Il mondo preirneriano I sintomi del cambiamento A
Il mondo preirneriano
I sintomi del cambiamento �A partire dalla metà del sec. XI (dal 1050 ca. ), soprattutto in Italia, prende corpo un nuovo ceto ‘professionale’: è quello dei giuristi (giudici, notai, avvocati). �Essi fanno ricorso sempre più frequentemente alle norme giustinianee (chi conosce il diritto privato di Giustiniano è avvantaggiato nella professione)
Alcune domande preliminari �Quali dei testi giustinianei – sicuramente giunti in Italia nel 554 (con la Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii del 554) – si erano conservati? �In quali condizioni erano dopo tanti secoli? �Dove si erano conservati? già in quell’epoca scuole di diritto o centri di insegnamento dove questi testi venivano spiegati? �Esistevano
Di una scuola di diritto a Roma �A Roma erano certamente arrivati anche i testi di Giustiniano. �Certamente una scuola di diritto a Roma esisteva ancora in età giustinianea. �E dopo? �La Summa Perusina e le lettere di alcuni papi lasciano intendere che una certa cultura giuridica romanistica (per quanto molto impoverita) sopravviveva anche durante l’alto M. E.
Summa Perusina Perugia, Bibl. dell’Archivio Capitolare, nr. 32
Di una scuola di diritto a Ravenna �Ravenna era certamente un importante centro di cultura come dimostrano : - i falsi privilegi teodosiani l’episodio di Enrico III nel 1047 nella vicina Rimini la Defensio Enrici IV di Pietro Crasso nel 1080 ca. il racconto di Pier Damiani. �Neanche a Ravenna, tuttavia, l’attività di una scuola giuridica può essere provata
L’Italia Meridionale �Anche nell’Italia meridionale i testi giustinianei erano conosciuti �Oltre a quelle singolari collezioni che sono la Collectio Gaudenziana e Lectio legum, è possibile che in Campania (ad Amalfi) si conservasse da tempo il prezioso ms. del Digesto noto come Laurenziano (la cd. littera pisana o florentina)
La Toscana �In Toscana sono presenti centri dove l’interesse per il diritto e per i testi di Giustiniano è molto forte. �Spiccano in particolare Pisa e Arezzo �Ad Arezzo, in questi decenni, è attivo il notaio Pietro cui succede il notaio Guglielmo �Un ruolo importante è svolto dai signori di Canossa (in particolare da Beatrice e poi da Matilde)
Pavia �Pavia era la capitale del Regno già dal VII secolo (Rotari) �Era quindi da secoli il principale centro amministrativo e giudiziario del Regnum Langobardorum e tale rimase anche in seguito. �Era la sede del Palatium, ovvero il complesso degli uffici di governo della corona e quindi anche del tribunale sovrano
La scuola di Pavia (1) �È probabile che li si formasse anche il personale amministrativo e giudiziario del regno �L’incendio del palatium (e dell’archivio) durante una rivolta cittadina contro l’imperatore nel 1024 ha distrutto le possibili prove dell’esistenza di una scuola di diritto. �Rimangono tuttavia molti indizi.
La scuola di Pavia (2) � Anzitutto va detto che da molto tempo a Pavia era attiva una importante scuola di arti liberali (Dungalo vi insegnava nell’ 825) � La prassi comprova l’esistenza di un centro di formazione comune anche perché ritroviamo in tutto il regno le medesime soluzioni tecniche come l’investitura salva querela e l’ostensio chartae. � I documenti dell’Italia settentrionale menzionano spesso giudici e notai che si qualificano come sacri palatii (giudice – o notaio – ‘del sacro palazzo’)
La scuola di Pavia (3) �Fosse a Pavia o altrove, in ogni caso una scuola di diritto doveva esistere nel Regnum Italiae �Non si deve però immaginare un centro di studi istituzionale e stabile �Il primo prodotto dell’attività di questa scuola è costituito da due compilazioni delle varie leggi vigenti (i 5 editti dei re longobardi più le norme raccolte nel capitulare italicum) �La più antica, ordinata cronologicamnete, è detta Liber Papiensis �La seconda, più recente, è in ordine sistematico e la si chiamò già nel medioevo Lombarda
La scuola di Pavia (4) �La scuola aveva finalità pratiche: doveva formare gli ufficiali, i giudici e i notai del regno �L’interesse per la prassi e per i tribunali è evidente in altri suoi prodotti: - il Cartularium (per i notai) - Le Quaestiones ac monita (per i tribunali)
L’ Expositio ad Librum Papiensem (1) �Il capolavoro di quella scuola fu però senza dubbio l’Expositio ad Librum Papiensem �Si tratta di un commentario alla raccolta normativa �L’opera è certo successiva al 1070 ma forse appartiene già ai primi anni del secolo XII. �L’autore rivela l’esistenza di più maestri appartenenti a differenti generazioni (antiquissimi, antiqui, moderni)
Lanfranco �Tra i ‘moderni’ è ricordato Lanfranco di Pavia, uno dei principali intellettuali di questa epoca (dal 1042 fu abate dell’importante monastero di Bec in Normandia e, dal 1070, arcivescovo di Canterbury). �Probabilmente studiò il diritto proprio a Pavia: il suo biografo ricorda che si fece notare per aver contestato l’autorevole giudice Bonfilio
L’ Expositio ad Librum Papiensem (2) �L’insegnamento dei giuristi pavesi che possiamo ricostruire attraverso l’Expositio appare già molto avanzato. �Si ricorre ad argomentazioni logiche, si mira all’armonizzazione delle norme e a dare all’ordinamento un impianto sistematico. �Si fa anche ricorso al principio analogico �I maestri ‘pavesi’ utilizzano poi con una certa ampiezza le fonti romane (Istituzioni, Codice, Novelle e persino il Digesto) che però citano da raccolte di estratti e non dai testi originali.
La ‘Glossa di Colonia’ �Prodotto dell’interesse della scuola di Pavia per il diritto romano potrebbe essere la cosiddetta ‘Glossa di Colonia’ alle Istituzioni di Giustiniano. �Il suo autore è interessato principalmente al significato grammaticale o etimologico delle parole del testo normativo.
La ricerca degli originali �Pur essendo possibile (e persino probabile), l’esistenza di vere e proprie scuole dove si insegnasse il diritto romano nell’età che precede Irnerio non può essere provata. �Se non l’insegnamento, almeno il crescente interesse per le leggi di Giustiniano in quegli stessi decenni è tuttavia documentato dalla tradizione manoscritta, cioè dalla copia e dalla circolazione dei codici. �Si copiavano in particolare le Istituzioni, il Codice epitomato (Epitomi Codicis) e sorpattutto l’Epitome Iuliani
Le Istituzioni Oltre alla già ricordata ‘Glossa di Colonia’, si sono conservati anche altri codici che riproducono le Istituzioni di Giustiniano e sono accompagnate da glosse. Sono le Glosse di: - Torino - Bamberga - Casamari - Poppi (un paio di glosse apposte su questo ms. potrebbero essere opera del notaio aretino Pietro)
L’Epitome Codicis � Durante i secoli precedenti il Codice di Giustiniano aveva perso la sua integrità � Secondo Krüger, intorno al sec. VIII, esso sarebbe stato fortemente ridotto sino a divenire ¼ di quello che era. � In particolare, i tagli avrebbero riguardato: - Le costituzioni proemiali - Inscriptiones e subscriptiones - Tutte le costituzioni greche - Per intero i libri X, XI e XII - Le costituzioni troppo lunghe o di difficile comprensione - Molte costituzioni di contenuto ecclesiastico
Ricostruire il Codex � Più ancora delle letture che si facevano delle Istituzioni, l’attestazione più significativa di questo rinnovato interesse per le leggi di Giustiniano è dato proprio dal tentativo di ricostruire il Codex, integrando con nuove norme le varie epitomi circolanti già nell’alto medioevo. � Un bell’esempio di questa attività è offerto da un manoscritto di Pistoia. � Sono evidenti gli sforzi fatti da più personaggi (una ventina: erano forse alcuni giuristi pratici che lavoravano in gruppo) per integrare un precedente testo epitomato
Pistoia, Archivio Capitolare, C. 106 Codex epitomatus
I giudici canossiani �Le Epitomi del Codice sono dunque varie e tra loro differenti. �Si può credere che il medesimo lavoro di auctio venisse portati avanti contemporaneamente in più ambienti parimenti interessati al recupero di Giustiniano. �Uno di questi ambienti potrebbe essere quello dei giudici che operavano nella corte dei Canossa tra i quali c’è il giudice Nordilo (presidente del Tribunale a Marturi nel 1076) o Ubaldo di Carpineti (giudice nel placito di Garfagnolo nel 1098)
Pepo legis doctor (1) �Proprio a Martuli, tra i giudici presenti figura un certo Pepo unico a portare la qualifica di legis doctor. �È sembrato naturale identificare con questo personaggio il Pepo di cui parlano alcuni più tardi maestri della scuola di Bologna: �Azzone (1200 ca. ) lo paragona al giurista romano Tiberio Coruncanio “del quale non rimane alcuno scritto” �Odofredo (1230 ca. ) lo accosta a Irnerio ma aggiunge che “qualunque sia stata la sua scientia, non ebbe alcuna fama”
Pepo legis doctor (2) �Negli ultimi decenni sono però emersi alcuni dati nuovi che ci consentono di capire meglio la sua personalità. �La prima risultanza dell’insegnamento di Pepo ci viene da una Summa alle istituzioni redatta in Provenza all’inizio del secolo XII: �vi è riportata una spiegazione etimologica di Pepo relativa al termine ‘mutuo’. �La stessa etimologia – mutuum quasi ex meo tuum – si ritrova fra le Etymologiae di Isidoro di Siviglia
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