Il V postulato di Euclide enigma e frustrazione

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Il V postulato di Euclide: enigma e frustrazione di generazioni di matematici. Analisi di

Il V postulato di Euclide: enigma e frustrazione di generazioni di matematici. Analisi di un problema matematico sconveniente. Classe V D A. s. 2009/2010 Discipline coinvolte: matematica, filosofia, storia dell’arte

NOZIONI COMUNI � Cose che sono uguali a una stessa sono uguali fra loro.

NOZIONI COMUNI � Cose che sono uguali a una stessa sono uguali fra loro. � E se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità sono uguali. � E se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono uguali. � E se cose uguali sono addizionate a cose disuguali, le somme sono disuguali. � E i doppi di una stessa cosa sono uguali tra loro. � E le metà di una stessa cosa sono uguali tra loro. � E cose che coincidono tra loro sono tra loro uguali. � Ed il tutto è maggiore della parte.

POSTULATI � Si possa condurre una linea da un qualsiasi punto a ogni altro

POSTULATI � Si possa condurre una linea da un qualsiasi punto a ogni altro punto. � Una linea si possa prolungare continuamente. � Si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro e ogni distanza. � Tutti gli angoli retti siano uguali fra loro.

� � Ma non erano cinque, i Postulati? Effettivamente, Euclide considera nella sua opera

� � Ma non erano cinque, i Postulati? Effettivamente, Euclide considera nella sua opera ben cinque postulati. Ma… state a sentire il quinto: � POSTULATO V. Si postula che, se una linea, venendo a cadere su due linee, forma gli angoli interni e dalla stessa parte minori di due retti, le due linee prolungate illimitatamente verranno a incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti.

E’ facile accorgersi della: � complessità dell'enunciato e della sua visualizzazione grafica, � minore

E’ facile accorgersi della: � complessità dell'enunciato e della sua visualizzazione grafica, � minore evidenza del V Postulato rispetto ai precedenti. � � Rispetto alle Nozioni Comuni e ai Postulati, la rappresentazione grafica del V Postulato è più complessa. Le Nozioni Comuni e gli altri Postulati sono evidenti (leggendoli, tutti diciamo ‘è ovvio’, no? ). Al contrario, l’enunciato del V Postulato non è così evidente: infatti, non è neanche semplice capire di che angoli si sta parlando, ed è consigliabile quindi, durante la sua lettura, fare immediato riferimento ai disegni. Il V Postulato è un problema Ci si chiese, quasi da subito, se il V Postulato fosse tale; cioè, se fosse ‘deducibile’. Si cercò, allora, di darne una dimostrazione, usando le Nozioni Comuni e gli altri Postulati.

� � In alcuni casi (Tolomeo, Proclo, Nasîr-Eddin), si ‘dedusse’ apparentemente il V Postulato,

� � In alcuni casi (Tolomeo, Proclo, Nasîr-Eddin), si ‘dedusse’ apparentemente il V Postulato, utilizzando però, da qualche parte, una qualche ipotesi considerata autoevidente, ma che ogni volta si è rivelata essere equivalente al V Postulato stesso. Infatti, le affermazioni ‘la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a 180°’ e ‘la validità dei criteri di similitudine per triangoli’ sono tutte affermazioni equivalenti al V Postulato. Una delle formulazioni equivalenti del V Postulato d'Euclide è quella a noi più familiare (John Playfair - 1795): “ Data una retta r sul piano e un punto P fuori di essa, esiste una sola retta per P parallela a r “

Le proposizioni, ovvero i teoremi del primo libro di Euclide si occupano delle proprietà

Le proposizioni, ovvero i teoremi del primo libro di Euclide si occupano delle proprietà delle linee rette e delle aree di parallelogrammi, triangoli e quadrati. Per dimostrarle Euclide faceva uso dei primi quattro postulati e non utilizzava mai il quinto. � Si capì molto presto che le proposizioni così provate sarebbero rimaste valide anche sopprimendo il quinto postulato, o sostituendolo con uno nuovo (sempre compatibile con gli altri quattro). � Bisogna ricordare come gli Elementi di Euclide divennero un testo straordinariamente popolare e influirono sul pensiero occidentale per più di 2 millenni; ma l’inafferrabile natura del misterioso V postulato ha sempre costituito un problema per i matematici. E a molti è apparso più un teorema da dimostrare che un fatto autoevidente. �

LA DEFINIZIONE DI RETTE PARALLELE NEGLI “ELEMENTI” E’ esplicitata nel XXIII termine del I

LA DEFINIZIONE DI RETTE PARALLELE NEGLI “ELEMENTI” E’ esplicitata nel XXIII termine del I libro: Parallele sono quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente dall’una e dall’altra parte, non si incontrano fra loro da nessuna delle due parti. Non vi ricorda il concetto di punti impropri?

PROPOSIZIONE 31(degli Elementi) � E’ possibile condurre per un punto dato una retta parallela

PROPOSIZIONE 31(degli Elementi) � E’ possibile condurre per un punto dato una retta parallela a una retta data. ATTENZIONE !!! La dimostrazione della proposizione 31 è condotta sulla base dei primi 4 postulati. Ciò significa che essa è indipendente dal V postulato. Perciò, per essere più espliciti, possiamo affermare che: l’esistenza di almeno una retta parallela a una retta data è indipendente dal V postulato.

Fu Proclo (filosofo del V secolo d. C. ) che… …introdusse il POSTULATO DELL’UNICITA’

Fu Proclo (filosofo del V secolo d. C. ) che… …introdusse il POSTULATO DELL’UNICITA’ DELLA PARALLELA Dati una retta r e un punto P esterno a essa, passa per P al più una parallela alla retta r E’ un postulato equivalente al V postulato di Euclide!!

Altro postulato equivalente al V POSTULATO DELL’OBLIQUA Una perpendicolare p e un’obliqua o ad

Altro postulato equivalente al V POSTULATO DELL’OBLIQUA Una perpendicolare p e un’obliqua o ad una stessa retta si incontrano sempre in un punto dalla parte in cui l’obliqua forma con la retta un angolo acuto.

� Possiamo semplicemente dimostrare l’equivalenza tra il postulato dell’unicità della parallela e il “misterioso”

� Possiamo semplicemente dimostrare l’equivalenza tra il postulato dell’unicità della parallela e il “misterioso” V postulato di Euclide. (libro di testo, pag. 13)

� Già a partire dal V secolo d. C. (con Proclo, filosofo, matematico e

� Già a partire dal V secolo d. C. (con Proclo, filosofo, matematico e storico) gli specialisti cominciarono a esprimere dubbi sul fatto che il V postulato fosse una componente necessaria, o anche solo vera, dell’intera teoria dalla pubblicazione degli Elementi.

Girolamo Saccheri […] Nel 1733 a Milano venne pubblicato un libretto scritto in latino

Girolamo Saccheri […] Nel 1733 a Milano venne pubblicato un libretto scritto in latino e intitolato Euclides ab omni naevo vindicatus (Euclide liberato da ogni pecca); l’autore era un gesuita, Girolamo Saccheri (1667 -1733). L’opera fu pubblicata nello stesso anno in cui l’autore morì, ma non fu questa la sola sfortuna per la società dell’epoca; il lavoro, veramente pionieristico e che avrebbe potuto cambiare per sempre il modo di intendere la geometria, rimase sconosciuto per oltre un secolo e fu riscoperto per puro caso nel 1889, dopo che studiosi, tra i quali Bolyai e Lobacevskij (come già detto), destinati a cambiare la geometria e il modo di interpretarla, avevano già pubblicato, indipendentemente l’uno dall’altro, le proprie scoperte.

� � Girolamo Saccheri lesse gli Elementi mentre insegnava grammatica e studiava filosofia in

� � Girolamo Saccheri lesse gli Elementi mentre insegnava grammatica e studiava filosofia in vari collegi gesuitici italiani. Di Euclide lo colpì moltissimo l’uso del metodo di dimostrazione logica detto reductio ad absurdum. L’idea centrale di questo metodo, oggi molto usato in matematica, consiste nel supporre l’opposto di quello che si vuole dimostrare e poi percorrerne passo dopo passo le conseguenze logiche fino ad ottenere, se le cose vanno bene, una contraddizione. Tale contraddizione è considerata una dimostrazione della falsità dell’ipotesi iniziale e quindi della verità del suo opposto, cioè di quello che si intendeva dimostrare. […] Saccheri decise così di tentare una dimostrazione con il suo metodo favorito, e a tale scopo dovette supporre che il V postulato non solo non derivasse dagli altri quattro, ma fosse falso. Non ottenne alcuna contraddizione, ma raggiunse un risultato bizzarro: potevano esserci più di una parallela a una retta data per un punto a essa esterno.

� � Il matematico tedesco Gauss durante il secondo decennio del XIX secolo era

� � Il matematico tedesco Gauss durante il secondo decennio del XIX secolo era giunto alla conclusione che i tentativi per dimostrare il postulato delle parallele fatti da Saccheri, da Lambert, da Legendre e dal suo amico ungherese Farkas Bolyai erano stati vani, e che erano possibili geometrie diverse da quella euclidea. Tuttavia egli non comunicò questa conclusione a nessun altro matematico; egli aveva elaborato questo concetto semplicemente “per se stesso”, come affermava. Notevole fu lo sviluppo della geometria lobacevskijana, con cui il matematico russo Lobacevskij mostrò come la geometria euclidea non fosse quella scienza esatta depositaria di verità assolute quale era stata precedentemente considerata. Ciò inferse un colpo mortale alla concezione filosofica kantiana, come tra breve osserveremo. La geometria di Lobacevskij era sotto ogni punto di vista una geometria valida, ma appariva allo stesso Lobacevskij così contrastante con il senso comune che egli la chiamò “geometria immaginaria”.

In diverse lettere ad amici Gauss elogiò le ricerche di Lobacevskij, ma non volle

In diverse lettere ad amici Gauss elogiò le ricerche di Lobacevskij, ma non volle mai riconoscerle in scritti che fossero pubblicati per timore di sucitare le risa dei “beoti”. Fu in parte per questa ragione che la conoscenza della nuova geometria si diffuse molto lentamente. � L’atteggiamento di Gauss verso la “Scienza assoluta dello spazio” non fu diverso da quello da lui tenuto nel caso di Lobacevskij: sincera approvazione, non accompagnata però da riconoscimento e sostegno pubblico. � Quando Farkas Bolyai gli scrisse per chiedergli la sua opinione sull’opera poco ortodossa del figlio Janos, Gauss rispose di non poter lodare il lavoro di quest’ultimo perché ciò sarebbe equivalso a lodare se stesso, dal momento che aveva avuto le stesse idee da parecchi anni. � E’ facilmente comprensibile che il focoso Janos ci sia rimasto male, temendo soprattutto di essere privato del merito della priorità. Lo scarsoriconoscimento dato per molti anni al suo lavoro, oltre alla pubblicazione dell’opera di Lobacevskij in tedesco nel 1840, lo gettarono in un tale stato di disperazione che non pubblicò più nessun altro lavoro. La parte maggiore del merito di avere gettato le basi della geometria non-euclidea spetta dunque a Lobacevskij. La geometria non-euclidea per parecchi decenni continuò a rappresentare un aspetto marginale della matematica, fino a che essa non venne incorporata nella matematica come sua parte integrante attraverso le concezioni di Riemann (1826 -1866). Figlio di un pastore protestante e allevato in condizioni molto modeste, nel 1854 Riemann diventò un Privatdozent all’Università di Gottinga. In tale circostanza ci fu quella che è ritenuta la più famosa dissertazione di abilitazione della storia della matematica: essa infatti presentava una ampia e profonda visione dell’intero campo della geometria. La tesi, dal titolo Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria, non forniva alcun esempio specifico; sosteneva invece una visione globale della geometria come studio di varietà di un numero qualsiasi di dimensioni in qualsiasi genere di spazio. Le geometrie di Riemann sono noneuclidee in un senso molto più generale di quella di Lobacevskij, dove si tratta semplicemente di stabilire quante rette parallele sono possibili per un punto. Secondo la concezione di Riemann la geometria non dovrebbe neppure necessariamente trattare di punti o di rette o di spazio nel senso ordinario, ma di insiemi di ennuple ordinate che vengono raggruppate secondo certe regole. �

Fra le più importanti regole valide in qualsiasi geometria v’è, secondo la concezione di

Fra le più importanti regole valide in qualsiasi geometria v’è, secondo la concezione di Riemann, quella per trovare la distanza tra due punti infinitamente vicini. Nella geometria euclidea ordinaria questa “metrica” è data dalla formula ds 2= dx 2 + dy 2 + dz 2; ma si possono usare infinite altre formule come formule della distanza, e naturalmente la metrica usata determinerà le proprietà dello spazio o la geometria.

Uno spazio in cui la metrica è espressa dalla formula ds 2=g 11 dx

Uno spazio in cui la metrica è espressa dalla formula ds 2=g 11 dx 2+g 12 dxdy+g 13 dxdz+ +g 21 dydx+g 22 dy 2+g 23 dydz+ +g 31 dzdx+g 32 dzdy+g 33 dz 2 dove gik sono costanti o, più generalmente, funzioni di x, y, z, è noto come spazio riemanniano. Così lo spazio (localmente) euclideo rappresenta solo il caso molto particolare di uno spazio riemanniano in cui g 11=g 22=g 33=1 e tutti gli altri gik siano zero. Dalla sua metrica Riemann dedusse persino una formula esprimente la curvatura gaussiana di una “superficie” nel suo “spazio”. Non meraviglia il fatto che Gauss, dopo questa lezione di Riemann, abbia espresso, forse per la prima e ultima volta nella sua carriera, la propria ammirazione per l’opera di un altro matematico.

Fu l’idea di Riemann di uno studio generale degli spazi metrici curvi che alla

Fu l’idea di Riemann di uno studio generale degli spazi metrici curvi che alla fine rese possibile la teoria della relatività generale. Dimostrando che la geometria non-euclidea, in cui la somma degli angoli di un triangolo sia maggiore di due retti, trovava una realizzazione sulla superficie della sfera, Riemann forniva essenzialmente una dimostrazione della noncontraddittorietà degli assiomi da cui derivava tale geometria. In maniera molot simile Eugenio Beltrami (1835 -1900), professore di matematica all’Università di Pisa, poi Pavia e poi Roma, mostrò che era disponibile un modello anche per la geometria di Lobacevskij.

� Il V postulato di Euclide, enigma e frustrazione di generazioni di matematici fin

� Il V postulato di Euclide, enigma e frustrazione di generazioni di matematici fin da quando il suo creatore lo introdusse, racchiude in sé l’idea che il mondo sia PERFETTAMENTE PIATTO: immaginiamo una superficie perfettamente piatta: su questa superficie, per un punto esterno a una linea passa una sola parallela a quella linea. Le parallele si estendono all’infinito e non si incontrano mai, restando parallele in eterno. E su questa superficie piatta ogni triangolo ha angoli la cui somma è 180°. Ora immaginiamo che la nostra superficie sia un pezzo (ovviamente piatto) di gomma e che da sotto si alzi una grande sfera che la spinge verso l’alto: la gomma s’incurva intorno alla sfera che sale, finché la superficie diventa essa stessa una specie di pallone. Che ne è delle rette che prima erano parallele? Si piegano. Adesso, sulla superficie tondeggiante, si vede chiaramente che vanno ad incontrarsi. Su di una sfera non ci sono linee che non si intersechino, e la somma dei tre angoli di un triangolo è maggiore di 180°.

Assiri e Babilonesi vivevano tra terre piatte (le pianure tra il Tigri e l’Eufrate)

Assiri e Babilonesi vivevano tra terre piatte (le pianure tra il Tigri e l’Eufrate) e piatto era il loro mondo; un mondo fatto di campi da misurare e di cui trovare l’area, un mondo nella sostanza piano, in cui nessuno ha mai avuto la necessità di calcolare o misurare superfici che non fossero piane. Da questo mondo ha preso corpo la geometria euclidea, utilissima per dividere i terreni arabili, per tracciare linee di confine ad angolo retto o per trovare l’area di un appezzamento di terreno. Viene da pensare che se gli uomini avessero visto da subito che non si muovevano in uno spazio piano forse le loro matematiche, nonché il cammino spesso tortuoso delle loro scienze, sarebbe potuto essere diverso.

Il mondo a Capo Perpetua <narrata da uno studente> C’è un posto, nell’Oregon, alto

Il mondo a Capo Perpetua <narrata da uno studente> C’è un posto, nell’Oregon, alto circa trecento metri sul livello del mare che domina la rocciosa costa che si affaccia sul Pacifico: si chiama Capo Perpetua è un luogo unico, sospeso – come si trova, nell’aria – su di un Oceano blu scuro: dall’alto del promontorio è possibile vedere la rotondità della Terra. Da quel punto della costiera dell’Oregon, all’orizzonte, si vede l’Oceano che si incurva dolcemente verso il basso e verso tutte le direzioni. Se poi una vela compare all’orizzonte, sembra che scivoli via, interminabilmente, lungo la superficie rotonda. <narrata da un altro studente> Viene da chiedersi che avrebbero fatto i Babilonesi, gli Egizi o anche i Greci se fossero vissuti a Capo Perpetua, anziché nelle loro pianure, tra le terre piatte del Tigri e dell’Eufrate. <narrata da un altro studente ancora> Chissà, forse avrebbero inventato una matematica diversa; la matematica e la geometria di chi ha visto la curvatura della Terra e dello spazio che gli è intorno.

Capo Perpetua, Oregon

Capo Perpetua, Oregon

IN UNO SPAZIO CURVO LA GEOMETRIA E’ NON EUCLIDEA : Se Euclide fosse salito

IN UNO SPAZIO CURVO LA GEOMETRIA E’ NON EUCLIDEA : Se Euclide fosse salito su Capo Perpetua, avesse visto che il mondo è rotondo e avesse permesso a questo concetto di penetrargli a fondo nella coscienza, non è escluso che l’evoluzione della geometria sarebbe stata molto diversa.

La geometria euclidea con il suo apparato compatto e apparentemente “naturale” ha dominato e

La geometria euclidea con il suo apparato compatto e apparentemente “naturale” ha dominato e determinato il pensiero matematico e filosofico fino all’inizio del secolo scorso. La sua organizzazione dello spazio sembrava talmente corrispondente all’esperienza dell’uomo da rendere impensabile qualsiasi altro modo di concepirlo.

� Anche per Kant lo spazio e il tempo – in quanto giudizi sintetici

� Anche per Kant lo spazio e il tempo – in quanto giudizi sintetici a priori di cui ci serviamo per conoscere la realtà – sono indipendenti dall’esperienza e universalmente e necessariamente validi. Gli assiomi costituiscono delle condizioni cui gli oggetti dell’esperienza devono sottostare, nel senso che non si possono dare oggetti dell’esperienza che non si conformino alle proprietà strutturali del nostro “senso esterno”.

La natura della geometria euclidea era per Kant quella di una disciplina apoditticamente certa.

La natura della geometria euclidea era per Kant quella di una disciplina apoditticamente certa. La G. E. finiva per essere quindi per lo più considerata una sorta di dato di cui le varie teorie dovevano in qualche modo dar conto se non volevano risultare seriamente inadeguate. La tesi della validità assoluta della G. E. trovava la sua più compiuta espressione nell’Estetica trascendentale kantiana. In tale parte della Critica della ragion pura, la geometria euclidea viene concepita come un insieme di giudizi sintetici (fanno cioè conoscere qualcosa sulla realtà) e a priori (esprimono un contenuto conoscitivo indipendente dall’esperienza), universalmente e necessariamente validi.

E’ soprattutto questa concezione che viene a essere messa in crisi dalla nascita delle

E’ soprattutto questa concezione che viene a essere messa in crisi dalla nascita delle geometrie noneuclidee, le quali non a caso continueranno a incontrare forti opposizioni filosofiche anche dopo la loro accettazione da parte del mondo matematico. Ciò che dal punto di vista del mantenimento dell’epistemologia trascendentale sembrava contare era soprattutto il fatto che la geometria euclidea risultasse l’unica capace di applicarsi al “mondo fenomenico”. In questo senso il colpo decisivo alla filosofia kantiana venne dato dalla teoria della relatività generale proprio per il fatto di sostituire, sul piano della conoscenza del mondo fisico, lo spazio euclideo con uno spazio riemanniano a curvatura variabile (spazio non-euclideo).

La teoria einsteiniana della relatività dimostra infatti che in triangoli di dimensioni cosmiche la

La teoria einsteiniana della relatività dimostra infatti che in triangoli di dimensioni cosmiche la somma degli angoli deve differire in modo dimostrabile dai 180° in base alla distribuzione delle masse cosmiche nello spazio (la materia curva la spazio).

Come vedrà lo stesso Einstein ciò comportava il riconoscimento del fatto che, nella misura

Come vedrà lo stesso Einstein ciò comportava il riconoscimento del fatto che, nella misura in cui le proposizioni matematiche sono certe (e quindi a priori), esse non si riferiscono alla realtà, e nella misura in cui si riferiscono alla realtà (e sono quindi sintetiche) esse non sono certe.

Dunque qualunque potessere l’opinione di filosofi di tendenza kantiana, una volta giunti all’effettiva costruzione

Dunque qualunque potessere l’opinione di filosofi di tendenza kantiana, una volta giunti all’effettiva costruzione di sistemi geometrici alternativi, diventava difficile sottrarsi all’idea di far ricorso all’esperienza per determinare la struttura metrica dello spazio, quali che fossero le nostre capacità di “visualizzare” uno spazio non-euclideo.

� Con la scoperta della geometria non-euclidea divenne chiaro che non esistevano mezzi a

� Con la scoperta della geometria non-euclidea divenne chiaro che non esistevano mezzi a priori per decidere, dal punto di vista logico e matematico, quale tipo di geometria avrebbe dovuto rappresentare le relazioni spaziali fra i corpi fisici. Era naturale, quindi, appellarsi all’esperimento per stabilire se il problema della vera geometria poteva essere deciso a posteriori.

Si pensò così di chiedere all’esperienza il criterio per determinare quale di tutte le

Si pensò così di chiedere all’esperienza il criterio per determinare quale di tutte le geometrie possibili fosse vera; ma si comprende subito che questo tentativo era impossibile, perché i metodi e gli strumenti coi quali si sarebbero dovute effettuare le misure relative avrebbero già presupposto la scelta di una determinata geometria. Si dovette così rinunciare al concetto di VERITA’ della geometria. Nessuna geometria è vera, quindi nessuna è più vera dell’altra. Tutte hanno lo stesso tipo di validità logica dovuta alla intrinseca coerenza del linguaggio nel quale si esprimono. La scelta di una determinata geometria per gli usi della vita è pura questione di comodità. [N. Abbagnano, Storia della filosofia, UTET, Torino 1958, Vol. II].