IL MIO DANTE DI ROBERTO BENIGNI Una visione
IL MIO DANTE DI ROBERTO BENIGNI Una visione differente della Divina Commedia…
CHI E’ ROBERTO BENIGNI? Roberto Remigio Benigni è un attore, comico, regista e sceneggiatore italiano; noto e popolare monologhista teatrale, dalla comicità ironica e dissacrante, è diventato personaggio pubblico tra i più conosciuti e apprezzati in Italia e nel mondo. Benigni si è impegnato come lettore, interprete a memoria e commentatore della Divina Commedia di Dante Alighieri, per la cui diffusione è stato candidato al Premio Nobel per la letteratura 2007. Egli dà una visione tutta sua della Divina Commedia, per certi punti molto differente rispetto ad un vero critico letterario.
I PASSI PRINCIPALI DELLA DIVINA COMMEDIA «Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che ’l piè fermo sempre era ‘l più basso»
Per quanto riguarda questo verso, egli ritiene che la dantistica abbia esagerato, esasperando la ricerca di significati nascosti che secondo lui non esistono. Infatti Benigni afferma che questa perifrasi è utilizzata solo per indicare che Dante sta scendendo dal colle, infatti il piede fermo è quello più basso, mentre quello che si muove si solleva da terra per compiere il passo
«Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel maculato era coverta» Inf I, vv. 31 -33 «ma non sì che paura non desse la vista che m’apparve d’un leone» Inf I, vv. 44 -45 «Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza» Inf I, vv. 49 -50
In questi tre passi del primo canto della Divina Commedia, Dante cita tre animali: la lonza, il leone e la lupa. La lonza è ovviamente il simbolo della lussuria e ricorda tutti i peccati che l’avevano traviato e ridotto nello stato in cui si trovava, ma che avevano fatto lo stesso con l’umanità. Il leone invece è il simbolo chiaro della superbia, infatti Dante ha sempre saputo di essere Dante, il più grande di tutti e il poeta più importante della letteratura italiana.
La lupa infine rappresenta la cupidigia, la voglia di potere: peccati tremendi, perché tendono ad annientare la libertà degli altri e per certi aspetti presente nel Poeta.
«Quali fioretti, dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che’l sol li ‘mbianca, si drizzan tutti aperti in loro stelo, tal mi fec’io di mia virtude stanca. » Inf I, vv. 127 -130
Dante all’inizio non è convinto di intraprendere questo viaggio, infatti si ritrova in una selva oscura e appaiono tre belve, che sicuramente lo intimoriscono. Virgilio allora gli dice che è stato chiamato da Beatrice, da santa Lucia e dalla Madonna, dunque Dante è convinto a iniziare il viaggio del richiamo della potenza femminile.
Benigni pensa che questa Commedia sia un libro tutto al femminile, infatti il primo dannato che parla è proprio Francesca, il canto finale è dedicato alla donna per eccellenza, Maria, e infine tutto il libro è scritto per rivedere la sua amata Beatrice. Dunque la donna non può che assumere un ruolo fondamentale in questo viaggio.
UNA VISIONE DIFFERENTE DELL’INFERNO «quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto che di sospiri, che l’aura ettera facevan tremare; ciò avvenia di duol senza martiri ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, d’infanti e di femmine e di viri. » Inf I, vv. 25 -30
Nell’imaginario collettivo si tende a pensare che l’Inferno sia un luogo orribile e simile ad un incubo, invece per Benigni non è quasi mai cosi. Solo nel canto IV lo è , dove c’è il limbo, il castello delle sette mura, dove non succede niente e tutto è colmo dell’assenza di Dio. Le altre parti invece non sono mai da incubo; è un posto dove accadono cose brutte, ma non è un brutto posto.
Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante questi, che mai da me fia diviso, la bocca mi basciò tutta tremante» Inf I, vv. 133 -136 «
In questi quattro endecasillabi sta parlando Francesca e sta raccontando del bacio con Paolo, il quale ha portato entrambi alla condanna. Anche in questo caso si nota come la donna acquisisca un ruolo fondamentale, infatti a Paolo vengono dedicate poche righe e non parla mai, mentre è proprio la figura femminile a parlare con Dante e Virgilio.
Il verso 136 per Benigni è fondamentale, forse l’endecasillabo più bello di tutta la storia della poesia mondiale. Esso è molto attuale, infatti tratta di un amore che non può essere dominato dalla ragione, ma si sviluppa e diventa la ragione di patimenti per i due innamorati, che in questo caso vengono uccisi.
«Pape Satan, pape Satan aleppe!» vv. 1 , canto VII, Inferno
Su questo verso si sono dibattuti moltissimi studiosi, facendo innumerevoli ipotesi sul suo vero significato. Benigni per risolvere il problema, dice che la scelta di ‘aleppe’ ha un senso prettamente sonoro e musicale. Infatti Dante a seconda del contesto e della situazione, scrive di conseguenza: le rime in questo canto sono orrende e disarmoniche, com’è disarmonico il canto e il peccato commesso da chi è costretto in questo cerchio.
«Lo maggior corno della fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica…» vv. 85 -87 , canto XXVI, Inferno «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. » vv. 119 -121, canto XXVI, Inferno
Questi versi appartengono al canto XXVI, uno tra i più importanti della Divina Commedia poiché parla di Ulisse, un eroe leggendario che viene posto però nell’inferno, tra i consiglieri fraudolenti, i quali utilizzano male il libero arbitrio e l’intelligenza, cioè il dono più importante che Dio abbia mai fatto agli uomini. Questa scelta risulta insolita poiché Ulisse fu un uomo di grande sagacia e inseguiva spesso la conoscenza e dunque più adatto a un luogo differente, ad esempio il Paradiso o il Purgatorio.
Benigni si interessa molto al famoso ‘Canto di Ulisse’, poiché oltre ad essere un importante passaggio dell’ Inferno Dantesco, fu anche un’ispirazione per molti altri poeti e scrittori delle epoche successive. Ricordiamo Primo Levi che, nel suo celebre libro ‘Se questo è un uomo’, mentre si trova in una situazione complicata nel campo di concentramento di Auschwitz, recita una parte di questo canto ad un lavapiatti cercando di spiegarglielo. Anche il poeta russo Mandelstam , mentre si trovava in un Gulag in Siberia, in una situazione simile a quella di Levi, scrisse un saggio critico sulle opere di Dantecitando il canto di
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