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I GRUPPI A. M. A.
DEFINIZIONE • Kats & Bender - I gruppi A. M. A. sono strutture di piccolo gruppo, a base volontaria, finalizzate al mutuo aiuto ed al raggiungimento di particolari scopi; • sono di solito costituiti da pari che si uniscono per assicurarsi reciproca assistenza nel soddisfare bisogni comuni, per superare un comune handicap o un problema di vita, oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti personali e sociali; • I gruppi A. M. A. enfatizzano le interazioni sociali faccia a faccia e il senso di responsabilità personale dei membri. Essi spesso assicurano assistenza materiale e sostegno emotivo; tuttavia, altrettanto spesso appaiono orientati verso una qualche “causa”, proponendo una “ideologia” o dei valori sulla base dei quali i membri possano acquisire o potenziare il proprio senso di identità personale”.
IDEOLOGIE E PRINCIPI • I gruppi A. M. A. si svolgono secondo il seguente principio: “tu solo ce la puoi fare, ma non ce la puoi fare da solo”. L’auto mutuo aiuto, infatti, si basa sull’idea della mutualità, dello scambio reciproco di aiuto, dell’impegnarsi per se stessi e per l’altro, di un sostegno reciproco attivato fra persone che vivono una stessa situazione di vita. • I gruppi A. M. A. incarnano l’ideologia dell’empowerment individuale e sociale, ovvero quel processo attraverso il quale gli individui diventano attivi protagonisti della propria vita, esercitando su di essa il giusto controllo. • Il processo di empowerment racchiude al suo interno fattori psicologici che spaziano dall’incremento del senso di self-efficacy sino all’assunzione di responsabilità a favore del proprio processo di cambiamento. Risultati ultimi sono proprio: la valorizzazione di se stessi in quanto soggetti attivi; ed il riconoscimento dell’altro in quanto interlocutore degno di competenze e fiducia.
PER COSA SONO INDICATI I GRUPPI A. M. A. ? • L’intento comune di tutti i gruppi A. M. A. è quello di trasformare coloro che domandano aiuto in persone in grado di fornirlo” (Martini, Sequi, 1988), aumentando la padronanza e il controllo sui problemi, in una parola, l’auto efficacia dei partecipanti. • Ecco quattro buoni motivi per costituire un gruppo A. M. A. : 1. 2. 3. 4. Per un supporto emotivo. Per un sostegno informativo. Per un aiuto materiale. Per un’azione politico – sociale a difesa dei propri diritti.
QUALI GRUPPI A. M. A. ESISTONO? • Ci sono diversi tipi di gruppi A. M. A. : 1. quelli formati da persone che condividono un handicap o una malattia cronica; 2. quelli costituiti da persone che vogliono cambiare una abitudine, un comportamento (ad esempio gli alcolisti anonimi); 3. quelli organizzati da familiari di persone con gravi problemi; 4. gruppi di persone che attraversano un periodo di crisi (un lutto, una separazione), o un periodo positivo ma che cambia radicalmente le loro vite (es. nascita di un figlio); 5. persone che devono affrontare una situazione o un cambiamento che influisce sulle loro identità (es. al menopausa, il pensionamento).
PRINCIPI DINAMICI DI FUNZIONAMENTO • Conoscere persone che hanno attraversato o stanno attraversando le stesse difficoltà, fa sentire meno soli e aiuta a capire che sentimenti e reazioni che sembrano “cattivi” o “folli “, non sono affatto tali. Inoltre incontrare persone che hanno superato gli stessi problemi, o hanno trovato modi ottimali per affrontarli e gestirli può regalare speranza e ottimismo. • Una delle funzioni dei gruppi A. M. A. è proprio quella di “insegnare” ai membri strategie di fronteggiamento dello stress, per affrontarne le cause e le emozioni correlate. Si acquisiscono le competenze per avere il maggior controllo possibile sul problema, invece di esserne controllati. • L’accento sulla parità dei membri rende tutti ugualmente responsabili dei risultati raggiunti e dei servizi forniti. Il clima è spontaneo ed informale, e il fatto di dare aiuto, oltre che riceverlo, aiuta a liberarsi dal senso di impotenza e di sfiducia in se stessi che spesso si prova in queste situazioni.
GRUPPI A. MALATTIE CRONICHE • In particolare nei gruppi A. M. A. formati da persone che condividono una malattia cronica, i componenti non si sentono più compatiti per la loro situazione, riescono ad “abbassare” le difese e ad esprimere non solo sentimenti di rabbia, di tristezza, ma anche orgoglio per essere riusciti a dare un senso alla propria vita nonostante il peso più difficile che portano con sé. • Aiutare gli altri accresce la propria autostima, aumenta il livello di competenza interpersonale. La persona nota che riesce ad ottenere un equilibrio tra il dare e l’avere, e riproponendole ad altri, consolida quelle strategie di cambiamento che ha acquisito a sua volta. Questo è particolarmente importante per coloro che sono a volte costretti ad essere aiutati e a dipendere da altri, che così traggono fierezza, soddisfazione nel sostenere a loro volta altre persone, nel vedere che può anche dipendere da loro, sperimentando l’interdipendenza reciproca.
QUALCHE SUGGERIMENTO PRATICO PER L’ORGANIZZAZIONE DI UN PRIMO INCONTRO DI UN GRUPPO A. M. A.
• La prima cosa che si deve fare è verificare che non esistano altri gruppi di questo tipo nella propria zona. • Una volta accertata la mancanza di un’iniziativa del genere, mettete un annuncio sulla pagina dell’associazione o su giornali locali per contattare altre persone, create dei volantini semplici e chiari da distribuire nei reparti e negli ambulatori degli ospedali, iniziate una specie di tam – tam. • Cercate anche di trovare una sede, che magari sarà anche provvisoria, prestata per questo primo incontro. Sarebbe meglio che non ci si incontrasse in una casa: l’ambiente domestico è pieno di distrazioni, dal telefono che squilla, al vicino che suona alla porta, al ruolo di “padrone di casa” che inevitabilmente si farebbe sentire. Meglio un ambiente neutro, come un locale di un ospedale (domandate alla direzione sanitaria e ai primari dei reparti interessati), di un centro sociale o di una associazione di volontariato che disponga di sufficiente spazio per ospitarvi. Potete anche rivolgervi direttamente al comune di appartenenza.
PRIMA SEDUTA GRUPPO A. M. A. • Bene, eccovi tutti riuniti. • Disponete le sedie in cerchio, in modo da potervi guardare tutti in viso e cercate di cominciare all’ora fissata, senza ritardi. • Iniziate presentandovi solo col vostro nome di battesimo, usando il “tu”, dando una motivazione del perché avete voluto partecipare a questo incontro. Gioverà a ciascuno e aiuterà a creare tra di voi un legame di appartenenza. Può iniziare a parlare l’organizzatore del gruppo, chiarendo subito e con decisione alcuni punti: 1. Che tutto ciò che verrà detto nel gruppo, nel gruppo rimarrà. 2. Che chi non se la sente ancora di parlare, non è obbligato a farlo, non subirà alcuna 3. pressione in tal senso, né verrà giudicato negativamente per questo motivo. Semplicemente “regalerà” le sue confidenze in un altro momento. Tutti hanno i propri tempi e le proprie necessità. Che nessuno verrà criticato per quello che fa o non fa, presente o assente che sia.
• Emergeranno bisogni, paure, problemi, ma anche proposte: sarebbe utile che a turno si tenesse un verbale della riunione, da riguardare e commentare alla fine dell’incontro, e da cui trarre spunti per stilare un ordine del giorno per la prossima volta e per promuovere attività “ad hoc” come gruppi di incontro medici – pazienti, linee “calde” telefoniche, incontri con legali per conoscere i propri diritti e farli valere, organizzare incontri informali, accostare nuovi membri. • Durante la riunione evitate di mangiare, bere, soprattutto alcolici, e fumare. potete riservarvi qualche minuto alla fine della riunione per discutere dove e quando dovrà riunirsi il gruppo la volta seguente (cercate di far passare al massimo solo due settimane!), se è il caso di concedervi un rinfresco prima o dopo la riunione, per sentire se c’è qualcuno che si offre volontario per svolgere il ruolo di facilitatore delle discussioni per la prossima riunione, ruolo che dovrà ruotare a turno, e che per questo primo incontro potrebbe svolgere chi di voi si è fatto promotore dell’iniziativa, per stabilire e discutere le norme da seguire, e per porvi alcune domande come:
• “Cosa credete che abbiamo conseguito oggi? • Abbiamo seguito l’ordine del giorno? se no, le diversioni sono state utili e rispondenti ai bisogni dei partecipanti? • Quale fase della riunione ritenete sia andata nel modo migliore? che cosa vorreste approfondire nelle riunioni future? • Che cosa non è andato bene? perché? come potremo correggerlo nel futuro? • È stata programmata un’adeguata procedura per verificare a posteriori se i suggerimenti che hanno ricevuto il generale sostegno saranno effettivamente applicati? • Credi che qualcosa sia stata davvero ottenuta? ti senti allo stesso modo o meglio? • Hanno tutti avuto un’opportunità soddisfacente di esprimersi? qualcuno è stato trascurato? la discussione è stata tenuta troppo a freno? è stato permesso di divagare troppo? ”
• Alla fine dell’incontro concedetevi qualche minuto per tenervi per mano in silenzio. Ripetete questa semplice azione alla fine di ogni riunione. Può capitare di sentirsi un po’ giù di corda alla fine dell’incontro perché ci si è fatti carico dei problemi degli altri o magari si sono ascoltate storie cliniche più serie delle proprie. Non scoraggiatevi! avete fatto il passo più importante e coraggioso: uscire da voi stessi e incontrare l’altro. Ora ne dovete compiere un altro ancora. Insieme. • Passare attraverso la sofferenza causata da una crisi depressiva o da uno stato d'ansia e non poter condividere i propri stati d'animo con qualcuno che comprenda cosa stia accadendo è una sensazione dolorosa e di grande solitudine. Molte domande si affollano: “provo solo io questa sofferenza o capita anche ad altri? ”, “perché mi sento così inutile, solo e senza speranza? ”, “qualcuno può dirmi se questo dolore invisibile passerà? ” Purtroppo non sempre queste domande vengono accolte con il dovuto rispetto e la necessaria comprensione, gli stati d'animo vengono minimizzati o banalizzati e il risultato è un aumento dell'isolamento e del distacco dal mondo.
• I gruppi A. M. A. possono colmare questo vuoto sostenendo emotivamente chi si trova in questa condizione. La partecipazione ad un gruppo A. M. A. ha importanti ricadute positive per la persona. Grazie a questo valido strumento di intervento sociale chi soffre di disturbi dell'umore o di ansia riesce a rompere l'isolamento, a recuperare una capacità relazionale spesso “dimenticata”, ha la possibilità di sviluppare nuove relazioni, partecipa a iniziative sociali, trova nuovi interessi conseguente ricaduta positiva sull'autostima.
RUOLO DEL FACILITATORE 1. Il primo suggerimento per il facilitatore è l’utilizzo della lavagna. Molti sono i vantaggi dell’uso di tale strumento e vale la pena esserne coscienti per non trascurarne l’adozione e per evitare gli errori di utilizzo. La lavagna può diventare la memoria del gruppo, tutto ciò che esso esprime può esservi raccolto, sintetizzato (anche con la scelta di simboli grafici o di singole parole significative, in grado di evocare interi discorsi svoltisi nel gruppo). • Oltre al legame visivo deve essere costruito un legame di contenuto: è indispensabile chi interviene riconosca nella sintesi che sarà riportata in lavagna una corretta rappresentazione del suo pensiero; occorre pertanto che chi scrive alla lavagna chieda all’interessato se quanto ha scritto è corretto, e agli altri se la sintesi operata è sufficiente a rammentare l’articolazione dell’intervento. • Per imparare a sintetizzare può esser utile cercare una sola parola (se s’intende sintetizzare con la parola, piuttosto che con uno schema o disegno) in grado di rappresentare la novità del contributo di chi sta intervenendo. Ovviamente tale parola sarà più facile da trovare se abbiamo ben presenti gli interventi precedenti e quindi se ci concentriamo sulla novità dell'intervento in corso o in via di conclusione
• Il facilitatore non deve pensare a quale contributo può dare nel corso della discussione; i suoi canali di attenzione devono essere rivolti principalmente a capire il contenuto e a cogliere il processo. Se gli viene impellente una intuizione stimolata da un intervento, è meglio che se la scriva sulla propria agenda sotto forma di parola chiave piuttosto che distogliersi dal compito, e se gli capita di distrarsi dall’intervento in corso è opportuno che, previe scuse, ne chieda la ripetizione: non offenderà nessuno, perché di solito la gente ama sentire l’attenzione su di sé e la richiesta di ripetizione è segno che quel intervento è troppo importante perché vada perso.
• L’errore più comune è di pretendere di trasformare la lavagna nel verbale della riunione. Il verbale è una cosa morta (o quasi), da archiviare, appartiene al passato fin nel corso della sua scrittura; esso è più o meno ricco di particolari che al momento possono non essere nodali nello sviluppo del lavoro del gruppo. La memoria del gruppo è una cosa viva, guizzante, alterabile sempre. Può essere che la memoria del gruppo possa essere espressa da un disegno o uno schema, cui ciascuno può contribuire, cancellando righe o segni, o introducendone di nuovi a completamento: quanto di più lontano possa esserci da un verbale, quanto di più vicino ad un disegno di gruppo! Se tutto ciò si realizza, quanto raccolto sulla lavagna diviene il primo prodotto comune del gruppo, quindi il primo contributo alla costruzione del sentimento di coesione. • La lavagna spersonalizza i conflitti e li rende il veicolo della valorizzazione dei contributi di ciascuno, quindi della diversità; l’opportunità di vivere come importante quanto si sta facendo; il segno di quanto ci sta a cuore il prodotto comune.
2. La lavagna consente a tutti una maggiore attenzione al contenuto. Il secondo suggerimento è come analizzare e rielaborare il contenuto degli interventi, innanzi tutto quelli che appaiono analoghi o presentano particolari affinità: se un collegamento non è effettuato da chi interviene, sarà necessario che il facilitatore faccia cogliere l’analogia e chieda ai due di confrontarsi su di essa. Può essere che i due utilizzino parole diverse per esprimere il medesimo concetto e in questo caso il linguaggio comune si arricchisce; può invece capitare che la somiglianza sia solo apparente e in questo caso il chiarimento arricchisce di sfumature il discorso. Un’altra metodologia di rielaborazione del contenuto è quella di cogliere le contraddizioni, che potranno essere apparenti o reali. In ogni caso le contraddizioni possono essere una grande risorsa per la discussione del gruppo, poiché consentono di migliorare la comprensione della questione, mettere allo scoperto le polarizzazioni (chi e cosa sta da una parte e chi dall’altra), consentire ai partecipanti di acquisire maggiore capacità critica.
3. Il facilitatore non può dedicare la propria attenzione al solo contenuto o al solo processo; dovrà dedicarsi anche a cogliere il non verbale. Può non essere semplice per il facilitatore alle prime esperienze tenere aperti contemporaneamente più canali di ricezione. Un suggerimento utile in questo caso è di dedicarsi ogni tanto ad osservare il non verbale. Ad esempio il facilitatore può compiere uno scanning dei partecipanti: far passare uno ad uno con lo sguardo ogni singolo partecipante per cogliere discontinuità che possano rappresentare un messaggio non verbale: un’espressione del viso che evidenzi disappunto; un gesto di noia; un sorriso irritato o divertito, un disinteresse. E’ importante che il facilitatore non proietti la propria lettura del gesto, dando per scontata la sua prima interpretazione: occorre che in occasione di una pausa nella discussione o di attimo di indecisione negli interventi, oppure chiedendo un break in un dialogo concitato, apra una parentesi di verifica, chiedendo, con cortesia e delicatezza, all’autore del gesto di chiarire cosa pensa al riguardo di quanto è stato detto (“Mi è sembrato, Paolo, che tu non fossi dello stesso parere di Luigi; è vero? Puoi eventualmente esprimere come la pensi al riguardo? ” oppure “…volevi dire qualcosa al riguardo? ”). La discrezione è fondamentale; non dobbiamo dare l’impressione di voler tenere tutto sotto controllo o di voler costringere le persone ad esprimersi; il nostro compito del resto è quello di facilitare, non costringere.
4. Se il gruppo è spontaneo, cioè se la partecipazione passa da una libera scelta dei singoli membri, l’obiettivo più o meno esplicito del facilitatore è di favorire la continuità di partecipazione alle riunioni successive (a meno che senta la necessità di perdere qualche elemento; Qualsiasi strategia premiante concorre a conservare e ad incrementare il desiderio di partecipare: il premio migliore è la libertà di espressione in un ambiente accogliente e non giudicante. Più in specifico: a. Non parlare troppo b. Non interrompere e impedire le interruzioni. c. Non esprimere giudizi su quanto è stato detto né sugli assenti. d. Non dare consigli. e. Disincentivare gli interventi tesi a dare consigli (vedi punto precedente). f. Elogiare gli interventi e dare importanza a ciascuno. g. Sottolineare l’elevato valore che attribuiamo al gruppo. h. Sottolineare ciò che accomuna. i. Atteggiamento accogliente, mettendo a loro agio le persone, con sorrisi e se possono j. k. servire, battute. Essere disponibili ad ammettere i propri errori. Relativizzare il ruolo della competenza.
BIBLIOGRAFIA • http: //www. psicologicamenteok. com/psicologia-e-psicoterapia/i-gruppi-di-auto-mutuo -aiuto-cosa-sono-e-per-cosa-sono-indicati/ • http: //www. ilmiopsicologo. it/elenco-di-alcuni-gruppi-di-auto-aiuto/ • http: //www. archepsicologia. it/consulenza/gruppi-di-auto-mutuo-aiuto/ • http: //www. legaintroversi. it/gruppi-di-auto-aiuto/
ESERCITAZIONE PRIMA SEDUTA GRUPPO A. M. A. • Non si utilizzano operatori professionali, se non per un ruolo definito e mai centrale, poiché la caratteristica dell’autonomia è fondamentale in un gruppo di supporto. Pertanto la seduta sarà gestita direttamente dai corsisti di oggi. • Seguire le istruzioni della presentazione. • L’argomento sarà: Ansie e paure lavorative legate alla recente fase depressiva economica.
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