IL DANNO AMBIENTALE IL NESSO CAUSALE Perch a
IL DANNO AMBIENTALE
IL NESSO CAUSALE Perché a un soggetto sia imputabile la responsabilità per danno ambientale è necessario che sussista un nesso causale fra la sua condotta e l’inquinamento. Art. 303 lettera h) riprende alla lettera quanto stabilito dalla direttiva 35/2004/CE all’art. 4, stabilendo che la parte VI del D. Lgs non si applica “al danno ambientale o alla minaccia immanente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso, se non sia stato possibile accertare in alcun modo un nesso causale fra il danno e l’attività dei singoli operatori”.
Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea, Ordinanza 9. 3. 2010 causa C-478/08. • Avanti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea sono state recentemente presentate alcune domande da parte di alcune società (fra le quali la ERG) i cui stabilimenti costeggiano la Rada di Augusta, in merito ad alcuni ricorsi avverso decisioni delle varie autorità amministrative che imponevano alle stesse obblighi di riparazione dell’inquinamento accertato nel sito di interesse nazionale di Priolo. In particolare si contestava che tali obblighi erano stati imposti ad alcuni operatori a causa della vicinanza dei loro impianti ad una zona inquinata, senza avere preventivamente indagato sugli eventi all’origine dell’inquinamento o la colpa di questi ultimi e senza valutare gli apporti individuali di ciascun operatore allo stato di inquinamento, il tutto nell’ambito di una situazione di inquinamento a carattere diffuso.
Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea Ordinanza 9. 3. 2010 causa C-478/08. La Corte ha ricordato che la direttiva 2004/35 all’art. 4 n. 5 prevede che la stessa si applica “al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso unicamente quanto sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività dei singoli operatori” e che l’art. 11 n. 2 stabilisce che “spetta all’autorità competente individuare l’operatore che ha causato il danno”. La Corte ha sostenuto che “La normativa di uno Stato membro può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità fra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento”.
Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea Ordinanza 9. 3. 2010 causa C-478/08. “Tuttavia, dato che, conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento, per poter presumere secondo tali modalità l’esistenza di un siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività dei degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato […] a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione […]”
Nesso causale: il caso, Corte di Giustizia della Comunità Europea Ordinanza 9. 3. 2010 causa C-478/08. • “I medesimi operatori non sono tenuti a sostenere i costi delle misure di riparazione quando sono in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo e si sono verificati nonostante l’esistenza di idonee misure di sicurezza, poiché infatti il principio “chi inquina paga” non implica che gli operatori debbano farsi carico di oneri inerenti alla riparazione di un inquinamento al quale non abbiano contribuito. Inoltre, posto che l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento, l’autorità competente deve accertare, in linea di principio, in che misura ciascun operatore abbia contribuito all’inquinamento al quale essa tenta di porre rimedio e tener conto del loro rispettivo contributo nel calcolo dei costi delle azioni di riparazione”
Nesso causale: il caso, Trib. Milano, sez. II, 31. 3. 2008. Un’azienda nella provincia di Milano era stata citata dalla Regione Lombardia e da altri enti territoriali per il grave danno ambientale causato dalle lavorazioni di produzione di vernici della stessa, per i metodi con cui erano state effettuate sino alla cessazione dell'attività, a metà degli anni ottanta. In particolare era stato accertato che i fanghi di reflui di produzione fortemente tossici venivano depositati principalmente nelle aree perimetrali dello stabilimento adibite a discarica, che l'intera area di proprietà della società era di oltre 1. 400. 000 m²; che tutta l'area era stata interessata da sversamenti di sostanze inquinanti accidentali e/o deliberati, che sia la falda superficiale, che la falda intermedia, nonché la falda profonda erano risultate inquinate.
Nesso causale: il caso, Trib. Milano, sez. II, 31. 3. 2008. La società convenuta lamentava l’insussistenza della prova del fatto che gli inquinamenti lamentati fossero riferibili all'attività della stessa anziché, da altre società chimiche o ad altri soggetti che svolgevano attività potenzialmente inquinanti; la zona interessata è costituita da terreni con un elevato insediamento industriale; che in particolare vi erano numerose aziende site a monte dei fiumi in questione e non sarebbe stata fornita la prova che gli inquinamenti siano specificamente riferiti alla convenuta, anziché ad altre aziende, che nella loro attività producono rifiuti speciali, ovvero rifiuti tossici e nocivi.
Nesso causale: il caso, Trib. Milano, sez. II, 31. 3. 2008. Il Tribunale di Milano condanna la società ritenendola responsabile poiché la consulenza tecnica disposta aveva potuto dimostrare che l’inquinamento del terreno e della falda aveva origine dai terreni della società e che a monte di questi la falda non era inquinata. “I punti di indagine localizzati a monte flusso e lateralmente all'area ex-A. , all'interno del territorio dei comuni limitrofi, registrano concentrazioni di composti organoalogenati inferiori agli stessi limiti normativi […] le concentrazioni degli elementi inquinanti, aumentano significativamente superando i limiti previsti "solo a valle flusso o all'interno dell'area ex-A”.
COLPA E DOLO Il danno ambientale in Italia può essere attribuito a un soggetto solo se è derivante da azioni o omissioni a lui imputabili almeno per colpa. L’esigenza di tale elemento soggettivo è rimarcata in diversi articoli del Testo Unico: ART. 311: … Chiunque cagioni un danno ambientale con dolo o colpa … Nello stesso senso anche il previgente art. 18 della l. 349 1986: “Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente…”
COLPA E DOLO Art. 308, CO 4: “Non sono a carico dell'operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto se egli puo' provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) e' stato causato da un terzo e si e' verificato nonostante l'esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) e' conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorita' pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un'emissione o di un incidente imputabili all'operatore; in tal caso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio adotta le misure necessarie per consentire all'operatore il recupero dei costi sostenuti.
COLPA E DOLO Art. 308, co. 5: L'operatore non e' tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto qualora dimostri che non gli e' attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l'intervento preventivo a tutela dell'ambiente e' stato causato da: a) un'emissione o un evento espressamente consentiti da un'autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunita' europea di cui all'allegato 5 della parte sesta del presente decreto, applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena conformita' alle condizioni ivi previste; b) un'emissione o un'attivita' o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attivita' che l'operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attivita'.
COLPA E DOLO Quella per il danno ambientale è, quindi, “una peculiare responsabilità di tipo extracontrattuale connessa a fatti dolosi o colposi, cagionanti un danno “ingiusto” all’ambiente, dove l’ingiustizia è individuata nella violazione di una disposizione di legge e dove il soggetto titolare del risarcimento era lo Stato” (Cass. Pen. sez. III, 2. 5. 2007 n. 16575). Si tratta, quindi, di una responsabilità di tipo soggettivo, legata al dolo o alla colpa specifica (violazione di leggi, regolamenti… ) o generica (negligenza, imprudenza, imperizia): non è sufficiente l’aspetto oggettivo e concreto della modificazione, alterazione o distruzione dell’ambiente naturale, ma occorre l’elemento soggettivo, cioè che la condotta causa del danno sia dolosa o colposa.
COLPA E DOLO L’elemento soggettivo della colpa è preso in considerazione anche dal legislatore comunitario, che lascia, tuttavia agli Stati membri anche la possibilità di adottare modelli di responsabilità oggettiva. Il 20° Considerando della direttiva 35/2004 dispone infatti che “non si dovrebbe chiedere ad un operatore di sostenere i costi di misure di prevenzione o riparazione adottate conformemente alla presente direttiva in situazioni in cui il danno in questione o la minaccia imminente di esso derivano da eventi indipendenti dalla volontà dell’operatore. Gli Stati membri possono consentire che gli operatori, di cui non è accertato il dolo o la colpa, non debbano sostenere il costo di misure di riparazione in situazioni in cui il danno in questione deriva da emissioni o eventi espressamente autorizzati o la cui natura dannosa non era nota al momento del loro verificarsi”.
COLPA E DOLO In questo senso depone l’art. 8 co. 4 lett. A) della direttiva, che prevede che gli Stati membri abbiano facoltà di consentire che l’operatore non sia tenuto a sostenere i costi delle azioni di riparazione intraprese conformemente alla direttiva, qualora dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che il danno ambientale è stato causato da un’emissione o un evento espressamente autorizzati da un’autorizzazione conferita o concessa ai sensi delle vigenti disposizioni legislative. Quindi il legislatore comunitario lascia alla discrezionalità dei singoli Stati membri la scelta del criterio di imputazione della responsabilità.
COLPA E DOLO L. 97 2013: Art. 311: … chi, svolgendo una delle attività «pericolose» elencate nel decreto (All. 5, parte sesta), cagioni un danno ambientale è obbligato all’adozione di misure di riparazione. - attività pericolose: es. gestione rifiuti, trasporto di merci pericolose, fabbricazioni di preparati pericolosi, prodotti fitosanitari, biocidi …
COLPA E DOLO L. 97 2013: Eccezione del sistema: non è prevista, per queste categorie di soggetti, la responsabilità per dolo o colpa. Si introduce anche in campo ambientale un regime simile a quello già previsto nel nostro ordinamento per chi svolge attività pericolose: es. art. 2050 cc: Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento (1), se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: “Il concetto di danno ambientale sviluppatosi solo di recente, rispetto al tronco dell'illecito aquiliano, attraverso l'art. 18 l. 8 luglio 1986 n. 349, accoglie il concetto di "compromissione o torto ambientale", consistente nell'alterazione, deterioramento, distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente. In altri termini, non basta la violazione puramente formale della normativa in materia di inquinamento, nella specie in materia di rifiuti tossici, ma occorre che lo Stato, o gli enti territoriali, su cui incidono i beni oggetto del fatto lesivo (cfr. Cass. 12 febbraio 1988 n. 1491), ai sensi del comma 3 dell'art. 18, deducano l'avvenuta compromissione dell'ambiente. (Cass. Civ. 9211 del 1. 9. 1995)”.
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 1145 30. 10. 2001 I titolari di una autodemolizione erano imputati per aver effettuato smaltimento di rifiuti speciali attraverso l’ammasso e il trattamento di carcasse di automobili, i giudici di merito avevano condannato l’imputato anche al risarcimento dei danni valutati in via equitativa. Impugnava la sentenza l’imputato sostenendo che in realtà non c’era stato alcun danno, alcuna alterazione, distruzione o deterioramento dell’ambiente perché l’autodemolizione si trovava ai margini di una strada trafficatissima, in un luogo che non presentava alcun pregio ambientale, inserito tra capannoni, ipermercati e officine meccaniche.
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 1145 30. 10. 2001 La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso sotto questo profilo, annullando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello nella parte relativa alle statuizioni civili, osservando: “È evidente che la liquidazione del danno, sia pure in via equitativa, presuppone pur sempre che un concreto danno all'ambiente si sia verificato. …
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 1145 30. 10. 2001 L'azione di risarcimento del danno può essere promossa soltanto quando sussista un pregiudizio concreto alla qualità della vita della collettività, sotto il profilo dell'alterazione, del deterioramento o della distruzione, in tutto o in parte, dell'ambiente. Non danno luogo a risarcimento - di regola violazioni meramente formali. La stessa lesione dell'immagine dell'ente, il quale, dalla commissione di reati vede compromesso il prestigio derivante l'affidamento di compiti di controllo e gestione, costituisce danno non risarcibile autonomamente. In tal caso il risarcimento deve essere riconosciuto soltanto quando sia stato concretamente accertato il suddetto danno ambientale, al quale sia collegata, come aspetto non patrimoniale, la menomazione del rilievo istituzionale dell'ente. Nella specie, la corte d'appello milanese ha liquidato equitativamente il danno […] senza in nessun modo esaminare ed indicare quale concreta alterazione, deterioramento o distruzione dell'ambiente si siano nella specie verificati, riconosce la sussistenza di un danno ambientale risarcibile anche in assenza di qualsiasi concreta compromissione per l'ambiente”
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 22539 del 5. 4. 2002 In altri casi, però, la Cassazione non è stata di questo avviso: in un caso relativo allo smaltimento di rifiuti consistente nella trasformazione degli stessi in nuovi prodotti industriali, attività svolta però senza autorizzazione, gli imputati avevano impugnato la condanna al risarcimento del danno ambientale per l’insussistenza di una distruzione, alterazione o deterioramento dell’ambiente, sostenendo che a fronte di violazioni meramente formali non potrebbe ravvisarsi alcun danno.
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 22539 del 5. 4. 2002 “Il contenuto stesso del danno ambientale viene a coincidere con la nozione non di danno patito bensì di danno provocato ed il danno ingiusto da risarcire si pone in modo indifferente rispetto alla produzione di danniconseguenze, essendo sufficiente per la sua configurazione la lesione in sè di quell'interesse ampio e diffuso alla salvaguardia ambientale, secondo contenuti e dimensioni fissati da norme e provvedimenti. Il legislatore, invero, in tema di pregiudizio ai valori ambientali, ha inteso prevedere un ristoro quanto più anticipato possibile rispetto al verificarsi delle conseguenze dannose, che presenterebbero situazioni di irreversibilità. …
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III n. 22539 del 5. 4. 2002 Per integrare il fatto illecito, che obbliga al risarcimento del danno, non è necessario che l'ambiente in tutto o in parte venga alterato, deteriorato o distrutto, ma è sufficiente una condotta sia pure soltanto colposa "in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge", che l'art. 18 specificamente riconosce idonea a compromettere l'ambiente quale fatto ingiusto implicante una lesione presunta del valore giuridico tutelato. Ciò trova conferma nella circostanza che, qualora non sia possibile una precisa quantificazione di un danno siffatto, il giudice - per espressa previsione dello stesso art. 18 della legge n. 349/1986 - procede in via equitativa, tenendo presenti parametri che prescindono da termini di ristoro soggettivo quali "la gravità della colpa individuale, il costo necessario per il ripristino, il profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo del bene ambientale"
LE MERE VIOLAZIONI FORMALI In realtà si tratta sempre di una valutazione che va fatta in concreto: “Nel caso in esame valuterà il giudice di rinvio la posizione in concreto dei Comuni interessati da discariche abusive od altri reati, tenendo presente che il danno ai terreni privati va tenuto distinto giuridicamente dal danno al territorio ed all'ambiente ex artt. 2043 Cod. Civ. e 18 l. 349/86, sicché non può escludersi che da un reato formale di carenza di autorizzazione possa derivare per gli enti locali un danno sostanziale che li renda legittimi portatori del relativo interesse, quali parti civili. È noto, infatti, che dalla installazione di discariche abusive possono derivare danni all'atmosfera, alle acque (percolato), al suolo e sottosuolo (falde idriche), oltre che dall'assetto del territorio ed al paesaggio e perfino una situazione più grave (art. 51 bis D. L. vo 22/97) di siti inquinati da bonificare ex post” (Cass. Pen. sez. III n. 29214 del 22. 5. 2003).
DANNI TEMPORANEI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III, 2. 5. 2007 n, 16575 In un giudizio penale per il reato, fra l’altro, di realizzazione abusiva di discarica, imputati il progettista che aveva eseguito i lavori e gli amministratori comunali che li avevano approvati, perché avevano previsto, per il ripascimento di una spiaggia dell’Isola d’Elba, l’uso di materiali ferrosi derivante dagli scarti di miniere, contenti alti livelli di metalli pesanti e quindi inquinanti. Nel giudizio di secondo grado la Corte d’appello, aveva escluso il diritto al risarcimento del danno delle parti civili costituite (in particolare al Ministero dell’ambiente e ad un ente locale ) in quanto l’ambiente marino colpito dalla condotta degli imputati si sarebbe ripristinato “naturalmente”: “la Corte territoriale - pur riconoscendo che, nella specie, vi sono state "conseguenze pregiudizievoli dovute alle immissioni di materiale" nel mare antistante la spiaggia di Cavo soggetta al ripascimento - ha rilevato che dette conseguenze saranno certamente eliminate ad opera del "potere di decantazione" dell'ambiente marino ed ha ritenuto che soltanto la persistenza del danno ambientale possa dare luogo alla tutela risarcitoria”.
DANNI TEMPORANEI: IL CASO, Cass. Pen. sez. III, 2. 5. 2007 n, 16575 La Corte di Cassazione ha censurato questa decisione, ritenendo che “integra il danno ambientale risarcibile anche il danno derivane, medio tempore, dalla mancata disponibilità di una risorsa ambientale intatta, ossia le cd “perdite provvisorie” […] La risarcibilità delle perdite temporanee è giustificata dal fatto che qualsiasi intervento di ripristino ambientale, per quanto tempestivo, non può mai eliminare quello speciale profilo di danno conseguente alla perdita di fruibilità della risorsa naturale compromessa dalla condotta illecita, danno che si verifica nel momento in cui tale condotta viene tenuta e perdura per tutto il tempo necessario a ricostituire lo status quo” (Cass. Pen. sez. III, 2. 5. 2007 n, 16575).
DANNI TEMPORANEI: IL CASO, Trib. Venezia, 27. 11. 2002 n. 1286. In uno stabilimento petrolchimico a seguito della perdita da una valvola di un impianto, si è verificata una fuga di ammoniaca durata circa due ore, con un rilascio nell’area di oltre 4. 000 kg della sostanza nell’aria, in larga parte abbattuto con getti d’acqua nebulizzata. Costituitosi in giudizio il Ministero dell’Ambiente e alcuni enti territoriali, il Tribunale ha ritenuto sussistente il diritto al risarcimento del danno anche in presenza di un danno temporaneo: “L'aria (è una delle risorse naturali) sovrastante e circostante lo stabilimento dell'E. è stata alterata e resa irrespirabile, almeno in parte […] Tale alterazione costituisce una grave lesione dell'ambiente, a nulla rilevando la sua transitorietà e l'assenza apparente di conseguenze durature se comunque le concrete modalità dell'evento hanno raggiunto una intensa ed evidente criticità: per un vasto raggio e per due ore l'aria non era tale. Pretendere che si possa parlare di un danno ambientale solo in presenza di una apprezzabile e duratura compromissione significa (laddove il danno è arrecato a beni quali l'aria e l'acqua) assimilare il danno solo a tragedie o scenari apocalittici”.
RICAPITOLANDO: Il regime di responsabilità deve intendersi come compensativo dei danni ambientali e non punitivo; Il sistema privilegia quelle misure che siano effettivamente in grado di restituire l’ambiente alla collettività che ne fruisce, anche se ciò significa prevedere dei miglioramenti ambientali in altro sito rispetto a quello danneggiato;
LEGITTIMATI ATTIVI: GLI ENTI PUBBLICI. L’art. 18 l. 349/86 prevedeva che “L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo”. Potevano agire, quindi, per il risarcimento del danno ambientale lo Stato, la Regione, la Provincia e il Comune. In applicazione della previgente normativa è stato osservato che “La legittimazione ad agire, che è attribuita allo Stato ed agli enti minori non trova fondamento nel fatto che essi hanno affrontato spese per riparare il danno o nel fatto che essi abbiano subito una perdita economica ma nella loro funzione a tutela della collettività e delle comunità nel proprio ambito territoriale e degli interessi all'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo” (Cass. pen. , Sez. III, 10 giugno 2002, n. 22539). La ratio non è mutata con l’introduzione del Testo Unico, che però ha concentrato la legittimazione attiva nei confronti del solo Ministero dell’Ambiente (art. 311).
I PRIVATI: Diversa è la situazione dei singoli cittadini che ritengono di aver subito una lesione ai loro diritti individuali da un comportamento che produce, al tempo stesso, un danno ambientale. In questo caso il soggetto privato potrà agire a tutela dei suoi diritti, ma solo come individuo e non potrà agire per il risarcimento del generico interesse collettivo ad un ambiente salubre. Art. 313 co. 7: "resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi”.
I PRIVATI: IL CASO, Cass. Pen. III 2. 5. 2007 n. 165757. Un caso di cui abbiamo già parlato: un giudizio penale per il reato, fra l’altro, di realizzazione abusiva di discarica, imputati il progettista che aveva eseguito i lavori e gli amministratori comunali che li avevano approvati, perché per il ripascimento di una spiaggia dell’Isola d’Elba avevano usato materiali ferrosi derivante dagli scarti di miniere, contenti alti livelli di metalli pesanti e quindi inquinanti. Si era costituito parte civile per il risarcimento del danno anche il proprietario di un albergo prospiciente la spiaggia, lamentando di aver subito un danno alla sua attività derivante dal danno ambientale alla spiaggia stessa. L'attività di ricezione turistica era sensibilmente diminuita e l'esercizio alberghiero, che aveva subito una notevole lesione alla reputazione commerciale, è stato chiuso.
I PRIVATI: IL CASO, Cass. Pen. III 2. 5. 2007 n. 165757. La Corte di Cassazione in questo caso ha ritenuto che “ anche ai sensi dell'art. 313, 7 comma, del D. Lgs. n. 152 del 2006 - "resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi. In tale prospettiva va rilevato, quindi, che detta parte civile è coinvolta direttamente nella vicenda con profili spiccatamente personali (lesione alla reputazione commerciale e diminuzione dell'attività di ricezione turistica dell'albergo) e l'entità oggettiva dell'intervento contestato si pone come potenzialmente idonea a compromettere, anche sotto il profilo patrimoniale, le caratteristiche della struttura alberghiera da lui gestita”
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: Art. 18 l. 349/1986: le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni e individuate con decreto del Ministro dell'ambiente, nonché i cittadini, al fine di sollecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: Le stesse associazioni, inoltre, “possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi”. • Il D. Lgs 152/2006 ha abrogato l’art. 18 ad eccezione di questa previsione, che rimane quindi in vigore.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: • Inizialmente, si riteneva che alle associazioni ambientaliste fosse permesso solo un ruolo di stimolo e di supporto all’attività della pubblica amministrazione, e che quindi non potessero agire in proprio per ottenere il risarcimento del danno (Cass. Sez. VI 14. 10. 1988 n. 12659). • La giurisprudenza, tuttavia, è presto giunta a riconoscere una legittimazione attiva in capo agli enti e associazioni che operano per la tutela del diritto all’ambiente salubre.
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: “L’interesse diffuso è indeterminato e non personalizzato, mentre quello denominato collettivo attiene a beni determinati, molto spesso immateriali, la cui tutela è affidata a soggetti reali, partecipi di collettività e destinatari, anche in base alla protezione costituzionale del diritto, di una rappresentanza per la protezione del bene collettivo in questione. In sostanza ogni bene collettivo come ad esempio il diritto ad un ambiente salubre è indivisibile in quanto non suscettibile di appropriazione da parte dei singoli e nel contempo, per la sua limitatezza e per la sua capacità di essere leso, è da ritenersi giuridico ed oggetto di tutela, nonché risarcibile. […] Le dimensioni del c. d danno ambientale sono diverse e si manifestano in varie forme quale lesione del diritto individuale all’ambiente oppure del diritto sociale all’ecologia (il c. d. diritto collettivo) ovvero del diritto pubblico all’ambiente, nel quale ultimo è predominante ed essenziale il ruolo dei diversi enti istituzionali […] la costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste si fonda sulla esigenza di tutela dell’interesse collettivo, soggettivizzato e personificato rispetto all’indistinto interesse diffuso, del quale diviene centro di imputazione e legittimazione e, quindi, risente un danno per l’aggressione di esso; danno diretto ed immediato” (Cass. Pen. sez, III 6. 4. 1996).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: “Il danno ambientale presenta una triplice dimensione: personale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente di ogni uomo); sociale (quale lesione del diritto fondamentale dell'ambiente nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità umana (art. 2 Cost. ); pubblica (quale lesione del diritto-dovere pubblico delle istituzioni centrali e periferiche con specifiche competenze ambientali). In questo contesto persone, gruppi, associazioni ed anche gli enti territoriali non fanno valere un generico interesse diffuso, ma dei diritti ed agiscono in forza di una autonoma legittimazione”. (Fattispecie in tema di inquinamento idrico) (Cass. Pen. Sez. III 10. 11. 1993 n. 439).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: Inoltre, “permarrebbe sempre la lesione del diritto alla personalità dell’ente e, quindi, l’azione da parte delle associazioni di protezione ambientale per far valere i danni, morali e materiali, relativi all’offesa in modo diretto ed immediato, dello scopo sociale, che costituisce la finalità propria di tali enti” (Cass. Pen. sez, III 6. 4. 1996).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: • “Inoltre, può anche ipotizzarsi una lesione del diritto di personalità dell'associazione stessa quando il reale e concreto scopo statutario di tutela dell'ambiente venga leso e frustrato dal fatto addebitato all'imputato (Cass. pen. , Sez. VI, 16 febbraio 1990; Cass. pen. , Sez. III, 9 luglio 1996 n. 8699). L'obiezione che l'associazione non ha un diritto a conseguire il suo scopo è pertinente e fondata. Non altrettanto, e comunque non sempre, appare invece fondata l'obiezione che un fatto illecito altrui non può in sé menomare l'immagine della associazione. Si ipotizzi il caso di una associazione il cui scopo è in sintonia con primari valori costituzionali, sia presente sul territorio e sia impegnata in opere di sensibilizzazione e denuncia. Se detta associazione vede ogni (o qualche) suo (significativo) sforzo vanificato da quelle condotte contro le quali statutariamente si batte, finirà sempre più con l'assumere, agli occhi di tanti, una connotazione meramente simbolica, di bandiera, di sterile testimonianza, se non oggetto di velata irrisione per l'utopismo dei suoi fini” (Trib. Venezia, 27. 11. 2002 n. 1286).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: REQUISITI. “Non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni, ancorchè abbiano ottenuto il riconoscimento governativo ex art. 13 l. 349/1986, quando l’interesse perseguito sia quello, genericamente inteso, all’ambiente o comunque un interesse che, per essere caratterizzato da un mero collegamento con l’interesse pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del sodalizio e non risarcibile. Quando, invece, l’interesse diffuso alla tutela dell’ambiente non rimane una categoria astratta, ma si concretizza in una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, esso cessa di essere comune alla generalità dei cittadini” (Cass. Pen. sez. III del 26. 9. 1996 n. 8699).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: REQUISITI. “In questo caso le associazioni sono centri di tutela e di imputazione dell’interesse collettivo all’ambiente che, in tale modo, cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato. Poiché un’associazione possa essere considerata esponenziale di un interesse della collettività, in cui trova il bene oggetto di protezione, necessita che abbia come fine essenziale statutario la tutela dell’ambiente, sia radicata nel territorio anche attraverso sedi sociali, sia rappresentativa di un gruppo significativo di consociati, abbia dato prova di continuità del suo contributo a difesa del territorio. A tali condizioni, le associazioni ecologiste sono legittimate in via autonoma e principale alla azione di risarcimento per il danno ambientale con diritto al ristoro del nocumento commisurato alla lesione degli interessi collettivi rappresentati (Cass. Pen. Sez. III n. 14828 16. 4. 2010).
LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE: REQUISITI. I presupposti per il riconoscimento di tale legittimazione sono ormai saldamente individuati dalla giurisprudenza di legittimità: • esistenza di una posizione giuridica consona al bene giuridico tutelato posta dall'ente stesso come proprio fine statutario essenziale; • radicamento sul territorio dell'ente, anche attraverso articolazioni locali; • rappresentatività di un gruppo significativo di consociati; • dimostrazione della continuità e della rilevanza del contributo concretamente apportato alla difesa della posizione giuridica che si ritiene lesa dalla condotta illecita altrui. In particolare, per quanto concerne quest’ultimo profilo, l’ente esponenziale deve dar prova di avere come fine precipuo la tutela dello specifico tipo di interesse leso e di aver concretamente svolto attività a difesa del medesimo interesse.
Il caso: Cass. Sez. IV n. 24619 del 11. 6. 2014 Procedimento penale per aver gestito, in assenza di autorizzazione, iscrizione e comunicazione di legge, una quantità di circa 2. 474. 550 kg di rifiuti speciali non pericolosi classificati come terre e rocce da scavo. Ø Condanna anche al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili Comune e Provincia di Milano e Regione Lombardia. La sentenza svolge alcune considerazioni, anche di carattere diacronico, sulla disciplina positiva dedicata al risarcimento del danno all'ambiente, con particolare riferimento al tema - che in questa sede viene in rilievo della risarcibilità dei danni diversi dal danno all'ambiente propriamente inteso ma pur sempre derivanti dal medesimo fatto illecito (ossia dallo stesso fatto produttivo di danno ambientale).
Il caso: Cass. Sez. IV n. 24619 del 11. 6. 2014 • Allo Stato (MATTM) è riservata l’azione per il danno ambientale. • Ridimensionamento del ruolo degli enti locali, ai quali è stata espressamente attribuita la sola facoltà di sollecitare l'intervento statale (art. 309) e di ricorrere in caso di inerzie od omissioni (art. 310), ma non la legittimazione ad agire ed intervenire in proprio per il risarcimento del danno ambientale, rientrando nella esclusiva pertinenza statale i profili strettamente riparatori dell'ambiente in sé. • Resta però salva la possibilità per detti enti, al pari di ogni altro soggetto danneggiato "dal fatto produttivo di danno ambientale", di agire per il risarcimento dei danni diversi, derivanti dalla lesione di interessi locali specifici e differenziati di cui sono portatori, ad essi eventualmente arrecati (v. Sez. 3, n. 755 del 28/10/2009 - dep. 11/01/2010, Ciaroni, Rv. 246015).
Il caso: Cass. Sez. IV n. 24619 del 11. 6. 2014 La normativa speciale sul danno ambientale si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: Ø danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale (Sez. 3, n. 36514 del 03/10/2006 - dep. 03/11/2006, Censi e altri, Rv. 235059; Sez. 3, n. 14828 del 11/02/2010 dep. 16/04/2010, De Flammineis e altro, Rv. 246812).
Il caso: Cass. Sez. IV n. 24619 del 11. 6. 2014 Ø Danni patrimoniali Ø Danni non patrimoniali È stato in particolare evidenziato che danno non patrimoniale in capo all'ente collettivo, sub specie di danno all'immagine, può essere rappresentato dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca (v. Cass. civ. , Sez. 3, n. 4542 del 22/03/2012, Rv. 621596; Sez. 3, n. 12929 del 04/06/2007, Rv. 597309).
Il caso: Cass. Sez. IV n. 24619 del 11. 6. 2014 Giova anzitutto ribadire che, con la considerazione di un danno all'immagine distinto dal danno all'ambiente e come tale risarcibile in capo all'ente che assume l'esistenza di una tale lesione, il giudice a quo non è incorso in alcuna contraddizione, essendo ben ipotizzabile, come detto, che dallo stesso fatto lesivo accertato derivino, oltre che un danno ambientale nei termini descritti dal D. Lgs. n. 152 del 2006, art. 300, anche un danno all'immagine dell'ente territoriale in relazione alla lesione che lo stesso ne può indirettamente subire ü sul piano del prestigio e della reputazione, ü nei confronti della collettività ü in quanto evidentemente strettamente connessi - in senso positivo o negativo - anche all'efficacia dell'azione ad esso demandata di custodia e valorizzazione di beni ambientali di particolare rilievo. Trovasi in tal senso espressamente riconosciuto nella giurisprudenza civile di questa S. C. che "l'immagine, il prestigio e la reputazione di un ente territoriale costituiscono beni essenziali ai fini della sua credibilità politica" e che "non può dubitarsi che la lesione di tali valori alla cui tutela la persona giuridica pubblica ha un diritto costituzionalmente garantito determini sicuramente, e di per sè, un danno non patrimoniale, costituito dalla diminuzione della considerazione dell'ente da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali di norma interagisca" (v. Cass. civ. , Sez. 3, n. 4542 del 22/03/2012, cit. ).
AZIONI ESPERIBILI Il Ministero dell’Ambiente, cui compete, oggi, l’azione per il danno ambientale ha due possibilità: • ottenere il risarcimento del danno (in forma specifica) agendo in via giudiziaria (avanti al giudice civile o penale) ex art. 311. • agire in via amministrativa attraverso la procedura di recupero disciplinata dagli artt. 312 e ss.
AZIONI ESPERIBILI 1. via giudiziaria: normale azione civile, avanti al giudice civile o al giudice penale con la costituzione di parte civile. 2. procedura amministrativa attraverso la quale il Ministero dell’Ambiente emette un’ordinanza immediatamente esecutiva con cui si ingiunge, ai responsabili del fatto causativo del danno, il ripristino ambientale entro un termine fissato, a titolo di risarcimento in forma specifica. In caso di inottemperanza in tutto o in parte, viene emessa una successiva ordinanza che ingiunge il pagamento, entro il termine di 60 giorni dalla notifica, di una somma pari ai costi delle attività necessarie a conseguire la completa attuazione delle misure di ripristino (art. 313). Qualora venga adottata questa ordinanza il Ministero non potrà più agire giudizialmente per il risarcimento del danno, salva la possibilità di intervento in qualità di persona offesa del reato nel giudizio penale.
AZIONI ESPERIBILI “La scelta legislativa di attribuire all’amministrazione statale, anziché alle diverse amministrazioni regionali, il potere di adottare l’ordinanza che ingiunge al responsabile del danno ambientale il risarcimento (artt. 312 e 313 Codice dell’ambiente) trova una ragionevole giustificazione nell’esigenza di assicurare che tale speciale potere amministrativo venga esercitato secondo criteri di uniformità e unitarietà” (CORTE COSTITUZIONALE, 23. 7. 2009 n. 235).
AZIONI ESPERIBILI • Ai privati e alle associazioni resta la possibilità di agire in via giudiziaria (civile o penale).
LEGITTIMATO PASSIVO L’inquinamento può essere addebitato ad un soggetto solo se alla sua qualità si associ un qualche elemento di responsabilità nella causazione dello stesso: il principio chi inquina paga significa anche è chiamato a rispondere solo l’effettivo responsabile dell’inquinamento, ovvero colui la cui azione o omissione è causale alla realizzazione del danno.
LEGITTIMATO PASSIVO “In caso di danno ambientale cagionato da attività illecita compiuta da una società, la legittimazione passiva rispetto all’azione di responsabilità ex art. 18 n. 349/1986 spetta sia alla società stessa, sia a chi la amministra, sia agli altri soggetti che abbiano eventualmente concorso nel fatto illecito” (Trib. Bologna, 9. 5. 2005).
LEGITTIMATO PASSIVO: IL CASO Il caso del proprietario incolpevole è trattato anche dai tribunali amministrativi in materia di bonifica dei siti inquinati. “Tanto la disciplina di cui al d. lgs 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal D. lgs 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg. ), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare al situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità […] L’enunciato è conforme al principio “chi inquina paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr art. 174, ex art. 130/R del Trattato Ce), la quale impone al soggetto che fa correre il rischio di inquinamento a sostenere i costi della prevenzione o della riparazione” (TAR Toscana, 4. 2. 2010 n. 2316).
LEGITTIMATO PASSIVO: IL CASO “È evidente che il proprietario del suolo – che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all’inquinamento – non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore” (Cd. S 30. 3. 2010). Se, tuttavia, anche il proprietario ha dato un contributo, anche solo omissivo, potrà essere chiamato a rispondere (lasciando, ad esempio che si estendano o peggiorino i danni derivanti da un inquinamento storico posto in essere da altri di cui è al corrente). In questo caso il Consiglio di Stato aveva accertato che: “da quando, nel 1994, la società Elfe scoprì, eseguendo lavori di scavo sui terreni per cui è causa, flussi di vernici e coloranti e rifiuti di varia natura, il livello di inquinamento è costantemente aumentato. Tale circostanza è di per sé sufficiente a ritenere dimostrato un rapporto di causalità tra il comportamento omissivo di Elfe (che, pur non potendo rispondere dell’inquinamento pregresso aveva però l’obbligo di attivarsi per impedire che lo stesso aumentasse) e l’aumento della contaminazione”.
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Ø Procedimento penale per getto pericoloso di cose (art. 674 c. p. ), danneggiamento aggravato (635 c. p. ), violazioni in materia di emissioni in atmosfera. Ø Contestazione: centrale elettrica di Porto Tolle che, in violazione della legge, era alimentata da oli combustibili a elevato tenore di zolfo, provocando emissioni dannose di gas, vapori e fumo contenenti macro e micro inquinanti prodotti dalla combustione sia di sostanze oleose, con il risultato che le polveri, i residui e le sostanze oleose hanno provocato molestie e imbrattato cose e persone situate nei territori situati nel raggio di alcuni chilometri dall’impianto. Le particelle potevano ricadere perfino a due chilometri di distanza – conseguenze dannose con riferimento alle autovetture, alle culture, ai materiali plastici.
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Ø Ricadute oleose: singoli episodi di ricaduta delle particelle Ø Emissioni ordinarie: fumi della centrale. § Danneggiamento ambiente circostante, flora, nel raggio di 25 km dalla centrale, ha riportato alterazione della biodiversità, e bioaccumulo di inquinanti § Danneggiamento a cose, mobili e immobili, appartenenti a privati cittadini e enti pubblici, imbrattate irrimediabilmente dalle ricadute oleose. v Relazione causa effetto tra le ricadute oleose e la caduta delle polveri, da un lato, e i danni lamentati dalle parti civili e dai cittadini, dall’altro, anche con riguardo all’esclusione della riferibilità dei danni a fonti diverse dalla centrale.
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Parti: - MATTM - Privati cittadini - WWF - Italia Nostra Onlus - Comitato Cittadini Liberi di Porto Torres - Regione Emilia Romagna …
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Primo grado: Ø danno non patrimoniale e danno ambientale in favore del MATTM Ø Danno non patrimoniale (e ambientale ex art. 18 L. 349/86) in favore degli enti territoriali Ø Danno morale e danno patrimoniale in favore dei privati Ø Danno in favore delle associazioni che operano a tutela dell’ambiente: per il loro impegno effettivo per la tutela della zona e la sensibilizzazione della popolazione e, in taluni casi, per la funzione di supplenza svolta nei confronti di alcuni enti territoriali.
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Ø Condanna anche del Responsabile Civile citato: società proprietaria degli impianti e capogruppo (direzione e coordinamento). Ø CT PM: diversità lichenica seriamente compromessa o quanto meno considerevolmente ridotta rispetto a zone omogenee non interessate dalla ricaduta delle sostanze. Ø Area ad alto pregio naturalistico, Parco Regionale Delta Po Emilia Romagna, comprendente due riserve naturali. Varietà floristica e faunistica, ambiente di particolare interesse.
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Ø Privati cittadini: • Coltivatore diretto • Colture presentavano macchie, si perforavano le foglie e si staccavano. • Stato di preoccupazione e allarme circa ai danni eventuali alla salute • Carrozzerie delle auto, davanzali delle finestre Ø Ministero dell’Ambiente: • Condanna generica al risarcimento del danno – da liquidarsi in separato giudizio.
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Ø Associazioni ambientaliste: • Titolare iure proprio di un diritto soggettivo a condizione che: • la tutela dell’ambiente costituisca il suo essenziale fine statutario • che sia radicata sul territorio • che rappresenti un gruppo significativo di consociati • prova della continuità e della rilevanza del contributo alla difesa dell’ambiente. • Il danno, diverso da quello all’ambiente come bene pubblico, può avere natura patrimoniale e non patrimoniale, derivante dal pregiudizio arrecato all’attività da esse concretamente svolta per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetti del fatto lesivo. • In particolare i pregiudizi sono correlati all’interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione. • Danno patrimoniale: costi di attività finalizzate a prevenire il pregiudizio ambientale o costi per esercitare l’attività di tutela. • Danno non patrimoniale: discredito derivante dalla frustrazione dei fini istituzionali.
Corte d’Appello di Venezia – Civile 2/4/2014 Secondo grado: Ø Alcuni enti e associazioni hanno revocato la costituzione di parte civile Ø Confermate le condanne ma revoca della provvisionale. Cassazione: • Annulla con rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla revoca della provvisionale • Prescrizione Ø Rinvio alla Corte d’Appello di Venezia in sede civile per le statuizioni sul risarcimento del danno.
- Slides: 64