I COMPITI E LE RESPONSABILITA DEL CONSULENTE TECNICO
I COMPITI E LE RESPONSABILITA’ DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NEL PROCESSO Reggio Emilia 8 maggio 2015
LA POSIZIONE DELLE CONSULENZA NELL’AMBITO DEL PROCESSO DI COGNIZIONE ORDINARIO – La consulenza tecnica interviene dopo la costituzione delle parti e l’avvio del contraddittorio nella seconda fase processuale detta «istruzione probatoria» . – Serve come le altre attività probatorie a rendere possibile la decisione. – Quest’ultima consiste in un giudizio che attiene al fatto e al diritto. – Occorre acquisire tutti gli strumenti e gli elementi necessari per compiere il giudizio. – La consulenza tecnica si pone nell’ambito del giudizio di fatto ovvero assegna contenuti quantitativi al giudizio derivante dall’applicazione della norma.
SOTTOFASI DELL’ISTRUZIONE – Trattazione: ha la particolare funzione di prima presa di conoscenza delle domande delle parti con l’impostazione dei relativi problemi, precisazioni, approfondimento dei temi, presupposti per acquisire prove o altri elementi di giudizio. – Istruzione probatoria: consiste nell’attività di acquisizione di prove o altri elementi di giudizio. E’ sottofase eventuale perché la causa potrebbe risultare già matura per la decisione. – Rimessione totale della causa alla fase decisoria: implica che le prove siano state assunte e che sia possibile formulare il giudizio di fatto. – La consulenza tecnica: – interviene prima della fase decisoria – è funzionale al giudizio di fatto e alla successiva fase decisoria nella quale la ricostruzione del fatto servirà all’individuazione delle norme sostanziali applicabili al caso, quindi a ricostruire la fattispecie giuridica.
GIUDICE ISTRUTTORE – Il processo di cognizione è imperniato sul giudice istruttore investito di tutta l’istruzione della causa. – Il giudice istruttore: – ammette e raccoglie le prove; – decide anche d’ufficio consulenza tecnica; – il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento: 175/1 c. p. c. ; – «Fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali» ; – determina i tempi della consulenza tecnica con prudenza e nell’interesse della ragionevole durata del processo. sull’ammissione di una
IL CONCETTO DI PROVA – Le prove sono gli strumenti processuali per mezzo dei quali il giudice forma il suo convincimento circa la verità o la non verità dei fatti affermati dall’una o dall’altra parte. – La formazione del convincimento del giudice, pur condizionato da alcune regole, ha funzione dimostrativa in tutto analoga a quella che opera nelle scienze storiche ed empiriche, in quanto si avvale dei medesimi criteri logico-razionali e quindi extragiuridici. – La consulenza introduce il metodo scientifico nel processo e mira ad espungere elementi soggettivi e valutativi nel ragionamento del giudice. – In realtà la prova è il giudizio finale sui fatti; gli strumenti o i possibili strumenti del giudizio sono i mezzi di prova. – La prova come giudizio va poi tenuta distinta dal risultato probatorio o prova raggiunta.
MODALITÀ D’INGRESSO DELLA PROVA NEL PROCESSO – Prima fondamentale costituende. distinzione: prove precostituite e prove – La consulenza tecnica è prova che si forma nel processo e non esiste prima del processo. Essa sottosta quindi alle regole legali previste per il controllo della sua formazione secondo le regole del giusto processo: art 111 C. – Alcune prove tra cui la consulenza tecnica possono formarsi fuori dal processo in senso stretto o comunque prima di esso. Si tratta delle cc. dd. prove precostituende; si effettuano prima dell’inizio del processo nel quale sono destinate ad operare, perciò fuori dallo stesso, ma con un’attività che è già giurisdizionale (come accade nei procedimenti di istruzione preventiva di cui agli art 692 e seguenti c. p. c); - assunzione di testimonianza a futura memoria; - accertamento tecnico e ispezione giudiziale: 696; - consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite: 696 bis - Nel nostro ordinamento questo tipo di prove è altresì previsto anche in materia di arbitrato (si tratta di attività compiute dagli arbitri prima del giudizio e che si concretano nell’acquisizione di prova testimoniale o anche tecnica e nella formazione di documenti che entrano a far parte del processo e del giudizio).
PROVE COSTITUENDE – Mezzi di prova che si formano soltanto nel processo; prima possono essere solo prospettate o preventivate. – La consulenza tecnica con la testimonianza è la principale prova che si forma nel processo e non prima. – La consulenza di parte preprocessuale ha il solo scopo di fornire elementi per indurre il giudice a valutare la necessità di un apporto tecnicoscientifico per la conoscenza e la corretta valutazione dei fatti e dei dati della causa. – L’istruzione in senso stretto concerne prevalentemente le prove costituende ed meramente eventuale. è
IL SUBPROCEDIMENTO PER DARE INGRESSO ALLA PROVA COSTITUENDA – Istanza di parte (necessaria solo per le prove che non possono essere ammesse d’ufficio dal giudice); – Provvedimento di ammissione: ammissibilità e rilevanza; – Assunzione della prova, in esecuzione dell’ordinanza di ammissione: si concreta in tutte quelle attività per mezzo delle quali si attua il programma probatorio che dà luogo ad un certo risultato probatorio, oggetto della valutazione del giudice al momento della decisione. giudizio di
TIPICITÀ DEI MEZZI DI PROVA – Ogni prova compresa la consulenza è prevista e regolata dalla legge. La prova non è attività libera ma un’attività che apporta conoscenza al processo in modo regolato. – Non è ammessa alcuna prova diversa da quella che la legge espressamente disciplina. – Non esistono regole di ammissibilità o di attribuzione di efficacia diverse da quelle del codice. – In questo senso anche le prove atipiche (ogni prova non prevista dalla legge) sono regolate direttamente o indirettamente dalla legge che ne stabilisce le forme di ammissione e validità (scritti di terzi, prove di altro giudizio, perizia in sede penale, consulenza tecnica assunta in altro processo purché vi sia il contraddittorio nel processo ricevente).
PRINCIPI FONDAMENTALI SULLA PROVA 1. Principio di disponibilità della prova: art 115 cpc – Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita – Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza
2. Principio di libera valutazione della prova – Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. – Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte delle parti dal rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni. In generale dal contegno delle parti nel processo. – Questa norma riguarda direttamente il ctu in quanto ausiliario del giudice. – La norma introduce la distinzione tra prove liberamente valutabili e prove legali che vincolano il giudizio del giudice.
PROVE DIRETTE E PROVE INDIRETTE – Le regole probatorie che valgono per il giudice debbono valere anche per il ctu il quale, quando opera nel processo, sottosta alla stessa logica argomentativa alla quale è vincolato il giudice. – A monte il ctu opera pur sempre con il metodo scientifico che non è però estraneo alla logica giudiziale. – Prove dirette: idonee a far conoscere immediatamente il fatto da provarsi (testimonianza, documento, confessione, esperimento tecnico, consulenza ecc. ). – Prova indiretta o per indizi: dalla prova di uno o più fatti e quindi dalla conoscenza di questi si può risalire attraverso un’operazione logica al fatto da provarsi. – L’operazione per cui da un fatto noto si risale logicamente ad un fatto ignoto si chiama presunzione semplice. Il fatto noto è l’indizio: non può essere a sua volta presunto, benché nessuna norma lo vieti. Tutto sta nel verificare la gravità dell’indizio in concreto. – Il fatto ignoto non deve essere l’unico riflesso possibile del fatto «noto» . Sufficiente la rilevante probabilità della dipendenza dell’uno dall’altro secondo criteri di regolarità causale.
PESO DELLA PROVA INDIZIARIA – Art. 2729 c. c. : – Attribuisce rilievo alle sole presunzioni « gravi precise concordanti» . – Esclude il loro impiego nei casi in cui non è ammessa la prova per testimoni. – L’indizio non è propriamente una prova ma un mezzo di elaborazione della prova raggiunta con altri mezzi. – La consulenza tecnica può fare ricorso al ragionamento indiziario purché colleghi tra loro dati tecnici acquisiti con il metodo scientifico, all’interno del quale dovrebbe valere il principio falsificazionista. – Di altri dati, ad esempio dichiarazioni di persone informate, si può tenere conto ma solo all’interno e rispetto al giudizio finale della consulenza, dovendosi dare atto dei criteri di credibilità valorizzati dal consulente che deve tenere conto dell’intrinseca aleatorietà della prova testimoniale.
DIVERSA EFFICACIA DELLA PROVA – – Si distingue tra prova piena e prova di verosimiglianza – Quest’ultima è sufficiente nei processi in cui per la decisione del giudice non si richiede la certezza ma la mera probabilità (es. procedimenti cautelari e procedimenti con sommaria istruzione preliminare). – La consulenza tecnica di parte propedeutica alla domanda di ammissione di una ctu può non essere volta alla prova certa ma alla verosimiglianza del fatto da provare. Si distingue ancora tra prova propriamente detta e argomento di prova. – L’argomento di prova processo ( 116/2 ). è desumibile dal contegno delle parti nel – Offre soltanto al giudice elementi di valutazione di altre prove. Ad esempio il giudice può ritenere provato un fatto che il consulente ritiene probabile e che sarebbe stato accertato con certezza o con più alto grado di probabilità, senza il comportamento ostruzionistico della parte controinteressata. – L’argomento non può costituire l’unico fondamento per il giudizio di fatto e ciò vale anche per il consulente. Né può concretizzare una presunzione in senso stretto. Va usato con prudente discrezione nel contesto.
RILEVANZA PER IL CONSULENTE AUSILIARIO DELLE PRINCIPALI REGOLE SULLA PROVA – Nello svolgimento della sua attività, il consulente deve essere consapevole che il suo lavoro servirà al giudice per il giudizio sul fatto e che il giudice deve attenersi ad alcuni fondamentali principi nel governare la prova e nello stabilire quale delle versioni dei fatti debba ritenersi provata. – Il consulente fornisce un ausilio al giudizio sul fatto; egli partecipa quindirettamente della fase decisoria. – E’ necessario perciò che il consulente conosca le fondamentali regole decisorie alle quali dovrà orientare i suoi rapporti con le parti nella fase di indagine posto che nel processo civile è previsto che il giudice debba chiedere alle parti chiarimenti e precisazioni. – Lo stesso dicasi per la gestione della fase conciliativa nella quale occorre indiscutibilmente, sia pure con prudenza e senza anticipare giudizi, tenere conto dello stato degli accertamenti e dei risultati progressivamente raggiunti. – Tali risultati vanno commisurati con la posizione delle parti nel processo ed in particolare con il principio dell’onere della prova.
PRINCIPIO DELL’ONERE DELLA PROVA Concerne la preventiva determinazione delle conseguenze dell’eventuale mancata prova delle circostanze di fatto allegate o affermate dalle parti. Come deve giudicare il giudice quando una o entrambe le part non sono riuscite a provare le circostanze di fatto che hanno rispettivamente allegato? – Il giudice deve sempre giudicare, sia che disponga e sia che non disponga di prove. – Non è consentito un giudizio allo stato degli atti; lo stesso vale per il consulente. – L’insufficienza della prova vale mancanza di prova. Altro è come si valuta empiricamente la prova. Grado del convincimento: elevato o più probabile che no. – In mancanza di prove soccombe la parte che sarebbe stata tenuta a provare le circostanze necessarie per il giudizio. Come si distribuisce l’onere della prova tra le parti? L’onere è di chi afferma l’esistenza di un diritto il quale deve provarne i fatti costitutivi (art 2697 c. c. ). Chi affronta l’alea del giudizio assume l’impegno di provare ciò che afferma, assumendo la responsabilità dell’insuccesso. L’altra parte può offrire la prova contraria; si trova in posizione di vantaggio poiché, in caso di parità, prevale. Il convenuto ha invece l’onere della prova dei fatti estintivi, modificativi, impeditivi. Il fallimento della prova sull’eccezione del convenuto dà la vittoria alla parte che abbia provato i fatti costitutivi.
NON CONTESTAZIONE E AMMISSIONE DEI FATTI RILEVANTI – Le presunzioni legali sono modi con cui i soggetti del rapporto, mediante il loro comportamento processuale, influiscono, limitatamente ai diritti disponibili, sulla distribuzione dell’onere della prova. – Art. 115 c. p. c. : il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. – Sia pure limitatamente alla sua indagine, deve dare atto dei fatti non contestati dalle parti. – Tale mancata contestazione e l’ammissione non hanno lo stesso effetto ma valgono per definire il contegno processuale e quindi come argomento di prova.
LA C. D. ACQUISIZIONE DELLA PROVA – E’ superamento dell’onere della prova. – Si sostanzia nella regola generale secondo cui, una volta che la prova sia entrata nel processo, il giudice può prescindere dal fatto che vi sia entrata per iniziativa della parte onerata oppure dell’altra parte o, quando possibile, per iniziativa del giudice. – E’ necessario però che i fatti oggetto di prova siano stati allegati dalla parte che fruisce della prova. – L’iniziativa probatoria del giudice costituisce un superamento della rigida applicazione della distribuzione dell’onere della prova. – Il giudice può ammettere d’ufficio la consulenza tecnica o la richiesta d’informazioni alla p. a. Ne segue che le informazioni richieste dal c. t. u. alla p. a. d’iniziativa o su autorizzazione del giudice entrano a tutti gli effetti nel processo come prova, senza necessità d’iniziativa delle parti. – L’iniziativa del ctu di concerto con il giudice nei limiti dell’ammissibilità della prova d’ufficio deve essere valorizzata dal consulente ai fini della conciliazione. Benché non abbia valore rispetto al processo, il consulente può assumere qualsiasi informazione utile ed avvalersene per prospettare alle parti possibili soluzioni anche in relazione alla maggiore solidità della posizione rispetto all’onere della prova.
FATTI NOTORI – Altro limite alla regola dell’onere della prova. della distribuzione – Sono i fatti che rientrano nella comune esperienza e che possono essere posti a fondamento della decisione senza bisogno di prova: 115/2 – Così come per il giudice, anche per il consulente i fatti notori non sono fatti accidentalmente conosciuti ma si tratta di fatti che sono noti alla generalità delle persone, alla quale appartiene anche il giudice. – Il consulente peraltro può considerare notorio ciò che tale è nella limitata comunità degli esperti e degli specialisti di una determinata materia. – Il notorio deve riferirsi sempre a fatti allegati dalle parti.
CONSULENZA TECNICA – Il legislatore considera la consulenza tecnica come appartenente all’istruzione probatoria ma non mezzo di prova. – La funzione della consulenza non consiste nel determinare il convincimento del giudice ma consiste nell’offrire al giudice l’ausilio di cognizione tecniche rispetto ad indagini di fatto, di processi, di fenomeni, di strutture impianti, tecniche produttive in genere, di nessi causali coperti da leggi tecnico-scientifiche tra determinati fatti e dati eventi. – Il consulente fornisce altresì la sua competenza tecnica al giudice che non la possiede per determinare il valore di prove già acquisite e per verificare la fondatezza dell’argomentazione presuntiva. – L’apporto del consulente si pone al di là della percezione e della conoscenza dei fatti e fornisce al giudice regole di esperienza organizzata, alla stregua delle quali il fatto assume un significato che la mera acquisizione empirica non potrebbe fornire.
IL CONSULENTE TECNICO COME AUSILIARIO DEL GIUDICE – Il consulente ausiliario: – – integra le cognizioni tecniche del giudice; sostituisce il giudice in attività di ispezione, rilievo, riproduzione esperimenti, con l’impiego di strumenti e metodologie tecnico- scientifiche. – Rispetto alla prova che offre dati di fatto, la consulenza si concreta in conclusioni a quesiti tecnici in cui i dati di fatto oggetto di prova sono i dati di un’equazione nella quale il consulente inserisce il raccordo del sapere tecnico-scientifico per ricostruire un fenomeno o risalire alle cause di un evento. – La consulenza tecnica va distinta dalla testimonianza tecnica. Quest’ultima consiste nella descrizione di un fatto per la cui percezione e ricostruzione storica si esigono specifiche conoscenze tecniche. – Problema del confine tra la testimonianza e l’apprezzamento tecnico: si ha testimonianza tecnica quando il dichiarante non può prescindere nella descrizione dei fatti da un linguaggio specializzato e quando la descrizione di un fatto implica una spiegazione di carattere tecnico rispetto allo sviluppo del fatto. – In questa prospettiva la consulenza diventa anche prova perché un fatto non si può considerare accertato e acquisito senza una descrizione di carattere tecnico.
IL CONTRIBUTO DEL CONSULENTE ALLA FASE DECISORIA – Il consulente concorre alla decisione del giudice perché il giudice nella fase decisoria deve tenere conto dei risultati dell’istruzione probatoria nella quale sono contenuti le conclusioni tecniche del consulente. – Il consulente: – integra l’attività del giudice nella raccolta del materiale su cui si fonderà il giudizio; – fornisce elementi per dell’attività istruttoria. orientare l’ulteriore svolgimento – La consulenza è essa stessa prova quando viene utilizzata per conoscere fatti la cui conoscenza può essere acquisita solo da chi possiede una determinata preparazione tecnica, purché si tratti di fatti debitamente allegati, esclusa ogni finalità esplorativa. – Distinzione tra consulente percipiente – Il consulente integra quindi l’attività decisoria in quanto offre elementi per valutare le risultanze di determinate prove e sia anche in quanto può offrire elementi diretti di giudizio. e consulente deducente.
AMPIEZZA DELL’AUSILIO ALLA FASE DECISORIA – Varietà del contributo del consulente; – Semplice criterio di interpretazione di una prova; – Integrale ambito di giudizio come ora risulta dall’art 696 bis: norma che prevede la possibilità di un accertamento tecnico preventivo con finalità conciliative rimesse al consulente e fuori dai casi tipici dell’a. t. p. in quanto lo stesso sarà anche il giudice della causa, in quanto la decisione in un senso o nell’altro del giudizio dipende soltanto dai risultati della consulenza e quindi ha tutti gli strumenti per indurre le parti alla conciliazione. – La responsabilità del giudizio è sempre del giudice il quale fa propri i suggerimenti del consulente così come può disattenderli o prescinderne, purché dia adeguata motivazione del suo giudizio. – Va peraltro censurata la tendenza di alcuni giudici: - di affidare al consulente compiti che sarebbero loro esclusivi (in particolare la componente giuridica del giudizio) - ad acquisire come provati fatti rilevati dal consulente ma non allegati dalle parti. – La consulenza non si fa in astratto ma con riferimento concreto alla situazione di fatto oggetto della causa.
L’ATTENDIBILITÀ TECNICOSCIENTIFICA DEL CONSULENTE – Le parti e il giudice devono valutare l’attendibilità scientifica dei criteri e dei metodi impiegati dal consulente per giungere alle sue conclusioni. – Vietati apprezzamenti soggettivi non corroborati da leggi scientifiche o da consolidate massima di esperienza in campo tecnico. – E’ richiesta una rigorosa selezione tra persone che diano garanzie di adeguatezza al compito loro affidato. – Il ruolo della deontologia. – Il ruolo del contraddittorio e l’obbligo del ctu di misurarsi con le argomentazioni dei consulenti di parte e di confutarle analiticamente sulla base di riconoscibili specifici argomenti tecnico-scientifici, evidenziando gli errori e i limiti delle ct di parte.
DECISIONE SULL’AMMISSIONE E FORMULAZIONE DEI QUESITI – Spetta al giudice: – valutare se e in che limiti gli occorra l’ausilio di un consulente; – indicare e delimitare il compito del consulente con la formulazione dei quesiti; – Trattandosi di attività integrativa di quella del giudice può essere ammessa anche d’ufficio oltre che su richiesta delle parti che possono suggerire il testo di eventuali quesiti anche mediante le cosiddette perizie stragiudiziali il cui solo scopo è richiamare l’attenzione del giudici sui profili tecnici della controversia la cui soluzione eventualmente demandare al consulente. – Deliberata l’ammissione, la scelta del consulente deve essere fatta: – tra esperti di «particolare competenza tecnica» e – «tra le persone iscritte in albi speciali» del tribunale. – Gli artt. 61 e ss. disciplinano la fase del conferimento dell’incarico e il ruolo del consulente come ausiliari. – Il consulente iscritto all’albo non può rifiutare l’incarico, salvo il diritto di astensione per giusti motivi e presta giuramento. – Contestualità della nomina e della formulazione dei quesiti. – La funzione acceleratoria dell’art. 195/3.
ATTIVITÀ DEL CONSULENTE – «il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce in udienza e in camera di consiglio i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli art. 194 e seguenti e degli art 441 e 463» . – «Il consulente assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; compie le indagini di cui all’art 62, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e ad eseguire piante, calchi e rilievi» . – Il consulente può assumere informazioni su fatti accessori che sono presupposti per lo svolgimento del suo compito ma NON su fatti costituenti fondamento di domande ed eccezioni, esterni ai quesiti, non potendosi sostituire alle parti nelle loro iniziative probatorie. I fatti secondari accertati possono costituire fonte di convincimento se non contestati alla prima difesa utile. – Senza autorizzazione non può esaminare documenti non prodotti.
PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO – Il «giusto processo» previsto dall’art 111 della C. deve essere attuato anche nelle attività del CTU. Il secondo comma dell’art 111 C. stabilisce che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale» . Per rispettare tale principio è necessario che le attività del consulente si svolgano in presenza delle parti o dei loro difensori e consulenti tecnici (uno per parte salvo pluralità di consulenti: art 201 c. p. c. ). – – I consulenti tecnici di parte: – sono equiparati sul piano dell’indagine tecnica agli avvocati, come il ctu svolge le mansioni di un giudice tecnico. – partecipano alle udienze e alle attività del consulente; devono perciò ricevere i relativi avvisi che possono essere anche dati a verbale; in tal modo valgono per l’assente che avrebbe potuto essere presente Il consulente non può svolgere attività di acquisizione di elementi utili al giudizio senza la presenza dei ct di parte.
IL GIUDIZIO DEL CONSULENTE – Quando il consulente si riserva di rispondere ai quesiti e opera autonomamente in assenza del giudice, come di regola, deve redigere relazione scritta: – nella relazione il consulente inserisce le osservazioni e le istanze di parte (art. 195); – la relazione deve essere preceduta dal contraddittorio con i consulenti di parte le cui osservazioni saranno oggetto di «sintetica valutazione» nella relazione ad opera del CTU. – Il consulente può partecipare alle udienze ed esprimere il suo parere anche in camera di consiglio ma sempre alla presenza delle parti, ovviamente prima della decisione alla quale non partecipa. – La relazione del consulente non è vincolante ma: – il giudice che disattende tale parere ha l’onere di darne adeguata motivazione; – se lo condivide, può esimersi dal motivare la sua adesione ma solo nel caso di assenza di contestazioni o critiche dell’una o dell’altra parte.
PROVA SCIENTIFICA – Ricorso a nozioni scientifiche come l’accertamento di fatti rilevanti. strumento – La consulenza tecnica strumento per l’acquisizione delle nozioni scientifiche necessarie per la decisione della causa. – L’esigenza di assicurare che in giudizio siano acquisite nozioni dotate di effettiva validità scientifica. – Esigenza di controlli accurati sulla validità dei procedimenti per test o esperimenti in funzione della maggiore o minore attendibilità del risultato. – Il problema della c. d. scienza spazzatura. – Rinnovato rilievo della consulenza per l’impiego sempre più frequente della c. d. prova scientifica. – Corrispondente delicato ruolo di controllo valutazione dell’attendibilità di tali prove. e per di
RESPONSABILITÀ DEL CONSULENTE
PLURIMI PROFILI DI RESPONSABILITÀ – Responsabilità civile – Responsabilità penale – Responsabilità disciplinare
RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE – Le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile delineano un complessivo sistema di responsabilità disciplinare per i consulenti iscritti nell’apposito albo tenuto dal tribunale. – La vigilanza sui consulenti tecnici è esercitata dal presidente del tribunale il quale, d’ufficio, su istanza del procuratore o del presidente dell’ordine professionale, può promuovere procedimento disciplinare contro i consulenti che: – non hanno tenuto condotta morale o – non hanno ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti. – Il comitato responsabile della tenuta dell’albo è competente per il giudizio disciplinare. – Le sanzioni disciplinari sono previste dall’articolo 20 – L’articolo 21 regola il procedimento disciplinare,
RESPONSABILITÀ PENALE – L’articolo 64 equipara espressamente il consulente tecnico ai periti ai fini delle norme penali che riguardano questi ultimi – Il secondo comma dell’articolo 64 stabilisce che «in ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda sino a € 10. 329 – La norma prosegue affermando che come effetto della condanna si applica la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte per un periodo che va da 15 giorni a due anni.
IL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO QUALE PUBBLICO UFFICIALE O INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO (ART 357, 358 C. P. ). EFFETTI SUI PROFILI DI RESPONSABILITÀ PENALE – Il ctu è equiparato al perito ai fini della riferibilità ad esso delle norme penali che riguardano il perito del giudice in sede penale. – Sono PUBBLICI UFFICIALI coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria amministrativa. – Il c. t. u. , concorrendo con il giudice a definire il caso e a dare contenuti alla sentenza, esercita sia pure indirettamente una funzione giudiziaria. Il ctu è incaricato di pubblico servizio in quanto svolge un’attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione, come si evince dalle norme che regolano l’assunzione dell’incarico, l’iscrizione nello speciale albo, la disciplina della sua attività sulla base di norme pubblicistiche: obbligo di assumere l’incarico, ricusabilità, giudizio sulla ricusazione, speciale obbligo di diligenza connessa alla stretta connessione con lo svolgimento della funzione giudiziaria il cui esito è in grado di condizionare e orientare.
PERSISTENZA DELLA QUALIFICA In una risalente ma tuttora condivisibile sentenza si ricorda che: - il termine assegnato al consulente tecnico dal giudice per il deposito della relazione ha carattere ordinatorio e non perentorio; - Pertanto, la scadenza di esso, senza che il consulente abbia provveduto al deposito, non importa l’automatica decadenza dall’incarico; - Quindi il consulente conserva la qualifica di pubblico ufficiale sino: - al deposito della relazione, - ovvero sino alla sua sostituzione.
PRIMA FONDAMENTALE CONSEGUENZA DELLA QUALIFICAZIONE PUBBLICISTICA: APPLICAZIONE DELLA FATTISPECIE SULLA CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI – L’art 319 ter c. p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni se i fatti di cui all’art 318 c. p. (corruzione per l’esercizio della funzione) e 319 c. p. (corruzione propria) sono compiuti per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo. – La corruzione presuppone corrotto e corruttore. – Nel caso in esame è necessario che l’accordo sia realizzato nella consapevolezza che l’atto o la funzione compravenduta dovranno favorire o danneggiare una delle parti processuali. sempre un accordo tra
CONDOTTE TIPICHE: CORRUZIONE PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE – Si riferisce al pubblico ufficiale (ctu) che per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri indebitamente riceve, per sé o per un terzo denaro o altra utilità o ne accetta la promessa. – Il reato si realizza pertanto quando il ctu-perito nominato nell’ambito di una controversia accetta denaro o altra utilità per sé o per un terzo ovvero si limita ad accettare la promessa non seguita da dazione o dall’adempimento successivo della promessa e indipendentemente da quest’ultima (ma il pagamento dopo la promessa ha una sua rilevanza) consapevole che dazione e promessa mirano a favorire o danneggiare una parte del processo. – Il reato si consuma per il solo fatto dell’accordo in tale contesto. Il successivo atto è del tutto irrilevante: se anche l’atto giudiziario, nella specie la consulenza, fosse intrinsecamente corretto e conforme alla legge e anche a scienza e coscienza del consulente, l’avere accettato la retribuzione sapendo che il dante causa mira ad avvantaggiare la parte nel processo, integra il reato. – Il reato sussiste persino quando la dazione avviene in prevenzione: ad esempio l’avvocato che eroga compensi ad una serie di professionisti che lavorano per il tribunale con l’intesa che il professionista dovrà favorirli al momento opportuno.
CORRUZIONE PROPRIA OVVERO PER UN ATTO CONTRARIO AI DOVERI D’UFFICIO: ART 319 – Riguarda ritardare ufficio, contrario denaro od il pubblico ufficiale-ctu che, per omettere o o per aver omesso o ritardato un atto del suo ovvero per compiere o per avere compiuto un atto ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, altra utilità, o ne accetta la promessa. – Le fattispecie che la norma prefigura sono molteplici. Si parla a questo proposito di corruzione antecedente e di corruzione susseguente. – La specificità della previsione consiste nel compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio. – Nel caso della CTU o perizia, la redazione di una consulenza o perizia consapevolmente false e la formulazione di valutazioni contrarie alla realtà ovvero alle più accreditate opinioni tecnico-scientifiche per favorire o danneggiare una parte del processo. – Anche in questo caso, accordo o concretarsi in una effettiva dazione di denaro o altra utilità ovvero semplice promessa. – I beneficiari della tangente personalmente che un terzo. possono essere sia il corrotto
REATI CONTRO LA P. A. ASTRATTAMENTE CONFIGURABILI PER CONDOTTE DEL C. T. U – La qualificazione giuridica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico spettante al ctu fa sì che lo stesso possa essere chiamato a rispondere – ove se ne siano realizzati gli elementi materiali e soggettivi che li integrano - dei reati contro la p. a. , salvo per quelle condotte che configurano fattispecie di reato speciali in danno dell’amministrazione della giustizia. – Conviene perciò trattare preliminarmente questi ultimi e verificare quali dei reati del p. u. contro la p. a. siano configurabili, se ed in quanto le contestate non rientrino nelle fattispecie tipiche previste per il perito-ctu nel capitolo dei reati contro l’attività giudiziaria. – In tali reati il ctu non è solo autore del reato ma anche soggetto passivo.
ALTRI DELITTI CONTRO L’ATTIVITÀ GIUDIZIARIA NEI QUALI PUÒ ESSERE COINVOLTO IL CTU Viene anzitutto in rilievo il DELITTO DI INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA, art. 377 c. p. : chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete per indurlo a commettere i reati previsti dagli articoli 371 bis, 371 terre, 372 e 373. – La fattispecie presuppone che l’offerta o la promessa non sia accettata. – Il CTU in questo caso è il destinatario dell’offerta e quindi è il soggetto passivo del reato ma in quanto pubblico ufficiale è obbligato alla denuncia di reato ai sensi dell’articolo 361 c. p. , fattispecie che viene integrata tutte le volte in cui il pubblico ufficiale omette o ritarda di denunciare un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni.
IL REATO DI INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA – Si tratta della vecchia fattispecie di subornazione. – Mira a tutelare la genuinità processuale di quanti sono chiamati a riferire sui fatti di causa avanti all’autorità giudiziaria. – La sola promessa di qualsivoglia utilità anche non patrimonialmente apprezzabile per indurre il perito-CTU a commettere falsa perizia (art. 373) rischia di condizionare, attraverso l’offerta o la promessa finalizzata alla falsità giudiziale, l’esito del giudizio. – Trattandosi di reato di pericolo, è irrilevante che l’offerta o la promessa vengano accettate. Ove fossero accettate, si ritornerebbe al reato di corruzione, – La condotta deve mirare a far rendere al CTU una dichiarazione difforme da quanto a sua conoscenza. – È necessario che l’offerta sia susseguente al conferimento dell’incarico ma è sufficiente che il CTU sia già stato designato per l’udienza in cui l’incarico verrà conferito.
IL REATO DI FALSA PERIZIA – Fattispecie tipica che sanziona il perito-consulente infedele: «Il perito… che, nominato dall’autorità giudiziaria, da parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell’articolo precedente. La condanna importa, oltre l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione dalla professione o dall’arte» . – Bene giuridico protetto: – – – È l’interesse della collettività al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria; – deve però considerarsi quantomeno danneggiato del reato anche colui la cui sfera giuridica sia lesa in via diretta ed immediata, potendo la falsa perizia o consulenza arrecare offesa al patrimonio oltre che alla libertà e all’onore del privato. Il reato di falsa perizia: – è ipotizzabile nei confronti del CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO nominato nel corso di un procedimento di istruzione preventiva quale l’accertamento tecnico preventivo; – non è ipotizzabile con riferimento all’attività dei consulenti di cui possono avvalersi tanto il difensore quanto il pubblico ministero. La falsità può consistente nel: – dare pareri mendaci: il falso è qui integrato dalla divergenza tra il convincimento reale e quello manifestato dal perito nell’elaborato prodotto in giudizio, – affermare fatti non conformi al vero. – È necessario distinguere rigorosamente l’errore o anche la cattiva qualità della prestazione professionale con la dolosa alterazione del vero. – Non integra il reato la sola insostenibilità scientifica della consulenza.
IL REATO DI FRODE PROCESSUALE: ART. 374 C. P. – Il perito-consulente è soggetto passivo leso dal reato ma responsabile della mancata denuncia dolosa del fatto perpetrato nei suoi confronti e volto ancora una volta a ledere l’interesse della collettività al corretto funzionamento della giustizia. – «chiunque nel corso di un procedimento civile… al fine di trarre in inganno il perito nella esecuzione di una perizia, muta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito…» – La frode processuale è reato di pericolo concreto e sussiste anche quando il destinatario della frode si accorge dell’inganno. – La giurisprudenza ha ritenuto corretta la configurazione del reato de quo in un caso in cui era stato immutato artificiosamente lo stato dei luoghi di uno stabile in costruzione prima dell’espletamento dell’accertamento tecnico disposto dal presidente del tribunale ex art. 696 c, p, c. – Nel caso in cui l’autore abbia tratto in inganno e indotto in errore il consulente inducendolo a redigere una falsa consulenza come effetto dell’inganno si verterà di nuovo nella più grave fattispecie di falsa perizia di cui risponderà l’autore dell’inganno rispetto al quale il consulente assume la posizione di autore mediato.
IL REATO DI CONSULENZA INFEDELE – È una fattispecie che si rivolge al consulente tecnico di parte. – «Il consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa ed assistita dinanzi all’autorità giudiziaria…» – Presupposto del reato: pendenza di un procedimento nel quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato. – Occorre la verificazione di un nocumento agli interessi della parte quale conseguenza della violazione dei doveri professionali: – – È irrilevante il consenso prestato dalla parte quando l’attività del consulente si traduca nel consigliare al cliente un comportamento contrario alla legge. Prevale l’esigenza di oggettivo corretto adempimento dei doveri professionali. – Il nocumento può consistere anche nel mancato conseguimento dei benefici di ordine anche solo morale che alla parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio. In giurisprudenza si afferma che il consulente tecnico è tenuto a rispettare nella situazione processuale concreta quell’insieme di norme tecniche, legali ed etiche, generalmente riconosciute, che costituiscono la deontologia professionale. Il risultato del procedimento può essere pregiudicato o ritardato dalla infedeltà di tali doveri e di conseguenza può recarsi nocumento agli interessi della parte integrandosi così il reato.
ALTRE INFEDELTÀ DEL CONSULENTE TECNICO ART. 381: – comma 1: «il consulente tecnico che, in un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio con la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito…» . - Parti contrarie: quelle che versano in una situazione processuale anche soltanto formalmente antagonistiche, indipendentemente dalle dissimulate finalità che esse intendono eventualmente raggiungere per collusione o per altri occulti accordi. - comma 2: «La pena il consulente, dopo una parte, assume, stesso procedimento, – è della reclusione fino a un anno… se aver difeso, assistito rappresentato senza il consenso di questa, nello … la consulenza della parte avversa» . Parti avversarie: che versano in uno stato di contrapposizione reale.
IL REATO DI RIFIUTO DI UFFICI LEGALMENTE DOVUTI: ART 366 C. P. – Il rilievo pubblicistico delle funzioni svolte dal consulente tecnico nel processo trova puntuale riscontro nella previsione dell’articolo 366 c. p. : «chiunque nominato dall’autorità giudiziaria perito… ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito…» – «Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all’autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime» . – E sanzionato quindi ogni comportamento di fraudolente elusione dell’obbligo di prestare l’ufficio conferito o di rifiuto del compimento degli atti preparatori all’assunzione dell’ufficio, – Il bene tutelato: corretto adempimento di funzioni giudiziarie da parte di chi è chiamato a svolgere funzioni giudiziarie ausiliari. – Si discute se la fattispecie riguardi solo comportamenti prodromici o anche le condotte successive all’assunzione dell’incarico. – Il rifiuto può desumersi dal comportamento tenuto quando esso si manifesti attraverso un fatto positivo univoco e concludente. – In giurisprudenza si afferma che il consulente tecnico d’ufficio che dopo aver accettato l’incarico e percepito all’uopo una determinata somma di denaro ometta di depositare la relazione di consulenza nel termine concesso, così come in epoca successiva, senza giustificare il mancato adempimento dell’incarico, integra il reato di omissione d’atti d’ufficio e non anche la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 366 c. p. che impone di considerare sanzionati i soli comportamenti prodromici all’assunzione di funzioni pro tempore demandate dall’autorità giudiziaria e non anche quelli attinenti alla fase di esecuzione dell’incarico.
IL CONSULENTE TECNICO PERSONA OFFESA DEI REATI DI VIOLENZA E RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE A parte i casi tipici in cui un controinteressato abbia esercitato violenza o minaccia nei confronti di un consulente per impedirgli di compiere o per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, è interessante notare come il reato di resistenza nei confronti del consulente può attuarsi anche mediante violenza sulle cose secondo la nozione che viene data dal reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ogniqualvolta la cosa sulla quale doveva essere esercitata l’indagine del consulente sia stata danneggiata o trasformata o ne sia mutata la destinazione.
CASISTICA GIURISPRUDENZIALE DI ALTRI CASI DI RESPONSABILITÀ PENALE DEL CONSULENTE NELL’ESERCIZIO DELLE SUE FUNZIONI
IN MATERIA DI OMISSIONE D’ATTI D’UFFICIO – L’indifferibilità dell’atto deve essere accertata in base all’esigenza di garantire lo scopo cui l’atto è preordinato. In assenza di termini di legge espliciti o nella previsione di termini meramente ordinatori, non esclude il dovere di compiere l’atto in un ristretto margine temporale quando ciò sia necessario per evitare un sostanziale aumento del rischio per gli interessi tutelati (fattispecie di omesso deposito della relazione malgrado sollecitazioni dall’affidamento dell’incarico). per oltre quattro anni – Persistente inerzia omissiva del pubblico ufficiale che si risolva in un rifiuto implicito. – L’omesso deposito della relazione da parte del consulente tecnico d’ufficio configura il reato di omissione d’atti d’ufficio e non quello di rifiuto di uffici legalmente dovuti.
IN MATERIA DI FALSE DICHIARAZIONI O ATTESTAZIONI IN ATTI DESTINATI ALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA: ART 374 BIS – Soggetti attivi del reato possono essere anche periti e consulenti tecnici qualora, nelle relazioni vengano attestate e dichiarate condizioni o qualità personali diverse o inesistenti. – Nella parte in cui la consulenza tecnica di parte dichiari o attesti dati, qualità o condizioni, essa ha natura certificativa o attestativa; pertanto, ove riporti in modo difforme dal vero detti dati, qualità e condizioni, ricade nella previsione della norma incriminatrice di cui all’art. 374 bis c. p. – Per la parte invece nella quale la consulenza tecnica di parte svolge valutazioni e forma pareri o giudizi, detta consulenza non rientra nella previsione della norma incriminatrice perché non può essere compresa nel novero dei certificati o degli atti.
IN MATERIA DI ABUSIVO ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE In una sentenza del 2000 si legge che: è configurabile il reato di esercizio abusivo di una professione anche nell’ipotesi in cui l’atto posto in essere da parte del soggetto non iscritto all’apposito albo consista nell’espletamento di consulenza tecnica per l’autorità giudiziaria, non rilevando la circostanza che le norme regolanti la nomina di consulenti periti abbiano carattere ordinatorio e che l’autorità giudiziaria possa nominare persone munite di particolare competenza, in determinate materie, indipendentemente dall’iscrizione nell’apposito albo, atteso che, in ogni caso, la scelta non è assolutamente discrezionale e che un’indicazione eccentrica rispetto al normale accesso agli albi esige adeguata motivazione la cui mancanza rende impugnabile la nomina.
IN MATERIA DI DIFFAMAZIONE – Il consulente tecnico d’ufficio è responsabile per il contenuto delle affermazioni inserite nella relazione scritta o comunque per le dichiarazioni effettuate in relazione all’incarico commessogli quando tali affermazioni abbiano carattere diffamatorio. – La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’esimente prevista dall’articolo 598 c. p. che prevede la non punibilità delle offese contenute negli scritti presentati dinanzi all’autorità giudiziaria quando le offese concernono l’oggetto della causa, non si applica al consulente tecnico di parte nel giudizio civile, in quanto lo stesso non è equiparabile né alle parti né ai loro patrocinatori, ai quali espressamente ed esclusivamente si riferisce la citata disposizione. – Lo stesso deve dirsi per il consulente tecnico d’ufficio il quale nella relazione deve comunque adoperare un linguaggio che non suoni diffamatorio per le parti, i loro difensori e consulenti.
- Slides: 52