle trascrizioni, a meno che la doglianza non venga accompagnata dalla denuncia di difformità tra il contenuto delle intercettazioni (le sole rilevanti come prova) e la trasposizione grafica delle stesse, effettuata dall'ausiliario, posto che ben avrebbe potuto il giudice procedere autonomamente all'ascolto delle conversazioni in camera di consiglio o procedere alla verifica della corrispondenza tra le intercettazioni e le trascrizioni. Ne consegue che le trascrizioni effettuate sono inutilizzabili solamente nei limitatissimi casi in cui la loro corrispondenza al contenuto delle intercettazioni è stata messa in discussione dai difensori. Infatti, la trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in operazioni di carattere meramente materiale.
Problemi vari di nullità / inutilizzabilità 1) La mancata sottoscrizione del relativo verbale da parte del pubblico ufficiale che abbia proceduto all'operazione non rileva ai fini della utilizzabilità dato che l'omissione in questione non rientra le cause di inutilizzabilità previste dall'art. 271 c. p. p. , comma 1, ma dà luogo a una nullità relativa, da eccepire nei termini e con le modalità stabiliti negli artt. 181 e 182 c. p. p. Non è eccepibile in sede di giudizio abbreviato dove sono deducibili e rilevabili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità cosiddette "patologiche" (ex multis, cfr.
2) La indicazione della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria di chi ha firmato i verbali delle operazioni di intercettazione appare sufficiente ad attestare la regolarità dell'atto e neppure vi è l'incertezza di cui all'art. 142 c. p. p. (circa i soggetti che abbiano partecipato all'atto) mentre la mancata indicazione dei nominativi degli operanti, seppure integra una opportuna precauzione, tuttavia non è causa di nullità, trattandosi, al massimo di irregolarità ordinamentale innocua ai fini del valore processuale dell'atto, come emerge dalla lettura del testo dell'art. 89 disp. att. c. p. p. (contenuto del verbale delle operazioni di intercettazione).
3) Può convenirsi (sez. VI 23 settembre 2005 n. 39549) che la materiale stesura del verbale delle operazioni possa essere redatta da un agente di p. g. , così come deve ammettersi che l'ufficiale di polizia giudiziaria possa essere coadiuvato da suoi collaboratori subordinati nella esecuzione delle operazioni materiali, purché risulti effettivamente che ogni operazione sia stata svolta sotto la sua direzione e responsabilità (ipotesi in cui il P. M. aveva delegato un ufficiale di p. g. ma il verbale era stato sottoscritto solamente dall'agente collaboratore).
4) Le informazioni acquisite in via confidenziale dalla Polizia giudiziaria non possono integrare gli indizi di reato posti alla base del provvedimento di autorizzazione delle operazioni di intercettazione. L'art. 267 c. p. p. , comma 1 -bis, richiama l'art. 203 c. p. p. , che impone il divieto di utilizzabilità delle informazioni acquisite da ufficiali e agenti di P. G. o dei servizi di sicurezza, se provenienti da fonti confidenziali, e gli informatori non siano stati interrogati, né assunti a sommarie informazioni. Tuttavia, esse determinano l'inutilizzabilità delle intercettazioni soltanto quando esse abbiano costituito l'unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità (sez. VI, n. 10051 del 03/12/2007).
5) In merito alla omessa indicazione del nome dell'interprete nel verbale di trascrizione delle intercettazioni si registrano opinioni divergenti: Secondo un primo indirizzo, essendo la traduzione delle conversazioni oggetto di intercettazione un'attività logicamente e cronologicamente successiva alla loro intercettazione, essa esula rispetto al novero delle operazioni previste dall'art. 89 disp. att. c. p. p. , con la conseguenza che la indicazione del nominativo dell'interprete non fa parte delle indicazioni che devono essere annotate nei verbali delle operazioni previsto dall'art. 268 co. 1 c. p. p. .
Il contrapposto e più recente indirizzo giurisprudenziale (sez. III, 4 novembre 2015 n. 28216), invece, ritiene che laddove vi sia incertezza assoluta sul nominativo dell'interprete intervenuto in occasione delle operazioni di intercettazione di conversazioni telefoniche, si verifica una ipotesi di nullità relativa delle medesime, la quale deve essere immediatamente eccepita rimanendo sanata in caso contrario. In altri termini, l'omessa indicazione nel verbale di esecuzione delle intercettazioni delle generalità dell'interprete di lingua straniera che abbia proceduto all'ascolto, alla traduzione ed alla trascrizione delle conversazioni, rende inutilizzabili tali operazioni per violazione dell'art. 89 disp. att, c. p. p. la cui funzione è quella di consentire, previa la identificazione personale dei soggetti che hanno preso parte alle operazioni, la verifica della esistenza di condizioni che, proprio in ragione della identità personale degli stessi, possono essere tali da porre in dubbio la correttezza dello svolgimento delle operazioni stesse e la genuinità delle loro risultanze con riguardo sia alle capacità tecnicoprofessionali che alla sussistenza di eventuali situazioni di incompatibilità.
6) L'art. 271 c. p. p. , non indica, tra i divieti di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche, l'omesso avviso al difensore del deposito dei relativi verbali, previsto dall'art. 268 c. p. p. , comma 6, l'inosservanza di tale norma non determina l'inutilizzabilità delle intercettazioni, prevista per i soli casi in cui le comunicazioni non siano state registrate o le operazioni non siano state oggetto della redazione di un verbale e per l'ipotesi in cui le operazioni stesse non siano state eseguite mediante gli impianti tassativamente previsti (Sez. III n. 48161 del 18/11/2009; Sez. IV 30. 09. 2014 n. 43469).
7) La mancata sottoscrizione dei brogliacci di chi ascolta le comunicazioni non ha rilievo perché la funzione essenziale di tali documenti è solo quella di consentire, in sede di redazione finale del verbale, l'identificazione dei soggetti che hanno effettuato l'ascolto. Il verbale, unico per tutto il complesso delle operazioni, deve essere necessariamente predisposto solo al termine del periodo di effettuazione delle operazioni e va sottoscritto non da tutti gli operatori intervenuti (i quali dovranno semplicemente essere "indicati" ex art. 89 disp. att. c. p. p. ) ma solo dai soggetti cui è demandato il compito di sovraintendere a dette operazioni, cioè dal P. M. o dall'Ufficiale di polizia giudiziaria da lui delegato (Sez. IV 5. 10. 94).
8) Non è ammissibile l'eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni quando si limiti alla mera denuncia del mancato inserimento dei decreti di autorizzazione agli atti del dibattimento e della connessa impossibilità di verificarne l'esistenza e la congrua motivazione, atteso che il codice di rito non prevede la necessaria acquisizione al fascicolo di tale decreto, non figurando tale atto nell'elenco di cui all'art. 431 c. p. p. , e che la difesa ha la possibilità di verificarne la regolarità nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. sez. II 4 luglio 2012).
9) L'inosservanza delle disposizioni previste dall'art. 89 disp. att. c. p. p. in tema di verbali e nastri registrati delle intercettazioni telefoniche non determina l'inutilizzabilità degli esiti dell'attività captativa legittimamente disposta ed eseguita. Con riguardo al mancato avviso al difensore del deposito nella segreteria del P. M. dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni, la giurisprudenza della Corte (Cass. sez. III, 18 novembre 2009 n. 48161) ritiene che non costituisca causa di nullità o inutilizzabilità delle stesse.
10) L'omesso deposito dei brogliacci, consistenti nella sintesi delle conversazioni eseguita dalla polizia giudiziaria che procede all'intercettazione, non è sanzionato da alcuna nullità, o inutilizzabilità, delle intercettazioni medesime (ex plurimis, sez. III, 23 marzo 2015, n. 36350). La sanzione dell'inutilizzabilità opera, infatti, nel diverso caso dell'omessa redazione del verbale, che si distingue dal brogliaccio, perché contiene la sommaria indicazione delle operazioni svolte e non la sintesi delle conversazioni intercettate.
11) La impossibilità per l'imputato di ascoltare ed esaminare le video - riprese effettuate dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio a meno che si verta in sede di rito abbreviato, laddove il giudice può valutare le trascrizioni sommarie compiute dalla polizia giudiziaria circa il contenuto di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione, ovvero i cosiddetti brogliacci, essendo utilizzabili ai fini della decisione, tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero (Sez. VI, 15 dicembre 2011 n. 21265).
12) La illeggibilità della firma, o sottoscrizione che dir si voglia, del pubblico ufficiale non può condurre in alcun modo alla inesistenza o invalidità del verbale. La firma è segno grafico che serve alla identificazione del soggetto e la sua funzione è assicurata dalla possibilità di risalire mediante di essa al suo autore, non dall'evidenza del nominativo di questo. In caso di dubbio sulla autenticità della firma di un Ufficiale di polizia giudiziaria o su tale veste del firmatario del verbale, la parte ha la facoltà di chiedere chiarimenti o attestazioni all'ufficio da cui proviene l'atto.
LA UTILIZZAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI IN ALTRI PROCEDIMENTI (art. 270 c. p. p. ) I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli in cui sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di reati per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Quando un procedimento è diverso? ?
La prevalente e più recente giurisprudenza di legittimità ha ancorato la nozione di procedimento diverso ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, in quanto considera decisiva, ai fini della individuazione della identità dei procedimenti, l'esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. VI, n. 11472 del 02/12/2009; Sez. VI, n. 46244 del 15/11/2012; Sez. II, n. 43434 del 05/07/2013; Sez. II n. 3253 del 10/10/2013). Dunque il procedimento è diverso quando manca una connessione nel senso ora detto.
Attenzione!! Procedimento diverso non equivale a reato diverso. Infatti l'inutilizzabilità ex art. 270 c. p. non può essere invocata ove, nel corso di intercettazioni legittimamente autorizzate, emergano elementi di prova relativi ad altro reato, pur totalmente svincolato da quello per il quale l'autorizzazione è stata debitamente rilasciata. Ciò in quanto i limiti previsti per la utilizzabilità (indispensabilità delle captazioni in funzione dell'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza) inerisce a casi di diversità del procedimento in seno al quale s'intendono valorizzare le risultanze delle intercettazioni, sicché solo in tale ambito vale l'elaborazione giurisprudenziale formatasi ai fini dell'esatta perimetrazione del concetto di "procedimento diverso", com'è noto da intendersi in senso sostanziale e non formale. Infatti …. . .
… l'art. 266 c. p. p. non disciplina espressamente l'ipotesi del concorso di reati nel medesimo procedimento, per escludere l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazione per i reati diversi da quelli ivi positivamente indicati; e ciò, pur essendo l'ipotesi di concorso di reati fenomeno del procedimento del tutto usuale e frequente. La locuzione "nei procedimenti relativi ai seguenti reati" deve allora, per esigenze di intrinseca coerenza sistematica, essere interpretata nel senso della sufficienza della presenza di uno dei reati di cui all'art. 266 c. p. p. all'interno del procedimento. Del resto, sarebbe paradossale dover pervenire alla conclusione che l'art. 266 c. p. p. disciplini esclusivamente i casi in cui il singolo procedimento tratta uno solo, o più, dei reati da esso stesso indicati. Ed inoltre ….
…. l'art. 270 c. p. p. , allorquando deve individuare i parametri per legittimare l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti, non richiama l'elencazione tassativa dell'art. 266 c. p. p. , ma ne indica una nuova e diversa (l'indispensabilità per l'accertamento; il fatto che si proceda per delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza), certamente non sovrapponibile né coincidente con la clausola generale di cui all'art. 266 c. p. p. , comma 1, lett. a). Paradossale sarebbe interpretare le due norme nel senso che, avendo il legislatore evitato di dare esplicita disciplina per i reati diversi da quelli ex art. 266, ma interni al medesimo procedimento, per essi mai sarebbero utilizzabili gli esiti delle intercettazioni, addirittura neppure nei casi in cui essi lo sarebbero invece in un procedimento diverso (sez. VI 25. 11. 2015 n. 50261).
Esempi: 1) E' stata affermata la utilizzazione delle intercettazioni nate da una indagine per reati di prostituzione nel procedimento per intestazione fittizia di beni ex art. 12 sexies d. l 306/92 a carico di uno stesso soggetto (sez. II 29 maggio 2014 n. 27473); 2) E' stata esclusa quando la notizia di reato deriva da un fatto di reato storicamente diverso da quello oggetto di indagine (indagine per doping da cui risultavano a carico di terzi indizi per esercizio abusivo di professione medica (sez. V 5 febbraio 2014 n. 15652); 3)E' stata esclusa in un caso in cui indagando su di una serie di rapine sono emersi indizi delitto di sfruttamento della prostituzione con i cui proventi l'indagato sosteneva la latitanza (sez. III 8 aprile 2015 n. 33589); 4) E' stata affermata nel caso di procedimento avviato per accertare la sussistenza di reati di traffico internazionale di sostanze stupefacenti e opere d'arte che si assumevano finanziati con i proventi dei connessi reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (sez. III 23. 09. 2014);
L'art. 270 c. p. p. prevede che nel procedimento “secondario” debbano essere inseriti i verbali e le registrazioni ma non i decreti autorizzativi del procedimento “originario” Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite che hanno affermato il diritto delle parti ad ottenere copia dei provvedimenti autorizzativi del diverso procedimento originario, in quanto idonei ad influire anche sulla legalità del procedimento intercettativo da questa derivato, ove si verifichi la mancata osservanza del modello legale. É tuttavia onere delle parti interessate allegare i decreti di cui si chiede la verifica di legalità, essendo escluso qualsiasi obbligo acquisitivo del giudicante del procedimento derivato (Sez. Unite n. 45189 del 17/11/2004)
Può il giudice dell'appello ritenere utilizzabili intercettazioni che il giudice di primo grado ha stimato non utilizzabili e ciò pur in difetto di appello del P. M. ? Risposta: La regola dell'effetto devolutivo dell'appello, attiene alle statuizioni del provvedimento impugnato e non anche alla parte argomentativa che ne è svincolata, non preclude al giudice di appello la conferma della sentenza impugnata sulla base di elementi di prova diversi da quelli indicati dalla pronuncia di primo grado (Sez I, 5 febbraio 2013 n. 11561).
Intercettazioni e corpo di reato I divieti di utilizzazione ed il concetto di inutilizzabilità devono essere riferiti al dato probatorio, che è disciplinato dall'art. 187 c. p. p. e ss. , e non al corpo del reato. La comunicazione o conversazione oggetto di registrazione costituisce corpo del reato, unitamente al supporto che la contiene (S. U 15 novembre 2004 n. 45189), solo allorché essa stessa integri ed esaurisca la fattispecie criminosa (e non solo un frammento). Es: favoreggiamento commesso mediante una comunicazione telefonica (Sez. VI, n. 5141/2008); rivelazione di segreto di ufficio consumatasi nel corso di una telefonata (Sez. VI, n. 14345/ 2001).
Successivamente nell'ambito della giurisprudenza di legittimità si è riproposto il contrasto nel senso che secondo un indirizzo maggioritario, alla nozione di corpo di reato ex art. 253 c. p. p. , deve essere attribuita anche una implicazione immateriale, sicché le "conversazioni" possono costituire corpo di reato, allorché la stessa espressione linguistica impiegata sia lesiva di un precetto penale e, imprimendosi, contestualmente alla commissione, sul supporto magnetico registrante, lo rende corpo di reato (sez. VI, n. 32957 del 17/07/2012) mentre secondo l'orientamento minoritario, in tema di intercettazioni la conversazione non può mai costituire di per sé corpo del reato, poiché altrimenti si finisce con il confondere il risultato dell'intercettazione con la cosa materiale (nastro, disco o filmato) che documenta il fatto costituente reato, in quanto mezzo o prodotto della condotta criminosa, nonché la stessa condotta criminosa con l'attività esterna della sua documentazione (sez. V n. 10166 del 25/01/2011).
Le Sezioni Unite dopo avere ricordato come in taluni reati (falso ideologico, falsa testimonianza ed affini) la giurisprudenza sia unanime nel riconoscere natura di corpo di reato al supporto o al documento che incorpora la falsa dichiarazione e che lo stesso legislatore (art. 271 c. p. p. ) ipotizza la stessa conclusione a proposito dei supporti che contengono le registrazioni laddove ne stabilisce la distruzione salvo che costituiscano corpo di reato, giungono a concludere. . .
… che le conversazioni oggetto di intercettazione costituiscono corpo di reato unitamente al supporto che le incorpora solo allorché esse integrino ed esauriscano la fattispecie criminosa mentre deve essere escluso tale carattere quando le conversazioni abbiano mero carattere descrittivo di attività illecite o ne costituiscano un frammento. (S. U. 24 giugno 2014 n. 32697)
Le intercettazioni dei Parlamentari in relazione a determinati reati, nei quali l Al riguardo la L. 20 giugno 2003 n. 140 stabilisce rilevanti deroghe alla disciplina ordinaria in ragione della necessità di vagliare che la richiesta di intercettazione o di acquisizione dei tabulati telefonici non sia caratterizzata dal cd fumus persecutionis (ivi compreso l'uso strumentale delle intercettazioni come ad es. per danneggiarne l'immagine) e tale esame è rimesso dapprima alla Giunta per le autorizzazioni e infine alla Camera di appartenenza del parlamentare cui si deve rivolgere l'autorità giudiziaria. La richiesta deve essere motivata con riferimento alle relative ragioni, esponendo quelle che giustificano l'adozione del provvedimento anche sotto il profilo della necessità dell'atto a condotta criminosa assume carattere dichiarativo (falsità ideologica; falsa testimonianza e investigativo a fronte dell'esigenza di sacrificare il minimo falsità analoghe; calunnia; simulazione di reato ed altri), che il supporto cartaceo o la registrazione che contiene l'elemento dichiarativo che integra una delle fattispecie criminose possibile la libertà e la indipendenza della funzione citate costituisce corpo di reato, in quanto tale soggetto al disposto di cui all'art. 235 c. p. p. . parlamentare. Tale valutazione è rimessa alla A. G. richiedente (Corte Cost. sent. 28 maggio 2010 n. 158 in conflitto di attribuzioni).
Il problema della utilizzazione delle intercettazioni indirette o casuali Dopo che la Corte Cost. ha dichiarato la illegittimità costituzionale del divieto (art. 6 l. 140/2003) di utilizzazione delle intercettazioni eseguite nei confronti del terzo che abbia occasionalmente interloquito con un parlamentare, si è posto il problema di cosa debba intendersi per intercettazione casuale che sfugge alla regola della preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza. Infatti, a seguito di ripetuti interventi della Corte Cost. , devono ritenersi escluse dal novero delle intercettazioni indirette quelle intercettazioni che pur riguardando soggetti diversi dal parlamentare sono comunque dirette a captarne le comunicazioni in virtù dei rapporti personali o professionali con la persona assoggettata al controllo
Al fine di affermare o escludere la "casualità” dell'intercettazione, nella motivazione del provvedimento, fondato sugli elementi acquisiti, il giudice deve avere riguardo a molteplici parametri riconducibili al tipo dei rapporti intercorrenti tra il parlamentare e il terzo sottoposto a controllo telefonico, all'attività criminosa oggetto di indagine, al numero delle conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare, all'arco di tempo entro il quale tale attività di captazione è avvenuta, anche rispetto ad eventuali proroghe delle autorizzazioni e al momento in cui sono sorti indizi a carico del parlamentare(Corte. Cost. sent. n. 114/2010)https: //www. iusexplorer. it /Giurisprudenza/Get. Jumps. By. Id. Estremi? id. Estremi=424458&id. Databank=0).
Intercettazioni e Presidente della Repubblica Qui è assoluto il divieto di intercettazioni dirette ed indirette (invi comprese quelle fortuite) siccome derivante dalle funzioni del Capo dello Stato che impongono la necessità che ogni suo colloquio sia coperto dalla più assoluta segretezza intuitu personae. Sulla base di tale presupposto la Corte Cost. ha affermato che lo statuto presidenziale impone l'immediata distruzione anche delle conversazioni occasionalmente captate nell'ambito di indagini riguardanti soggetti terzi (sent. 13 gennaio 2013 n. 1). La distruzione disposta dall'A. G. prescinde dalla fissazione della camera di consiglio che vanificherebbe la garanzia di riservatezza delle comunicazioni giacché nel procedimento camerale le parti possono accedere agli atti.
INTERCETTAZIONI E LINEE GUIDA DEL CSM Il crescente richiamo alla necessità di garantire la tutela della riservatezza dei dati personali ha suggerito l'adozione di circolari e direttive assunte da diverse Procure della Repubblica, animate dall'obiettivo di impedire la indebita diffusione di dati personali non rilevanti, acquisiti nel corso delle operazioni di intercettazione. Esse individuano quale momento cruciale quello in cui si effettuano la selezione e la trascrizione delle conversazioni intercettate, dato il rischio di indebite propalazioni di comunicazioni irrilevanti ai fini delle indagini, ma lesive della riservatezza dell'imputato o di terzi su circostanze estranee al processo. L'intervento è inteso a imporre una chiara sequenza temporale tra conclusione delle operazioni di intercettazione, deposito di verbali e registrazioni, "udienza stralcio" e perizia trascrittiva per poi scongiurare il rischio di diffusione di notizie irrilevanti per il processo, assicurare la tutela della privacy e consentire l'immediato esercizio del diritto di difesa.
Le linee guida elaborate del CSM riconoscono al P. M. il ruolo di dominus delle indagini preliminari, che effettua direttamente o delegando la polizia giudiziaria, che gli dipende funzionalmente. A lui spetta, direttamente o attraverso le direttive fornite alla polizia giudiziaria, il primo delicato compito di “filtro” nella selezione delle intercettazioni inutilizzabili e irrilevanti per evitarne l’ingiustificata diffusione. La complessità interpretativa dell’istituto impone una valutazione tipicamente giurisdizionale, che non può essere esclusivamente delegata “in bianco” alla polizia giudiziaria. Il P. M. é l’unico organo, in quanto magistrato, in possesso degli imprescindibili strumenti conoscitivi, atti a consentire un appropriato vaglio delle conversazioni.
Pertanto è opportuno che il Procuratore della Repubblica, con una direttiva generale alla polizia giudiziaria, ed il pubblico ministero, nello specifico delle indagini, riservino all’organo inquirente il controllo nei casi di dubbio sulla rilevanza e sulla utilizzabilità. E' buona prassicurare che quanto meno in termini sommari, gli elementi essenziali delle captazioni siano riportate nel brogliaccio, con riferimento ai dati estrinseci della conversazione (indicazioni sulla identità dei conversanti, sull’orario e sull’oggetto del colloquio). In tal senso bisogna distinguere fra la normale prassi operativa di trascrivere il contenuto delle conversazioni nel brogliaccio della polizia giudiziaria e, viceversa, la diversa ipotesi in cui è opportuna e sufficiente una “mera indicazione” dei dati estrinseci delle conversazioni per le intercettazioni, che si presentino ab initio come inutilizzabili o manifestamente irrilevanti.
Le Linee guida condividono il sistema della annotazione già nel brogliaccio dell’espressione “conversazione con il difensore non utilizzabile”, senza riportare il contenuto della medesima, e nei casi dubbi del confronto fra la p. g. ed il p. m. per la valutazione di utilizzabilità o meno. Nello stesso senso non dovrebbe essere riportato il contenuto delle conversazioni nel brogliaccio, anche per tutti i casi di conversazioni irrilevanti, dovendo in tal caso riportarsi l’espressione “intercettazione irrilevante ai fini delle indagini”, conseguente divieto di inserimento del contenuto della conversazione nelle annotazioni di polizia giudiziaria e nelle richieste del pubblico ministero.
Una speciale cautela, nella valutazione di pertinenza o rilevanza, si impone per le conversazioni il cui contenuto sia riferibile a dati sensibili ex art. 4 lett. d) D. Lgs. n. 196/03 (opinioni politiche o religiose, sfera sessuale, dati relativi alla salute etc. ), per i quali il c. d codice della privacy disegna uno statuto di protezione più marcata, riguardanti sia l’indagato sia terze persone non indagate o non intercettate direttamente. Quando le predette conversazioni siano ritenute non rilevanti sul piano probatorio, se ne dovrà omettere la verbalizzazione anche riassuntiva, procedendo alla mera indicazione dei dati estrinseci con la dizione: ”conversazione privata relativa a dati sensibili”.
Un primo vaglio macroscopico viene operato nell’immediato, al momento dell’ascolto ed incide sulla scelta dell’an o del quomodo della trascrizione della conversazione, ovvero della diversa determinazione di procedere alla sua mera indicazione nel brogliaccio. Segue poi un secondo vaglio, più raffinato, al momento della scelta e della selezione delle comunicazioni, trascritte o da trascrivere, da utilizzare a sostegno dell’accusa e dunque destinate ad essere utilizzate, depositate e rese conoscibili alle parti. L’opera di selezione è affidata innanzitutto alla professionalità del magistrato P. M. , che dovrà operare una attenta verifica delle informazioni utili e rilevanti per le indagini, avendo sempre presente la necessità del corretto bilanciamento dei valori costituzionali in gioco, che impone di sacrificare il bene della riservatezza solo in presenza di una informazione che sia effettivamente rilevante per il processo.
ll pericolo di diffusione di informazioni sensibili derivanti dalle intercettazioni è massimo nel periodo immediatamente successivo all’esecuzione della misura cautelare e alla discovery degli atti con il deposito al tribunale per il riesame, per scemare poi progressivamente con il passare del tempo ed il susseguirsi fisiologico dei fatti di cronaca. Ne consegue che massimo può essere in tale fase, anche in termini quantitativi, il pericolo di diffusione di informazioni sensibili derivanti dalle intercettazioni e dunque di lesione del bene della riservatezza, per cui ancor più attenta deve essere l’opera di verifica della rilevanza compiuta dal magistrato in questo segmento processuale.
In caso di adozione di misure cautelari in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 336/2008, al deposito dei fìles audio delle conversazioni utilizzate per l'adozione del provvedimento e ritenute rilevanti è connesso il diritto del difensore di ascoltare le registrazioni e di estrarne copia. In tali casi, va opportunamente prevista la formazione di apposito supporto magnetico contenente la copia dei files audio delle sole intercettazioni utilizzate a fondamento della richiesta cautelare, onde evitare che possano essere conosciute ulteriori conversazioni.
A prescindere poi dalla selezione operata in fase cautelare, e’ auspicabile che il p. m. compia una ulteriore verifica selettiva al momento del deposito degli atti al termine delle indagini. In questa fase dovrà farsi attenzione a non depositare conversazioni oggetto della selezione negativa operata in fase cautelare, salvo un ripensamento determinato per effetto di una rivalutazione del complessivo materiale probatorio. Si inserisce in questo contesto il tema dell’attivazione dell’udienza stralcio su cui ci si soffermerà di seguito.
L'udienza filtro, prevista nel codice di rito dall’art. 268, comma 6, 7 e 8 cod. proc. pen. , regola la procedura per l’acquisizione e la trascrizione delle conversazioni o delle comunicazioni «che non appaiono manifestamente irrilevanti» e lo stralcio di quelle «di cui è vietata l’utilizzazione» . Ma esiste una prassi largamente diffusa volta ad evitare il ricorso a questa procedura. La selezione delle registrazioni rilevanti e la loro trascrizione è solitamente compiuta nelle udienze dibattimentali, in genere nella fase dedicata all’ammissione delle prove ex artt. 493 -495 cod. proc. pen, e ben più di rado, quest’attività viene compiuta dinanzi al Gup. La procedura prevista dal codice è diretta a preservare l’indagato, le persone offese e i terzi interlocutori, estranei al processo, dalla diffusione e dalla pubblicazione di fatti personali e riservati manifestamente irrilevanti rispetto ai temi probatori. La selezione del materiale registrato, poi, avviene nel contraddittorio. I difensori hanno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni, ma non possono trarre copia, né dei file audio, né dei verbali in cui, nel corso delle indagini, è trascritto sommariamente il contenuto delle comunicazioni o delle conversazioni.
ll pericolo di diffusione di informazioni sensibili derivanti dalle intercettazioni è massimo nel periodo immediatamente successivo l’esecuzione della misura cautelare e la discovery degli atti con il deposito al tribunale per il riesame, per scemare poi progressivamente con il passare del tempo, per cui ancor più attenta deve essere l’opera di verifica della rilevanza compiuta dai magistrati in questo segmento processuale. Pertanto in questo ambito prassi opportuna è quella di predisporre un apposito supporto magnetico che contenga esclusivamente le conversazioni selezionate al fine di supportare la richiesta di misura cautelare così da evitare la propalazione di registrazioni non trasmesse al Gip con gli atti a sostegno della richiesta cautelare.
Le linee guida sono favorevoli ad una rivalutazione della udienza filtro ex art. 268 c. p. p. per le seguenti ragioni: 1) il Gip, che ha emesso i decreti autorizzativi e che eventualmente ha adottato un provvedimento cautelare, ha una recente ed immediata conoscenza degli atti, che gli consente di svolgere con efficacia e rapidità il giudizio di “manifesta irrilevanza”; 2) la procedura va attivata in un momento procedimentale in cui è utile per tutelare la riservatezza, e cioè prima del deposito di tutti gli atti, quando non sia ancora consentito il rilascio di copia delle registrazioni e siano ancora vigenti i divieti di cui all’art. 114, comma 1 e 2, cod. proc. pen. e quindi prima dell'avviso di conclusione delle indagini. Ciò in specie quando il P. M. abbia già avuto cognizione della presenza nel materiale registrato di comunicazioni o di conversazioni vietate dalla legge o che non solo siano manifestamente irrilevanti, ma contengano anche «dati sensibili» .
Infatti se la procedura di stralcio fosse attivata davanti al Gup in sede di udienza preliminare ovvero in dibattimento, la documentazione dovrebbe essere depositata presso la segreteria del P. M. e dunque con il venire meno della segretezza se ne potrebbe estrarre legittimamente copia da parte dei difensori degli indagati così che il materiale raccolto durante le indagini potrebbe circolare tra un numero indeterminato di persone e più facilmente si può verificare la sua divulgazione conseguente inutilità della procedura di stralcio (così L. Giordano in Prime considerazioni sulla delibera del CSM in Diritto Penale Contemporaneo 11 ottobre 2016)
Può accadere che registrazioni rilevanti rispetto al thema decidendum possano contenere profili inutilmente lesivi della riservatezza di terzi che ne sono parti o che sono citati. Qualora una simile situazione si verificasse, le linee guida suggeriscono che i magistrati opportunamente ne evidenzino il relativo rilievo probatorio nella motivazione (ad es. nel provvedimento cautelare in cui vi è la riproduzione integrale delle trascrizioni rilevanti che spesso costituisce un momento centrale dell’esposizione del materiale probatorio, in tal modo di fatto illustrando il bilanciamento dei valori contrapposti e la ragione che giustifica la riproduzione della registrazione negli atti (onere che potrebbe definirsi di “sobrietà contenutistica”, di natura deontologica).
Ultime notizie sulla riforma delle intercettazioni E' attualmente all'esame dell'Assemblea del Senato il provvedimento, già approvato dalla Camera, contenente una parziale riforma dell'istituto della prescrizione e modifiche al codice di procedura penale fra cui quelle inerenti le intercettazioni. Al riguardo il provvedimento si limita ad una dettagliata delega al Governo per la revisione della materia delle intercettazioni. Tra i principi si segnalano: le disposizioni per garantire la riservatezza delle comunicazioni e conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione; una nuova fattispecie penale per la diffusione del contenuto di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni telefoniche fraudolentemente captate, con la finalita di recare danno alla reputazione; una specifica disciplina restrittiva per le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni mediante i cd Trojan cioè i captatori informatici.
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