IMMANUEL KANT Il cartografo della conoscenza umana Parte

  • Slides: 44
Download presentation
IMMANUEL KANT Il cartografo della conoscenza umana. Parte terza: la Critica della ragion pratica

IMMANUEL KANT Il cartografo della conoscenza umana. Parte terza: la Critica della ragion pratica 1

Critica della ragion pura e critica della ragion pratica • Critica della ragion pura

Critica della ragion pura e critica della ragion pratica • Critica della ragion pura significa volontà di criticare le pretese della ragione proprio quando vuole essere “pura”, cioè operare al di fuori dell’ambito assegnato all’intelletto umano, ossia la conoscenza della realtà per mezzo di un’intuizione sensibile, rielaborata dalle categorie dell’intelletto e gestita dall’Io penso. Quando la ragione non vuole aver nulla a che fare con la sensibilità, esce dal suo ambito, pretende di conoscere noumeni, cioè le cose come sono in sé, e cade in errori strutturali e necessari. • La Critica della ragion pratica del 1788 che riprende e approfondisce le tematiche etiche della Fondazione della metafisica dei costumi del 1785, vuole invece criticare la ragione che muove la volontà e determina l’agire umano (pràxis = azione) proprio in quanto la sensibilità pretende di avere un ruolo predominante nel determinare le scelte umane. 2

Leggi universali e sensibilità Quindi se la Critica della ragion pura, nell’ambito della conoscenza

Leggi universali e sensibilità Quindi se la Critica della ragion pura, nell’ambito della conoscenza (in ambito teoretico), andando alla ricerca delle leggi universali e necessarie che governano la natura insegna ad attribuire una funzione indispensabile alla sensibilità, la Critica della ragion pratica, in ambito morale, andando alla ricerca di una legge morale universale e necessaria per tutti gli uomini vuole dimostrare la possibilità della ragione di guidare i comportamenti umani a prescindere dalla sensibilità. 3

Che cosa significa sensibilità in ambito pratico? In ambito teoretico quando diciamo sensibilità alludiamo

Che cosa significa sensibilità in ambito pratico? In ambito teoretico quando diciamo sensibilità alludiamo alle intuizioni sensibili dei fenomeni attuate per mezzo delle forme a priori di spazio e tempo. In ambito pratico la sensibilità è tutto quanto riguarda gli appetiti sensibili e le strategie messe in atto dall’uomo per soddisfarli. Appetito sensibile è per esempio la ricerca del piacere, della soddisfazione (anche spirituale), l’idea di un utile soggettivo (faccio x perché mi dà vantaggi), il trasporto emozionale (reagisco con impeto pari allo stimolo ricevuto) e tutto quanto riguarda il mantenimento delle proprie condizioni di vita (quello che Kant chiama “amor proprio” che è una componente fondamentale della felicità). In sostanza è sensibilità tutto ciò che non è oggetto di un pensiero razionale in grado di dire che un’azione è consigliabile all’uomo, ed è anche un dovere, perché è giusta sul piano razionale. La scommessa di Kant è quella di dimostrare che l’uomo può porre la ragione come unica guida del suo comportamento, escludendo appunto tutti i motivi sensibili. 4

La costruzione dell’etica Sulle base di questa scommessa: la ragione può da sola stabilire

La costruzione dell’etica Sulle base di questa scommessa: la ragione può da sola stabilire il comportamento umano, Kant elabora la sua dottrina morale. Teniamo conto che si tratta di una scommessa vinta da subito, perché se il comportamento fosse dipendente da qualcosa di esterno alla ragione, l’uomo non sarebbe libero, bensì sarebbe sottoposto all’attrazione fatale degli oggetti che di volta in volta suscitano il suo desiderio. Ma senza una libertà rispetto agli stimoli sensibili, non avrebbe nemmeno senso parlare di etica, cioè di azioni che sono giuste o sbagliate, quindi che è doveroso compiere o omettere. Infatti non ha alcun senso prescrivere un dovere a un essere non libero. 5

I principi pratici Kant comincia con la spiegazione dei criteri più generali secondo i

I principi pratici Kant comincia con la spiegazione dei criteri più generali secondo i quali noi agiamo. Essi sono chiamati principi perché da loro scaturisce in ultima analisi la nostra azione. La loro generalità significa che possono essere specificabili in regole più particolari. Per esempio, principio pratico generale può essere: “Giova al prossimo”, mentre regola particolare è, sotto tale concetto, quella di aiutare gli anziani a far la spesa, oppure di insegnare ai bambini o di visitare gli ammalati etc. 6

Principi pratici: massime e imperativi I principi pratici generali possono essere di due tipi:

Principi pratici: massime e imperativi I principi pratici generali possono essere di due tipi: Le massime che sono “determinazioni universali della volontà”, cioè regole dell’azione elaborate dalla singola persona che tuttavia valgono solo per i singoli soggetti. Sono massime quelle regole di cui possiamo domandare a una persona quando gli chiediamo. “Tu come ti regoli? ”. Dovendo affrontare un’interrogazione di italiano, puoi chiedere al compagno che eccelle nella materia: “Tu come fai? ”. Lui ti risponderà prima con delle regole generali, le sue massime, per esempio “Considera l’italiano come materia fondamentale perché tutte le altre si fondano sulla comunicazione linguistica”. Poi ti specificherà come affrontare un certo autore. Per esempio: “Di Manzoni non tralasciare le tragedie storiche”. Così vale anche per questioni più fondamentali, come per esempio: “Come ti regoli quando vedi una persona in difficoltà? ”. Una persona può assumere come sua massima: “Aiuta le persone in difficoltà”. Ciò che distingue le massime è che sono valide per il soggetto che le assume. Per quanto il soggetto possa pensarle come regole importantissime, sono ancora le sue regole. 7

Principi pratici: gli imperativi Gli imperativi sono l’altro tipo di principi pratici e pretendono

Principi pratici: gli imperativi Gli imperativi sono l’altro tipo di principi pratici e pretendono di essere sempre validi esserlo per tutti. Essi esprimono una necessità oggettiva di agire nel modo da loro prescritto. A tale necessità il soggetto di deve adeguare e dunque appaiono configurarsi come un dovere. Se il dovere è condizionato da un qualche fine, sono ipotetici, se il dovere è assoluto sono categorici. 8

Imperativi ipotetici Gli imperativi ipotetici indicano la necessità di agire in un dato modo,

Imperativi ipotetici Gli imperativi ipotetici indicano la necessità di agire in un dato modo, a partire dall’ipotesi che si voglia raggiungere un determinato obiettivo. Per es. : “Se vuoi camminare in montagna, munisciti di appositi scarponi”. “Munisciti di appositi scarponi” vale solo nell’ipotesi che uno voglia andare in montagna. Insomma gli imperativi ipotetici ci indicano i mezzi adatti a determinati fini. Sono necessari, ma condizionatamente, cioè sotto la condizione che uno scelga di raggiungere un determinato scopo. 9

Imperativi categorici Gli imperativi categorici sono prescrizioni che valgono incondizionatamente per ogni essere razionale,

Imperativi categorici Gli imperativi categorici sono prescrizioni che valgono incondizionatamente per ogni essere razionale, in qualsiasi circostanza, prescindendo dagli effetti che ciascuno vuole ottenere. Nell’imperativo categorico vi è in sostanza un ordine che proviene direttamente ed esclusivamente dalla ragione, in modo assolutamente a priori, cioè a prescindere da ogni esperienza o circostanza. Nell’imperativo categorico la ragione dice alla volontà come essa deve regolarsi affinché compia un atto intrinsecamente buono. Essa cioè è il principio di una volontà buona. 10

Volontà buona Perché la volontà sia buona, la massima che regola il nostro agire

Volontà buona Perché la volontà sia buona, la massima che regola il nostro agire soggettivo deve essere sottoposta a un test di razionalità. Dando per scontato che ogni atto che interessa la morale deve essere volontario (infatti di ciò che è involontario non siamo responsabili, dunque non ha senso dire se sia buono o no), quando una persona compie un’azione consapevole significa che ha scelto una regola in base alla quale agire (la sua massima). Ora, l’azione buona in senso assoluto è quella la cui regola (massima) è coerente con la ragione. 11

Il test di universalizzazione Come si fa a capire quando una regola è razionale?

Il test di universalizzazione Come si fa a capire quando una regola è razionale? Le razionalità di una certa massima non si deduce da altro, ma si impone come un “fatto di ragione”. A partire dal nostro essere razionali, noi troviamo in noi alcuni regole che ci sono date assieme alla nostra ragione, che “naturalmente è legislativa” (“la ragione pura è per sé sola pratica, e dà (all’uomo) una legge universale che noi chiamiamo legge morale” Cd. Rpr, Laterza, Roma Bari 1991, p. 33). Ma date alcune leggi intrinsecamente razionali dentro di noi, che si impongono come doveri incondizionati, come si fa a distinguerle da proposizioni che hanno solo l’apparenza della razionalità, senza esserlo? A tale fine è necessario valutare se la regola potrebbe essere accettata universalmente, cioè da tutti gli esseri dotati di ragione. 12

Che cosa è che ci fa capire che un imperativo è categorico Per individuare

Che cosa è che ci fa capire che un imperativo è categorico Per individuare ciò che costituisce un dovere sempre e comunque, bisogna guardare alla forma del comando, cioè alla sua intrinseca razionalità. In effetti quando dico che non bisogna rubare sto già applicando ad un contenuto specifico, il rubare appunto, il criterio universale della razionalità. Infatti mi devo domandare perché non devo rubare? Perché vale l’indicazione “non rubare”? La risposta è la seguente: “Perché è un comando universale che può e deve essere compreso e accettato da tutti coloro che sono forniti di ragione”. 13

L’essenza razionale dell’imperativo categorico (IC) L’essenza dell’ IC consiste nel prescindere dal contenuto, da

L’essenza razionale dell’imperativo categorico (IC) L’essenza dell’ IC consiste nel prescindere dal contenuto, da ciò che di volta in volta è oggetto della volontà. La volontà non deve essere mossa da un oggetto che la attrae: se io mangio un gelato sottraendolo alla mia nipotina, perché sono attratto dal gusto del cioccolato e non so resistervi, non mi comporto in modo umano e razionale, ma in modo animale. La mia volontà è schiava di un oggetto – il gelato – che trova davanti a sé, ed è quindi mossa da un motivo sensibile. Questa è la radice di tutti i mali, perché i motivi sensibili sono particolari, dipendono dal soggetto, cioè non sottostanno ad alcuna regola, sono scriteriati per antonomasia e nella loro sensibilità prescindono da ciò che l’uomo ha di più grande per orientare le sue azioni, la ragione. 14

L’imperativo categorico formale e universale L’imperativo categorico invece ha come criterio solo la razionalità

L’imperativo categorico formale e universale L’imperativo categorico invece ha come criterio solo la razionalità del nostro agire. Non comanda quindi qualcosa di particolare ma ci dà una regola alla quale la nostra volontà deve sempre adeguarsi qualsiasi sia l’oggetto che ha davanti. Non dice quindi di fare o non fare questo o quello (non uccidere, non rubare, ama il prossimo etc. ), ma, in quanto formale, ci dice come fare quello che facciamo: qualsiasi cosa facciamo la dobbiamo fare perché la legge che ce lo comanda (non uccidere, non rubare etc. ) è una legge universale, cioè accettabile da ogni essere razionale. • Se io, qualsiasi cosa faccia, mi adeguo alla legge formale e universale della ragione, eviterò di cadere nel male, cioè mi comporterò sempre in modo che qualsiasi altro uomo possa con la sua ragione approvare quello che sto facendo. 15

Le formule dell’imperativo categorico. Questa idea di una legge morale esclusivamente razionale cui la

Le formule dell’imperativo categorico. Questa idea di una legge morale esclusivamente razionale cui la volontà si deve adeguare si concretizza in precise formule che devono guidare il comportamento umano. Kant le specifica anzitutto nella sua opera La fondazione della metafisica dei costumi del 1785. 16

La prima formula è quella fondamentale e così recita: “Agisci solo secondo quella massima

La prima formula è quella fondamentale e così recita: “Agisci solo secondo quella massima che tu puoi volere, al tempo stesso che divenga legge universale”. Come si è visto, l’IC in questa formula prevede che noi, ogniqualvolta ci proponiamo di compiere un’azione, ci domandiamo se la regola in base alla quale compiamo quell’azione possa essere estesa universalmente, possa cioè essere sempre e ovunque valida per tutti gli esseri razionali. 17

L’esempio di Kant Poniamo il caso che un tizio si trovi nel bisogno. Egli

L’esempio di Kant Poniamo il caso che un tizio si trovi nel bisogno. Egli chiede un prestito a un amico, garantendone la restituzione, sapendo però che non sarà mai in grado di rifonderlo. La massima in base alla quale egli agisce è la seguente: “Ogni volta che hai problemi economici, chiedi un prestito e fai di tutto per ottenerlo, poco importa se sai di non poterlo restituire”. Ora, proviamo ad estendere questa massima ad ogni caso e ad ogni persona. Tale prassi vanificherebbe ogni promessa e renderebbe dunque impossibile ad ognuno chiedere qualcosa, visto che dopo un po’ nessuno si fiderebbe più di nessuno. Quindi la massima del nostro tizio non è universalizzabile, cioè non rispetta le condizione dell’IC e dunque l’azione che sta compiendo è MALE. 18

La seconda formula così recita: “Agisci in modo da considerare l’essere umano, sia nella

La seconda formula così recita: “Agisci in modo da considerare l’essere umano, sia nella tua persona, sia nella persona di qualsiasi altro, sempre anche come fine e mai come semplice mezzo”. Qui si dice che ogni persona, per il fatto di possedere la razionalità, ha una dignità intrinseca di cui la volontà deve sempre tener conto. In effetti, nella misura in cui la volontà segue l’IC, essa è razionale, dunque pone la razionalità stessa come criterio inaggirabile, come fine ultimo cui adeguarsi. In tal senso l’umanità razionale non può essere diventare mezzo per raggiungere un altro fine, giacché così la razionalità non sarebbe criterio ultimo, ma sarebbe asservita a qualcos’altro (a qualche motivazione sensibile e perciò stesso inadeguata alla dignità umana). 19

La terza formula • La terza formula, simile alla prima, dice così: “Agisci come

La terza formula • La terza formula, simile alla prima, dice così: “Agisci come se la massima della tua azione dovesse diventare, per tua volontà, una legge universale di natura”. Qui Kant istituisce un paragone tra la forza e cogenza delle leggi di natura e quella delle leggi morali. La differenza tra le due è che la legge morale può essere disattesa, mentre ciò che accade in natura secondo una legge non può accadere diversamente (mentre è possibile che una persona si comporti come non dovrebbe, non è possibile che un corpo non cada nel vuoto secondo la legge di gravitazione universale, deve sempre andare così). Orbene, per la mia volontà, l’IC deve avere la stessa forza, come se fosse una legge di natura, con la sua stessa universalità e necessità. 20

Etica dell’intenzione Sempre, quando si tratta di agire in base all’IC, ciò che conta

Etica dell’intenzione Sempre, quando si tratta di agire in base all’IC, ciò che conta è che la volontà sia correttamente conformata alle suddette formule. Non importa il bene che si può conseguire, cioè se la volontà raggiunga un qualche scopo, non importa il successo o l’insuccesso dell’azione, non importa il vantaggio o lo svantaggio, conta solo il fatto che nell’intenzione di chi agisce vi sia l’effettivo adeguamento a quelle regole fondamentali che la rendono buona. Buona è dunque sempre la volontà, non gli oggetti che di volta in volta essa ha di fronte. Essi divengono buoni se l’intenzione/volontà è buona. 21

Esempio (ovviamente non di Kant) Non conta se io, rispettando i limiti di velocità,

Esempio (ovviamente non di Kant) Non conta se io, rispettando i limiti di velocità, perché è universalmente valido che la circolazione dei mezzi di trasporto sia regolata in modo da evitare il rischio di incidenti (cfr. prima e seconda formula), arrivo a scontrarmi proprio nel momento X con un auto che non rispettava i suddetti limiti. Non importa che tale incidente si sarebbe potuto evitare con una velocità leggermente più sostenuta, arrivando al luogo dell’incidente al momento X-1 in cui l’auto responsabile non è ancora presente. Conta la mia volontà buona di rispettare una regola che è adeguata all’imperativo categorico. Se poi il caso vuole che mi succeda lo stesso di avere un incidente, di questo non potrò certo mai essere accusato. 22

La purezza del dovere (il rigorismo kantiano) Solo il rispetto dell’IC determina la bontà

La purezza del dovere (il rigorismo kantiano) Solo il rispetto dell’IC determina la bontà di un’azione. Qualsiasi altro movente inquina la bontà di ciò che si sta facendo. Per esempio: 1) se io mi comporto correttamente con una persona, restituendole un prestito che mi ha fatto, semplicemente perché mi è simpatica, il movente della mia azione non è la sua razionalità, ma un sentimento passeggero, quindi la mia azione non è buona. 2) Se io sto a dieta perché ho mal di stomaco, e non invece perché preservare la salute con un’adeguata alimentazione fa parte di quella considerazione della mia umanità come fine delle mie azioni, la mia azione non è buona. 3) Se, infine, io rispetto i limiti di velocità solo in presenza di un autovelox, la mia azione è legale e non morale. 23

Legalità e moralità La legalità è il rispetto di una legge civile che mi

Legalità e moralità La legalità è il rispetto di una legge civile che mi obbliga solo a comportarmi in un determinato modo, nelle relazioni esterne con gli altri uomini. È chiaro che il rispetto di una legge esterna non implica ancora che le mie azioni siano buone (anche perché qui può intervenire come movente la paura di eventuali sanzioni). La moralità riguarda invece la mia volontà, si determina solo nel mio foro interno e ammette come unico movente la razionalità dell’IC. 24

L’unico sentimento ammesso I sentimenti, in quanto motivi sensibili, sono esclusi da Kant dalla

L’unico sentimento ammesso I sentimenti, in quanto motivi sensibili, sono esclusi da Kant dalla determinazione dei moventi dell’azione buona. Kant però ammette un unico sentimento che ha un risvolto eticamente positivo. Questo è il RISPETTO per la grandezza e il valore dell’IC. Il rispetto per la ragione-in-noi contrasta efficacemente le inclinazioni sensibili che si frappongono come ostacolo “emozionale” alla realizzazione della volontà buona e “ogni diminuzione di ostacoli a un’attività è un’agevolazione di questa attività stessa” (Cd. Rpr, p. 79). Se dunque la volontà buona ha valore di per sé e deve essere l’unico motivo per cui è compiuta un’azione, l’azione può essere agevolata, sul piano del sentimento, dal rispetto che noi proviamo per la legge morale come ingrediente fondamentale della dignità umana. Tale rispetto ovviamente si trasferisce alle persone in quanto soggetti razionali e centri di una legislazione morale universale. 25

Libertà L’IC si impone all’uomo come un fatto di ragione: non è ulteriormente spiegabile

Libertà L’IC si impone all’uomo come un fatto di ragione: non è ulteriormente spiegabile e deducibile. Basta che si sia in presenza di un essere razionale e l’IC appare in tutta la sua forza ed evidenza (cfr. slide 12). Il suo apparire al tempo stesso dice che l’essere razionale è libero (cfr. slide 5), Ma qui libertà non ha il significato volgare di “fare quello che immediatamente si vuole, trasgredendo le leggi”, quindi non indica il poter fare a meno di ottemperare al proprio dovere così come emerge dall’IC. Al contrario significa propriamente adeguarsi al dovere, AFFRANCANDOSI e LIBERANDOSI al tempo stesso da tutte le motivazioni sensibili e particolari e da tutto le circostanze degli accadimenti fenomenici. 26

Autonomia ed eteronomia La razionalità è ciò che è più nostro, è ciò che

Autonomia ed eteronomia La razionalità è ciò che è più nostro, è ciò che ci appartiene e ci caratterizza nel profondo. Dunque quando noi seguiamo l’IC non facciamo altro che seguire noi stessi. Il nostro modo di agire sarà allora autonomo, mentre qualora seguissimo sentimenti, inclinazioni, voglie del momento, saremmo schiavi di quegli oggetti che li hanno prodotti, suscitando il nostro soggettivo desiderio. Quindi in quest’ultimo caso la nostra morale sarebbe eteronoma, cioè dipendente da qualcosa di “altro” e di “esterno” noi. 27

Un mondo comune e un regno dei fini Ma la razionalità è il possesso

Un mondo comune e un regno dei fini Ma la razionalità è il possesso più proprio di ogni essere umano. Quindi non è solo ciò che rende ciascuno di noi se stesso, ma anche ciò che è proprio di tutti gli uomini. Pertanto la ragione diviene fondamento di un mondo comune degli esseri razionali che reciprocamente si riconoscono come tali. Questo mondo ideale in cui la ragione legislatrice è universalmente posta al centro della vita di ognuno, e quindi di tutti, è un regno dei fini, in cui l’esistenza di ogni persona è fine in sé e ciò regola l’esercizio della libertà di tutti. La presenza di un’inclinazione al male nella personalità umana – cioè della costante seduzione dei motivi sensibili (che Kant chiama male radicale, cioè male che sta alla radice della personalità umana) – rende tale regno dei fini un ideale cui tendere e non una realtà realizzata. Nondimeno la continua tensione verso tale ideale rappresenta la base del progresso reale della civiltà umana. 28

Il primato della legge Dal complesso della dottrina morale kantiana emerge il primato in

Il primato della legge Dal complesso della dottrina morale kantiana emerge il primato in morale della legge sul bene. Non è infatti un bene individuato che determina la legge che impone di rispettarlo, ma la legge razionale che ci indica che cosa di volta in volta è bene fare (ciò che è bene lo è perché è comandato dalla legge). La legge, poi, essendo un fatto di ragione, ossia qualcosa che si impone con la massima evidenza a chiunque sia dotato di ragione, non è ulteriormente giustificabile. Alla domanda: “Perché è dovere compiere una data azione? ”, la risposta non può che essere “Perché è evidente razionalmente che si deve”. In sostanza vi è un primato assoluto del dovere: “Devi perché devi”. 29

La legge e il bene L’argomento di Kant a favore della legge è che

La legge e il bene L’argomento di Kant a favore della legge è che solo la volontà buona cioè razionale rende possibile una valutazione oggettiva delle azioni buone o cattive, che altrimenti sarebbe consegnata a ciò che di volta in volta a diversi soggetti appare bene o male, ai desideri soggettivi e infine aprirebbe la porta al primato del piacere e dell’utile. Ecco allora che Kant rifiuta di considerare un oggetto buono di per sé: solo la volontà è buona, diventano buoni gli oggetti che sono voluti da una volontà buona. Il bene del prossimo, il denaro, il vantaggio personale, la generosità etc. sono buoni o cattivi a seconda del tipo di volontà che li vuole. 30

Per esempio: il dovere di dire la verità e il bene del prossimo Kant

Per esempio: il dovere di dire la verità e il bene del prossimo Kant sostiene che “la menzogna, detta a un assassino che ci chiedesse se un nostro amico, ch egli sta inseguendo, non si sia rifugiato in casa nostra, sarebbe un crimine” (I. Kant, Su un presunto diritto di mentire per amore dell’umanità, in I. Kant, B, . Constant, Il diritto di mentire, tr. it. Passigli, Firenze 2008, p. 35). Infatti l’obbligo di dire la verità, come precetto coerente con l’imperativo categorico, non viene mai meno (terza formula) Chi rispetta tale obbligo non potrà mai essere accusato: se l’assassino troverà la sua vittima, la responsabilità dell’omicidio resterà solamente sua. Mentre potrà essere accusato chi, avendo presunto che una bugia avrebbe favorito la potenziale vittima, fosse venuto meno all’obbligo di dire la verità, ma non fosse con la sua menzogna riuscito a evitare che l’assassino raggiungesse l’amico in modo da imprevedibile, ma da lui inconsapevolemente causato (ivi, p. 39). 31

L’argomento di Kant e la sua debolezza Il rigorismo kantiano presuppone che un bene

L’argomento di Kant e la sua debolezza Il rigorismo kantiano presuppone che un bene oggettivo non è mai esattamente configurabile e giustificabile, anche quando a portata di mano, come nel caso dell’esempio prima citato. Inoltre se esso diventa motivo dell’azione, la morale non è determinata liberamente dal soggetto, ma da qualcos’ altro. Questo fa venire meno la dignità razionale dell’essere umano. Ma Kant non tiene conto che le circostanze possono rendere il comportamento razionale fortemente lesivo del bene delle persone. Si pensi a che cosa accadrebbe se un medico dovesse dire sempre la verità ai suoi pazienti – anche ai bambini o a chi non è in grado di comprenderla o a chi potrebbe essere irrimediabilmente turbato, fino a compromettere le sue speranze di guarigione. Sarebbe accettabile? 32

Kant, la legge e le sue conseguenze In ogni caso Kant non abbandona la

Kant, la legge e le sue conseguenze In ogni caso Kant non abbandona la sua posizione rigoristica vista come unico appiglio per promuovere una morale valida universalmente e capace di valorizzare appieno la dignità umana. Rimane da vedere quali sono le conseguenze dell’imperativo categorico, cioè che cosa, una volta stabilita la realtà assolutamente preminente della legge morale, bisogni dedurne in modo necessario. Cioè che cosa sia necessario postulare (porre come vero), una volta ammesso l’IC. 33

I postulati della ragion pratica Quelle idee di ragione che la Critica della ragion

I postulati della ragion pratica Quelle idee di ragione che la Critica della ragion pura aveva individuato dal punto di vista conoscitivo come degli errori strutturali e necessari, divengono indispensabili data l’esistenza della legge morale, così come è stata interpretata da Kant. La libertà (oggetto della terza antinomia cosmologica), l’anima e Dio (idea psicologica e teologica) sono necessarie implicazioni della legge morale che non si possono togliere senza togliere la legge morale stessa. Essi dunque divengono “postulati” della ragion pratica. Vediamo perché … 34

La libertà L’IC è una proposizione sintetica a priori. Infatti essa è formulata a

La libertà L’IC è una proposizione sintetica a priori. Infatti essa è formulata a prescindere da qualsiasi motivo empirico (è interamente a priori), eppure ci indica concretamente qualcosa da attuare (è sintetica: ci dice qualcosa di più). Ora, tale proposizione implica necessariamente la libertà, infatti presuppone che l’uomo possa agire conformando la propria volontà non alle inclinazioni sensibili, ma all’imperativo stesso. Altrimenti, senza questa possibilità di scelta, l’uomo non sarebbe responsabile delle sue azioni, e cadrebbe l’intera morale. Dunque l’esistenza stessa della legge morale stabilisce che l’uomo è libero. 35

La libertà come concetto pratico Io non posso sapere se “esista” nel mondo la

La libertà come concetto pratico Io non posso sapere se “esista” nel mondo la libertà come oggetto di una conoscenza scientifica. Essa non è una cosa di cui vi sia una intuizione sensibile. Però posso stabilire che l’uomo è libero a partire dalla presenza in lui dell’imperativo categorico. In tal modo non si conosce il “che cosa” della libertà, ma la si sperimenta ogniqualvolta siamo chiamati ad agire in un determinato modo. La libertà dunque è un concetto valido praticamente e non teoreticamente. 36

La felicità L’uomo deve agire solo in vista dell’adempimento della legge morale, a prescindere

La felicità L’uomo deve agire solo in vista dell’adempimento della legge morale, a prescindere da qualsiasi altro motivo, compresa la ricerca della felicità. La felicità è definita nella Cd. Rpr “la condizione di un essere razionale nel mondo a cui, in tutto il corso della vita, tutto avviene secondo il suo desiderio e la sua volontà” (p. 124). Nella Cd. Rpu essa è “l’appagamento di tutte le nostre tendenze (tanto extensive, nella loro molteplicità, quanto intensive, rispetto al grado, e anche protensive, rispetto alla durata)” (Kant, Cd. Rpu, tr. it. , Laterza, Roma Bari, 1993, p. 496). 37

Il desiderio ineliminabile della felicità È un dato di fatto, riconosce Kant, che l’uomo

Il desiderio ineliminabile della felicità È un dato di fatto, riconosce Kant, che l’uomo aspira ad esser felice. Egli lo fa “naturalmente”. Nella Fondazione della metafisica dei costumi si dice: “Essere felice è necessariamente il desiderio di ogni essere razionale finito, e perciò un motivo determinante della sua facoltà di desiderare” (tr. it. La nuova Italia, Firenze, 1967, p. 15). 38

Degni di essere felici La felicità è tale per cui, pur non essendo il

Degni di essere felici La felicità è tale per cui, pur non essendo il bene supremo (cioè il bene massimo ) – che è l’adempimento della legge morale – non è pensabile che si possa completamente rinunciare ad essa, in quanto inscritta nella nostra natura di essere morali, ma anche sensibili e finiti (cfr. U. Curi, Il coraggio di pensare, Loescher, Torino 2019, vol. II, p. 661). Peraltro, agendo in modo giusto e razionale, l’uomo sarebbe degno di essere felice: cioè si meriterebbe che tutto andasse in modo da soddisfare la pienezza dei suoi desideri (il “sommo bene”, cioè il bene intero, sarebbe proprio questa coincidenza di moralità e felicità)… 39

Chi ci dice che agendo bene saremo felici? … Ebbene, come conciliare tale aspirazione

Chi ci dice che agendo bene saremo felici? … Ebbene, come conciliare tale aspirazione ineliminabile, e tale essere degni della felicità con la legge morale e i suoi motivi, tanto da rendere raggiungibile il “sommo bene”? Come conciliarli con il fatto che molto spesso nel mondo naturale chi agisce bene, col solo riguardo alla sua volontà buona, risulta essere tutt’altro che felice, anzi risulta dover sacrificare i suoi desideri? Chi garantisce che, agendo in modo giusto e razionale, senza badare alla felicità, pur si possa essere felici? 40

Degni e felici: Dio, secondo i dettami della tradizione filosofica, è quella “causa suprema

Degni e felici: Dio, secondo i dettami della tradizione filosofica, è quella “causa suprema della natura”, che sarebbe capace di creare un mondo in cui la natura si accordasse con la volontà morale, in modo che volendo il bene, si appagasse anche il desiderio della felicità. Ebbene, propriamente bisogna ammettere una tale causalità affinché l’uomo, nell’adeguarsi alla legge morale e dunque nel rendersi degno di essere felice, sia soddisfatto in questa sua aspirazione, anche se nel mondo in cui egli vive spesso le due cose non vanno di pari passo. Infatti non essere felice, pur essendone degno, sarebbe un assurdo: Dio è dunque colui che permette di pensare una garanzia della felicità che oltrepassi l’antinomia (contraddizione) presente nella ragion pratica tra rispetto della legge e felicità. 41

Il concetto pratico di Dio Anche qui Dio non va pensato come un ente

Il concetto pratico di Dio Anche qui Dio non va pensato come un ente conoscibile con gli strumenti della scienza, bensì come un essere necessario a partire dall’esistenza in noi della legge morale. Egli deve esistere, non perché noi lo possiamo conoscere, bensì perché in noi vi è un dovere che deve essere conciliabile con la nostra aspirazione ad essere felici. 42

L’anima La santità può essere definita la perfetta aderenza alla legge morale. Essa è

L’anima La santità può essere definita la perfetta aderenza alla legge morale. Essa è richiesta dalla stessa legge, che non ammette eccezioni né compromessi (terza formula). Tuttavia, a causa della sua strutturale imperfezione, l’uomo non può raggiungerla nella sua vita, per quanto vi si sforzi. Allora bisogna ammettere che la sua anima possa trovare la santità in un progresso che ha da essere infinito. Ma un progresso infinito verso la piena osservanza della legge deve presupporre che l’anima non muoia, perché l’essere ragionevole deve poter portare a termine il processo infinito di adeguamento. Ciò prende il nome di immortalità dell’anima. 43

Il concetto pratico di anima e il primato della ragion pratica Per l’anima vale

Il concetto pratico di anima e il primato della ragion pratica Per l’anima vale quanto detto a proposito della libertà e di Dio. Essa non è una “cosa” conoscibile teoreticamente, ma un postulato che deve essere premesso alla legge morale. Libertà anima e Dio sono dunque tre idee di ragione, inconoscibili, ma da postulare a partire dalla legge morale. Il noumeno, pertanto, come elemento che resta fuori dalle possibilità della ragione teoretica e conoscitiva, diventa accessibile attraverso la ragion pratica. Ciò fonda il primato della ragion pratica su quella teoretica. 44