Giovanni Boccaccio Nel 1350 Boccaccio Certaldo 1313 1375
Giovanni Boccaccio Nel 1350 Boccaccio (Certaldo 1313 -1375) viene invitato dal re di Cipro e Gerusalemme, Ugo IV di Sanseverino, a comporre un’opera che trattasse della “genealogia degli dei pagani e degli eroi che discendono da essi, secondo le finzioni degli antichi, e, con essa, ciò che un tempo gli uomini illustri avevano conosciuto sotto la copertura delle favole”, (Genealogia deorum gentilium, Proemio, 1, 1360). Genealogia deorum gentilium: 15 libri.
Giovanni Boccaccio Nel 14° libro: difende la poesia, definisce la “fabula” e dichiara il proposito di fornire ai poeti una ricca fonte sulla mitologia antica. “La poesia, dagli ignoranti e dai negligenti lasciata e rifiutata, è invero un certo fervore di trovare pensieri eletti, e poi di dire o scrivere quello che è stato trovato. Il quale fervore, derivando dal seno d’Iddio, a poche menti (come penso) nella creazione è conceduto; laonde, perché è mirabile, sempre poeti furono rarissimi”. (Genealogia deorum gentilium, 1472)
Giovanni Boccaccio “Non c’è così delirante vecchietta, attorno al focherello di casa, a veglia insieme con altri, nelle notti invernali, che inventi e racconti favole di orchi, di fate o di streghe o simili (di cui molto spesso son piene quelle favole), senza sentire, sotto l’ornamento dei racconti–e secondo le forze del suo modesto intelletto–un significato, talvolta per nulla da riderne, per il quale voglia o incutere paura ai bambini, o divertire le fanciulle, o svagare i vecchi, o almeno mostrare il potere della Fortuna”. (Genealogia deorum gentilium, 1472)
Giovanni Boccaccio scrive in latino la Genealogia e distingue “fabula” da “favola”. FABULA: come storia, narrazione (ad esempio quando si narra la storia di un personaggio: “sulla sua nascita racconta Teodonzio la seguente fabula”. (Genealogia, 1, 3) “La favola è una locuzione esemplificativa ovvero dimostrativa sotto finzione; e rimossane la corteccia [amoto cortice], si vede manifesta la intenzione del favoleggiante [patet intentio fabulantis]”. (Genealogia 14, 9)
Giovanni Boccaccio-fabula Boccaccio FABULA: distingue poi 4 specie di 1. Quando alla corteccia (cortex) della “fabula” manca una verità, “come sarebbe quando facciamo che gli animali bruti o le cose insensibili tra loro parlino”. (Genealogia 14, 9). (per es. Esopo, “uomo greco per antichità e anco gravità venerabile” (ibid. ); 2. Quando la fabula “talora mescola nella superficie il vero con l’immaginario [veritati fabulosa conmiscet]”(per es. quando le figlie di Mineo per aver disprezzato i sacrifici di Bacco, sono state trasformate in pipistrelli. )
Giovanni Boccaccio-fabula 3. Quando è più simile alle storie che alle favole [Species vero tercia potius hystorie quam fabule similis est ] e hanno un fine morale da insegnare agli uomini; 4. Quando la fabula non ha niente di “verità in sé né in apparenza [in superficie] né in nascosto [in abscondito]”, poiché è una “invenzione di pazze Vecchierelle [cum sit delirantium vetularum inventio]. Tutte e 4 le specie hanno una loro utilità, anche la quarta perché consola anche chi è insano di mente.
Giovanni Boccaccio-fabula Boccaccio usa il termine favola anche in un altro senso, come il lavoro stesso del poeta che è quello di comporre favole, o fabulas. Giocando sul significato del verbo favellare che deriva dal latino fabella, diminutivo di fabula, Boccaccio si sente uno dei fabulosos, cioè uno degli scrittori di favole.
Giovanni Boccaccio-fabula Ma che direm noi a coloro che della mia fame hanno tanta compassione che mi consigliano che io procuri del pane? Certo io non so, se non che, volendo meco pensare quale sarebbe la loro risposta se io per bisogno loro ne dimandassi, m’aviso che direbbono: “Va cercane tralle favole”. E già più ne trovarono tralle loro favole i poeti, che molti ricchi tra’ loro tesori, e assai già, dietro alle loro favole andando, fecero la loro età fiorire, dove in contrario molti nel cercar d’aver più pane, che bisogno non era loro, perirono acerbi. (Decameron IV, Introduzione)
Nascita delle Fiabe d’arte 1550 -1553 Gianfranco Straparola, Le piacevoli notti postumo, 1635 Giambattista Basile, Lo Cunto de li Cunti
Novelle italiane Tutte le novelle italiane sono attinte dalla tradizione popolare in modo diretto, o mediato da una letteratura precedente, e ciò appare più o meno evidente in funzione dell'interesse dell'autore ad esplicitarlo. Mentre Boccaccio trasforma il materiale orale in scritto rendendolo indistinguibile da quello di origine letteraria, Straparola ne conserva i connotati specifici, come la metastoricità, i legami logici poco profondi, le iterazioni, l'onomastica parlante (Biancabella, Porcarollo. . . ), i modi linguistici e stilistici, il senso «naturale» della crudeltà, uno scarso interesse per la distinzione tra realtà e magia.
Giovan Francesco Straparola Le fiabe fino al XV secolo circolano in bocca dei protonarratori, i viaggiatori e i contadini. Il primo a scrivere fiabe è Giovan Francesco Straparola da Caravaggio nato intorno al 1480 e morto a Venezia nel 1557. 1550 primo volume de Le piacevoli notti 1553 secondo volume de Le piacevoli notti
Giovan Francesco Straparola Le piacevoli notti nascono per “Un pubblico, soprattutto di area veneta, ormai sazio degli sclerotizzanti schemi narrativi della tradizione realistica di derivazione toscana e in ricerca di qualcosa di nuovo, anche se ciò coincide con la prepotente intrusione nell'aura della letteratura di moduli fiabeschi, di temi e soprattutto di forme e strutture narrative che avevano sempre corso in modo sotterraneo e parallelo alla cultura dominante e ufficiale”(Donato Pirovano in Novellieri italiani, 2000)
Giovan Francesco Straparola Le piacevoli notti, è da considerarsi un best seller dell’epoca per l'alto numero tra ristampe e nuove edizioni, in totale ventotto, quasi tutte stampate a Venezia, anche se la maggior parte avvenute dopo la morte dell'autore e colpevoli di pesanti rifacimenti del testo originale.
Giovan Francesco Straparola La cornice narrativa colloca gli eventi durante gli ultimi giorni di carnevale dell'anno del sacco di Roma o della morìa, quindi verso il 1536, quando Ottaviano Maria Sforza, la figlia Lucrezia Gonzaga e un corteo di dame, gentiluomini più o meno illustri e damigelle d'incerta definizione sociale, hanno trovato riparo in un palazzo sfitto nell'isola di Murano.
Giovan Francesco Straparola Qui, per trascorrere il tempo e celebrare in modo conveniente il carnevale, Lucrezia propone che ogni sera prima si danzi, e che poi cinque damigelle scelte dalla sorte cantino e raccontino una fiaba che si concluda con un enigma che la compagnia dovrà risolvere. Si compone così una raccolta di tredici giornate, ciascuna comprendente cinque fiabe, eccetto l'ultima sera che ne conta ben tredici per un totale di settantatré.
Giovan Francesco Straparola Le piacevoli notti si presentano come un elenco di storie, assai più omogeneo del Decamerone in quanto l’elemento magico è qui sostanzialmente onnipresente. La cornice narrativa è una lunga novella, suddivisa in capitoli che corrispondono alle notti, all’interno dei quali trovano spazio un numero omogeneo di fiabe.
Giovan Francesco Straparola La struttura, è ripetitiva: al titolo NOTTE PRIMA/SECONDA/TERZA ecc. fanno seguito un proemio e cinque fiabe, ciascuna costituita da un breve riassunto del contenuto, un proverbio o un motto che l’ha ispirata, la vicenda vera e propria, e un indovinello in conclusione, cui corrisponde la spiegazione della risposta corretta da parte di un altro commensale, e così via fino alla conclusione della notte.
Giovan Francesco Straparola Lettura di BIANCABELLA, da Le piacevoli notti, notte terza, favola terza di Giovan Francesco Straparola.
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