Grandi cose ha fatto il Signore per noi
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Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia. Sal 125, 3
"Viviamo nella gioia perché con Cristo faremo cose grandi" (Sette gradi del silenzio interiore)
Gesù Cristo non ha mai presentato il dolore come un problema a se stante, ma sempre unito al suo superamento, cioè alla Risurrezione. Parlare continuamente di dolore senza costantemente abbinare il concetto della gioia e della resurrezione, del superamento quindi del dolore stesso, della vittoria della vita sulla morte e dei frutti gioiosi che sono inscindibilmente uniti all’albero della Croce, è uno sbaglio.
Gesù ha detto: “La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa". Ma la gioia di Gesù è una gioia infinita, non è una gioia limitata come la nostra. E Gesù vuole che noi siamo infinitamente gioiosi al suo servizio. Perché? Ma perché lavoriamo con il Padre e abbiamo una famiglia. Abbiamo allora argomenti per essere tristi? Se molti si affaticano tanto per una famiglia della terra, che cosa dobbiamo dire noi che ci affatichiamo già direttamente per una famiglia del cielo? Ci dà la gioia infinita, come la sua, e ci dice subito con tranquillità: Sii sempre nella gioia, senza timore.
Quella parola "sempre" che significati ha? Sempre vuol dire continuamente; sempre vuol dire anche quando uno non si può più muovere; sempre vuol dire anche quando uno è infermo, quando uno fa un'iniziativa che è un fiasco e invece era partito con tanta buona volontà; sempre vuol dire quando uno non riesce in quello che voleva, ma ha visto le intenzioni il Padre ed allora nulla rimane senza frutto. Ed allora sempre nella gioia, costruttori con Dio, fare cose grandi con Dio, salvare le anime, operosi nella gioia che nessuno ci potrà mai rapire.
Ma allora, entrate alla sequela di Cristo per essere dei morti anzitempo oppure per essere delle anime infinitamente gioiose? Più gioiose di quelle che sono nel mondo, proprio in vista dell'operosità che avranno, dei frutti della propria vita, proprio in vista di quello che potranno fare. Ma c'è qualcuno che possa essere invidiato da noi, che noi lo possiamo invidiare? Guardiamo con serietà. C'è qualcuno più grande di Dio? Dio ci ha chiamato al suo servizio, ci chiama amici, ci invita a camminare con lui, ci fa lavorare e ci fa già assaporare la gioia anche nella sofferenza. Quindi, se noi esaminiamo la nostra vocazione, dobbiamo esaminarla con estrema riconoscenza.
Per la via della fede che è “fonte di luce”, il Papa indica ai sofferenti il traguardo della gioia nella sofferenza: “ Già solamente il vostro generoso ‘sì’ alla volontà di Dio, che spesso esula dalla nostra comprensione naturale, vi può rendere felici e vi dona, già ora, una gioia interna che non può essere distrutta da nessuna difficoltà esteriore ” (4 novembre 1981). La gioia nel dolore è unita, infatti, prima di tutto, alla nuova prospettiva che in Cristo esso ha acquistato.
Da entità negativa e distruttrice il dolore in Cristo acquista possibilità costruttive di conquista. Gioia quindi per il mezzo che è stato posto dalla Misericordia di Dio a disposizione dell’uomo. Gioia per le possibilità dischiuse alle visuali soprannaturali di ogni creatura. Gioia per la Vita che si conquista e che si dona. Gioia per le possibilità sociali e missionarie che il dolore dischiude.
"Tutto è compiuto" (Gv 19, 30). Ho finito, ho fatto tutto. È la sesta parola. È un grido di gioia o un grido di sofferenza? Per me suona di liberazione, suona gioia, soddisfazione. La volontà del Padre è stata fatta. Tutto si è realizzato.
Atteggiamento di associati che al momento dell'immolazione del proprio io, del sacrificio e della prova si lamentano, protestano e dicono di non essere valorizzati, di non essere compresi e, magari, tornano indietro. Vedi se veramente hai abbracciato la croce oppure se eri un sognatore. Camminiamo nella fede, camminiamo nella speranza e camminiamo nella gioia. Quel "è compiuto" non capite che parte da un cuore che è contento? Tutto è stato realizzato, avanti, venite!
Come si può dire di fare la Volontà di Dio se non la si fa con gioia?
Siamo alla vigilia dell'8 dicembre, giorno in cui rinnoveremo il nostro "SI" e allora le direttive dateci dal Padre dell'Associazione sono quanto mai opportune. Con tali parole, vorrei attirare la vostra attenzione in modo particolare su quanto Egli dice nella sua lettera: « La vita di un "Silenzioso Operaio della Croce" deve essere una proclamazione "vissuta" interiormente ed esternamente del proprio ideale» , che è silenziosità interiore con l'adesione totale alla volontà di Dio; silenziosità esterna vivendo il proprio ideale che è crocifissione del proprio "IO" e adesione all'apostolato con semplicità, prontezza, esattezza, gioia, amore senza alcuna manifestazione di scontento, di scontrosità, di mormorazione, ma, sempre disponibili per correre ovunque l'apostolato ci chiama e ci vuole. Sorella Elvira – Presentazione Idee fondamentali
Dio non vuole il male; non ci ha creati per il dolore; Dio ci ha creati per l’azione e la felicità: nessuna situazione, per dolorosa ed affliggente che sia, possono essere a te precluse. E così con la pazienza, fino a che la grazia, forza dello Spirito Santo, abbia trionfato.
Gaudete in Domino Paolo VI Noi vi invitiamo a implorare dallo Spirito santo il dono della gioia
Il bisogno di gioia nel cuore di tutti gli uomini. Affacciandosi al mondo, non prova l'uomo, col desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità? Ma come non vedere pure che la gioia è sempre imperfetta, fragile, minacciata? Per uno strano paradosso, la coscienza stessa di ciò che costituirebbe, al di là di tutti i piaceri transitori, la vera felicità, include anche la certezza che non esiste felicità perfetta. L'esperienza della finitudine, che ogni generazione ricomincia per proprio conto, obbliga a costatare e a scandagliare lo iato immenso che sempre sussiste tra la realtà e il desiderio di infinito.
La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d'altronde. È spirituale. Il denaro, le comodità, l'igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Ciò giunge talvolta fino all'angoscia e alla disperazione, che l'apparente spensieratezza, la frenesia di felicità presente e i paradisi artificiali non riescono a far scomparire.
Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia. È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto.
Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell'esistenza e della vita; gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il Regno di Dio.
Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. La grande gioia annunciata dall'Angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il popolo, per quello d'Israele che attendeva un Salvatore, come per il popolo innumerevole di tutti coloro che, nella successione dei tempi, ne accoglieranno il messaggio e si sforzeranno di viverlo. Per prima, la Vergine Maria ne aveva ricevuto l'annunzio e il suo Magnificat era già l'inno di esultanza di tutti gli umili. I misteri gaudiosi ci rimettono così, ogni volta che noi recitiamo il Rosario, dinanzi all'avvenimento che è centro e culmine della storia: la venuta sulla terra dell'Emanuele, Dio con noi.
Nella sua umanità, Gesù ha fatto l'esperienza delle nostre gioie. Egli ha conosciuto, apprezzato, esaltato tutta una gamma di gioie umane, di quelle gioie semplici e quotidiane, alla portata di tutti. La profondità della sua vita interiore non ha attenuato il realismo del suo sguardo, né la sua sensibilità. Egli ammira gli uccelli del cielo e i gigli dei campi, esalta volentieri la gioia del seminatore e del mietitore, quella dell'uomo che scopre un tesoro nascosto… Queste gioie umane hanno tale consistenza per Gesù da essere per lui i segni delle gioie spirituali del Regno di Dio.
E’ importante cogliere bene il segreto della gioia inscrutabile che dimora in Gesù, e che gli è propria. Se Gesù irradia una tale pace, una tale sicurezza, una tale allegrezza, una tale disponibilità, è a causa dell'amore ineffabile di cui egli sa di essere amato dal Padre. Ed ecco che i discepoli, e tutti coloro che credono nel Cristo, sono chiamati a partecipare a questa gioia. Gesù vuole che essi abbiano in se stessi la pienezza della sua gioia: «E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore col quale mi hai amato sia in essi e io in loro» .
Dall’esperienza di Cristo, ne deriva che, quaggiù, la gioia del Regno non può scaturire che dalla celebrazione congiunta della morte e della risurrezione del Signore. È il paradosso della condizione cristiana, che illumina singolarmente quello della condizione umana: né la prova né la sofferenza sono eliminate da questo mondo, ma esse acquistano un significato nuovo nella certezza di partecipare alla redenzione operata dal Signore. Per questo il cristiano, sottoposto alle difficoltà dell'esistenza comune, non è tuttavia ridotto a cercare la sua strada come a tastoni, né a vedere nella morte la fine delle proprie speranze.
Lo Spirito Paraclito è donato alla Chiesa come principio inesauribile della sua gioia di sposa del Cristo glorificato. E il cristiano sa che questo Spirito non sarà mai spento nel corso della storia. La sorgente di speranza manifestata nella Pentecoste non si esaurirà. Questa, Fratelli e Figli amatissimi, è la gioiosa speranza, attinta alle sorgenti stesse della Parola di Dio. Dopo venti secoli, questa sorgente di gioia non ha cessato di zampillare nella Chiesa, e specialmente nel cuore dei santi.
Al primo posto ecco la Vergine Maria, piena di grazia, la Madre del Salvatore. Non che l'apparente corso della vita di Maria esca dalla trama ordinaria: ma lei riflette sui più piccoli segni di Dio, meditandoli nel suo cuore. Non che le sofferenze le siano state risparmiate: lei sta in piedi accanto alla croce, associata al sacrificio del Servo innocente, Lei che è madre dei dolori. Ma lei è anche aperta senza alcun limite alla gioia della Risurrezione. Prima creatura redenta, dimora incomparabile dello Spirito, Maria è al tempo stesso la Figlia prediletta di Dio e, nel Cristo, la Madre universale. Essa è il tipo perfetto della Chiesa terrena e glorificata che la invoca: Madre della nostra gioia.
La gioia ampia e profonda, che fin da quaggiù si diffonde nel cuore dei veri fedeli, non può che apparire «diffusiva di sé» , proprio come la vita e l'amore, di cui essa è un sintomo felice. In nessun modo potrebbe indurre colui che la gusta ad una qualche attitudine di ripiegamento su di sé. Essa dà al cuore un'apertura cattolica sul mondo degli uomini, mentre gli fa sentire, come una ferita, la nostalgia dei beni eterni.
I motivi fondamentali della gioia sono semplici: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; mediante il suo Spirito, la sua Presenza non cessa di avvolgerci con la sua tenerezza e di penetrarci con la sua Vita; e noi camminiamo verso la beata trasfigurazione della nostra esistenza nel solco della risurrezione di Gesù. Sì, sarebbe molto strano se questa Buona Novella, che suscita l'alleluia della Chiesa, non ci desse un aspetto di salvati.
Senza allontanarsi da una visione realistica, le comunità cristiane diventino luoghi di ottimismo, dove tutti i componenti s'impegnano risolutamente a discernere l'aspetto positivo delle persone e degli avvenimenti. L'educazione a un tale sguardo non è solamente compito della psicologia. Essa è anche un frutto dello Spirito Santo. Questo Spirito, che abita in pienezza nella persona di Gesù, lo ha reso, durante la sua vita terrena, così attento alle gioie della vita quotidiana, così delicato e così persuasivo per rimettere i peccatori sul cammino di una nuova giovinezza di cuore e di spirito! È questo medesimo Spirito che dona ancor oggi a tanti cristiani la gioia di vivere ogni giorno la loro vocazione particolare nella pace e nella speranza, che sorpassano le delusioni e le sofferenze.
È lo Spirito di Pentecoste che porta oggi moltissimi discepoli di Cristo sulle vie della preghiera, nell'allegrezza di una lode filiale, e verso il servizio umile e gioioso dei diseredati e degli emarginati dalla società. Poiché la gioia non può dissociarsi dalla partecipazione. In Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono.
Sì, la gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora, e l'anima è nella gioia. Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù. È questa, purtroppo, la proposta delle culture che pongono la felicità individuale al posto di Dio, mentalità che trova un suo effetto emblematico nella ricerca del piacere ad ogni costo, nel diffondersi dell'uso di droghe come fuga, come rifugio in paradisi artificiali, che si rivelano poi del tutto illusori. Benedetto XVI – angelus 3° dom avvento 2007
La felicità è il radicarsi nell’Amore. La felicità originaria ci parla del “principio” dell’uomo, che è sorto dall’Amore e ha dato inizio all’amore. E ciò è avvenuto in modo irrevocabile, nonostante il successivo peccato e la morte. Giovanni paolo II – angelus 80
La conquista del successo, la bramosia del prestigio e la ricerca delle comodità, quando assorbono totalmente la vita sino ad escludere Dio dal proprio orizzonte, conducono veramente alla felicità?
Ci può essere felicità autentica a prescindere da Dio?
L’esperienza dimostra che non si è felici perché si soddisfano le attese e le esigenze materiali. In realtà, la sola gioia che colma il cuore umano è quella che viene da Dio: abbiamo infatti bisogno della gioia infinita. Né le preoccupazioni quotidiane, né le difficoltà della vita riescono a spegnere la gioia che nasce dall’amicizia con Dio.
L’invito di Gesù a prendere la propria croce e a seguirlo in un primo momento può apparire duro e contrario a quanto noi vogliamo, mortificante per il nostro desiderio di realizzazione personale. Ma guardando più da vicino possiamo scoprire che non è così: la testimonianza dei santi dimostra che nella Croce di Cristo, nell’amore che si dona, rinunciando al possesso di se stesso, si trova quella profonda serenità che è sorgente di generosa dedizione ai fratelli, specialmente ai poveri e ai bisognosi. E questo dona gioia anche a noi stessi.
Il cammino quaresimale di conversione, che oggi intraprendiamo con tutta la Chiesa, diventa pertanto l’occasione propizia, “il momento favorevole” per rinnovare il nostro abbandono filiale nelle mani di Dio e per mettere in pratica quanto Gesù continua a ripeterci: “Se qualcuno vuole venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”, e così si inoltri sulla strada dell’amore e della vera felicità. Benedetto XVI – Ceneri 2008
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