Emily Dickinson Una vita particolare Emily Elizabeth Dickinson
Emily Dickinson
Una vita particolare Emily Elizabeth Dickinson nasce ad Amherst, Massachusetts, nel 1830, in una famiglia importante ma non ricchissima. Suo padre, Edward Dickinson, è un avvocato molto rispettato, e i suoi progenitori sono arrivati con la “Great Migration” puritana. Il nonno paterno di Emily, Samuel Dickinson, è stato il fondatore dell’Amherst College. L’educazione di Emily (c 0 me quella di Margaret Fuller) è piuttosto inusuale, per un ragazza del tempo. Il padre (molto più affettuoso di quello di Fuller) segue attentamente la figlia e la spinge a studiare i classici. Molto più freddo è il rapporto con la madre, che si chiama anche lei Emily, come appare dal loro epistolario. Fin dall’adolescenza Dickinson è angosciata dalla “deepening menace” della morte, soprattutto delle persone a lei care. La morte della cugina e grande amica Sophia Holland è per lei un trauma molto grave. Nel 1845, si diffonde ad Amherst un revival religioso di carattere neo-puritano, e per qualche anno Dickinson ne è affascinata. Un’altra amiciza importante è quella di Benjamin Franklin Newtonche la introduce alla lettura di William Wordsworth e soprattutto di Ralph Waldo Emerson. Le loro influenze sono evidenti nella sua poesia, assieme a quelle della Bibbia e di Shakespeare, così come della letteratura popolare (soprattutto femminile) del periodo. Intorno al 1855 Emily si assume la responsabilità dell’assistenza della madre, costretta a letto da una serie di malattie: la giovane accentua la sua tendenza all’isolamento. In questi anni rivede le poesiue scritte in precedenza e le raccoglie, tra il 1858 e il 1865, in 40 fascicoli, che verranno scoperti solo dopo la morte della poetessa.
L’amicizia con Higginson Nel 1862, Thomas Wentworth Higginson, critico letterario e attivita nel movimento per l’abolizione della schiavitù, scrive per l’The Atlantic Monthly un saggio, “Letter to a Young Contributor”, in cui suggerisce agli aspiranti scrittori di “charge your style with life”. Dickinson ne è colpita e invia a Higginson una lettera e quattro poesie. Higginson loda il suo stile ma consiglia di rinviare la pubblicazione finché la scrittrice non avrà prodotto un numero congruo di poesie. Inizia una corrispondenza in cui Dickinson si diverte a creare una sua personalità audace a misteriosa (anticipando in qualche modo gli avatar virtuali dei social networks contemporanei).
La fase finale A partire dal 1860 Dickinson si rinchiude sempre più nel suo splendido isolamento, interrotto solo per curare il suo giardino (in vita, sarà più famosa come esperta di orticultura che non come poetessa). Dopo qualche anno di frenetica attività, Dickinson inizia a ridurre progressivamente la sua produzione poetica, e cessa di raccogliere le sue poesie. Muore nel 1865. Solo una dozzina di sue poesie sono state pubblicate mentre Dickinson era in vita. La sorella minore Lavinia scopre i manoscritti di circa 1800 poesie, e la prima raccolta (incompleta) di poesie di Dickinson viene a pubblicata quattro anni dalla morte. Solo nel 1955, a cura di Thomas H. Johnson, verranno pubblicati i Complete Poems.
Uno stile unico Dickinson usa uno stile assolutamento idiosincratico, immediatamente riconoscibile (siamo alla metà dell’Ottocento…) per l’uso sistematico della maiuscole di alcune parole e soprattuto dei trattini, che segnalano interruzioni e deviazioni del pensiero e del discorso. Dickinson evita il classico metro inglese del pentametro, e opta piuttosto per trimetri e tetrametri, più incisivi. La forma preferita è quella della ballata, con quartine che alternano tetrametri e trimetri. Quando usa la rima, segue lo schema ABCB (rimano solo il secondo e il quarto verso). Dickinson usa spesso anche la slant rhyme (rima imperfetta, o assonanza, in cui rimano solo le vocali e non le consonanti dell’ultima sillaba).
“My Life Had Stood” La vita della poetessa viene rappresentata con l’immagine tipicamente maschile del fucile carico. Il rapporto con il “Master/Owner” sembra riproporre il rapporto di dipendenza della donna rispetto all’uomo, ma il testo esalta il potere del “fucile” (l’io poetico femminile), attraverso immagini di carattere latentemente sessuale (e maschile). Nella strofa finale, la misteriosa affermazione secondo cui il fucile non può essere toccato dalla morte, potendola soltanto dare, ma è il padrone che deve vivere più a lungo, perché non si ha il potere di vivere se non si ha quello di morire, in realtà rivendica, riecheggiando lo Shakespeare dei sonetti, il potere di sopravvivere, attraverso la poesia, alla propria morte (e a quella dei propri “padroni”).
“I gave myself to him” Il testo descrive un mutuo contratto d’amore, usando il linguaggio tipicamente maschile dell’economia. La condizione della donna viene rappresentata in termini di dipendenza e svalutazione, e denuncia, nell’ultima strofa, l’asimmetria tra l’uguaglianza “notturna” del rapporto privato d’amore e l’“insolvenza” della vita diurna, quando la “mutualità” della relazione (quella stessa mutualità che per la Hester Prynne alla fine di The Scarlet Letter è l’obiettivo che le donne devono raggiungere) diventa “Insolvent”.
“They shut me up in Prose” L’immagine della bambina rinchiusa nello sgabuzzino perché solo così diventa “tranquilla” illustra le procedure repressive della cultura patriarcale nei confronti delle donne. Ma questa reclusione diventa spazio protetto di libertà e autodeterminazione. La donna anzi è paragonata a un uccello impossibile da rinchiudere, che guarda dall’alto una “captivity” che non può fermarne il volo. Nel primo verso non è chiaro se il tempo sia al passato o al presente, visto che “shut” è verbo irregolare con i due tempi uguali. In questo modo, si crea un’ambiguità che permette alla poetessa di manifestare sia l’oppressione presente delle donne, sia il fatto che lei, come altre donne, è stata capace di liberarsene.
“I’m ‘wife’” Il tranquillizzante (“safer”, v. 4) stato di “moglie” diventa un’eclissi, come se un velo, molto simile a una prigione, facesse diventare lontana e irraggiungibile la libera fantasia di una ragazza, la cui vita spensierata sembra ora qualcosa di strano, di curioso. La seconda immagine, quella della vita che appare altrettanto strana a coloro che sono ormai dall’altra parte, rafforza questa sensazione di stranezza/estraneità, come se diventare “moglie”, ma anche rassegnarsi a entrare nella routine quotidiana, fosse un po’ morire. Nell’ultimo verso, il lapidario “Stop there!” elimina eventuali ulteriori possibilità di liberarsi da quella “soffice eclissi”, tanto piacevole quanto limitante, ma manifesta anche un’ironica denuncia del potere censorio della cultura maschile, ovviamente aggirata da una poesia così duramente polemica con l’istituzione del matrimonio.
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