Elementi di didattica speciale per alunni con autismo
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Elementi di didattica speciale per alunni con autismo Prof. ssa Paola Aiello
OBIETTIVO DELLA LEZIONE: Acquisizione delle conoscenze di base per l’identificazione di strategie e metodologie didattiche in grado di supportare il processo di insegnamento-apprendimento in presenza di studenti che presentano disturbi dello spettro autistico. Università degli Studi di Salerno
Autismo Disturbo pervasivo dello sviluppo che incide su tre dimensioni fondamentali della persona: - l’interazione sociale - la comunicazione - il repertorio comportamentale Cottini, Rosati, 2008 Università degli Studi di Salerno
Cenni storici Il termine autismo fu utilizzato per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra Eugen Bleuler per indicare uno dei sintomi più comuni della schizofrenia nell’adulto. Una delle caratteristiche riscontrabili nei soggetti schizofrenici era infatti un’alterazione della relazione reciproca tra mondo interno e mondo esterno, per cui la vita interiore assumeva una preponderanza patologica definita autismo: “Chiamiamo autismo il distacco dalla realtà e la predominanza della vita interiore” (Bleuler, 1911, p. 29). Università degli Studi di Salerno
Nel 1943 lo psichiatra americano Leo Kanner (1943) Cenni storici descrisse per la prima volta la sindrome autistica, distinguendola dalla generica categoria del ritardo mentale in cui era inquadrata prima di allora. Il medico, infatti, espose i casi di undici bambini, di età compresa tra i due e i dieci anni che, già dal primo anno di vita, mostravano i segni di un comportamento atipico: alterazione dei rapporti interpersonali, indifferenza all’ambiente circostante e tendenza all’isolamento, tendenza a mantenere invariate le abitudini quotidiane, comportamenti ripetitivi, stereotipie, anormalità nel linguaggio ed ecolalia. Hollander et al. , 2011 Università degli Studi di Salerno
Cenni storici Parallelamente agli studi di Kanner, anche se in maniera del tutto indipendente da quest’ultimo, un altro pioniere dell’autismo, Hans Asperger, nel 1944 pubblicava i suoi studi su alcuni casi di soggetti che riteneva avessero fin dalla nascita disturbi caratteristici. Negli anni successivi alle descrizioni fornite da Kanner e Asperger, molti altri studiosi tentarono di indagare le cause della sindrome. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche Lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim, ad esempio, ipotizzò che una delle cause principali del disturbo autistico era da attribuire alla freddezza emotiva delle madri. Lo studioso parlò infatti di «madri-frigorifero» , indicando l’incapacità di alcune donne di stabilire una relazione efficace con il proprio bambino (Bettelheim, 1967). Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche La psicanalista britannica Frances Tustin avanzò l’ipotesi che i fenomeni di “depressione post-partum” non fossero tipici solo delle madri, ma che potessero verificarsi anche nei bambini; questi ultimi, secondo la studiosa, tentano di difendersi dalla sensazione di aver perduto, con il distacco dalla madre, una parte vitale del proprio corpo. Questa sensazione primitiva genererebbe i sintomi tipici dell’autismo. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche Nel 1964 il neurologo statunitense Bernard Rimland, rovesciò la teoria convenzionale della “madrefrigorifero” affermando che alla base del disturbo sembrava esserci un problema di natura biochimica nella formazione reticolare del tronco cerebrale, per cui classificò l’autismo come deviazione genetica inibente. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche Negli anni ’ 70 lo psicologo statunitense Carl H. Delacato, oltre ad abbracciare l’ipotesi di natura genetica del problema, si rese conto che gli atteggiamenti dei bambini autistici erano identici a quelli manifestati da soggetti che presentavano lesioni cerebrali. Ciò presupponeva dunque che i bambini autistici non dovevano essere considerati degli psicotici, ma soggetti che, a causa di danni cerebrali, presentavano gravi problemi sensoriali. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche A partire dalla metà degli anni ’ 80, Alan Leslie, Simon Baron-Cohen e Uta Frith ipotizzarono che all’origine dell’autismo ci sia l’assenza di una teoria della mente, vale a dire della capacità di orientarsi nel mondo interpersonale attraverso la spontanea attribuzione al comportamento degli altri di stati mentali, intenzionali, punti di vista. Cecità mentale Goussot, 2012 Incapacità dei soggetti autistici di mentalizzare, ovvero di attribuire agli altri degli stati mentali Università degli Studi di Salerno
Ipotesi L’ipotesi eziologiche ne derivò fu quella che il bambino autistico si trova come in una sorta di «agnosia» degli stati intenzionali, almeno di quelli complessi, che toglierebbe al soggetto autistico la capacità di orientarsi nell’universo delle relazioni sociali e di acquisire quelle abilità che consentono di interagire con gli altri, mediante la capacità di immaginare cosa gli altri pensino, desiderino e provino a livello emotivo. La mente del bambino autistico sarebbe capace di comprendere l’azione dell’altro solo nel suo senso manifesto, ma raramente in quello implicito e sotteso (Frith, 2009). Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche Il dibattito sull’eziologia dell’autismo è ancora oggi molto acceso. Attualmente sembrano dominare le ipotesi eziologiche di tipo neurobiologico. Le neuroscienze, con la scoperta dei neuroni specchio, hanno ipotizzato infatti che vi sarebbe una disfunzione di questi ultimi alla base dei disturbi dello spettro autistico. Autismo come disturbo della consonanza intenzionale, dovuto ad un malfunzionamento dei meccanismi di rispecchiamento sostenuti dalla simulazione incarnata (Gallese 2003; 2006) Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche Alcuni studiosi hanno inoltre proposto la tesi di un iperfunzionamento percettivo nei soggetti autistici, per cui questi ultimi non presenterebbero nessun deficit di immagazzinamento semantico ma un iperdiscriminazione visiva e uditiva (Mottron, 2006). Ciò spiegherebbe il motivo per cui molti autistici mostrano picchi di abilità sia sul piano cognitivo che in alcune aree della memoria. Goussot, 2012 Università degli Studi di Salerno
Classificazione nosografica dell’autismo Il DSM, nella sua più recente edizione (DSM 5) definisce i criteri diagnostici della condizione autistica in termini di diade sintomatologica, ovvero quando sono presenti le seguenti manifestazioni cliniche: “Persistent deficits in social communication and social interaction across multiple contexts, as manifested by the following, currently or by history […. ] -Restricted, repetitive patterns of behavior, interests, or activities, as manifested by at least two of the following, currently or by history (examples are illustrative, not exhaustive; see text) […. ]” DSM-5, APA 2013 Università degli Studi di Salerno
Classificazione nosografica dell’autismo DSM IV (1994) DSM 5 (2013) Disturbi pervasivi dello sviluppo in cui rientrano il Disturbo Autistico, il disturbo di Asperger , il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo NAS, la Sindrome di Rett, il Disturbo disintegrativo dell’infanzia. Disturbi dello spettro autistico che comprendono il Disturbo Autistico, il Disturbo di Asperger, il il Disturbo disintegrativo dell'infanzia e il Disturbo pervasivo dello sviluppo NAS. DSM-5, APA 2013 Università degli Studi di Salerno
Classificazione nosografica dell’autismo DSM IV DSM 5 Approccio categoriale Approccio dimensionale Triade sintomatologica: 1. Deficit nell’interazione sociale 2. Deficit nella comunicazione 3. Deficit dell’immaginazione con interessi ristretti e stereotipati Diade sintomatologica: 1. Deficit socio-comunicativo (componente sociale) 2: Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi (componente non sociale) DSM-5, APA 2013 Università degli Studi di Salerno
LA DIADE SINTOMATOLOGICA DELL’AUTISMO DEFICIT NELLA COMUNICAZIONE SOCIALE DEFICIT D’IMMAGINAZIONE Le difficoltà nell’area della comunicazione e dell’interazione sociale, che nel DSM IV erano considerate separatamente, nel DSM V sono state accorpate in quanto riflettono un unico deficit. Università degli Studi di Salerno
Autismo Continuum di condizioni Disturbi dello spettro autistico I diversi tipi di Autismo presentano confini troppo sfumati che non consentono di definire un numero preciso di quadri clinici chiaramente distinti. Per tale ragione, nel DSM 5 non sono più indicati dei precisi «sottotipi» come avveniva nelle classificazioni diagnostiche precedenti. Cottini, Vivanti 2013 Università degli Studi di Salerno
Deficit comunicativo Cottini & Vivanti, 2013 Deficit sociale PRINCIPALI MANIFESTAZIONI CLINICHE Deficit di «immaginazione» Ansia Altre manifestazioni Anomalie sensoriali Deficit delle esecutive funzioni Anomalie dell’attenzione Università degli Studi di Salerno
Deficit comunicativo Problemi nella produzione linguistica Difficoltà con la pragmatica della comunicazione ovvero nell’uso del linguaggio nel contesto di un’interazione sociale. Anomalie del linguaggio : ü Inversione Pronominale ü Ecolalia (ripetizione letterale di frasi sentite da altri) ü Uso idiosincratico di parole e frasi Articolazione atipica del linguaggio Mancata varianza del registro: il volume della voce non viene variato per dare intonazioni e significati particolari alle frasi. Mancato uso della gestualità Cottini, Vivanti 2013 Università degli Studi di Salerno
Deficit comunicativo Problemi nella comprensione linguistica Mancata comprensione del linguaggio Interpretazione letterale del linguaggio Mancata comprensione della gestualità Cottini, Vivanti 2013 Università degli Studi di Salerno
Deficit. Autismo e abilità sociale sociali Deficit sociale Ø Difficoltà nel riconoscimento delle interazioni sociali Mancanza di reciprocità sociale Ø Difficoltà nell’interpretazione di tali interazioni Ø Risposte inadeguate Ø Mancata motivazione a rispondere Cottini, Vivanti Università degli Studi di Salerno
Deficit sociale Anomalie nell’orientamen to e nell’attenzione verso gli altri DEFICIT SOCIALE Anomalie nella capacità di leggere il comportamento degli altri Cottini, Vivanti, 2013 «Comportamento visivo» anomalo Mancanza di comportamenti «pro-sociali» Problemi nel fare attenzione agli altri Difficoltà nel capire cosa fanno gli altri Università degli Studi di Salerno
Deficit di Immaginazione In che cosa consiste? Rigidità: resistenza al cambiamento Ripetitività: ristretto numero di interessi Cottini, Vivanti 2013 Università degli Studi di Salerno
Deficit di Immaginazione Cottini, Vivanti 2013 Come si manifesta? Abitudini rigide Linguaggio spontaneo monotematico Comportamenti motori stereotipati (ad es. sbattere le braccia ritmicamente, agitare le dita davanti agli occhi muovere ritmicamente il busto avanti e indietro) Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni Ansia e regolazione emotiva Anomalie nelle manifestazioni delle emozioni Difficoltà nel riconoscere le emozioni degli altri Difficoltà ad adattare il comportamento alle circostanze Cottini, Vivanti 2013 Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni Anomalie sensoriali Le conseguenze di questo deficit di percezione possono andare in due direzioni, generando comportamenti volti a: • Difendersi da sensazioni sensoriali • Ricercare determinate sensazioni sensoriali Cottini, Vivanti 2013 Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni Deficit delle funzioni esecutive Difficoltà nella pianificazione del proprio comportamento Difficoltà nell’organizzazione del comportamento Difficoltà nel modificare il proprio comportamento in base alle circostanze Difficoltà nell’inibizione di risposte «prepotenti» Cottini, Vivanti Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni Anomalie dell’attenzione Tempi di attenzione brevi Difficoltà nello spostare l’attenzione da uno stimolo ad un altro Preferenza verso i dettagli Carenza nell’uso sociale dell’attenzione Cottini, Vivanti Università degli Studi di Salerno
Orientamenti educativi Gli approcci e i metodi attualmente più utilizzati in ambito educativo con soggetti che presentano disturbi dello spettro autistico sono quelli di tipo cognitivocomportamentale (Goussot, 2013). Di seguito, proponiamo tre strategie didattiche il cui obiettivo è favorire l’acquisizione delle competenze sociali nei soggetti autistici: Responsive Teaching Digital Storytelling Video Modeling Università degli Studi di Salerno
Orientamenti educativi I bisogni educativi di un bambino con autismo nella sfera sociale sono numerosi: Ø Apprendere le regole elementari per la partecipazione agli scambi sociali e alle attività basate sulla collaborazione Ø Sviluppare la capacità di interpretare il comportamento sociale degli altri Ø Apprendere le abilità relative alla tempistica delle interazioni sociali Ø Sviluppare abilità di problem solving Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: il Responsive Teaching Il Responsive Teaching (Insegnamento Responsivo) è un intervento educativo precoce centrato sulla relazione che agisce sui bisogni evolutivi e socio-emozionali del bambino (Mahoney & Mac. Donald, 2007). Questo tipo di intervento prevede l’utilizzo di strategie che consentono agli educatori di interagire in maniera più “responsiva” con i bambini (Mahoney & Perales, 2005). Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching L’Insegnamento Responsivo è volto a promuovere tre aspetti del funzionamento evolutivo: • aspetto cognitivo, relativo alla capacità dei bambini di pensare, ragionare, risolvere problemi e apprendere nuove informazioni; • aspetto comunicativo, relativo alla capacità dei bambini di trasmettere i loro sentimenti e le loro intenzioni, di trasmettere i sentimenti e le intenzioni altrui attraverso il linguaggio verbale e simbolico; • aspetto sociale-emozionale, relativo alla capacità dei bambini di impegnarsi in interazioni evolutive con genitori, adulti e altri bambini (Responsive Teaching National Outreach Project, 2006). Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching Il RT è incentrato sulla relazione Si propone di mostrare agli educatori come essere reattivi (cioè in sintonia, attenti) affermando e incoraggiando i comportamenti naturali e l'interesse di ogni bambino, motivandolo a mettere in atto compiti di sviluppo. Non è dunque l'adulto che avvia l'attività comportamentale, ma il bambino. Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching comprende sessantasei strategie didattiche e sedici comportamenti cardine. Si tratta di brevi e semplici strategie, suggerimenti che gli educatori possono utilizzare per monitorare e modificare il modo in cui interagiscono con i propri allievi in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Queste strategie includono cinque dimensioni interattive: reciprocità; contingenza; controllo condiviso; affetto; adattamento. Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching Reciprocità Contingenz a Controllo Affetto Adattament o • coinvolgere il bambino nelle diverse routine • capacità del genitore di cogliere in maniera sensibile i segnali del bambino e di rispondervi costantemente e tempestivamente in maniera intenzionale • capacità del genitore di strutturare l’ambiente e l’attenzione del bambino offrendo delle facilitazioni • esprime il livello di coinvolgimento emotivo, la capacità di provare piacere, mostrare accettazione e calore verso il proprio bambino • capacità del genitore di associare il proprio interesse, stile interattivo e richiesta adeguata al livello evolutivo mostrato dal bambino Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching I sedici comportamenti cardine sono: gioco sociale, iniziativa, Area esplorazione, pratica e problem cognitiva Area comunicativ a Area socioemozionale solving attività aggiuntiva, attenzione, vocalizzazione, comunicazione intenzionale e conversazione fiducia, empatia, operazione, autodisciplina, autocontrollo e autostima Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: il Digital Storytelling Social skills o ism t u A St Dig or it yte al llin g L’utilizzo del Digital Storytelling promuove i processi di insegnamento-apprendimento delle abilità sociali e comunicative che risultano carenti nei soggetti autistici Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling L’utilizzo della narrazione digitale si configura come metodologia didattica efficace e flessibile per la creazione di storie che supportino l’insegnamento delle abilità sociali, innalzando i livelli di motivazione, attenzione e rinforzo. (Chen & Mc. Grath, 2003; Delano & Snell, 2006). Università degli Studi di Salerno
I soggetti autistici: Ø Presentano modalità comunicative differenti Ø Prediligono un ambiente stabile e non amano le sorprese Ø Hanno bisogno di sapere cosa stanno facendo e perché, altrimenti perdono interesse Ø Non amano gli stimoli emotivi poiché non li comprendono Ø Generalmente preferiscono le immagini al testo Ø Lavorano meglio in ambienti strutturati Ø La ripetizione delle attività ne favorisce l’apprendimento Ø Necessitano di pause Ø Amano utilizzare il computer Chatzara et al. , 2012 Università degli Studi di Salerno
I vantaggi del È uno strumento prevedibile, controllabile e stabile computer in relazione alle caratteristiche dei Non ha comportamenti emotivi che spesso soggetti autistici: disturbano i soggetti autistici Consente l’espressione verbale e non verbale Crea meno ansia e timore nel momento della correzione di un errore Favorisce la ripetizione di un’attività e il rinforzo dell’apprendimento pregresso È semplice usarlo una volta apprese le conoscenze di base I programmi possono essere personalizzati e adattati alle esigenze individuali Chatzara et al. , 2012 Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling Attraverso l’uso di uno strumento come il computer, dunque, il Digital Storytelling consente di acquisire e sviluppare abilità e conoscenze in maniera strutturata I diversi mezzi di comunicazione usati nel DS (scrittura, voce, immagine, suono) favoriscono nuove modalità di presentazione che promuovono l’interazione sociale e la comunicazione Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling La narrativa Il nostro modo più naturale di organizzare l’esperienza e la conoscenza Bruner, 1996 Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling : definizione Il digital storytelling è una nuova forma comunicativa e rappresenta un dispositivo che traduce e trasforma i racconti, li mette in scena e in movimento attraverso parole, immagini e suoni. Ohler, 2013 Università degli Studi di Salerno
Il CONCETTO DI DISPOSITIVO I dispositivi didattici non sono rappresentati esclusivamente da strumentazioni tecnologiche ma anche da apparati culturali, concettuali e normativi: una strategia d’azione, l’organizzazione dello spazio e del tempo e le modalità con cui si intende far interagire gli attori presenti nel sistema. (Bonaiuti et alii. , 2007) Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling: funzione La costruzione e la fruizione di storie digitali consente di evidenziare «elementi di conoscenza» complessi, favorendo apprendimenti significativi e contestualizzati. Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling 1. CONNESSIONE - Le storie consentono di connettere le proprie esperienze a quelle altrui e di collegare le esperienze presenti con quelle passate. 2. COMMUNICAZIONE – Le storie consentono di comunicare il proprio punto di vista e la propria percezione. 3. COLLABORAZIONE - Le storie hanno una funzione collaborativa, in quanto consentono di collegare le storie dei singoli personaggi, le loro azioni e i loro punti di vista e di trasmettere la cultura Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling ALCUNE Storie personali TIPOLOGIE DI DIGITAL STORIES Storie che trasmettono informazioni e che «istruiscono» Storie sociali per descrivere una situazione particolare, una persona, un’abilità, un evento o un concetto in termini di guide rilevanti o di risposte sociali adeguate. Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling Secondo il Center of Digital Storytelling le storie digitali devono contenere 7 elementi fondamentali: 1) Punto di vista 2) Sviluppo tematico 3) Contenuto emotivo 4) Voce narrante 5) Colonna sonora 6) Brevità 7) Ritmo http: //www. storycenter. org Università degli Studi di Salerno
IL RUOLO DEL DOCENTE Guidare il processo Accertarsi che il discente non focalizzi la sua attenzione sul media, ma sulla storia Assicurarsi che gli obiettivi educativi siano conseguibili attraverso il racconto Università degli Studi di Salerno
DOVE E CON QUALI STRUMENTI? Classe o laboratorio LIM COMPUTER FLASHCARD S Università degli Studi di Salerno
MEDIA Fumetto Animazione bi- e tri-dimensionale Flash cards Video giochi Università degli Studi di Salerno
PROCESSO FASI • BRAINSTORMING/SELEZIONE DELL’ ARGOMENTO / DRAFT • CREAZIONE DELLO STORYBOARD • PRODUZIONE • PRESENTAZIONE DEL PRODOTTO FINALE Università degli Studi di Salerno
COME SCRIVERE UNO SCRIPT • Bastano 250 parole, 12 immagini e di una durata di due minuti • Non bisogna soffermarsi solo sugli aspetti digitali ma si deve tener conto della valenza educativa dei contenuti • Lo script è più delle parole • La storia è una storia personale, che viene dal cuore, quindi raccoglie emozioni. L’utilizzo della prima persona è molto frequente. • Il linguaggio utilizzato deve essere semplice e coinvolgente. • La musica può creare l’umore e la predisposizione giusti, se scelta con accuratezza Narrative is in words and pictures Università degli Studi di Salerno
Creare un Collage I collage sono utili quando le immagini disponibli non possono essere ingrandite per motivi di risoluzione o qualità della foto ma anche come fine a se stessi per narrare una storia. Esempio: ‘In viaggio con la famiglia’. Gli alunni scelgono delle proprie foto e costruiscono un collage per raccontare una giornata, utilizzando Microsoft Powerpoint. Università degli Studi di Salerno
LO STORYBOARD • Lo storyboard è una rappresentazione scritta e/o grafica di tutti gli elementi che saranno inclusi in una storia digitale. www. storyboard that. com Università degli Studi di Salerno
Creare lo Storyboard Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: il. Video modeling Modeling (apprendimento imitativo) Mediante l’utilizzo della tecnologia video, consente di illustrare la modalità adeguata di comportamento in determinati contesti o la corretta esecuzione di azioni al fine di acquisire specifiche abilità Università degli Studi di Salerno
Il. Video modeling L’attività di video modeling prevede: Come Ø La registrazione di un breve filmato, utilizzando come modello dei compagni di classe o dei familiari; Ø La visione individuale del filmato da parte del bambino autistico; Ø L’imitazione dei comportamenti osservati nel filmato Università degli Studi di Salerno
Il. Video modeling Perché Il video modeling consente: v L’attivazione dell’attenzione relativamente al comportamento da osservare; v La visione reiterata del filmato; v L’enfatizzazione del processamento delle contenuto visivo; v La mancata interazione diretta tra il bambino autistico ed il suo interlocutore, che potrebbe rivelarsi fonte di stress Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: le storie sociali «Una storia sociale è un breve racconto scritto in formato specifico per l’allievo con autismo, che descrive una situazione particolare, una persona un’abilità, un evento o un concetto in termini di guide rilevanti o di risposte sociali adeguate. Le storie sociali mirano ad aiutare il bambino a comprendere le situazioni sociali, attraverso l’adozione di un approccio metodologico centrato sull’apprendimento visivo» (Cottini & Vivanti, 2013, p. 83). Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: le storie sociali Storie sociali • Stabilire una routine L’efficacia delle storie sociali è data da una caratteristica che gli studenti autistici mostrano spesso, ovvero quella di aderire rigidamente alle attività routinarie. Per tale ragione, la storia può aiutare a stabilire una regola o una routine che il bambino potrà poi applicare alla situazione reale. Cottini, Vivanti, 2013 Università degli Studi di Salerno
Esempio di storia sociale Università degli Studi di Salerno
www. giuntiscuola. it Università degli Studi di Salerno
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Riferimenti bibliografici Hollader, E, Kolevzon, Alexander, M. D. , Coyle Joseph T. , M. D. (2011). Textbook of Autism Spectrum Disorders. Washington: American Psychiatric Publishing Goussot, A. (2012). Autismo: una sfida per la pedagogia speciale, Fano: Aras Edizioni Cottini, L. , Vivanti, G. (2013). Autismo. Come e cosa fare con bambini e ragazzi a scuola. Firenze: Giunti Scuola. Cottini, L. , (2008). Per una didattica speciale di qualità. Dalla conoscenza del deficit all’intervento inclusivo. Perugia: Morlacchi. Ohler, J. (2013). Digital storytelling in the classroom: New media pathways to literacy, learning, and creativity. Corwin Press. Bruner, J. S. (1996). The culture of education. Cambridge, Mass. : Harvard University Press. (Trad. ita. Milano: Feltrinelli 1997). Frith, U. , (2009). L’autismo: spiegazione di un enigma. Roma: Laterza. Università degli Studi di Salerno
Riferimenti bibliografici Bleuler, E. , (1911). Dementia Praecox e il gruppo delle schizofrenie. Trad. it. , Roma: La Nuova Italia Scientifica. Mahoney, G. , Perales, F. , (2005). A comparison of the impact of relationship-focused intervention on young children with Pervasive Development Disorders and other disabilities. Journal of Developmental and Behavioral Pediatrics. Bettelheim, B. (1967). Empty fortress. Simon and Schuster. Karagiannidis, C. , Politis, P. , Karasavvidis, I. (eds. ), Proceedings of the 8 th Pan-Hellenic Conference with International Participation «ICT in Education» University of Thessaly, Volos, Greece, 28 -30 September 2012 Chen, P. , & Mc. Grath, D. (2003). Moments of joy: Student engagement and conceptual learning in the design of hypermedia documents. Journal of Research on Technology in Education, 35, 402 - 422. Delano, M. , & Snell, M. E. (2006). The effects of social stories on the social engagement of children with autism. Journal of Positive Behavior Università degli Studi di Salerno
Riferimenti bibliografici American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text Revision (DSM-IV-TR). Washington, DC: American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Fifth ed. ). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing. Università degli Studi di Salerno
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