IL DIBATTITO SULLINTELLETTO NEL XIII SECOLO ALBERTO IL
IL DIBATTITO SULL’INTELLETTO NEL XIII SECOLO: ALBERTO IL GRANDE, SIGIERI DI BRABANTE, TOMMASO D’AQUINO Trento, 19 marzo 2010 Alessandra Beccarisi (Università del Salento)
GENESI DI UNA QUESTIONE: Il DE ANIMA DI ARISTOTELE • • 405 a 14 -15: Anassagora afferma la differenza tra anima e intelletto. L’intelletto è il solo tra gli esseri che è semplice non mescolato e puro Definizione dell’anima: 412 a 20: l’anima è sostanza nel senso che è forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza. 412 b 10 Essa è sostanza nel senso di forma, ovvero è l’essenza di un determinato corpo. Intelletto forse viene dal di fuori 429 a 10: Sull’intelletto: Riguardo alla parte dell’anima con cui essa conosce e pensa (…) deve essere impassibile, ma ricettiva della forma e deve essere in potenza tale qual è la forma, ma non identica ad essa (…) E’ necessario dunque, poiché l’intelletto pensa tutte le cose, che sia non mescolato, come dice Anassagora e ciò perché domini, ossia conosca. Di conseguenza la sua natura non è altro che questa: di essere in potenza. Dunque il cosiddetto intelletto che appartiene all’anima non è in atto nessuno degli enti prima di pensarli. 430 a 15: C’è un intelletto analogo alla materia perché diviene tutte le cose ed un altro che corrisponde alla causa efficiente perché tutto produce (…) E questo intelletto è separabile, impassibile e non mescolato, essendo atto per essenza
CONSEGUENZE: • • • 1. 2. CONOSCENZA (particolare/universale) IMMORTALITA’ DELL’ANIMA STATUTO ONTOLOGICO DELL’INTELLETTO Metafisica Etica Nicomachea
UN UNICO PROBLEMA MOLTEPLICI SOLUZIONI • • • Alessandro d’Afrodisia (Asia minore, II-III secolo) Avicenna (Uzbekistan, 980 -1037) Averroè (Cordoba 1126 -Marocco 1198)
L’INGRESSO DI ARISTOTELE NELL’OCCIDENTE LATINO • • 1. 2. 3. La nascita delle università (1200) Le nuove traduzioni Vetus XII secolo greco-latino Giacomo da Venezia (utilizzata da Alberto il Grande) Michele Scoto 1225 arabo-latina (utilizzata da Alberto il Grande e Sigieri di Brabante) Nova Guglielmo di Moerbeke 1267 -1268 (utilizzata per la prima volta da Tommaso d’Aquino) I divieti 1210 Libri naturales 1270 1277
IL DIBATTITO SULL’UNITA’ DELL’INTELLETTO • Alberto il Grande: De unitate intellectus 1256 -1263 • Sigieri di Brabante: Questiones super tertium de anima 1265 -1270 • Tommaso d’Aquino De unitate intellectus contra averroistas prima del 1268
Alberto il Grande De unitate intellectus 1256 -1263 • Tra coloro che si dedicano allo studio della filosofia, alcuni si pongono il problema della separazione dal corpo e si chiedono se l’anima effettivamente si separa, cosa rimanga di essa, e se ciò che rimane è l’intelletto, in quale relazione l’intelletto che rimane dopo la separazione di un’anima dal corpo si trovi nei confronti di quello che rimane dalla separazione di un’altra anima, se cioè sia identico a esso o diverso. Occorre dunque accertare con argomenti dimostrativi (syllogismos) cosa si debba pensare e affermare in proposito. Dunque qualsiasi cosa sostenga la nostra religione, noi ora la mettiamo totalmente da parte, accettando esclusivamente le verità suscettibili di dimostrazione per mezzo del ragionamento scientifico.
• La ventinovesima via è fondata sulla proporzione dell’intelletto agente e possibile; si tratta di nuovo di un argomento di Averroè nel commento al terzo libro del De anima e qui lo riassumiamo con le sue stesse parole: ciò che produce in modo universale ogni cosa, non agisce se non in quanto si fonda su qualcosa; ciò che agisce universalmente è infatti una forma e nessuna forma possiede essere o azione se non è fondata su qualcosa. Così è necessario che l’intelletto agente sia fondato su quello possibile, poiché ciò che agisce universalmente può essere fondato solo su ciò che è capace di ricevere in modo universale la sua azione. Averroè afferma che se l’agente è eterno, anche il possibile è eterno e per questo si chiede in che modo può accadere che ciò che è prodotto dall’agente nel paziente sia soggetto a generazione e corruzione. Ma se le cose stanno così, occorre che tutta la natura intellettuale nell’uomo sia separata ed eterna. Infatti ciò che è separato ed eterno non è numerato per mezzo del numero nella materia a cui si unisce in modo accidentale; questa proposizione è chiara a chiunque. Ma l’intelletto non si unisce alla materia se non mediante lo spazio e il tempo e attraverso le forme immaginate. Venuti meno dunque gli uomini non rimane di tutti se non un’unica realtà, in nessun modo moltiplicata. Si tratta di un argomento molto forte, sebbene ad alcuni non sembri. La causa di questa incomprensione è che quasi tutto il folto numero di quello che tra noi si definiscono filosofi è nutrito di presupposti immaginari, che essi stessi hanno escogitato e di cui tuttavia non si può persuadere nessuno in maniera razionale.
La tesi di Alberto • • Affermiamo dunque che nella nostra anima c’è una parte intellettiva e che essa, chiamata anima razionale, è una sostanza da cui emanano delle facoltà, alcune delle quali sono separate in modo da non essere forme corporee né potenze del corpo, altre invece sono potenze operanti nel corpo. E quelle che non sono potenze del corpo si trovano in lei in virtù della sua somiglianza con la causa prima, per la quale esiste e rimane stabile nel suo essere. Quelle che invece sono potenze nel corpo si trovano in lei in quanto è anima, la cui caratteristica è di essere atto del corpo e agire nel corpo e nei confronti della natura; in questo modo infatti la natura e le potenze naturali sono suoi strumenti. Anche l’intelletto che fluisce da essa (anima intellettiva) in quanto emana dalla prima causa e sussiste grazie ad essa, si differenzia e si presenta in modo diverso in se stesso e nell’atto del comprendere: ciò che fluisce da essa, considerato come riflesso che procede dalla prima natura intellettuale e si rivolge alla prima causa per mezzo della partecipazione alla sua luce, è nell’anima come la luce ed è l’intelletto agente; ciò che invece fluisce da essa considerata come una sostanza in grazia della quale la natura del corpo è stabile e in lei contenuta, è l’intelletto possibile.
• La natura intellettuale più vicina alla natura (e dunque la più lontana dalla prima causa) è esistente unica nella sostanza, ma duplice nell’essere. In quanto rimane in rapporto con la causa prima in nessun modo è in potenza, ma è atto puro, in sè è intelletto che agisce universalmente, mentre essendo di per se stessa in potenza come le altre sostanze intellettuali, in sè è intelletto possibile; infatti ogni natura intellettuale considerata in sé non è se non in potenza; ma per il fatto che deriva dalla causa prima è in atto e riceve la necessità del suo essere. Ogni natura intellettuale che in sé è possibile e necessaria può convertirsi su se stessa. Questo moto di conversione è un altro intelletto, ovvero una terza modalità differente dalla pura attività e dalla pura possibilità. In questa conversione l’intelletto possibile viene informato dall’agente, ovvero gli vengono offerti gli strumenti (i principi primi alla base di ogni conoscenza) perché possa conoscere: Sic informatus intellectus possibilis apud se habet intellectum principiorum ex lumine illo. Et ideo naturaliter sunt in nobis principia nec discimus ea, nisi inquantum terminos accipimus. L’intelletto possibile così preparato si appresta a conoscere: Ma cosa conosce e come?
L’attuazione dell’intellegibile (contenuto di conoscenza) si identifica con quella dell’intelletto possibile. Così l’intelletto intende in modo universale: nelle cose che sono separate dalla materia ciò che intende e ciò che è inteso sono identici secondo l’atto. Nell’atto del conoscere noi diventiamo ciò che conosciamo. E questo è proprio soltanto del processo intellettivo. L’unità in atto che sussiste tra soggetto e oggetto, non è lo stesso tipo di unità (compositio) che sussiste tra materia e forma negli sensibili. Intelletto speculativo = intelletto composto dagli intellegibili + atto dell’intelletto (comprendere) tramite la mediazione dei principi primi Dato che questo intelletto in tutte le cose che sono oggetto di speculazione ritrova questo suo atto, se riconduce speculata (ovvero le cose conosciute) al proprio atto, in tutte le cose non fa altro che conoscere se stesso e coglie se stesso, e comprende quanto grande sia la virtù di quello e quanto grande sia la propria bellezza. E così conosce sé e cosa sia (quid sit) e quanto grande e quale la sua natura. Questo intelletto si chiama acquisito. Esso esiste soltanto in quanto volge la sua peculiare natura verso le intelligenze, da cui questa natura deriva propriamente. E tramite le intelligenze giungerà alla causa prima da cui dipende il suo essere necessario congiungendosi così alla radice dell’immortalità e della felicità
SIGIERI DI BRABANTE Questiones super III De anima Quaestio I Se il principio intellettivo sia radicato nella medesima sostanza dell’anima con il vegetativo e il sensitivo • Soluzione: Alcuni sostenono che il principio, vegetativo e intellettivo si trovano in una medesima sostanza semplice. E dicono che l’anima venga tutta intera dal di fuori, dotata di tre potenze e parti, mediante una delle quali essa è in grado di operare senza il corpo, come quanto pensa, grazie all’intelletto. Invece mediante le altre due potenze, ossia il vegetativo e il sensitivo, essa non può operare se non nel corpo. E così queste tre potenze si differenziano tra loro per il rapporto che hanno con il corpo. (…) Bisogna dare alla questione una soluzione diversa. Si deve dire, infatti, che il principio intellettivo non si trova nella medesima anima semplice insieme al vegetativo e il sensitivo. Piuttosto si deve dire che l’intellettivo si trova insieme ad essi nella medesima anima composta.
• • Quaestio II Se l’intelletto sia unico in tutti Posizione a favore: Sembra che vi sia un unico intelletto in tutti gli uomini. Nessuna forma immateriale, unica secondo la specie, viene moltiplicata secondo il numero. Tesi contraria: Se ci fosse un unico intelletto per tutti gli uomini, quando un uomo acquisisce la scienza tutti dovrebbero acquisirla cosa che risulta falsa Soluzione: Per poter stabilire se l’intelletto sia unico per tutti è necessario considerare la sua natura separata e con analogo procedimento la sua natura in quanto si unisce a noi. Dico che quella di essere moltiplicato secondo il numero è una proprietà estranea alla natura dell’intelletto. (. . . ) Perciò sostanze che sono separate dalla materia la moltiplicazione di individui appartenenti ad una medesima specie non ha alcuna ragione di darsi. Non è per il fatto che l’intelletto è unito a noi che lo sono i concetti, ma per il fatto che i concetti sono uniti a noi che lo è anche l’intelletto. (…) Negli uomini si trovano prima le intenzioni immaginate che l’intelletto.
TOMMASO D’AQUINO De unitate intellectus contra averroistas 1. Come tutti gli uomini per natura desiderano conoscere la verità, così è presente in essi il desiderio naturale di fuggire gli errori e di confutarli. Tra i diversi errori, il più disdicevole sembra essere quello in cui si cade riguardo all’intelletto, per mezzo del quale siamo naturalmente portati a conoscere la verità. Già da qualche tempo si è diffuso tra molti un errore proprio riguardo l’intelletto. Esso trae origine dalle parole di Averroè. <Egli> sostiene che questo intelletto possibile sia unico per tutti gli uomini. Contro queste tesi già da tempo abbiamo scritto molte cosa, ma poiché la sfrontatezza dei loro sostenitori non cessa di opporsi alla verità è nostra intenzione scrivere di nuovo contro lo stesso errore.
TOMMASO D’AQUINO De unitate intellectus contra averroistas 2) Non si tratta qui di procedere mostrando che questa posizione è erronea perché contraria alla fede cristiana; questo infatti è chiaro a chiunque: sottratta infatti agli uomini la diversità dell’intelletto, l’unica tra le parti dell’anima che appare incorruttibile e immortale, ne consegue che dopo la morte non rimane nulla delle anime degli uomini se non un’unica sostanza intellettiva. E così vengono tolte l’attribuzione dei premi e delle pene, e la diversità che li distingue. Noi invece intendiamo dimostrare che questa posizione è contraria ai principi della filosofia non meno che agli insegnamenti della fede. E poiché alcuni, a quanto si dice, non gradiscono le parole dei latini riguardo a tale argomento, ma dicono di seguire solamente le parole dei Paripatetici, di cui non hanno mai visto i libri che trattano tale argomento se non quelli di Aristotele, che fu il fondatore della scuola peripatetica, noi mostreremo innanzitutto che questa posizione è del tutto contraria alle sue parole e alle sue affermazioni.
TOMMASO D’AQUINO De unitate intellectus contra averroistas 60) 61) Non possiamo avere nessuna argomentazione più solida di quella che Aristotele ha posto: «L’anima è il principio primo per cui viviamo e intendiamo, perciò è una certa nozione e forma» di un determinato corpo. La forza e l’inattaccabilità di questa dimostrazione appare, poi dal fatto che chiunque volesse discostarsi da questa via, necessariamente si troverebbe a dire qualcosa di inconveniente. E’ chiaro infatti che è proprio questo uomo singolo che intende: noi non ci interrogheremmo infatti sull’intelletto, se non fossimo noi a intendere, e non ci interroghiamo su un altro principio, quando ci interroghiamo sull’intelletto, se non su quello per il quale noi intendiamo.
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